GIOIELLI RUBATI
Dal Domenicale di Flavio Almerighi
https://almerighi.wordpress.com/
.
Geografia di graffi
dirò di quella volta
che l’ondata mi strappò
come una gigantesca mano
dallo scoglio
pensavo fosse finita
mentr’ero sballottato
come una cosa
poi mi guardai
la geografia di graffi
e mi toccai
inebetito
Gioielli rubati 3
Lungopò
noi due mi dici
siamo della stessa pasta
-quanto a me non so dire i difetti
la trave nel mio occhio
le anatre abboccano
le nostre briciole
tra dorati riflessi e giochi d’acqua
tu
ti mantieni bella e gli anni non sciupano
questa luminosità del viso
mi chiedo quanti inverni
ancora nelle ossa
che gemono nelle giunture
Gioielli rubati 5
Angelo
angelo icona della volta
che mi vedevi da lassù
la testa all’ indietro
a contemplare i lineamenti perfetti
nei tuoi occhi vedevo palpitare
il cuore della Bellezza e
m’ incantavo
poi per paura
del male del mondo
la sera mi rifugiavo nel sogno
di te e toccavo il cielo
quando
dopo la mia accorata preghiera
venivi a visitarmi
Gioielli rubati 8
La rosa di sangue
in sogno spio se
riesce a passare "qualcuno"
per la cruna
Dio non è stanco
mai dell'uomo
gl' insulti gli sputi
gli scivolano addosso
Lui perdona sempre perché "non sanno"
sempre viva è la rosa di sangue
e splende di bellezza
Gioielli rubati 18
Sapremo
sapremo - io di te tu di me dei nostri
scheletri nell'armadio
di ciò che non ci siamo detti
delle ammutolite coscienze nell'ora
alta delle scelte
dove si curva l'orizzonte dei pensieri
sapremo - non per speculum
in aenigmate: trasparenti saremo
Gioielli rubati 23
E oggi che mi ritrovi uomo fatto
padre che sei rimasto di me più giovane
consumato anzitempo
una vita sul mare e le brevi
soste col mal di terra
avevi la salsedine nel sangue
così presenti
mi restano le rare passeggiate
mattutine e mai che mi avessi preso
per la strada in discesa
a cavalcioni sulle spalle
di carezze non eri capace
e oggi che mi ritrovi
uomo fatto
sai: mi fa male quel distacco
Gioielli rubati 24
Elegia
ora m’incolpi del mio silenzio?
e Tu dov’eri mi chiedi
quando a migliaia
venivano spinti sotto le docce a gas
Io ero ognuno di quei poveracci
in verità
ti dico
Io sono la Vittima l’agnello la preda
del carnefice quando fa scempio
di un bambino innocente
Io sono quel bambino ricorda
anch’io in sorte ho avuto una croce
la Croce
la più abietta la benedetta
ho urlato a un cielo distante Padre perché
perché solo mi lasci in quest’ora di cenere e pianto
Gioielli rubati 27
Anche per voi
salgo sulla croce anche per voi disse con gli occhi
rivolto a quelli che lo inchioderanno
anche per voi che ancora nei secoli
mi schiaffeggiate sputate
negando la vita buttandola tra i rifiuti
aizzando popolo contro popolo
sotto tutte le latitudini
salgo sulla croce anche per voi
che mi sprecate nelle icone
per voi nuovi erodi/eredi della svastica
che insanguinate la luce delle stelle
oscurando la Notte della mia nascita
anche per voi potenti della terra
razza di serpenti
che non sopportate di sentirmi nominare
dal mio costato squarciato fiumi di sangue
tracciano il cammino della storia
la mia Passione è un solo grande urlo muto
di milioni di bocche imploranti
dinanzi al vostro immenso Spreco
con cui avete eretto babeli
di lussuria come cultura di morte
Gioielli rubati 31
Qui ci sta bene uno spazio
ecco vedi
la poesia deve respirare
nascendo dal bianco
innalzarsi come
cresta d'onda per poi
immergersi fino allo spasimo
in profondità d'echi e ancora su
con lo slancio felice d'un
enjambement
vedi
la poesia è una tipa
selettiva
sfoglia scandaglia spoglia
immagini le riveste a sua
somiglianza
porta
sogni e nuvole al guinzaglio
Gioielli rubati 88
La casa delle nuvole
cieli d'acqua e cavalli
d'aria
lì custodisco ore
sfilacciate e segrete pene
-oh giovinezza di deliri e
notti illuni
lì dove il turbinio
degli anni
è rappreso in un palpito
che nell'aria trema
Gioielli rubati 92
Luna park
ride la piccola Margot
alle smorfie del papà che si rade
"suvvia ti porto alle giostre" e
lei s'illumina di gioia e
poi a cavalcioni sulle larghe spalle
nella fantasmagoria delle luci
un po' ci si attarda
nell'aria ancora calda di fine settembre
riverbera una miriade di
stelle negli occhi innocenti
mentre le nasconde
il resto del viso una montagna
di zucchero filato
Gioielli rubati 93
Spleen (2)
lo scoglio
e tu
come un tutt'uno
quasi sul ciglio
del mondo avvolto
in una strana luce
labbra di cielo
questo
contatto di sole
vedi nell'aria
marina
un gabbiano planare
su una solitudine
che ti lacera
all'infinito
Gioielli rubati 106
Le vele del sogno
me ne andrei quasi di soppiatto
alle prime luci
mentre si fredda la tazzina
mai portata alle labbra
entrerebbe il vasto orizzonte
nei miei occhi azzurrocielo
il mare aperto
nell’abbraccio
delle vele del sogno
Gioielli rubati 123
L'ombra 2
meridiana a perpendicolo
poi eccola s’allunga
l’ombra oscuro specchio
che mi ripete
si spezza allorché riflessa
tra pigre nuvole nel lago
Gioielli rubati 124
L'albero di Giuda
tagliando per la pianura
non trovavi più il cuore
sulle punte delle stelle ti volevi
trafitto
e il sangue quasi ricamasse
una scritta ingloriosa
ma il tuo albero
ecco venirti incontro
e già il cappio
vederlo
-sinistro
Gioielli rubati 131
Cavalli di nuvole
i primi smarrimenti: quando ti sembrava
dovesse cascare il mondo
-disegnavi angosce o voli
pindarici nell’aria
da una feritoia ti guardava
un pezzo di cielo
-tu ragazzino -ricordi-
rifugiato in una baracca
a smaltire l’ “onta” di una derisione
non sapendola costellata di prove
la tua stella
intanto
cavalli di nuvole
a sequenza
dicevano la vita leggera
Gioielli rubati 140
Fedele alla vita
mia vita
senza rete t’appigli
alla Bellezza intaccabile
a quella del cuore e alle
armoniose figure della danza
o del cavallo nel bianco salto
finché ti chiedi dov’è
lei l’ irraggiungibile
non tutto è perduto
voltato sei sul giusto
versante lucente ancora
una volta – vita
fedele alla vita
Gioielli rubati 160
Avevo in mente una poesia
stamattina avevo in mente una poesia
stasera
non ricordo più nemmeno un verso
ho lasciato il foglio bianco
con flebili echi d'un mezzo secolo e
ora rammento solo una pioggia di luce
di stelle sopra il letto
e il caldo abbraccio di lei
sullo schermo della mente
un vissuto che sembra ieri
Gioielli rubati 167
Ai piedi della notte
un nodo d'inquietudine sospesa
si scioglie ai piedi della notte
sotto una luna ammiccante
l'amore è come l'ansimare del mare
s'abbevera del sangue delle stelle
aduna in sé il sentimento del tempo
vòlto dove è dolce la luce
Gioielli rubati 178
Emarginato
quest’uomo: tristezza
d’albero nudo
avanzo di vita aperta
ferita
-occhi scavati
che perdono pezzi
di cielo
quest’uomo
puntato a dito
quest’uomo fatto
torcia
per gioco
Gioielli rubati 184
La luna dei poeti
ho la luna dei poeti
-pesci sull’ imum coeli–
scivola
la barca della passione
verso terre di mistero
pesco sogni di ragno
nell’ intreccio di parole
nate sulla bocca dell’ alba
mentre
uno sbuffo di vento
porta afflati d’ amore
Gioielli rubati 190
Dei miei detrattori
(Diocleziano, uno dei più odiati della storia)
lasciai alla terra il corpo-zavorra
da cui forse con sollievo mi trassi
se sia ala d'angelo a coprirmi
il disonore -si dirà- ora che
s'una misera tomba s'accanisce
dei miei detrattori il ghigno
feroce e lo sputo
Gioielli rubati 195
Il mare era una favola
"non vorrei più uscire da questa
dimensione eppure basterebbe
come altre volte
stringere forte gli occhi e..."
ma voglia non ne avevo - poi giocoforza
mi ritrovai quasi deluso nel mio letto
avevo lasciato un mare che era
una favola
un'immensa tavola
imbandita per i gabbiani a frotte
Gioielli rubati 204
Spleen 4
brusio di voci
galleggiare di volti
su indefiniti fiati
si sta come
staccati
da sé
golfi di mestizia
mappe segnate
dietro gli occhi
vi si piega
il cuore
nella sanguigna luce
Gioielli rubati 210
La colpa
sono io quel ragazzo che
scappò da casa con poche lire in tasca
e un quaderno d'improbabili versi?
lo sono sì ma dopo sei decenni
non mi riconosco in lui se non nel sogno
ricorrente che al mattino mi lascia
il cuore stretto dall'angoscia
sarà un residuo di "colpa da espiare"
per aver procurato un veleno sottile
a chi bene mi voleva
Gioielli rubati 215
Creatura
sembra che il solo sguardo
la mantenga in vita
la sua creatura
ché Lui la pensò
ancor prima di sognarla
in forma ed essenza
poi del sogno
il suo farsi
carne e respiro
Gioielli rubati 222
Non sei dei loro
nel chiuso della stanza o
di pomeriggio nel sole
da un po’ ti sorprendono
a parlare coi morti – questi
non tornano e tu non sei
dei loro -ancora-
sono spirito (ma di essi
poco si sa) -ubiqui
ti leggono il pensiero e a volte
giocano con le nuvole – quando
nelle tue pareidolie
ti pare ravvisarli
Gioielli rubati 228
Dammi cuore (preghiera)
dammi ancora tempo
tempo per sognare
altre vite
tempo per
arcobaleni e luce e voli
e che io fedele sia
alla verità
alla fine
dei giorni che non debba
vergognarmi di me
dammi altro tempo - dammi
dolore
per gli ultimi
dammi cuore per gli ultimi
Gioielli rubati 236
Di noi
.
di noi
mostriamo esigua vita
più l’esteriore che
quella che ferve nel sangue
i viaggi mentali i sogni
mistero ch’è appannaggio
di proprietà esclusiva
-la testa reclina
il nostro fido ci guarda attento
come cogliesse pensieri
.Gioielli rubati 247
Fogli-aquiloni
impregnati dell’humus dell’estro
del vasto respiro di cielo
svolazzano s’impennano appena
liberati dall’artefice dei versi
-suoi non più suoi-
a volerli divulgare per il mondo
Gioielli rubati 254
I tuoi santi
corda tesa tra la bestia e l’angelo
scala al cielo per
l’Assoluto
c’è sempre
l’iconoclasta che
lascia osceni echi nel sangue
dileggiando i santi che
tu Nina preghi incessante
Gioielli rubati 261
Reliquie
a scrivere non la mano
ma la mia radice ferita
testimonianza siano
non lettere storte sull'acqua
o che volteggino eteree
dissanguandosi in volo
ma i momenti che restano
nel tempo appesi al cuore
Gioielli rubati 277
Primavera
mattina sul lago:
si spalma
sugli occhi la luce
intonano
melodie uccelli di passo
è un fremere di gioia la pineta
Gioielli rubati 291
Era una favola il mare
consapevole di trovarti nel sogno
chiederti se riuscirai ad uscirne
tuttavia volendoci restare
ancora un poco
ché
era una favola il mare
su creste d'onde guizzavano pesci
dalle squame luccicanti nel sole
calavano gabbiani a frotte
Gioielli rubati 301
Divagazioni sullo zero e sulla o
il nucleo l’anello l’uroboro
due zeri abbracciati ti danno
il simbolo dell’infinito
puoi notare
la vocale o di rimbaud
gli ovali dell’ottocento
la bocca spalancata nell’urlo di munch
le bolle di sapone
immagina
gli occhielli delle forbici gli oblò
simili allo zero o alla o
Gioielli rubati 325
*

Afrodite - William Adolphe Bouguereau
Versi per Nina
sento la vita quasi fosse
apparenza in vaghezza di sogno
l'anima è spersa dove fitta
trama d'ambiguo s'incaglia
ah le uve dei tuoi occhi: uno spasmo
di luce una spina nel sangue
e quel sorriso – oggi
che mi sorprendo a inseguire ombre
in cerca del tuo profilo –
mi si trasfigura in un graffio
difficile da decifrare
*
la mano disegna nell'aria
il tuo profilo indugia
su bocca naso e occhi
la mano della mente ben conosce
quei dettagli come una madre – Nina
stella del cielo che mi cammini nei sogni
ora sono aghi
che trafiggono
nell' accendersi nel sangue
la mai sopita passione
mentre la mente disegna
dove fermenta il cuore
*
silenzio allagato di luna – una
silhouette nella mente ondeggia
e gli arzigogoli
a dirmi vano
il ricordo sgualcito dal tempo
dalla foto color seppia
mi guardano
i tuoi occhi velati di mestizia
-ah l'assedio degli anni
e il cuore
a dare smalto a un sogno sbiadito
*
donna dei boschi: occhi
di cerbiatta – la tua
anima di foglia
di sé m'innamora
*
entro ed esco dalla tua anima
dove dimorano pezzi di me
un odore di pini ci avvolge
– certo lo senti anche tu –
i nostri passi sul viale accecato di sole
un grido di gabbiani e l'ascolto
del mare in una conchiglia:
questi i momenti
d' incantamento
fermati dal nostro amore imperituro
*
rosa il tuo fiato
fragranza di bosco la tua pelle ambrata
apparivi sirena
distesa s'uno scoglio
allucinazione forse
mi facevi un cenno
mentre il cielo s'apriva in una luce
aurorale
come il tuo sorriso
*
sparire nel nulla
è l'urlo della rosa strappata
da mano indelicata
consola a tratti un palpito
di luce selenica
che abbraccia il ricordo
ravviva empatie
gentile il velo spiegato
dell'angelo
su un lato del cielo
*
forse solo nell' oltre saprò
si scioglierà l' enigma – e intanto
i tuoi modi garbati che ritornano
nella camera viola della mente
mi sorreggono per il tempo a me concesso
mentre perso sono
nel perimetrare il vuoto che lasci:
un' ombra feroce
mi strappa all'abbraccio del sangue
il buconero risucchia
presenze umori respiri
non il tuo garbo che in me
non si cancella
*
non ti vedrò più Nina
se non in vaghezza di sogno –
oggi mi nutro come un passero
dei tuoi scritti di luce che aprono
su universi solo a te noti
e che forse ospitano la tua
essenza mentre mi appare
delinearsi il tuo volto
in una nuvola vagante
in questo cielo bianco di silenzi
*
e tu a lumeggiare le mie sere
anima di candore e di sogno
si fa conca il cuore
ad accogliere
dei versi dettati da un altrove
*
l'anima tendeva alle stelle
quando tu Nina apparivi
rosavestita
stagliata contro un lembo di cielo
ti fermavi nella piazzetta e
ti facevano festa i colombi
planando sul mangime che spargevi
allora
il tuo sorriso era una pasqua
mentre il tempo aveva una sosta
*
dimmi Nina: che vedi
tu che hai casa nelle nuvole
tu che sai il linguaggio dei voli?
forse
la giovinezza spezzata
che ora in lampi di déjà vu ritorna?
o
rivivi nel cuore
verde dell'acqua
che ti vide sirena emula del canto
di odisseo
rapimento
dei sensi
che in sogno ancora mi seduce
*
ahi i ponti sgretolati
o pure considera quelli
detti collanti di carne e di sangue
e il desiderio che
si fa arco d'amore
filo teso d'acrobata
all'altro capo sei Nina
e mi vedi adesso
varcare fra nuvole in sogno lo spazio
di un volo fino alle tue braccia
*
il tuo volteggiare Nina
nelle stanze viola della memoria
– dicevi il reale non è fatuo
apparire o entrare nello specchio
dell'essenza evocando
palpiti di luce
di un tempo senza tempo
noi dal celeste palpito
dicevi – qui siamo
affratellati nel sangue
con la terra e la morte
© Felice Serino
*

Amici poeti
TERESIO ZANINETTI
MI APRIRO' IN DUE
Mi aprirò in due
come guscio di ramarro alla frontiera
nel rigonfio del vento, parentesi graffiata
sul prepuzio dei miei sogni rapaci
che già morte pregustano indolore
Mi aprirò in due e sarò in un libro nudo
di bufera il precipizio
mentre cancella solchi d'abracadabra
la vecchia cornamusa avventuriera
Mi aprirò in due, brivido mai raggiunto
al culmine del coltello
nel centro del cranio
Io, come tutti come nessuno
alla foce del capitale
consegnerò la scorza della storia
Mi aprirò in due per non essere Uno
che ancora pensa Trino. Col coltello,
per mostrarti quanto sei lurido,
io mi aprirò in due
*
A questo non m'abituo
(Leggevo il tuo profilo esangue nei libecci
arrancando tra gladioli e fiordalisi
dentro i covoni della morte in panne):
questa luce falsa gli occhi, tradisce
bisogni e pazienze, stronca
sul nascere bocci – a questa luce
dai lividi brulli non s'abitua
il liso ricordo del domani in croce.
(Leggevo le tue rughe nei cristalli tintinnanti
assaporando intrecci mozzati di mani giunte
nel girotondo degli scorticati vivi) –
Forse era Natale o Capodanno, viziate
di droga capitalista le famiglie serravano
pance e manette (panettoni, anitre all'arancia
figli & figlie parenti stretti al collo
da gustare al dente)
-forse era l'altr'anno o non ancora.
Sta di fatto che a quest'aria di morte non m'abituo
Mentre il boia sorride con piacere automatico
ancora la mia mano rifiuta dovute tenerezze.
Sto con le mie prigioni dentro il piombo
del mio corpo stretto. Sto.
Non so come né quando. Sto.
Con il cranio dell'odio di classe. Sto.
In un mattino disatteso e stanco
qualcuno esplorerà il relitto
delle ossute gimcane a piedi freddi.
A questa maturità che selvaggiamente delicata cresce
solo un grido – domando – di vendetta e di riscossa,
dolce e tremendo come il dolore
nel tuo profilo esangue, trasparente, vivo.
*
Non per nulla
tutti i fiori ritornano nel perimetro estatico
del cuore rimasto
sgranulando bocci d'orchidee e trifogli
Nel caldo mattino
solleviamo briciole
per palpiti senza respiro e ancorché deserto
il prato riavrà parole dovunque l'aria lo voglia
silenzio
di fate di prua
nei vuoti balconi
dove rasserena la dolce canzone
di rabbie e singhiozzi
silenzio
non un'anima fiati
il silenzio si scioglie nel gelo.
(Dicembre 1994)
Dalla Rivista GRANDE VETRO, Maggio '07
*
Poesie di Donatella Pezzino
.
Potresti
Potresti attutire il rumore che faccio
cadendo; con le mani invece
rabbocchi quello che non manca
e mi peschi a caso
dal sacco delle foglie. Ho voglia
di liquirizia: ma non ricordo più la strada
che porta alle tue tasche. Sotto la lampadina
a risparmio
si diventa letargici, ragionando d'uva buona
e del mare sotto i treni e delle lenti da lettura
che ti sperdi per casa. Fuori l' autunno
ostenta certi fiori piccoli
che quando li calpesti fanno un silenzio
odoroso e impotente; ma tanto, mi dici,
verrà la pioggia a lavare via
la terra nera dal mandorlo
.
Linfa d'autunno
Foglia sgualcita, trasvolo lungo il fiume
dove l'acqua
ha le tue braccia, e un retrogusto
di lacrime mentre mi accoglie. E' lo stato larvale
della farfalla che rientra nel bozzolo, e che s'appaga
d'ovattato niente, rinunciando alle ali che ha bruciato
tra il calore del grano maturato al gelo
e il profumo struggente di un giorno che non torna
*
Quando le ali cadono lasciano erba
smossa, e vuoti carichi di braccia
respirate nel punto esatto dove le mandorle
e i crisantemi si sfiorano, e si pensano uguali
tristemente
per aver dentro qualcosa
di bianco, quasi un vellutato
pianto
e non saperlo ricordare.
.
Ho amato
come si amano gli angeli: a metà. Un'ala spezzata
ha fatto da cornice. Forse avevo paura
di rimarginarmi presto – ed era terrore, il mio –
o forse temevo il logorio dei passi
su quel lungo tappeto disteso
fra la follia e l'abbandono.
.
Lentamente
Sola. Sono la piccola solitudine dei fiori
quando non trovano il vento alla giusta latitudine
da potersi dire carezza, olfatto, tintinnio di bicchieri; sono
la pioggia che guarda gli uccelli sotto la gronda
senza potersi fermare. Da questo cielo
continuano a passare
voli
mentre io continuo a cercarti a ritroso
seguendo il calco delle mie ferite.
Estate 1979
.
Quello che so
Non importa
se un fiore che appassisce fra le pagine
lascia un'ombra inodore che non scompare
se siamo tutti
strappi deliranti, nella tela antica
che un male oscuro corroderà in eterno
clandestini a tempo
in questa strana osmosi
fra l'infinito ed un pugno di terra
ti ho perduto,
è quello che so
e tu, caldo rifugio
odoroso di talco e di carezze
sei diventata il gelo di un vento che soffia
tutte le volte
che un angelo piange
2013
Non parlatemi
Il mio pianto è una strada che non conduce,
il mio bambino un fiore sparpagliato a terra.
Non parlatemi di angeli oggi,
né di quante volte io debba pregare.
Ho schegge sulla lingua che mozzano le parole
e odori di sangue che piantano radici nel mio orto.
Nell'aria che brucia seccano seni e fontane
ma non ho mai avuto tanto freddo come adesso.
2017
.
Samovar
Mi spezzo
proprio ora che il vento si ferma:
ed è una morte
gentile, dove trapassano
i sogni, le rose, e le cose
perdute
che vedo solo io; e dove
amore
è un modo come un altro
per chiamare la solitudine
*
Non ti ho comprato le gerbere.
"Abbiamo colori bellissimi,
oggi" diceva la signora dei fiori.
Colori. Bellissimi.
C'era un azzurro
che tremava nelle ossa: inverno
e rimpianto. Giallo il polline
che il vento portava lontano
tra gli aranceti e il mare; dove la vita
ti urla negli occhi. E sotto
l'erba,
petali ancora freschi
che nessuno ricorda: il viola
delle cose non colte.
Ricordo profumi
Io in perispirito
ricordo profumi di sapone
e di cuscini tiepidi da sprimacciare al mattino
e assumo il mio corpo intermedio quasi fosse un calmante
prescrittomi per compiacenza quando in realtà non c'è niente da fare,
due compresse al dì: quanto basta per permettermi di passare con le dita
tra le maglie dello specchio, o di confondermi col grido
che si apre nell'erba
quando la terra non respira. Io – fame d'aria
lanciata in alto come una moneta
indecisa
da quale parte cadere
(2017)
Donatella Pezzino, storica, scrittrice, autrice di testi poetici e recensioni. Si occupa di storia religiosa, storia e letteratura femminile, teologia cattolica, poesia, archeologia, arte cristiana, storia della Sicilia. Sue pubblicazioni e ricerche sono presenti su Academia.edu, oltre che su riviste storiche e letterarie. Collabora con il sito di attualità "Alessandria Today". Sul blog del collettivo "Bibbia d'Asfalto", di cui fa parte dal 2013, tiene la rubrica "Caffè letterario" sui poeti italiani dell'800 e del '900.
https://stanzadeglispecchi.wordpress.com/
*

Poesie di Silvia De Angelis
COMPARSE ENIGMATICHE
Giocano utopie di fiati ammansiti
nel moto effervescente di ragione
stondato da sintonie in contrasto.
Ingombranti macigni di piombo
accumulati nella stiva del pensiero
accentuano l'elusione d'ingaggi surreali.
Si mescolano a comparse d'amore che vanno e vengono
per poi dileguarsi nel nulla.
E' in quel nulla che si perde il palmo della mano
inclinato di volta in volta in docili carezze
complici di profondi tessuti raddolciti da sguardi emotivi
rapiti da un silenzio sovrastante le stagioni
capace oscurare il tempo del sole…
@Silvia De Angelis
VICINISSIMA
Quasi lacero
papavero
creatura asettica
friabilissima
d'un volo sgualcito
su argute dita di vento.
Assenza totale d'impeto
nell'enorme franchigia
dovuta alla natura.
Solitudine in spicchi di sole
nel vuoto che non è confine
ma il piegarsi
a una ragione inamovibile
disarticolata
alla pochezza inflitta…
vicinissima alla mia cattedrale
ove non rivolgo prece….
@Silvia De Angelis
.
https://quandolamentesisveste.wordpress.com/
BELVEDERE DEL MATTINO
Ambiguità d'un dire giornaliero
erede d'un girone dantesco
esprime ombre di confine
su un vero dissociato dall'essenza.
Scaglie ingannatrici
e sfondi surreali
dilatano a forza l'entità d'immaginoso
scivolato su un'insensata deriva.
Si fa forte un'arte provocatoria e insistente
dedita a pregiudizi e finzioni
che irrompono nella loggia più intima
scomponendone l'originaria l'identità
sul belvedere del mattino.
@Silvia De Angelis
.
PERFETTA MECCANICA
racchiusa nel perimetro
d'un estro personale
mosso da eventi inaspettati
a cui assoggettare il pensiero.
Si scivolerà
senza rumore
sulla linea del tempo
ignorandone gli oscuri echi.
Resi lucenti da un'accentuata suggestione
annulleranno briciole d'ombra di luna
sospinte dal soffio d'una presenza interiore
vacante nell'immenso infinito
@Silvia De Angelis
.
https://deangelisilvia.blogspot.com/
LA DESTINAZIONE
Nelle pulsazioni d'aria metallica
spulcio il tuo dire silenzioso
inteso come una sberla alla vita che accade.
Affilo gli occhi in caduta libera
sul tuo ego riciclato
da una quasi ibernazione voluta.
Gazzelle si muovono velocemente
fuori del muto dogma
senza raggiungere la traversa
che ti attraversa..
proseguono imperterrite la corsa
mutando destinazione….
@Silvia De Angelis
.
SIGNIFICANTE AFFINITA'
Insistente
si posa
nel mio segreto
il tuo affascinante vociare
racchiudendo
"inaccessibile memorandum"
Dischiuso
sfiora
magica
indissolta affinità
come seducente amante
che nel vuoto
accarezza
avita simbiosi con te…
…spezzata da un ambiguo tuffo
in un lago di cenere
@Silvia De Angelis
https://deangelissilvia.blogspot.com/
.
Biografia di Silvia De Angelis
Amante di versi dell'immaginoso nasce a Roma Silvia De Angelis, sempre invogliata dal contatto con la gente per il suo carattere estroverso e comunicativo.
E' affascinata dallo scrivere liriche e dopo un inizio poetico rivolto a elaborati dai toni "scarniti", cresce notevolmente, modificando lo stile e delineandone il fascino, con scritti più congrui e completati da una struttura più armoniosa.
Gioisce al contatto con la natura, in tutte le sue manifestazioni, dedicandole svariati elaborati poetici, in particolare, un volume, completamente riservato agli animali "CONOSCIAMOLI MEGLIO".
Ne pubblica poi un secondo, intinto in variegate sensazioni dell'anima "CORALLI DI PAROLE INTAGLIATE COL FIATO" in cui si sofferma volutamente su tratti d'inconscio.
Ancora un terzo libro, stavolta in vernacolo, dedicato alla tradizione della sua città nativa, Roma, dal titolo "'N'ANTICCHIA DE'
ROMA MIA".
Infine altri due libri di poesie variegate "INGANNI TRAVESTITI D'INCANTO" e "SCREZI NEL VENTO".
Pubblica i suoi elaborati su siti virtuali, partecipando alla loro vita ed apprezzando notevolmente le opere di altri autori.
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Notizie tratte da https://alessandria.today.it
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Scelta di poesie di Angela Greco AnGre
Cinque poesie di Angela Greco da "PERSONALE EDEN", La Vita Felice – 2015
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c'è una strada che collega due attimi dai nostri nomi
materia inattesa che si dissipa ad un sorriso
distratto e malizioso questo battito di ciglia
differenza tra quotidiano e desiderio da attraversare
tra il bianco e il nero sfumati fino all'opera d'arte
ti guardo muovere il microcosmo senza regole sul tavolo
nasceranno nuovi silenzi e ritratti fermi tra le stelle
e dalla finestra tolgo limite allo sguardo profanando il cielo
sei tu stesso a crearmi figura fuori come fossi pelle
mentre sulla discesa ripida tra le ali catturo un bacio lento
e come faccio a dire della goccia che scivola alla tua voce
della capriola dello stomaco quando aspetto la luce e te?
ho dita tremanti che segnano un profilo nelle ore
[d'impazienza
e sembra rallentare il creato se non arrivi a segnarne il passo
ascolto sul petto sciorinando stupore al sole della tua schiena
e richiamo meraviglia oltre e più che le tue mani creatrici
ho un sospetto di sentimento che s'accorda al tuo nome
e vocali e voragini aperte nell'attesa di averti addosso
in questo momento sfuggito al caos di astri avanzati
trapiantati in tessuti sanguinanti affinché fioriscano aurore
*
raccontami la periferia delle tue mani
quando incontrano nude il nodo dell'universo
e risvegliano il senso d'essere donna e tua
segna a dito ogni confine e oltrepassalo
col tuo sapore poi sconfiggimi senza altra parola
che non siano nome e sorriso tuoi e ferma il corpo
contro me / seno di latte dalle vie colme d'azzurro
ti lascio scorrere caldo in questa terra bianca
come la prima stagione buona
in fioritura anticipata ad un respiro
nudi piegammo la schiena voltandola d'incanto
e tolsi fiato all'erba serrandola tra dita voraci
fino a diventare noi stessi il paradiso perduto
e questa volta fu il creato a chiedere di entrare
in noi
dalle tue natiche ai miei fianchi larghi d'attesa
bastò una voce e fummo ancora e nuovi
*
riprendimi esattamente da questo punto
quello in cui coloravamo il ritrovarci stretti
precisi nello sbottonare voglia e labbra:
tra le tue dita il mio dettaglio nascosto alza la voce
e fughiamo chiaroscuri di silenzi ormai altrove da qui
ché sappiamo adesso dove posare l'istinto incrollabile
ad afferrare e restituire duplicate ipotesi di paradiso:
ritrovami ancora umida meraviglia
che ho atteso leccando una ad una piaghe d'assenza
mancanza oggi risolta dalla conoscenza delle tue rughe
varchi di tempo narrato ai miei occhi e sapienza
di sapermi nell'intimo di un ancoradadire:
siamo distanti solo un bacio non di più
e questa attesa è solo il nostro abbraccio più lungo
*
nella cicatrice del giorno segno il tuo petto a passi di danza
sottile ci lega un'impazienza d'arrivare a sfiorare quella spina
che senza pudore preme a segnare di straordinario quest'ora
nel solonostro che ci invita ritroviamo carezze sospese
nella mezz'aria che sempre manca al saperci insieme
e confondendo baci a poche lettere riconosco il tuo sapore
d'immenso e d'albero fronde al vento dove riparare il battito:
sciolgo inattesa lode e tu raccogli trasparente silenzio
dalle labbra che nella tua direzione invocano mezzogiorno
e ad ombra zero penetra nell'ancora – ancora – da dire:
sosteniamo fieri lontananza fino al ritrovarci
ché nemmeno una sfumatura ci allontana dall'iride
custode preziosa di tutti gli argomenti possibili
sei tu il mio preferito
scrivendomi dentro percorsi d'azzurri insperati
oggi finalmente ha smesso di piovere
allacciando pensieri e gambe in questo letto
*
m'hai accarezzata a filo di voce o scrittura è uguale
hai acceso il brivido che si riconosce alla schiusa
nel frantumare istintivo il velo che ostacola vita
penetrando raggio incisivo di risurrezione
nel cavo d'un luogo troppo buio per vedere mattino:
caldo mi hai così avvinta fino alla resa in stelle
a trapuntare amplessi in universi ricreati
fragili per il troppo peso dell'ordinario sognare
ma necessari a chiamarci per nome o per mano:
il dettaglio della tua schiena mi stordisce
curva ad Oriente giorno in rinascita
ed io ultimo astro ne colgo il richiamo
nel sottoventre insperato dove nidificano silenzi
pas de deux le tue vertebre in arcuato canto
sospirano che t'avvolga di me oltre ragione
.da: https://lapresenzadierato.com/2015/06/19/cinque-poesie-di-angela-greco-da-personale-eden-la-vita-felice-2015/
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Summer evening. La luce penetra la notte intorno.
Siamo notte e luce.
Animali ringhianti a guardia dell'umanità.
Il chiarore sulla veranda rivela un desiderio insoluto;
nell'attesa liquidi ci interessiamo delle prossime stelle,
impegnate a illudere romantici. Un fruscio dall'interno
scioglie incertezze. Ululiamo posati alla ringhiera. Accade.
.
Lo stiletto conficcato ossida il mattino. Al terzo intercostale
si risolve il dubbio e possiamo continuare. Lo strappo
rivela un volto sorridente sotto il primo velo di carta.
Si sovrappongono rappresentazioni e tempi e Mimmo lo sa.
Fuggiamo a Casablanca, a piedi, finché siamo in tempo.
Prenderò il porto d'armi soltanto per puntarti addosso
le canne del mio sovrapposto, oggi, che non sei più lo stesso.
.
da All'oscuro dei voyeur (YCP, 2019; prefazione di Franco Pappalardo La Rosa)
§
Nell'oscurità della propria insonnia
il turno, la chiusura dei conti, il ritorno;
in un silenzio asfissiante
si assottiglia il coraggio
e feroce svanisce l'illusione di riuscirci.
.
Qui non importa essere figlio di dio.
Il cielo è così distante da confondere idee
e la sera è uno stato permanente.
.
Il rumore della sopravvivenza
fuori da questo perimetro
ha qualcosa di conosciuto che
non si può più ignorare.
da Ancora Barabba (plaquette; YCP, 2018)
§
Il sole pendola a un'ora ferma sulla grave
a sud di primavera anticipata; una sequenza
di rotti vetri colorati e legni e un ciondolo
appeso alla cipria del cielo, sul collo di un
pomeriggio casuale. Claire vede il verde
di occhi echeggiare alla parete carsica;
meraviglie nascoste dietro fessure di silenzio
e gatti in bilico tra troppe vite. Un falco sorvola
il luogo del prossimo nido incurante della sera
incipiente e dei suoi colori. Giochiamo a dare un senso
alle parole, che ci fraintendono prima della buonanotte.
.
Si sfuoca in lontananza la visione e per oggi siamo
fermi in questo cerchio, affacciati a un balcone.
(inedito)
.
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Angela Greco è nata il primo maggio del '76 a Massafra (TA). Ha pubblicato: in prosa, Ritratto di ragazza allo specchio (racconti, Lupo Editore, 2008); in poesia: A sensi congiunti (Edizioni Smasher, 2012; 2017); Arabeschi incisi dal sole (Terra d'ulivi, 2013); Personale Eden (La Vita Felice, 2015); Attraversandomi (Limina Mentis, 2015, con ciclo fotografico realizzato con Giorgio Chiantini e nota introduttiva di Nunzio Tria); Anamòrfosi (Progetto Cultura, Roma, 2017, prefazione di Giorgio Linguaglossa). Presente anche in diverse antologie e su diversi siti e blog è ideatrice e curatrice del collettivo di poesia, arte e dintorni Il sasso nello stagno di AnGre (https://ilsassonellostagno.wordpress.com/). Commenti e note critiche sono reperibili all'indirizzo https://angelagreco76.wordpress.com/
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Salvador Dalì
Poesie di Giovanni Perri
Uno che passa ride, ed apre il cielo;
santo e demone col cuore intrecciato
a una sua tutta piovosa malinconia.
Sapergli il nome e la ferita, farlo cadere
nell'ago di aprile come un sogno.
Ecco con quale leggerezza il vento
spiega un suo lucore alla notte,
come gli riempie l'occhio la perla lunare.
Inganno adulto è questo non sapere
da quale feritoia cadrà la mezzaluce del giorno
e dove infine apriremo al dolore la voce.
.
Avevo preso tutta l'acqua del fiume.
Il bicchiere era sul comodino
insieme ai libri al termometro a una
piccola macchia di sole wengè.
Come un dio avevo esclamato
nella lingua sonnolenta dell'acqua
e ogni mio giorno era finito dentro
quel fondo dal quale bevevo
come da una delle 7 opere.
Ma dentro, soldati e cavalieri e angeli dalle ali plananti, residui e residui di luce
dentro ancora io era senza orizzonti, senza lamenti di navi greche o fenicie, pensavo un uomo in sè totale, del tutto assente, del tutto chiuso in un suo mondo ulteriore
mentre dai labbri mi cadeva un albero maestro. ~Erano l'onde
e le voragini buie
e gli abissi labirinti a risalire
da tutti i miei mari
mischiati.
E invece con che suoni
dalla finestra il giorno
pieno di geometrie
nell'azzurro ignaro
cantava.
.
Viene il pensiero di perderti talvolta
la sera è un posto girato nel sonno
stare di guardia fiutare come
dal picco di una brace la tua cena.
Ma non lo caccio, gli tocco l'osso
del gomito, gli faccio fare il giro della casa
prima che dica è tardi vai a letto
e così vado
a sedermi nelle sue occhiaie di marmo
nei suoi capelli così pieni di cavalli e canali
e penso che il tempo non passa, solo
ascolta gli spigoli e le buche
tiene girati i polsi sulla fronte.
.
Andiamo per similitudini, e sembra quasi di sentirci
in questa cosa che appena ci somiglia se ne va.
Pellicola del sogno, mia pellicana dolcezza
lasciati incorniciare da uno sguardo
di pietra viva, fatti gettare da Pirra e da Eucalione
nel mio cuore di latte e cemento e aspettami,
io sono il tuo medesimo furto di occhi e di lingua
nell'ora che agguanta e moltiplica ogni anelito andare,
lasciati nominare miscuglio di ferro e mistero
nel mio ottobre di addii smisurati
e piegami e svolgimi e ripetimi
del padre e della madre l'identica luce
che accende parola e rivela.
.
I° maggio
Attorno era la festa dei morti bruciati
un riapparire dentro le forme del fuoco
ma sempre da un angolo nuovo
e ognuno aveva addosso la sua sagoma
e c'era sempre quel numero mancante,
col pugno alzato sul fumo, a cantare.
.
Lettera ad una madre
E' tempo di comprendere
che siamo qui a dividerci il pane:
scendo per dirti
che sono capitato per caso
e non ho ancora un nome:
qui si parla di niente
e la sera si contano i topi
ma in compenso non si vive male,
la gente passeggia e
sorride, una ragazza si sente chiamare.
Saluto te, madre
che mi hai girato le spalle
dicendomi di andare
in ogni porto
pregando
ed io per ogni porto
prego
l'insurrezione e l'amore,
ma sotto ho questo muro
impregnato di urina
e mi gira la testa:
sto con questo animale
e non parlo da giorni,
sento pian piano morire
anche il lamento del mare.
.
Senza titolo
Impressioni
volano foglie d'oro, è il giorno degli avanzi di febbre,
qualcuno posa le buste pesanti sull'asfalto, respira e riparte
portando con sé una scia di ricordi.
In alto danzano i lampioni,
sembrano corpi condannati a resistere
più che luce, lividi, persi nel tempo, sopra il primo strato del tempo.
La sera ha questa pelle spessa
un taglio che non sanguina
una scritta sul vetro appannato, forse
questa è la vita, dico,
un rumore lontano, qualcosa che sai
sta nascendo.
.
Melancholia
li morti tra li vivi s'assecondano:
si toccano le schiene stanno muti
ne li occhi rimestano paura
e paura li mangia
per fame, poco a poco:
ma i morti sono morti di luce, ché luce acceca l'occhi e sfibra
e parola s'accampa
legittima resa;
e più di tutto pesa
del cuore allegrezza
che è misura d'inganno e offesa.
.
Vorrei veder tramontare ad oriente
sul breve canale delle canne addormentarmi
sopra una scia di spari cacciatori
fuggire gli alberi a ritroso
e la notte incendiaria sentire
l'annuncio dei cani arancioni
vorrei nascondermi nel fieno di maggio
nell'ampia volta del cielo che pende
sorridere per un ricordo
invertir l'ombra mia stessa
di lividi e dimenticanze
e d'anni che non ritrovo più.
Ma d'ore numinose è fatta
l'anima mia riflessa e d'archi e frecce,
portami il cuore nella luce a planare
sopra un acquaio di malinconie
saltami allegramente sulle sponde
della mia vena d'oro e scrivimi
col vento ogni ferita
degli occhi e della lingua
io ti sono nel canto padre e figlio
e fratello dei cocci lunari
allora fammi terra
fammi profumo di terra e di stalla
oppure scovami nella campagna ramata, raggiungimi
fin dove tocca l'erba la parola
e non v'è peso
né formula dei miei destini accumulati.
.
Giovanni Perri
(da Bibbia d'asfalto): https://poesiaurbana.altervista.org/author/giovanni-perri/
.
Il lettore deve sapere, leggendomi (leggendo questa non-biografia dalla quale estrapolo che nasco a Napoli e ci vivo col pregio d'arricchirmene fino a smarrirla) che un po' della mia poetica (ammesso che sia tale) risponde al desiderio, non del tutto cosciente, d'allargare il mio ipotetico dolore, la mia svagata gioia di vivere, e tutte le mie infinite miserie, ai piani più alti del sogno e della bellezza. Ogni poesia è un'occasione di sogno e di bellezza. E la bellezza è un lavoro paziente di scavo. Io sogno di essere archeologo e scultore: levigo negli affanni e a volte mi trovo a scoprire che la vita è un'invenzione stramba dei poeti che tutto sanno fare fuorché vivere.
(…)
Poesia mimetica e riflessiva, umbratile, ritmica, geometrica; poesia lunatica, ingenua, scenica (mi piacerebbe fosse, se fosse veramente, poesia) la mia.
*
La vetrata nera - di Giordano Genghini
Io sono colui che ascolta
nella notte
l'urlo interminabile
come un cane di tenebre alla luna
lungo i corridoi spenti
dall'alto i pini immani della notte
sul prato
la luce alta
sotto la finestra
del lampione
in contrappunto
la nenia il canto dell'uomo che muore
anima legata
da mille metastasi alla mente
ombra immane di pini nella notte
un animale ansima in agguato.
Punti di luce
nella città
suture
nel ventre immenso in agonia del cielo
stelle cadute
dalla vetrata oscura il grido sale
sull'asfalto nero
giunge fino alla notte di febbraio
spezzata dal vento
giunge fino ad un'altra primavera
in altra vita forse
e i pini
unghia d'asfalto nella luce obliqua
paiono immobili
ma attendono
come ogni notte
un animale ansima in agguato.
Punti di luce nera nella notte
suture
nel ventre immenso in agonia del cielo
e l'urlo della notte
che muore
i corridoi percorre un canto lento
il silenzio è conchiglia
dice il folle
non conosco il mio numero sai
ma ero un tempo forse una donna
forse
un tempo
un animale ansima in agguato
la notte non vuole morire.
E' facile invece
dice il bambino
divorare il corpo ma non la testa
è facile invece
dicembre nascono funghi immagini e pensieri
divorare l'involucro di grigia spugna
e grida
certo è facile invece
dice
con gli occhi ciechi e pieni di paura
e nient'altro dice
e niente altro
e un grido
percorre i corridoi da sempre forse
il grido della notte che muore
legata da mille metastasi
al corpo della terra in agonia.
Pigiama azzurro l'ombra d'un gabbiano
lei è ritornata
per questi suoni noi ti ringraziamo
musica auricolare pianoforte
e silenzio
sopra il tessuto d'urla della notte
che muore
mentre i sogni camminano leggeri
oltre la soglia
ti ringraziamo
per il carcere infinito dell'universo
per l'anima la vita e questa radio
e la piccola lampadina accesa
sopra la vetrata nera.
Il tempo si dibatte
come pesce strappato dalle acque
ogni cosa ritorna
anche tu cara sei davanti a me
e ti amo come quel giorno
e tocco la tua pelle
tiepida e sottile
e ti amo
oltre la notte che urlando muore
oltre la vuota scorza della mente
e i sogni che abbandonano la soglia
e l'ombra immane in falsa luce obliqua
e l'animale in agguato
oltre le squame del tempo
che si dibatte sulla riva
del cielo capovolto e delle onde.
Pomeriggio
macchie di luce fra stroncati rami
gonfi di gemme
la giovane donna seduta guarda lontano
oltre i rami
gonfi di gemme che non cresceranno
e vede il sole alto sopra i muri
oltre i tre uomini
di spalle
Ma poi per chi la raccontava quella
dell'annegato che ti tira giù
e nel corridoio l'amica
parlando a brandelli
da qualche tempo
s'è immersa nel nulla
e sono scivolata dice
quella dell'annegato
sono scivolata
per chi
dice
la raccontava ci si scosta
per non precipitare nell'abisso
degli occhi
Si spappola il cervello dice l'altra
i passeri sul davanzale
e può durare un'ora un mese un anno
è un grido cieco è l'anima che muore
i passeri vi trovano briciole
ininterrottamente notte e giorno
di timore non c'è qui
alcun motivo
E i due parlano
vicini
giovani sotto il giovane sole
filigrane di passeri nel volo
quando la smetterai con questo scherzo
lei dice
e la brezza del desiderio
come le ali ai passeri le muove
i lunghi capelli.
Sono colui che mai ti ha conosciuto
ed antico di mille anni
è il midollo d'immagini sepolte
nel tronco dell'anima
t'indicavo ricordi?
scheletri di tralicci e gru metalliche
e le sere e le nevi e le acque e i cieli
E venne poi l'artefice con l'urna
e la cifra bizzarra
oltre i sentieri antichi e l'erba nuova
oltre grida lontane di corvi
oltre steli che tremano nel vento
e venne un albero tagliato
e venne il sonno.
Così va bene grazie
a ritroso
attraverso generazioni e secoli
erbe sfuggite al faticoso seme
i millenni le ere interminabili
per riapparire ora
al cielo nudo in questa primavera
maldestramente dipinto
col grande sole falso di cartone
così va bene grazie
il senso d'ogni cosa è chiaro ora
fermo stabilito
come l'ora del turno agli infermieri.
Io sono colui che veglia
quando il mio corpo dorme
io sono colui che esplora
la pioggia sull'asfalto bagnato dalle luci
io sono colui che all'ultimo fiume
accompagna la notte
e guarda
il pettine d'argento
il molo dele anime
le grandi navi che mai salperanno
sono colui che immobile sta dietro
la vetrata nera.
Giordano Genghini
('85 – '93)
.

Giordano Genghini - da Altri ritorni - Madrigali contemporanei
1.
Sarà forse domani: con un fioco
soffio di mani: un fuoco
di specchi spenti: accanto a me rimani
ancora un poco
in questi specchi della pioggia, strani
volti degli anni e dei millenni, persi
come in gorghi notturni gli universi
dissolti: e il vuoto inganno degli inganni
ora al ricordo riconosce fine
di suono sordo divelto: e il segreto
è in noi sepolto tra venti e rovine.
2.
Navi d'unghie di morti: arcobaleno
infranto: lunghe prore luminose
nello scroscio dei raggi chiari, ed acque
e radure di mari
tra steli d'oro: e d'improvviso il soffio
di cieli e stelle dall'immenso molo
libera l'universo:
minuscolo, sul palmo della mano
bianca, insetto di brina: nel mattino
fragile, al volo.
3.
Astrali azzurri nomi, luci fatue,
petali tenui di rumore: graffi
di gesti, esile traccia
sulla pista magnetica del nastro
assente:
grecaggio della mente: e in fogli strani
virati soli, corpi d'aria, voli,
nidi di mani in alberi di veli.
4.
Polvere d'astri limpidi e pianeti
negli universi: rete
d'aria labile, d'orme
s'intesse nel respiro e spersa smaglia
il campo delle forme, nell'arena
di infiniti confini: oltre foreste
di mari e di pensieri, scroscia tersa
e svanisce tra le onde la risacca
delle cose: l'immagine stupita
di germogli di stelle: e oscilla, pulsa,
vacilla,
viva fiorisce in cieli ed antri d'albe
e giorni, voce chiara: ed oltre stormi
d'orizzonti e frastuono d'ere, s'alza
brezza di luce in neri spazi: ed ombra
tra selve d'ali e suono nasce e muore
di ritorni, di un cuore.
5.
Lampade d'erba, e luci, e forme, ed ali
di foglie, ferme:
dissolti solchi di zolle racchiuse
in corpi, e bianche orme,
e nella notte lenta transumanza
d'astri gelidi e nuvole, attraverso
fiumi di spazi e valli d'universi
celate: anse del tempo ossa di vento
imprigionano in gesti: e freddi suoni
divelti
da sordo legno intorno: da millenni
un volo
d'angeli e antiche vite, in muto stormo
per i cieli,
ove dorme nel sorriso
la fonte del pensiero: morta al giorno
dei lampi
la luce gonfia: e dall'azzurro sole
notturno, d'improvviso ai campi irrompe
sgorgando dalle vene dei sentieri
la cavalcata degli alberi neri.
6.
Spaurito, nel cerchio: intorno cerco
un'ombra luminosa nella mente
verde di limo ed onde: e un arco freddo
affonda e affiora, e ancora
affonda, e rete smaglia, e serra il varco
tra pensiero e respiro: e lento ascende
al niente, mentre il giorno si fa sera:
sbagliava, primavera.
7.
Pingue nebbia di noia: nervature
d'ombre lunghe: ritorto
albero sopra la pietraia: adunca
l'unghia della radice
raschia il fondale oscuro della mente
e affonda, e in linfa langue sconosciuta
-umido giunco timido allo stelo,
esile trama d'alito- e la foglia
dall'immobile riva, in bianco gelo
a pena viva,
tra rami neri appare: e trema, e cela
sguardi, e il volto specchiato: e d'altre foglie
infinito ricamo, labirinto
d'ignoto velo: il corpo della notte
in verde cielo.
8.
Baia dell'ombra chiara: verde nave
se n'è andata, la vita: ieri, ancora
creta di risa spente: onici vaghi
di volti: ed ora, nera
presenza d'astri serici, riflessa
sopra il mare del corpo: e s'innamora
di spazi interminabili la sera
pallida di paura, ed alta sorge
la vetrata confusa, e in prati d'ali
sottile specchio di fiati scolora
al tocco delle dita: e presa, chiusa
nella gelida gola, nella roccia,
la voce attende il dono, la parola
rubata: squarcia l'anima sdrucita
da forbici di refoli di vento:
strappa forme la terra, sole il sole
nella cala delle ombre, dove cala
la tenebra: ove l'osso
perora il volto bianco della mente
e le file di denti morti: pietra,
teca, cristallo freddo e muto, niente:
tetro, il cialtrone intona uno starnuto.
9.
Nodi di fredda seta e d'oro fuso,
nodi di nervi e chiodi ed urla e frodi
all'improvviso sciogliersi: confuso
aggrovigliarsi, forse,
di momenti e di menti:
ma intrecci di respiri, e anelli, e corse
nel teatro di verdi reti: e un drago
liquido lento emerge dai sentieri
del vento
nella fossa: ma tonfi d'acqua e brago
nel lago dei pensieri, e suoni gonfi
nell'aria grigia: nodi d'intricate
gomene: ultimo segno
di navi e vele e cancellate tracce
di presenze: ma non voli leggeri:
passeri neri nel cerchio di legno.
10.
Sussurri, vetri: cigolìo di stanze
distanti: nel deserto dello specchio
danze esili: e la toga
aperta che una mano obliqua lega
nel riflesso è persona, e ad arco piega
labile corpo assente, e nella gola
cavo legno di noce una parola
pegno di luce, ancora
deriva nella gora: lontananze
d'un segno ancora, ancora d'una voce
petali azzurri
nel prato nero: nei muti sussurri
ancora danze
di maschere velate di sembianze.
11.
La pelle è di metallo: tocca, è fredda
la bocca, e più non chiama, e lento scocca
vento giallo
d'ali chiare, il respiro: alle pareti
di foglie, l'universo nasce e muore:
e nell'intrico d'ore agita il tempo
i cieli e il mondo, e sciamano le immense
ombre del cuore.
12.
Tracce di mani, vortici di volti
tra piume di pensieri: ma di notte
salpano: ma sarmenti
e sterpi e funi e la morta parete
chiudono l'arpa nella quiete, dove
rete di suono smaglia e strappa bianca
mano di stoffa: e cadono comete
soffici, sopra l'isola
di ciottoli e di soffi
lucenti, e chiara pace: ma il gigante
azzurro, dentro l'antro d'aria, tace:
in catene di nubi avvinto, solo,
le lente onde non ode: e sono spente
le navi e il vento nel deserto molo.
13.
Del vuoto ancora il grido: nell'ovale
risonante respiri: prati neri,
sonagli d'aria e argento e ferro, e cupi
dirupi della mente
ingombrano i sentieri.
14.
Vedi? l'angelo ride soavemente
invisibile, in volo: in ombra lenta
fragile rete di colori e fregi
e rami e rado verde
sul volto tenue, oltre galassie d'anni
e cieli: e, sola, l'isola, nel solo
luogo vero presente, ora: quel volto
nel mare della mente.
15.
Dunque t'attendo: per l'appuntamento
nella nicchia di tenebra: le squame
torbide nei cunicoli di rame
oltre grida e silenzi, in morti morbide.
16.
Ombra di legno: strappa il velo, appare
d'improvviso: nel volo, nello specchio
ricerca d'aria e d'acqua, balzo zoppo:
universo-gabbiano in alto, cieca
fuga, rapida corsa oltre le stelle
d'ambra e granito:
ed ali aperte sul segno e l'intarsio
di forme, a squarciatuoni:
ricaduta sul vecchio
pavimento dei suoni.
17.
E la tua mano mi conduce: ancora
salvo: nell'aria candida, oltre il vento,
la porta lenta s'apre nella luce
musica, della voce: e nel respiro
calmo, ti sento.
18.
In gocce di cristallo le parole:
forse, i respiri: escursione veloce
furtiva, foglia, voce: liberata
fuggiva, forma viva.
19.
Il viso nella rete: smagliature
d'invisibili passi: bianche crepe
sulla parete: fra vicini volti
di specchi
e ferro dentro il ferro, cerca afferra
antica luce estinta, mentre il tempo
lo governa e imprigiona: invano atteso
invano attende un nome: ingresso, uscita
nel buio angolo bianco, ala indecisa.
20.
D'improvviso, ecco irrompono le immagini
e sguardi fra le porte
spalancate, infrangendo il nero vetro,
fra voragini gonfie: e ruota sorte
d'acqua, fuoco, aria, terra:
ogni risposta è ignota: e mai c'è morte
in questa guerra.
21.
Nel corpo imprigionata si dissolve
la voce d'aria chiara: oltre la chiglia
della luna, s'avvolve
nero limo salmastro:
e sopra il lume rovescia la sponda
e in strepiti di schiume affiora e affonda
nell'acqua: e sulla riva, la lucerna
rivela il freddo palpito degli occhi
spalancati: e la carta dei tarocchi,
cifra delle onde, segno
lastricato di mani, alla taverna
precipita sul tavolo di legno.
22.
Tu non sai cosa cela l'alta porta
rinchiusa: nelle stanze più profonde
dove l'alito è avvolto nelle squame
e la traccia di luce non conduce
che a radure
sorde: tu parli, avvolto nella scorza
del volto, della forza: ma non eri
nel recinto sepolto, dietro i neri
ricami d'onde: tu bonsai, ma parli,
forma conclusa: ma oltre le pareti
solo la tua domanda ti risponde.
23.
Sento il peso del corpo, e dure zanne
sorgono a un tratto nella gola: siedo
e segni vedo e cerchi in pietra, e attendo
l'urto profondo
del sogno oscuro: irrompe, è spento il mondo
nella sera che incede: e il cielo vola
spinto dal nero vento
tra false nubi: e sbuffi
di canto, e strane stoffe, e stretti passi
sul legno dei pensieri: oh! Il soffio attuffa
ciuffi e glifi di rose,
e in groviglio s'azzuffano le cose.
24.
Fa' che non torni il giorno dai contorni
torvi: l'uscio si chiude, grigia grata
imprigiona la mente:
dov'erano le onde, sordamente
sciambrotta la belletta negra, e gridano
corvi, anime perse alla deriva:
oscilla nella stiva della notte
il vascello sepolto
nella rada… ma ora
ascolto ali ascolto mani ascolto
il ruscello ed ancora ascolto i verdi
coralli nella tersa acqua del volto
sconfinato: e le dita mi attraversano
e il bosco folto dei respiri ascolto
e foglie d'aria e sussurri: e si perde
fra monti in oro e azzurro
la parvenza del palpito: ossa e mura
di paura e di assenza
crollano: e immensa altura è cielo verde
dissolto: rispecchiato, il volto dura
nel mare d'erba pura, capovolto.
25.
Il gigante seduto: nella sera
stormi di luce fra le guglie grigie
della stanza, e silenzi
dentro l'ombra, nascosti:
e sguardi e suoni e falsi cerchi d'oro
tra siepi di velluto: like a bird
on the wire, tace, ascolta, è fermo,è solo
il gigante, di spalle: oltre le grigie
luci, intricate tracce di rumore
nella stanza:
e dischiude la mano il lento volo
oltre le tende e il tempo,a oggetti e spazi
confusi, nella stanza ingombra: e intanto
controluce, il gigante, in lontananza,
visto di spalle, è solo, è vecchio: obliqui
nella curva penombra, oltre lo specchio,
segni: immagini, forse, di un istante
presente, che non muta: forse, nera
nebbia distante.
26.
Sembianti inermi, valichi di specchi,
nuvole d'occhi, fermi
nei volti: mormorio stanco di maghi
e fiati di flauti
varcano i sogni folti: e cauti draghi
in vacillanti luci di voragini
chiare, e laghi d'immagini
in cieli capovolti.
27.
Oceani s'avviluppano irrequieti
nel sole, oltre le mani: la brughiera
… the moor
is dark: gelide reti nella sera
svanita intricano rami e pensieri
umidi, e l'aria spenta
incaglia strappa arronciglia: e le dita
la fossa d'acqua attende: al passo breve
fiorisce ghiaccio il prato, bianco d'onde.
28.
Semi di nebbia, nodi d'oro e fiamma
e onciali segni: mura alte di sogni,
lame di luce viva oltre la riva
nascosta: al sole correre, e negare
e la risposta,e l'ombra,e il cielo,e il mare.
29.
E invano cerchi il centro, invano cerchi
il varco in sogno vano:
la nave è morta foglia oltre la soglia
del niente,ed oltre il foglio è già la mano:
segretamente, in cerchi, guardi assente
fra specchi di metallo e nere danze
ripetute… non alberi d'argento:
chiome di fumo e maschere di vento.
30.
Riccioli verdi, eh, dici? e non capisci
se scherzi:
se, riccio aperto, lieto ti diverti
in brezze e in versi, o versi in frasche d'acqua,
in fontane: o in capriccio,
fruscio d'uccello: guscio
sottile aperto, oh bello! e dietro l'uscio
riaverti:
credimi, cose strane,
spruzzi barocchi, verde
guizzi di crine alpestre:
occhi, trine, finestre.
31.
L'urto del vento lacera la vela
in ventagli di neve, e nella nera
luce scoscesa, beve
l'ombra fonda del sole: ed onde bionde
indorano ora i raggi: il fiato lieve
del giorno, ora rinato,
induce ad altri viaggi: ad un ritorno
oltre le porte
dell'oceano dei sogni, a navi e legni
di raggi d'oro, d'intrecciati steli
in luminose gomene ritorti
fra le sartie ed i veli: oltre le bolge
e i viluppi del porto,
dirupi, valli, gelo avvolge il sole
in bianchi nastri, e nubi strappa il vento
aggrovigliando i vertici dei monti
nell'acqua antica, in chiari
vortici: e soffia, e travolge strinati
relitti di tramonti, cieli ed astri,
tra spirali di mari.
32.
Ora le tempie sfiorano del tempo
stormi di luci
e il mondo tace, ed intendo sul volto
un ventar d'ali, ed al chiarore stanco
densi rami offre al volo
l'albero della pace: e di polito
argento ricamata alba riluce
ed ornano le notti
nubi di seta e d'oro: l'universo
s'apre, morbido, in musica infinita
e forgia forme
di resina forbita ed aria, e labili
orditi di lucenti filigrane
e d'azzurri velami: oltre la soglia
invisibile, s'apre e corpi schiude
tra lievi tracce
di luce immacolata, dove giace
l'ombra abbracciata al sole: dove dorme
nella nicchia, la voce
e dita brune tessono le foglie
e i germogli del cuore
dischiude in noi, donandoci monili
d'ultimi astrali voli
di nubi e seta ed oro e di respiri.
33.
Ecco, il mio vuoto colmano le immagini
vuote: ringrazio, antica sera, il dono
ripetuto, lo stampo delle voci
di maiolica fredda, il morto suono:
qui, nella mente, io abito, lo vedi,
amica: un sordo saio di pensieri
ricopre il corpo-mare: e la tua luce
arabescata, lucciola sul niente.
34.
Ma ora ascolto te, mia cara, amore:
nella selva dei volti e delle mani
aperte: petali d'alito, stami
di lievi sguardi in fiore, e bianche perle
di sillabe velate: e nel vederle,
cieco, dorme stasera
il vento dei pensieri: ascolto voli
molli, di suono ed eco: calma attesa
d'accese luci, folli
soffi di sogni nell'aria distesa.
35.
E tu chi sei, che appari nella strana
bellezza umana? tu che pari vento
quando ti sento: e il lento
cerchio s'apre nel cuore: e nella mente
il dubbio tu riaccendi sull'oscuro
veto del tempo, oltre il muro ed il vetro
strinato del futuro: e taci, e ascolti,
e sciogli il velo che imprigiona i volti.
36.
Ritorna l'ombra della croce: a monte
cigola il ponte teso sopra il cielo
dell'istante, riaperto alle domande
e il segno eterno, minuscolo e grande
dell'universo, è lucciola alla mano…
Non mi seguire: non so come il mare
delle forme s'addensa in tempo umano.
37.
Suono di lente corse: nello specchio
invisibile, forse,
altre strette di forze, e fiati, e mare:
ma corazze di corde, nel volare,
imprigionano le ali: e il tempo morde
l'altra luna: nel secchio, dietro il tempio
di morbido metallo, occhio del niente,
la gabbia d'aria e ferro della mente.
38.
Ci rivedremo? v'ha accolto la sera,
cari: non forme o suoni, aria leggiera,
orme di luci spente nella vita
svanita, fiori ed erbe
che verde primavera in soffi sperde.
Siete svaniti: insieme, oltre la chiara
ombra del cielo: e vi ricopre il velo
sollevato sui sassi e le acque e i passi
del passato: tornati oltre le porte
che il vento d'oro ora chiude, e la morte
suona il dolce suo flauto, nel ritorno
della notte lucente, ala del giorno:
di voi mi resta un suono
assopito, di immagini: presente
nella pianura chiara della mente.
39.
Voglio restare accanto a te: non voglio
perdermi in canto giallo
fra rondini nel cielo di cristallo
spezzato: voglio toccare le mani
ed il volto, e la voce: ora, domani,
mentre il sole ritorna e erba di prato
germoglia: e nuovo è il tronco, lieve
trama di corpo, e verso il giorno viene
giovane,e già s'inoltra nella vita
il figlio da noi nato, e andiamo, insieme,
cercando una speranza senza fine,
tra grida di battaglie sul confine.
Sarà forse domani: dalla sera
si schiude un'altra notte: ora riposa
lo stormo inquieto di forme e di mani
che irrompono nel volto cancellando
i ricami dell'alito e le orme
di luce: è notte, ascolto
le sillabe del cielo, e le alte stelle,
e le bianche acque calme:ascolto il vento
ma è terra il corpo e trema, argilla nuda:
è cava tartaruga il tempo: dorme
su un azzurro guanciale nostro figlio.
E' lontano cento anni il nuovo giorno
e un miliardo di secoli il ritorno
dall'esilio.
40.
Dimmi tu chi era in preghiera: chi c'era
nella luce tua prima:
dimmi chi c'era, prima del respiro,
nel mistero tuo vero
oltre il chiarore teso sulle soglie:
dimmi chi s'era celato, chi c'era
tra velami di foglie e rami e rose
di vita che destando forme e cose
s'aprì nell'alba nera: ombra di mani
bianche, in paziente attesa
di onde di primavera nel domani.
Monza – Maggio 1994 [edito in proprio]
.

Octavio Ocampo
Poesie di Flavio Ballerini (in memoria)
Da qualche onirico terrazzo bianco
stazione ottica dei sogni aperti,
ancora ritransitabili a notti
inoltrate su crocevia
ove solo il soprassalire muta,
quei bianchi terrazzi ov'ero lì e altrove
insieme, affacciato su altri sogni
immortale e in medesima luce
nel lieve stupire primaverile,
vissuti con la materia dei sogni
eppure ricordati come eterna
promossa felicità!
Vissuti davvero quando ritorno
sorpreso improvvisamente in balìa
inafferrabile intemporale.
30 marzo 2003
*
Grigio che confonde cielo e orizzonte
consuma la collina nel risucchio
del suo verde umido già digerito
dai moli di sera una rosa luce
lacrima oltre la campana velata
traspira sangue un cosmico delitto
per pochi minuti o un parto divino
*
Libero dentro il guscio e solitario.
Ho sentito tutti i miei cari morti,
mostratogli la fonte del disagio
come infelice fuori dall'intero –
fuori dopo la pioggia miagolava
come un grido di dolore nell'aria
mutata e dolce una gatta d'amore
lo strazio che non puoi non ascoltare
Non mi resta altro che essere presente
oggi dentro e dopo tutti i congedi
Sopra il ponte del Miralfiore l'aria
disse d'esser la vita del pianeta
oltre l'umano. Tutto muta e si può
uscire dalla propria forma un poco
e in quell'allora nell'oltre guardare
e accorgersi forse di un altro fare…
Umili e leggeri oltre il terribile
*
Mai mi sono sentito così solo
Ed è una notte così bella nera
e luminosa di luna crescente
con tutto il cielo la stella più grande
si avvicina se la guardi alla terra,
l'aria è fresca e gli alberi della piazza
tremolano un'onda frusciante efferve
ovunque e il piacere di questi attimi
offre di starci insieme anche nel sonno.
*
Non si sa dove se ne sono andati.
Ed io non sono da allora più io.
Né confuso conosco quel che resta
nella scia di scomposti agglomerati
svaniti via, sol qualche monca memoria
qua e là nella geografia del vuoto
Appariva come una penisola
(ben ancorata a solida storia)
poi smisurabile fu il suo confine
ed arcipelago che s'allontana.
Per dubbie derive. Non sono più io.
Mi sembra un bel po' che mi cerco.
Fu quando la corrente si raffreddò;
Ad est del golfo non c'era più sale
fiumi d'acque dolci scendendo dai poli
le primavere incerte svanivano
il ghiaccio avvicinava tutti i cuori
sorrisi si stampavano di pietra
sospesa come nel gatto di Alice.
Segni d'allarme, sogni suoni di chiurli
campane gufi inascoltati ed urli
furono disseminati nel tran tran
………………………………..
*
(Per Kostas Kariotakis)
Per compensare tutto questo sole
d'aprile leggerò un poeta triste
la cui luce diverrà meno tetra
più attutita la vacuità del giorno
Resterò con i versi come in chiesa
-anche se dinnanzi a un inquieto mare –
in attesa che lo spirito aleggi
e come in una sentita preghiera
un angelo delicato e deciso
aprirà il cuore alla più pura pietà
Questa è la carità che voglio offrire
alla spirale nera dell'anima
[finalista al Premio "Paesepoesia",
Belvedere Ostrense 2005]
*
Pure come invisibile radice
sorprende ai varchi un puro domandare
ove l'alieno allea forma che muta
oltre il noto che si infissa vorace
cibo a perpetuare la stessa fine
l'uguale fuggire il Logos vivace
(a Felice Serino su "L'ombra")
11 luglio 05
Flavio Ballerini
*
Non ricordo se riflesso dal vetro
o se fu folgorazione dell'ombra
o se vidi me specchiato dall'alto
per un istante nel limpido fiume
ricordo però la curva del cranio
le linee assorbite di schiena e spalle
io vidi ciò che mai prima non vidi
il profilo la posa in un unico
familiare ed estraneo interrogare
il mondo intero attorno
come la parte chiede al tutto cos'è
io vidi di mela formalo stampo,
vivo, fatto di antica attesa, forte,
come non fosse tutto quel che non è,
stampo dell'antico a sé, il doppio
il precedente
impronta emersa dall'ombra nell'ombra
*
Tutta la notte sogni ruotavano sulla poesia il poetare
Sono giunto là dove nasce il vento
alla curva del sogno
all'esterno pervade l'aperto
-da sopra le curve degli alberi
nell'inoltrato rimbomba
in altro modo il tempo
dicembre '01
*
Se io posso dirti son io ascoltami
sono innamorato del tuo ascolto
e della tua vera voce
E tu mi dici che la tua vera voce
non è quella vera ma una fra le tante
Io so che rideremo insieme
e la risata risalirà i sensi
come il suono di una cascata
su per le valli dell'Acquacheta
anche gli abissi
rideranno
Flavio Ballerini
*
Bibliotecario, filosofo, libraio nel campo delle teorie e terapie olistiche, poeta, scomparso improvvisamente il 3 dicembre 2006, pubblica nel 2001 "Versi licantropi" che raccoglie poesie e prose e che diventa, in collaborazione col musicista Michele Donati uno spettacolo teatrale e un CD.
.

Dipinto di Kateryna Kovarzh
Giordano Genghini
PENSIERI
Io penso al destino delle anime - a volte -
quando al corpo le strappa le unghie della morte.
Dove sono ora - chiedo - uomini e donne nati
che a milioni dal mondo se ne sono già andati?
Menti, affetti, parole cosa diventeranno?
Forse, esse ora ci parlano soltanto con il suono
del vento e delle foglie, o col rombo del tuono
guardandoci dai sogni che la notte ci dona...
Forse forme invisibili ma per sempre viventi
si aggirano fra i nostri corpi, lenti opachi e pesanti...
Forse lucente nebbia nasconde i loro volti...
Spero e credo che noi non saremo mai morti
quando noi moriremo, lasciando il mondo e il tempo.
Ma che cosa saranno le anime nel vento?
Ci sono giorni in cui a ciò penso, talvolta.
In altri giorni sempre penso alla vita morta.
.
TERESIO ZANINETTI
Non per nulla
tutti i fiori ritornano nel perimetro estatico
del cuore rimasto
sgranulando bocci d'orchidee e trifogli
Nel caldo mattino
solleviamo briciole
per palpiti senza respiro e ancorché deserto
il prato riavrà parole dovunque l'aria lo voglia
silenzio
di fate di prua
nei vuoti balconi
dove rasserena la dolce canzone
di rabbie e singhiozzi
silenzio
non un'anima fiati
il silenzio si scioglie nel gelo.
(Dicembre 1994)
Dalla Rivista GRANDE VETRO, Maggio '07
.
MICHELE PIOVANO
Da: "LA VITA E' APERTA"
Genesi Editrice, Torino, 2011
dalla sezione:
OLTRE IL CERCHIO
No, non mi bastano i contorni
incerti della polvere a demolire
pregiudizi trattative che lasciano
scorrere i giorni nell'indifferenza.
Forse col sogno respiro energia
nel gioco perenne delle invenzioni
restituendo al cuore la sua fantasia
se la vertigine sale.
Reale è soltanto la voce del vento
a risvegliare il pensiero,
tracciato a volo basso
che batte e ribatte nella mente.
*
Solstizio d'estate
Vorrei stringere la luce, ma quella
più che mai mi sfugge
e sempre più si addentra con tocco sicuro
nella caverna in cui le cellule
danzano e muoiono nel buio.
La stanca è nelle cose
vive o meno che mi ronzano intorno.
Il giorno estivo è da bersi fino in fondo
anche se in fondo al precipizio
agonizzano le idee chiare o indistinte.
Un colpo di artiglio e frana la tempia,
il frutto spiccato dall'albero
come ricordo di stagione.
Non so che dire del caldo silenzio
che m'insegue, ma a volte l'ombra
di un ramo si posa sulla mia spalla.
*
Guardo negli occhi il vicino
se l'abito si allarga e viva
è la voglia di conoscere. Avrà un senso
l'orizzonte che appare
senza direzione precisa? Buongiorno:
con un largo sorriso sgorga
il calore del giorno. Ora io sono quell'altro
che aspetta oltre la tenda.
*
Piccole vite vagabonde
a mia figlia
Sono piccole vite vagabonde
che lo sguardo coglie lungo il cammino.
Esistono chissà come e dove
vuole il gioco del destino,
come il fiore ai piedi della scala
che si nasconde agli empiti dell'aria.
Una voce lontana fa il cuore
incerto tra vento e quiete,
ma resiste il soffio impetuoso della vita,
nudo dolore e gioia
fino a quando odora il mattino
e l'ombra si nasconde fra gli alberi.
Ora le foglie indolenti si svegliano
alla cerca di un mondo che fluttua.
C'è una continuazione,
qualcosa continua oltre i cancelli,
qualche perplessità, forse solo percezioni,
come un volo di uccelli.
*
dalla sezione:
LE PULSIONI CONTINUANO
LA PAROLA COMPIUTA
Cielo sereno da cogliere come presagio
se risplendono le labbra
e l'aria calda dello stagno;
nell'orto si spiega la nuova insalata,
gli iris fioriti danzano
sopra le spade. E' il presente
che sgorga come efemera dall'acqua
quando giunge il soprassalto a farci vivere
e allora vorremmo la parola compiuta,
quasi un fittone di tarassaco,
così profonda da coprire gli altri linguaggi.
Tempo di vespe, di canti d'amore
che ronzano attraverso il fogliame
e nell'aria passa il rumore di una nuvola.
*
Bolle di sapone
Un amore sfiorito
nei prati della dimenticanza,
che torna con l'aroma di nuove visioni,
il consenso suona le sue corde,
l'energia della luna
bevuta dal cuore innamorato.
Oh, come tutto si può sorseggiare
lentamente in bocca.
Le stelle lanciano segnali
con il loro profondo sussurro,
e noi accendiamo e spegniamo la luce
dell'immaginazione, uno stare con le cose
che incantano l'oriente e l'occidente,
come una bolla di sapone.
*
Sosta in panchina
Qualche ricordo
rimane impresso sulla pelle
quando il verde cammina, il mattino
apre strade giornali
e le panchine ai giochi di stagione.
Tempo al tempo - la luce
viene crescendo come l'erba
lo sguardo svagato d'una ragazza,
da un cantico in gola conforme
all'aria che lo nutre.
Oh, la solitudine marcisce nell'ombra
fin che perdo l'esattezza della forma
il sogno che apre
e chiude le piaghe - i tratti del volto
gli ossi ostinati si distinguono appena.
Un po' di saggezza e l'amore
per la vita con le sue contraddizioni
mi seduce e confonde.
*
dalla sezione:
VICISSITUDINI
La vita è aperta
Un volto nuovo e la voce al citofono
galleggiano sul letto. Prima o poi
il magma si avventura nel cielo e noi
a cercare la musica che tracci la strada
dopo le macerie. Una gioia appesa
ai balconi fioriti e l'alfabeto
canta con accenti più giovani.
La vita è aperta
a inventare nuove prospettive.
Notazione di un attimo - qualche lettera
in stampatello barcolla sulla pagina
ma non si arrende, anzi,
di fronte al bene e al male
si arrampica in aria scompigliando i princìpi.
*
I passi della luna
E' tempo di fermenti
incuriositi più che mai
alle varie stranezze. E' lì la vita?
Il sorriso si è spento sulle pietre
e la luna va scivolando nell'ombra.
Scusa il ritardo per un fatto banale:
la notte si è appoggiata
a una finestra semiaperta.
A volte inseguo il cammino dell'acqua
lungo i tubi del muro,
i pesci blu a spasso con le stelle,
la neve che cade a pois,
due cavalli marini imbizzarriti.
Hai visto? si è incrinato il bicchiere
e cricchia il legno scollato del parquet
sotto i passi felpati della luna.
*
La cresta dell'onda
"Intorno a te si torceva la vita"
Cristina Sparagana
Il guizzo delle isole appare all'orizzonte,
il volo degli uccelli marini
sopra le vele srotolate.
Adesso il mare ha il colore del vento
che cigola dentro le sartie
e fa incerte le nostre speranze.
Tempo, dici, che affila i nostri corpi
rendendoli vigili e attenti.
Guarda come splende la voglia della vita,
ma la vita è scavata dalle ondate
e sembra che il bar cada di sotto.
L'acqua manda barbagli,
una foga leggera
a sostenere la marea che sale
sale fino a entrare nel porto
con disinvoltura. E' impossibile
fermarla - quanti flutti
levati si sfilacciano nell'aria.
.

GIORDANO GENGHINI
I.
Distesa sul mio cuore, l'anima mia respira.
Sul volto della foglia risplende l'universo.
Rapita dentro il corpo, attraverso lo sguardo,
la luce immaginata crea ricami e colori.
Rivestito dal mondo, cinto dagli orizzonti,
l'alto soffio del sole fiorisce in cieli d'erbe.
Lo scoiattolo-nube gioca fra i verdi monti.
II.
Mille stelle in una bolla:
in un'ala di farfalla
vasti cieli di velluto.
Le galassie sono neve
e la luna è un fiocco lieve
nella tenue luce gialla.
Gemma d'anima rampolla
dentro il corpo che la culla.
.
FABIO GRECO
Notte si fa in me
più chiara
limpida del giorno.
A breve farà eco
un silenzio solo mio.
Nella quiete emerga
una distanza che almeno
d'illusione mi sazi.
Preda è l'anima ferita
più secca, nera di dolore.
*
Ogni volta
Ti ritrovavo
seduta su scale
di sale, il mare
fra morbide labbra
posava la linfa
ed esuli zattere
gemevano smarrite
nel silenzio
delle tue braccia.
.
ANDREA CROSTELLI
Ad Antonio Santinelli
L'onda, respiro del mare.
Soffiavano dalle nari i tuoi cavalli
un forte attaccamento alla terra,
un forte respiro di vento.
Voleva esser pieno il tuo passo
del giallo frumento verità,
dorato segreto dell'arte
a piccoli sorsi donato.
Appesa ai tuoi occhi e frapposta
l'atroce meridiana del tempo
fissava l'ora senza nome,
priva di sole e fughe d'ombra,
la somma di tutte le ombre.
Oggi guardo il pulviscolo dorato
nella fascia di luce: moscerini
in sospensione: catalessi del corpo
dell'arte, e penso a te, amico caro,
mentre passi ancora fra le nuvole
e sposti l'aria dei miei pensieri,
a te che mi gridasti aiuto senza voce…
riprendo a cavalcare in groppa
al tuo cavallo con la tua forza
in corpo, dopo che, per un attimo,
il tuo passo si fermò, il mare
ritrasse il suo respiro
e fu la secca.
Da: "IL CONTENITORE DELLE NUVOLE" - 2001
Circolo Culturale La Gioconda - Ostra (AN)-
LA MUMMIA
La mummia del mondo
non può ascoltarti,
sei per lei
ciò che è lei:
un organo senza fiato.
Le giri intorno,
cerchi una fessura
... occhi persi
dal grande dolore...
la cantilena del delirio
è fumo che non si posa.
*
VASTITA'
Il trapezio della luna
è un disco volante,
sul rettangolo azzurro
colpisce di luce la piccola sfera,
al ritmo di ping pong
le risate nella vallata
sono il tuono sangue del cocomero,
la gracchiante eco dei corvi.
Solitario
voli airone
al tuo nido di polvere,
congelati occhi
ti troveranno mai
Sul treno della luna i vagoni delle nubi.
*
ARMONIA
Mi cala la notte sulle spalle
il pesante mantello oscurità,
pensante paroliere al leggio
sfoglia veloce libro di parole
sulla bocca del silenzio.
L'arma in più
è l'estasiante sorriso.
*
SEGRETI...
Vero ufo
spia accesa, il Sole,
scopre segreti al sorgere,
arrossisce il tuo sguardo,
timido ti volti,
ombra che tradisce
l'anima svuotata
*
VENTO CIPRESSO
Il vento cipresso
spiraliforme nuvola,
cuscino spiumato
ventaglio carezzevole,
dormitorio perenne
pacificato spirito.
*
LA RETE
Il letto del poeta
è un fiume adagiato di parole
dove scorrono i nostri sogni:
pesci che di tanto in tanto
saltellano al di fuori
all'aria fossile:
imprimatur versi
la cattura immortale
del pescatore.
*
"CARTA BIANCA"
A Plinio Acquabona
e alla sua poesia
Non sempre
così felicemente sera,
sciogliere grumi di poesia
nelle mie vene.
Esse son lì,
a gridare solo d'esser prese,
parole di sangue universale.
Spazio in "carta bianca"
l'invenzione e l'ecclimetro
succhia al poeta.
*
FIAMMATA
Spandermi fumo
mentre l'azzurro si spegne
e arde coniato il mar rosso.
Odoro già di cenere,
vedo consumarsi
il braciere della mia esistenza.
Dondolo vuoto in cielo
ascoltandomi sereno.
*
L'ATTO
L'amore è lasciarsi
succhiare il sangue,
è un atto di farfalla
che si posa lievemente
sulle spalle dell'Infinito.
*
L'ENERGIA CHE EMERGE
Il bosco dei frati
muove il suo cappuccio stasera,
come dentro una conchiglia
tutto il respiro del mare in tempesta.
Ma non c'è inquietudine
in questa mia Pasqua,
landa di rassegnazione.
Io gorgo torbido d'un fiume
col collo radar di struzzo
rifiato dal mio circolo senza uscite.
La fede è l'energia che emerge
per camminare sulle acque,
passare a porte chiuse,
aleggiare da risorti in cielo.
* * *
Da: "DENTRO OCEANI"
(poesie e pitture per la Mostra
tenutasi a Belvedere Ostrense nel luglio 2008)
Oscuramento
Quanto mi spegnerei facilmente qui
all'ombra riarsa di un sole tagliente
alla memoria lugubre di un epitaffio immemore
quanto mi spegnerei facilmente qui
dietro il vetro che scompone il mondo
e ne clicca il suono oltre il suo sigillo
Loro son là per la strada maestra
e io di qua chiamo il mio maestro
che non arriva se non nella raccomandata di esistere.
*
Il ratto
Su questa carrozza dondolante
i cavalli, spossati, a volte si riposani,
sempre all'erta al morso del serpente,
alla rapina del fuorilegge.
Tutto ciò è il mare la nave le vele,
i tentacoli della piovra e gli agguati dei pescecani:
Terribili ansie a chi cavalca le onde,
insidie nascondono le acque
mostri per chi non può vedere.
Non gioca a carte scoperte l'Oceano,
luccicante il dorso che svia il tuo sguardo
pensi "adesso bara" e bara si fa paura.
Dubbi sulla sconfinata limpida onestà,
sincerità trasparente che non ha facce
se non la tua che vi riflette
l'anima sperduta inconsolabile dell'uomo.
*
Io sono sempre altrove
1
Ho ribaltato le mie case
e le mie cose in mare
lo faccio ormai da quarant'anni
ogni mattina quando mi guardo allo specchio
e vedo il vuoto più assoluto
piombarmi addosso
naufrago di me stesso
e della malattia che mi porto appresso:
l'ancora delle mie pazzie
gettata nell'universo senza suolo
2
Sbatto le palpebre
che si riaprono
nel nulla è cambiato
la mano del mondo
non sa dove sono
e non può afferrarmi
sono invisibile
come palpebre mute
che fanno meno rumore
e ancora meno presenza
della quercia che pensa...
io sono sempre altrove
3
Inoltrato dal silenzio
nel mare può vogare
il mio verso,
suono di bassa frequenza
ecoscandaglio di balena
parole viaggiano a lungo
sotto il braccio del mare...
... e il mare
sfoglia libri...
intanto smemorato
il mio viaggio
porta me altrove
senza rileggermi
*
Da "PAESI DI MARE"
Circolo Culturale La Gioconda - Ostra
Tecnostampa Edizioni, 2008
11 novembre 2007
Concentrato
su una gamba sola
come un fenicottero
raggiungo
stasi ed estasi
e perdo così
anche l'ultimo appoggio
mentre la mente
porta lontano
nel giorno che fugge
dal corpo
e il corpo alleggerito
lievita sospeso
galleggia a mezz'aria
improvviso s'impenna
mette le ali e insegue
la mente già lontana
per riaccorparsi a lei
accettando l'eccezione
della gravitazione
al posto del consueto
toccare piedi a terra
*
Provvidenza
Sembra allentarsi intorno
il foro dei chiodi delle stelle
ma non v'è pericolo che cadano
oltre il mare che le accoglie
con il suo salvagente
resteranno a galla
oscillando ancor più nel loro tremore
ricordando il mio spalpebrare
muto e sperduto
così anche i miei quadri
protetti dalle ali degli angeli
non si staccheranno dalle pareti
* * *
Andrea Crostelli è nato nel 1963 ad Ostra, dove vive e lavora.
Collabora con diverse case editrici come illustratore,
fumettista, critico artistico-letterario. Espone le sue opere
in Italia e all'estero. Ha pubblicato varie raccolte di poesie, e
l'opera per cui ha ottenuto lusinghieri consensi dalla critica,
"Nei Mari di Melville" (Moby Dick, 2004).
.

Raffaele Piazza
"Tesse una musica"
Tesse una musica il marino
fluire senza tempo, l'onda verde
che trasparente vola nella forma
di donna, di conchiglia che scolora
sulla spiaggia dalle felici trame
dove nella tua notte posi l'ombra
tra la sabbia dei passi che riveli
un moto precedente di parole
presunto tra l'argento che ti sfiora
di una luna a pochi tiri
di sasso levigato dall'attesa.
.
Flavio Almerighi
essere
essere treno d'ossa,
fiducioso aspetto un segno e uscire
dal mezzo di una stazione sognante
immersa emersa in mille soste estive,
tante volte una voce assonnata
annuncia partenza e liberazione
poi in sequenza muore,
senza lasciarmi andare
mai
.
Raffaele Piazza
Del mio tempo il senso
A Felice Serino
Ascoltami, Felice, esiste
una forma che sgretola
le cose, entra ossigeno
nel sangue ed è la poesia.
Dove tu sei ancorato
ad un computer per emergere
dalla chiave della
nebbia, immagino la città
di te da me visitata nel 1984.
Dove accade la vita ed è la
Vergine a prendermi per mano
sotto il Manto, gioisco e
trasalgo per mio figlio
amato e non voluto diciottenne.
Calma estiva nelle mattine
di pace occidentale nella sua
per economia differenziandosi
essenza,
da quella dell'Africa Centrale,
la morte dei bambini neri.
Presagi di gioia, Felice, dopo
le visite rarefatte alle librerie
e alle farmacie e i libri letti,
lo squillo del telefono,
la voce degli amici e
bere il vino rosso per redenzioni.
Parlano i pini del Parco Virgiliano
e un messaggio giuntomi per e-mail
da sorgiva ragazza, dice che
le sono piaciute molto le mie poesie
sul sito di Felice Serino.
Pasolini e Dario Bellezza
vegliano, maledetti angeli.
Mio figlio guida l'auto con
sicurezza, padre gioioso, ho spiato
il suo diario dove ha scritto
sei una ragazza affascinante
verresti a cena con me?
Ieri succhiava dalla tetta.
Alessia, perdonami una vita!!!
.

Dalì - Baccanale
Poeti vari
CHANDRA CANDIANI
a Misha Alperin
Dammi un gesto vuoto
senza redenzione,
suona al pianoforte
una salvezza per la mia
belva notte,
un a-capo in picchiata
fino alla riga spezzata
ruvida
di ogni poesia.
Sono parola minuscola e nel fitto
e tu già asceta
sei il silenzio
la foresta protesa
al canto di un solo uccello
quello che custodisce
nel becco
il segreto.
Ho l'anima di carta
prende fuoco per un nonnulla.
Il teatro di una piccola
città di mare
da solo nel buio
improvvisi al pianoforte
una prova impossibile.
Qualcuno mi strappa:
«È un momento di segreta
intimità». Ma
c'è piú abissale intimità
di suonare
a un pubblico spaventato
il silenzio
la gioia sfrenata
del silenzio?
Condividiamo il cibo del mondo
Misha
come gli uccelli il vento.
Senza saperlo.
.
Chandra Candiani da 'La bambina pugile'. Einaudi
.
Chandra Livia Candiani all'anagrafe Livia Candiani (Milano, 1952) è una poetessa e traduttrice italiana.
*
2 poesie di EUGENIO MONTEJO
Essere qui per anni sulla terra,
con le nuvole che arrivano, con gli uccelli,
sospesi ad ore fragili.
A bordo, quasi alla deriva,
più vicini a Saturno, più lontani,
mentre il sole gira e ci trascina
e il sangue percorre il suo profondo universo
più sacro di tutti gli astri.
Essere qui sulla terra: non più lontani
di un albero, non più inspiegabili;
lievi in autunno, rigonfi in estate,
con ciò che siamo o non siamo, con l'ombra,
la memoria, il desiderio, fino alla fine
(se c'è una fine) voce a voce,
casa per casa,
sia chi porta la terra, se la portano,
sia chi l'aspetta, se l'aspettano,
ogni volta spezzando insieme il pane
in due, in tre, in quattro,
senza dimenticare gli avanzi della formica
che viene sempre da remote stelle
per essere puntuale all'ora della nostra cena
benché amare siano le briciole.
(da Territudine, 1978)
.
.
Lascia che ti ami fino a quando girerà la terra
e gli astri inchinino i loro cranei azzurri
sulla rosa dei venti.
Galleggiando, a bordo di questo giorno
nel quale per caso, per un istante,
ci siamo destati così vicini.
Ho potuto vivere in un altro regno, in un altro mondo,
a molte leghe dalle tue mani, dal tuo sorriso,
su un pianeta remoto, irraggiungibile.
Sono potuto nascere secoli fa
quando non esistevi in nulla
e nelle mie ansie di orizzonte
potevo indovinarti in sogni di futuro,
ma le mie ossa a quest'ora
non sarebbero che alberi o pietre.
Non è stato ieri né domani, in un altro tempo,
in un altro spazio,
né giammai accadrà
quantunque l'eternità lanci i suoi dadi
a favore della mia fortuna.
Lascia che ti ami fino a quando la terra
graviterà al ritmo dei suoi astri
e ad ogni istante ci stupisca
questo fragile miracolo di esser vivi.
Non abbandonarmi fino a quando essa non si fermerà.
(da Papiri amorosi )
.
Eugenio Montejo (Caracas, 19 ottobre 1938 – Valencia, 5 giugno 2008) è stato un poeta e saggista venezuelano.
*
FERNANDO PESSOA
Ho pena delle stelle
che brillano da tanto tempo,
da tanto tempo…
Ho pena delle stelle.
Non ci sarà una stanchezza
delle cose,
di tutte le cose,
come delle gambe o di un braccio?
Una stanchezza di esistere,
di essere,
solo di essere,
l'essere triste lume o un sorriso…
Non ci sarà dunque,
per le cose che sono,
non la morte, bensì
un'altra specie di fine,
o una grande ragione:
qualcosa così, come un perdono?
*

Dylan Thomas
*
Fernanda Ferraresso Haziel
Tu, come lama di coltello sei entrata nel mio cuore in lacrime!
Charles Baudelaire, Il vampiro
.
su fondamenti invisibili fuori prospettiva
con precisione chirurgica
la lama della lingua
ha affilato il verbo amare
ma fu un punteruolo
che impugnò il desiderio e impudico
dal quel corpo analfabeta estrasse una costola parlante
l'ombra viva che con il fiato rimodellò
femmina da uno scheletro senza nome
insieme la carne tornita di fresco
ebbe la stessa immagine riflessa divina una sola semenza
ma qualcosa andò per il verso sbagliato e
lei non volle giacere sotto di lui non volle
stare sottomessa per un volere che non fosse il suo
rosso un mare aperto fu la sua casa di tendini e battiti e futura
la conoscenza di se stessa l'albero e il frutto in una sola terra
fuori dalla legge e lettera a se stessa il suo linguaggio
fu notte e crepuscolo
non addomesticabile la sua fiera è monaca ferina
di una natura selvaggia e ingovernabile monca in lei la morte
perché dea di terra in una terra la riconobbe
nel suo ventre radica preistorica una realtà millenaria
della vita e dell'inizio di ogni vita
fertilità di una passione mai prona che ogni regola trasgredisce
su tutto innalzando la bellezza
di tutto quanto è un cosmo creato
notte oscurità penombra è spirito di vento la sua orma
nella tempesta avanza piegando il giglio del suo desiderio
bianco regale e netto da terra si erge innocente in un caos di lussuria
il fiore liberato da qualsiasi sottomissione e ricatto
la sua purezza scintilla su uova di depravazione
la sua astinenza è l'inizio di tutto quanto è possibile ancora
f.f.- L'isola e il cerchio- su fondamenti invisibili fuori prospettiva è l'amore che non si può dire
*
Amina Narimi (Claudia Sogno)
Siamo stati angeli nell'acqua,
piccole stelle dell'alba,
quando ancora le viti erano muschi,
farfalle di mare che andavano alla deriva
sbattendo l'azzurro dei piedi
tra le onde del sole
seguivamo il ronzio genitale dei nostri delfini
i click sordi delle stenelle in amore,
nutrendoci degli errabondi, i mangiatori di luce-
di notte facevamo buon conto della neve marina-
Più di tutto amavamo i verdazzurri,
centomille in una goccia di sale,
e i nostri capelli luccicavano a giorno.
Quella notte, la grande notte,
seguimmo una forma di lacrima
che andava a deporre le uova.
Ohh cosa stavamo vedendo
nella buca profonda di sabbia,
bambini! Stretti nella preghiera
ci fermammo
per ordine delle mani
fino a farli sparire.
Il mare si calmò, con l'anno nuovo,
minuscoli pastori cercarono l'uscita,
puntarono al largo verso l'acqua nera,
portando sul dorso come faville.
fu allora che le albere presero a far luce
che ci contammo le ossa una ad una
passando le dita a vicenda negli anni
finché una bambina prese a salire,
con le giumelle educate all'amore,
le nostre timide gole per terra
alzando la neve dal suo libro d'ore
come fa un mattutino all'Ave Maria.
https://www.youtube.com/watch?v=zthq9p8uTBg
*

Dalì - Leda atomica
*
Poesie di Ezio Falcomer
Chele d'amore
Sequele di aromi
umori estasiati
tutto mi porta
il vento di vita
un flutto sommerge
miei malati sapori
le chele del tempo
brezze sciupano e faville
al macero di gloria
di boria ostinata
ma non il cuore che ama
singulti di stupiti cantori
si diramano a radure
e l'amore è ormai
mio vizio e mia aria.
(Ezio Falcomer, "La vita picara", Lanuvio RM, Narrativaepoesia, 2010)
.https://www.accademiadeisensi.it/2012/10/chele-damore-ezio-falcomer-la-vita.html
.
Prego le muffe
Del mattino io studio la freschezza
e l'illusione, i promontori
di parole vane, la gloria degli uomini.
Della memoria i meccanismi
sociali. Chiuso qui in convento,
prego le muffe e i fantasmi
del cuore, degli ancestrali volumi.
Farnetico di spiriti, di oscuri
sacrifici, di frutta lavata.
Ho un'anima gentile e malata,
ho i piedi nudi. Orecchie da sbarco,
cervello svaccato, sogni. Ogni.
.
Zucche marce
A volte divento malato
e amo i suoni
della ferraglia arrugginita,
dei cavi del tram che starnazzano,
del fetore delle zucche marce.
Amo il silenzio
della folla distratta dai pensieri,
delle vetrine
imbambolate dall'attesa.
Divento così malato
che mi schizzo via
da ogni orbita
e il mio cervello
è solo pieno di solitudine
e formaggi stagionati.
E non c'è un giorno da passare,
ho solo bisogno
di parole acide e convincenti
e dell'eterno,
come di una coperta slabbrata.
Voglio cadere fuori dal tempo
senza dare nell'occhio,
facendo finta di sputare
contro il muro.
.
Sei l'albore
Sei l'albore,
Il turgido granturco,
la viscera innamorata
che mi conduce
al di là del male.
In te riposo,
gioia e tristezza,
indomito abisso
io cerco,
fine
del dolore animale.
Come un fiore,
farmaco
al mio essere scisso.
.
Sulla prora
Amo in questo
essere sulla prora,
in questo
sottrarmi al dolore,
aggiungere amore
alle radici dei fiori.
Alzo lo sguardo sul mare.
Linguaggio crittato
d'onde e spume,
illusorio sprofondare,
dimenticando la storia.
Senza più rancore,
né pirati,
né granchi dalle chele avvelenate.
L'oblio è lettura,
la lettura è preghiera.
Dimenticare sofferenza e fatica.
Nero silenzio abbacinante.
.
Macerie
E verrà il giorno in cui mi arrenderò,
camminando fra le macerie,
il cappotto rubato a un cadavere,
l'orecchio a un antica musica,
deposta la fatica detta vita.
Mi arrenderò e sarà un sollievo.
Avrò fra i denti
un sangue d'ironia,
il teatro emaciato,
silenzioso senza più bestemmie
e sudore di apprensivi guitti.
.
Ora di punta
È un'ora di punta come un'altra,
questa, delle dieci del mattino.
Mi dico: "Ho sbagliato tutto nella vita?
Forse dovevo arrendermi prima".
Ma i cieli sono in fiore
e le fogne emettono umiltà.
Dovevo fare tante cose
prima di arrivare a questo punto.
È accaduto tutto tanto in fretta.
Le stelle sono collassate
prima che io avessi il tempo di dire "beh".
Non ero preparato a nulla.
La vita mi è venuta addosso
come un treno.
https://www.alidicarta.it/autore/ezio-falcomer/testi#sc
.
Mi accadi
Mi accadi di meandri di baci
esulto in braci di averti
taci
svelami il dono di concerti sontuosi
di carne e d'afrori
assaggiarti d'amore
ah i tuoi sguardi
coloniali romanzi scabrosi.
(dalla raccolta "La vita picara", Lanuvio (RM), Narrativaepoesia, 2010, p. 105)
https://www.rossovenexiano.com/blog/ezio-falcomer/mi-accadi
.
Ezio Falcomer è nato a Concordia Sagittaria (VE) nel 1962 e vive a Torino. Lavora come insegnante bibliotecario e archivista nella Scuola Superiore. Ha un'esperienza di attore di prosa in teatro e in Rai, negli anni Ottanta. Dottore di Ricerca in Italianistica (1997), ha pubblicato Carlo Vidua. Un giovane letterato subalpino in età napoleonica (Alessandria, Dall'Orso, 1991) e altri lavori di critica letteraria su Camillo Sbarbaro, Eugenio Montale, Giacomo Leopardi, Carlo Goldoni, Voltaire, Piero Gobetti, Ippolito Pindemonte. Nell'aprile del 2010, Nerosubianco ha pubblicato il suo Vorrei vincere il nobel per la Fisica come Frank Einstein. Post comici, demenziali, ludicomaniacali. Nello stesso anno è uscita la raccolta poetica La vita picara (NarrativaePoesia, Lanuvio, RM) e nel 2012 Rottami d'oro (Ilmiolibro.it).
https://www.puntoacapo-editrice.com/product-page/luna-comica-ezio-falcomer
*
Poesie di Giangiacomo Amoretti
Essi nell'ombra, i senza tempo, i morti,
così pallidi i loro volti, esili
e tremanti le loro braccia, le
mani diafane, aperte ancora, essi
che non parlano, che
forse appena respirano, lontani
più del cielo e degli astri, e ci riguardano
fissamente da sempre – sanno, i morti,
di noi ciò che ci è ignoto o fu perduto
nell'oblio, ciò che amammo
e che sognammo; e tristemente osservano
il logoro filmato in bianco e nero
del nostro scivolare,
del nostro lento approssimarci a loro.
*
Aperto sei tu, ancora,
e non sei tu – aperto
sei la lama e sei il taglio,
sei il sangue ed il respiro.
Ti avvolge l'aria, ti
brucia uno spasmo. Sei
lo scatto breve, il gesto
immobile – sei il volo
che oscilla e non si arresta.
Aperto, sei già oltre
la terra infesta e l'ombra
che la sòffoca. Aperto
sei il non essere e il buio –
l'orizzonte – la luce.
*
Le voci più lontane, il fruscio lento
della risacca sugli scogli, i rauchi
richiami a tratti dei gabbiani. È l'ora
che precede il crepuscolo e dischiude
a un silenzio più alto e mare e cieli
e nuvole e colline, quando sale
a poco a poco uno stupore nuovo
nell'anima e si fa quasi dolente,
guardando, il memorare – più segreto
lo sperare, più limpido l'attendere.
*
Appena trattenuto
lucore – sangue o anello – tra le unghie,
livido, come fosse
già semistinto e ancora
fin dentro la tua pelle
avido e la tua carne
di splendere nel vivo
tutto della sua fiamma
e nel suo sole, ancora, prima di
svanendo farsi nulla dalle tue
mani dischiuse – buie
mani stremate dalla febbre, cieche.
*
Io guardo te nel fondo dello specchio
e in te lo specchio, il vetro e il suo riflesso,
te immagine di nulla e corpo vero,
tangibile ora-e-qui, fantasma e velo.
*
Da quale sfatta mezzanotte a quale
biancore a malapena intravisto e già forse
temuto, tra le foglie, di là dai vetri, o
adesso in questo ombroso interno di memorie
e di vaghe presenze, quando spessi tendaggi
o velami nascondano i gesti rallentati,
nel sogno, di chi piange senza piangere – da
quale ansia, remota ancora, o quale
febbrile sussurrio, fra i divani, alla luce
crepuscolare e fioca di un abat-jour – da quale
rarefazione minima, là fuori, della coltre
vellutata di bruma che avvolge alberi e siepi –
a quale oltre, a quale via di fuga…
*
E così passeranno i nostri morti –
sarà memoria, sarà sogno, o altro... –
a passo lieve, per le strade e i viottoli
qui di Liguria, forse, o forse altrove,
per campi senza alberi e pianure
velate dalla nebbia. Passeranno
ignoti a noi – ci guarderanno appena,
come distratti, forse, o forse ci
ignoreranno – alti, silenziosi,
oramai senza volto e senza corpo,
senza nome. Così, a uno a uno,
scivolando fra terra e cielo e
svanendo nel crepuscolo, da noi
già quietamente prendono congedo.
*
Questo mistero, che tu sia te stessa
di là da me, guardandomi, eludendo
a momenti il mio sguardo, e muta là
respirando, lontana e vicinissima,
di terra e d'aria, più mi inquieta, più
mi meraviglia, adesso, del mio stesso
ancora, qui, esistere, guardandoti.
Forse altro non è, penso, l'amore
che questo lungo riguardare, questo
incantarsi dell'anima davanti
a un'imago, a un'icona, a un volto in ombra –
a una silente epifania dell'essere.
(In: Poeti italiani del '900 e contemporanei)
*
Come chiamare te – angelo, specchio,
volto dentro lo specchio, altro me stesso?
O nulla del mio nulla – né teda né lucore –
fuoco fatuo, riflesso – tremito d'aura – albore.
*
Velato amore, non dischiuso amore,
amore di ombre, amore di silenzi,
di non detto, di implicito, di vago,
amore che si occulta, muto, e spasima,
dolente – ignaro pur
di sé, di sé dimentico e di tanta
sua luce e fiamma.
*
Sussurro: 'tu'… e si apre a me uno spazio
ove non sono già più io, ma quasi
altro da me, da me remoto – come
se per prodigio in me di colpo fosse
qualcosa giunto a compimento di
profondo e ancora inconosciuto – chiuso
alfine il cerchio, risanata la
ferita che doleva, antica. E posso
parlare nuovamente, dire e forse
udire – posso pronunciare un nome,
questo, che è il tuo – tacendo, a tratti, gli occhi
semichiusi, non quieto, non inquieto,
o sussurrando, a voce bassa – io
memore e stanco, attònito di te.
*
E le bare, le bare in fila a Bergamo
davanti al cimitero – sullo sfondo,
in penombra, il Famedio – le hai vedute
dormendo? Quasi fossero
le tue da sempre, immagini
dei tuoi deliri, delle tue, né inconsce
né coscienti, paure... O sogni, ancora,
e null'altro che sogni... A una a una
le vedevi posare
più grevi sulla terra, oltre la notte –
come uccelli feriti, come foglie marcite,
premendo su di te, sul tuo silenzio.
*
Forse è questa, mi diceva, la pena
che ti attende e mi attende, non sai
quanto amara, e piangeva, lei
dolorando per me. Salivano lenti
larghi fiocchi di nebbia a separarci,
solo i suoi occhi ancora vivi e
tremanti. Madre, oh madre, io,
tendendo in alto le mani, invano,
dicevo, o sognavo di dire,
già muto, già di lei spogliato ancora.
*
La luce che balùgina
ai vetri a mezzanotte.
Un brividio più lungo –
un battere di denti.
Il corpo che non sa
e che sa – né dimentica
la punta della spina,
il bruciore del lampo.
Il corpo che si affida
al chiudersi, al non dire –
ad occultare sé –
a celare il morire.
*
Esistere che arde e si fa cenere,
che sale in alto – fumo, aria o luce;
che si assottiglia, che si sfrangia e
diventa altro, cede al non più essere,
al non vedere, al non mai più sapere
che è oblio e già evidenza – cecità
e balenio di una veggenza d'oltre –
nulla e non nulla – buio e primo incipit.
E fosse, chi può dirlo, appena un filo
d'erba che oscilla, un soffio
lene di vento, o questo blando ora
va e vieni delle acque
sull'arenile. Esistere che palpita
un attimo e dilegua
subito nel non più – e così è
per sempre, in questa notte che lo serba.
*
Tu chiedi chi io sia, tu che mi ascolti
adesso fra speranza e dubbio – e io
che non so nulla e a malapena so
di te e delle tue angosce,
dei tuoi silenzi e delle tue parole,
io ti guardo stupito, a lungo… Io sono
da te, io sono a te – invisibili
i miei occhi, invisibili da sempre
le mie ali di aria – io connato
in te e con te dall'acqua
purissima e segreta di una stessa
polla battesimale.
Io sono in te il silenzio, in te la voce.
Sono l'Angelo – sono te medesimo.
*
Di amore questo puoi
dire, dubbioso: amore
è appena un volto, appena
due labbra che si schiudono;
forse una mano che
vada sfiorando lieve
un'altra mano; forse
meno ancora, uno sguardo,
una tinta, il profumo
di un corpo che non c'è.
E avresti quasi detto
già tutto, e pure ancora
mancherebbe qualcosa,
un nonnulla, quell'ultima
sfumatura che sfugge
al dire – l'inespresso,
l'inesprimibile altro:
di là dal cielo il cielo,
di là da questo mare
il mare quando è l'alba –
e l'altra rosa dietro questa rosa.
*
Acrostico (nuova versione)
Ora la luce è come aerea, come
Trasparente e remota, in questa ora
Tarda che si fa sera e lunghe, rosee
Ombre già si diffondono. È così
Breve adesso al tramonto il giorno... questa
Rarefatta chiaria, questo velato
E dolente presagio di una fine...
*
Settembre. Le ali porpora dei cirri
sfatti nell'alto, gli esodi infiammati
fra cielo e cielo dei rondoni, i voli
e i silenzi e gli spazi,
le albe, i non ritorni
per sempre –
ed i ricordi,
i ricordi che straziano.
*
Spleen
Malinconia dell'angelo che guarda e che non vede,
che si avvicina a Dio da sempre e ne è lontano
più di noi stessi – le sue ali bianche
più alte di ogni cielo e di ogni nuvola.
Malinconia di esistere – angelo, uomo o rondine –
in bilico tra i mondi e sospesi nel tempo.
La linea del confine sempre oltre.
Il mare uguale senza un orizzonte.
E quando si fa sera questo lungo discendere
come di un velo fumido sulle spiagge deserte.
Le acque immote, color blu cobalto.
Sospeso in alto, fioco, il plenilunio.
*
Giangiacomo Amoretti · Ha studiato presso Università degli Studi di Genova · Ha frequentato Università degli studi di Genova · Vive a Genova · Di Imperia.
*

Maria Chiara Linn
*
Poesie di Mattia Tarantino
21 luglio '18
C'è un'estate di sangue e mare. Un secolo che ci obbliga a tramare un'elegia, un'elegia all'Europa che muore.
Per il Collettivo MalaTerra:
"Oppure da una lingua del Nord
sarà la sillaba che gonfia le ossa
dei morti? Fummo il fanciullo e fummo
l'acrobata: c'è sempre
una fune tra luce e precipizio.
Veniamo a bruciare
le vertebre al cielo, veniamo
a invertire la pioggia:
certi versi sgozzano
le aquile, altri
marciscono i vessilli dell'Impero.
Quest'acqua ci disperde, non conosce
i nomi cui ha rubato sangue
e sorte. A quest'acqua
noi torniamo in obbedienza, senza croci
che trattengano le stelle.
Da lontano una Medea
araba conduce la sardana:
chi rompe il cerchio lo rimette
ai margini del tempio.
Arrivano le schiere: impugnano
e rovesciano il gerundio;
arrivano le gazze
ma tu raccogli solo fiori estinti."
Mi preme segnalarla a Claudio, Annamaria, Gabriele
A Ginevra, che ne custodisce il segreto
*
Mi troverai al di là della luce,
nell'orma bianca del passo
tracciato dal canto, dove tutto
il dolore del mondo è ammainato.
Sarò il verbo custode
di ogni avvenire, la fiamma
che purifica il fiore:
vivremo nel bosco segreto
dove accade ogni cosa, dove
regna la mano che stringe
la mano, e l'uomo con l'uomo.
Già tramo l'incanto dell'iride
e conosco il mistero dei mondi.
Ho visto la prima parola
e il primo bacio svelarsi:
saremo la grazia e la lira,
il passero che addomestica il cielo.
Saremo la rovina dell'angelo
caduto da un cielo ostinato.
(inedito per gentile concessione dell'autore)
*
La vita è davvero bizzarra: tutto prende un verso, tutto ha più di un verso, tutto è verso. Ma i versi non sanno molte cose, si perdono, si consumano.
Per il Collettivo MalaTerra:
"Ma i versi non sanno
ingoiare le falene quando sempre
più nere e sempre
più feroci insorgono e devastano.
Non sanno quanti nomi
possiamo dare agli angeli, quante
voci setacciare fino all'ultima
vocale ancora intatta.
Non sanno quali giri
porta avanti la fortuna, quali sfere
interrogare perché i bimbi
non confondano il sangue con le rose.
Eppure conoscono
il mistero delle gazze quando legano
alle ali un cielo furibondo."
*
Un salmo usurato
Comando che il tuo cuore tossisca
timido, tra le mani degli angeli.
Poiché non fui che un salmo usurato;
il profeta dei morti e il fanciullo
che invoca perdono dai fiori,
chiedo in questa veglia la parola
che ci salvi dall'inverno e faccia casa.
***
La stanza
Si ammala la parola, le mie
vertebre si curvano in silenzio.
Non piove che acqua sporca,
e questa stanza è troppo bianca:
morirò nel singhiozzo delle allodole.
***
Luce
C'è l'acqua, c'è la pietra, e tu potresti
sprofondare nei miei versi non salvando
che una rondine corrotta:
troppa luce squarcia l'ala, troppa luce
squarcia il nero e lo redime.
Prenderemo Roma con i nostri
nervi curvi in cui collassa
il cielo; non avremo
che una voce malaticcia a rivelare
ciò che tramano le sillabe:
questa luce è lo starnuto
di ogni angelo perverso.
***
Silenzio
Ma lo conosci il segno
degli angeli? Quello che confonde
l'acqua con le rose, il pane
e un antico verbo senza suono.
Da molliche e da crepacci risorgiamo
a una veglia furibonda:
è singhiozzo, questi versi e poi il silenzio.
***
Mio nonno
"In autunno i morti gorgogliano,
hanno in gola la rosa
interrotta, le ultime
parole mozzate ammainando
la luna. Strette
queste ossa, stretto
il bacio che li negò al mondo:
c'è qualcosa di sepolto
tra mio nonno e il mio cognome"
*
Vorrei guardare il cielo
Vorrei guardare il cielo, ma le stelle
mi aprono il sangue e disturbano
i versi in bocca ai morti:
stanotte mia madre non partecipa
al pane che si spezza, non consente
né risate né preghiere, capovolge
tutti i nomi e li scavalca;
stanotte mio padre non ricorda
quante volte ha indovinato, quante volte
la parola gli ha mozzato la parola.
Stanotte prendo l'ago e cucio
i miei occhi agli occhi di mia madre, prendo
un piccolo coltello e svuoto
le mie ossa nelle ossa di mio padre.
Vorrei guardare il cielo, ma le stelle
le ho tra i denti e fanno male.
*
Mattia Tarantino è nato a Napoli, a secolo già iniziato.
Dirige il blog "Alka-Seltzer – La disobbedienza è la blasfemia dei servi"; fa parte del collettivo artistico "Nucleo Negazioni". È presente in diverse riviste e pubblicazioni, cartacee e digitali. Si è sempre schierato dalla parte del torto, preferendo, da subito, Capitan Uncino a Peter Pan ed Ettore ad Achille. Ora vive nella terra dei fuochi, e si affretta a pubblicare le sue poesie prima che divengano postume e, quindi, famose.
da: https://poesiaurbana.altervista.org/mattia-tarantino/
*

Iole Toini – da Niente di tiepido, Pietre vive Editore 2023
*
POESIE DI ENRICO BESSO (EBYWEB) IN MEMORIA
S'ATTARDANO I CHIARORI DELLA SERA
S'attardano i chiarori della sera
ed è un incendio rosso il vecchio molo.
Giù alla marina l'aria è a pizzicotti,
ghiaccio a cristalli è il sale sulle labbra.
In questi tardi giorni di settembre
spiuma nell'onda l'ultima illusione,
quella promessa al buio sottomuro,
la fuga degli sguardi sul domani.
Pesa sul cuore questo mare scemo,
che prende e poi riporta ciò che ha preso,
pesa anche il tonfo sordo del silenzio
e questo vecchio immobile pontile.
Risillabo tra i denti piano un nome
e in me si muore l'ora della notte.
*
IN QUELL'ANDARE A STRUSCIO MURO D'OMBRA
In quell'andare a struscio muro d'ombra,
sfugge, tra un battito di ciglia e l'altro,
l'ora del giorno che si appresta a sera
e mi dolora, genuflesso, l'ansia
nel dormiveglia tra la pietra fredda
e l'incartare del sole in persiane
rigate a coltello dal vento.
Come
il muso del cane, che mi somiglia,
scompiglio l'ombra a questa vita morta
nel segno dei miei denti sulla mela.
*
LA MIA ISOLA
Confina a nord con l'orizzonte
l'isola che il male, a sud, lentamente
consuma
e all'onda, il gesto,
straniato anche Dio,
è un passo incerto alla battigia, stanco.
Riscatta il tempo, la sopravvivenza,
rabbrividisce al volgersi, la fine,
ché di perpetuo non esiste il moto
e nell'oscillazione è l'amarezza del domani
di quest'isola mia.
*
SMURO, A TRE PASSI DA UN'ORA QUALUNQUE
Smuro,
a tre passi da un'ora qualunque,
l'intrigo complice delle stagioni ormai perdute
e in questa vedovanza di sorrisi,
al gelo arato di rughe,
lascio le stoppie scritte a bordo pagina,
cariate da menzogne dolorose.
Oh possa io confondermi di nulla
migrando sulla rotta delle rondini,
oltre l'icona della sofferenza,
ortogonale a un tronco di carrubo.
*
DILAVA LA PIOGGIA DAI VETRI
Dilava la pioggia dai vetri
che già declina, obliqua,
l'ombra nell'incorruttibile sera,
dal ballatoio sul cortile.
Non sento il tuo odore da un anno
e prigioniero dei ricordi fiuto,
come un cane randagio,
ogni angolo del nostro letto.
Spengo la notte nei lampioni
di strade che non conoscevo
e il giorno mi sorprende vivo
col cuore appeso ad un bicchiere.
*
ABITO, PALUSTRE, LA CODA ACCESA DELLA LUNA
Abito, palustre,
la coda accesa della luna,
il semicerchio stillante
a graffiare la notte con le dita,
la polvere di stelle tra le cosce.
Ho scoperto la morte, bella!
-Vuoi forse fare l'amore con tua madre? –
E l'ho odiata. Poi, sono andato a spasso nel cervello,
attraverso il naso, l'occhio,
fino a palpare il sesso dell'ipòfisi,
orgasmo di una sega circolare.
Ora, sono così come mi vedi,
-un non vivo- e siamo in tanti,
ci diamo appuntamento al buio,
guarda, l'ultima a destra è la mia stella,
quella dove scrivo, vivo,
tutte le mie poesie.
*
LO SPECCHIO NON RIFLETTE PIU' CHE GLI OCCHI
Lo specchio non riflette più che gli occhi
e smascherato il viso al giorno,
schivo, nell'estro di luce,
l'ansia rubata di soppiatto al buio.
Non puoi conoscere quel vuoto
-a richiamare con la mente un gesto
e abbandonarlo, vinto,
ché anche una lacrima è fatica -,
non puoi.
Hanno le mani piccole i bambini,
piccole mani ad inventare grandi sogni
sui vetri appannati di fiato,
la morte è altrove.
*
A FISSARE INDELEBILE NEGLI OCCHI
Di questo ferragosto – avanti un passo
lungo le diagonali in mattonelle grigiorosso sporco –
ricorderò la balconata a mare
e il cielo a picco nell'alga che si piega a cartapesta stinta sugli scogli.
C'è l'agonia dell'onda lasca,
al ritirarsi lento dell'acqua,
in rassegnata attesa della fine.
-Clicco su pause, fermo immagine,
a fissare indelebile negli occhi questo istante. –
C'è un pò della mia vita
nel sale a scaglie che rimane.
Nell'aria a graffi e brividi, lontano,
a pelo d'orizzonte oltre lo sguardo,
la sagoma sfocata di una nave.
Sarà la vita che continua o forse
la vita che, passata, è andata via.
.
(Rivoli-To, 8.12.1957 – dic.2019)
.
https://farapoesia.blogspot.com/2008/01/enrico-besso-e-gli-anni-di-vento.html
*


Gianpaolo G. Mastropasqua
*
Eugenio Montale
Spesso il male di vivere ho incontrato
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
*
Giovanni Giudici
Vivranno per sempre?
………………………………..Sempre, sì – mi dicevo
e le vedevo
alla distanza del tempo rimpicciolire
lontanissime, in piedi, a braccia conserte
su quelle stesse soglie, o leggendo gli stessi giornali
crollando il capo, scuotendo gli stessi grembiali,
di nero o di grigio vestite e decisamente
fuori di moda come diventerà
ogni persona vivente
– ovunque e su quella stessa
strada fra il mare e una fila di platani
dove quieta ubbidiente e dimessa passò
la mia età infantile
………………………….– quelle persone viventi
che passarono poi come l'età
rispondendo di no alla domanda
che avevo dimenticata: no (dicendo)
non vivremo per sempre
– senza notizia alcuna, senza coscienza
di storia o di giustizia, senza il minimo dubbio
che un'altra vita sarebbe stata a venire
più vera, con più intelligenza:
e dunque senza viltà consegnate alla sorte
– alcune con stupore della morte,
con desiderio altre, con sofferenza.
(da La vita in versi, 1965)
*
Salvatore Leone
25 maggio
Gli orgia
Vengo da acque rotte e la Semele incenerita
a danzare sui vostri specchi, ordinando fiori e vino nuovo
e resistere allo scintillio che mia madre ha veduto.
Sono qui, nel giglio e nel coltello
a stordire l'oriente e la bestia cantando.
Vengo da un porpora osceno che divarica l'inguine
se gli ori ai padroni vi raddrizzano le schiene
e giurate solenne obbedienza.
E vengo a consacrare sudori al ventre
le mischie fatte di voci e sulla pelle
rantolo d'alba e la lama.
Vengo a inumidirvi coi rossi e d'acque piegate
al grido breve. A scongiurare il demone
fermo sul collo, mani che stringono
il cielo alla testa, e in terra la rigirano
e la battono, e mi rivestono
di fuoco migliore, l'altissimo bruciore.
sl2019
*
Raffaele Carrieri
Ho un angelo che mi guarda dietro la spalla stanca, un angelo senza bilancia non
pesa la mia giornata. Un angelo che non mi condanna quando la rosa ferisco,
quando fuggo la speranza, quando batto la fronte sulla pietra del disinganno,
quando inganno la morte con rondini di carta. Ho un angelo che mi salva dietro
la spalla stanca.
*
Roberto Mussapi
Ritorno dal pianeta
Io sono disceso e lo ricordo
il pianeta : a poco a poco si spegnevano le luci
e il sonno saliva dalle finestre, come una marea,
una luce che si spegneva e la radio ancora accesa,
buio e voce.
Chi spossato si addormentava come un animale
Nel Tir simile a un gigante pacificato,
immenso e muto sullo spiazzo dell'autostrada,
vidi gli insonni, la fame, la paura,
la disperazione di chi cercava una dose,
vidi la notte scendere su altri, nel cuore,
corpi che si placavano umidi, abbracciati,
proseguendo il respiro dove le parole hanno fine,
li vidi, addormentati, il molteplice e l'uno,
l'amore dei corpi che si rigenera nel sogno.
E io che credevo di essere luce fui buio,
perché buia era la notte sui mortali e buio il pianto
che da me, come avessi occhi, calava su loro.
Ho guardato, ho visto, credimi, Dio,
non fu inferiore
l'amore tra corpo e corpo, tra persona e persona,
quando abbassarono le persiane cercando un silenzio
più disperato e pieno di tutti i miei voli.
Questo posso testimoniare, questo ho veduto
Su quel pianeta dall'alto più piccolo della mia mano,
e che soffrì le acque, il delfino, il tuffatore,
che conobbe la donna e in essa il dolore,
e strade che imitavano la luce di quel cielo,
l'asfalto le automobili,
dove uno accelera e l'altro si affida,
e ognuno sogna un viaggio senza fine,
ho visto fari spegnersi nella notte e voci ronzare
e uno solo nel silenzio con l'autoradio
(sembrava la mia voce)
Due che chiedevano fino a quando,
fino a quando, amore?
Li ho accarezzati, ho posato
L'ala sulle loro spalle, ho sfiorato le mani,
le mani che si stringevano nel molteplice e nell'uno,
dal fumo della sigaretta che lei aveva appena acceso
io vidi nei suoi occhi il firmamento,
e il roteare eterno verso una sola luce.
Poi mi allontanai, lasciandoli soli,
nel firmamento, nell'abitacolo, nell'uno
che essi avevano scoperto nella valle del pianto e dell'amore,
e il ricordo,
e quel ricordo vela la trasparenza dei cieli.
Questo ti chiedo, il termine, il tempo,
che paghi l'amore e la separazione
se il tempo li generò e rese vivi
più di me. Dio, più del mio volo.
***
In attesa che l'amico torni
Tu non sai cosa sia la notte
sulla montagna
essere soli come la luna;
nè come sia dolce il colloquio
e l'attesa di qualcuno
mentre il vento appena vibra
alla porta socchiusa della cella.
Tu non sai cosa sia il silenzio
nè la gioia dell'usignolo
che canta, da solo nella notte;
quanto beata è la gratuità ,
il non appartenersi
ed essere solo
ed essere di tutti
e nessuno lo sa o ti crede.
Tu non sai
come spunta una gemma
a primavera, e come un fiore
parla a un altro fiore
e come un sospiro
è udito dalle stelle.
E poi ancora il silenzio
e la vertigine dei pensieri,
e poi nessun pensiero
nella lunga notte,
ma solo gioia
pienezza di gioia
d'abbracciare la terra intera;
e di pregare e cantare
ma dentro, in silenzio.
Tu non sai questa voglia
di danzare
solo nella notte
dentro la chiesa,
tua nave sul mare.
E la quiete dell'anima
e la discesa nelle profondità ,
e sentirti morire
di gioia
nella notte.
*

PIER LUIGI BACCHINI
Contemplazioni meccaniche e pneumatiche
[da "Atelier" n. 32, pagg. 100-101 - dicembre 2003]
* * *
Punto di riferimento
Lo specchio sfaccettato, e la cameriera
che roteava con lui, moltiplicata
nelle luci riflesse – sprazzi
come stelle – e il bicchiere della mia fantasia,
umiliata in un succo di pompelmo. All'esterno
la strada, auto
dietro i vetri, i passanti: non siamo
come siamo, da non crederci – estesi
più nella memoria e nel pensiero infinito
e nell'ansia amorosa,
che nel breve spazio. Urne
minime. Straniti
nell'osservarci da qui, simmetrici non simultanei,
con orologi atomici
tra moti astrali, velocità incrocianti, orbite nuove.
*
Nomi
Perché trovarsi nella solitudine disperatissima di viole
o di giunchiglie
e abbandonare questa città
col ricordo gioioso e protettivo
d'un sole meccanico che si riflette, e il frastuono,
i vetri ampi dei bus
rispecchianti facciate in movimento? E il daffare, i ristori
e i tavolini
come cimiteri già fioriti, che spuntano di bacche
e di sorrisi.
Gente che si ritrova
con memorie così lontane
da sembrare velari trasparenti.
I giorni dei viaggi, quei baci che si scambiano
tra monumenti
e i dipinti nelle gallerie.
Quando l'uomo ha scavato le cripte,
con le pietre enormi di sostegno e le colonne,
con i nomi dei pellegrini antichi nei muri
sotto una mano d'intonaco, allora si amano
le meditazioni,
soltanto allora, in quei luoghi. E le giunchiglie si amano
quando ci si accompagna e si ride
e si beve la bocca dell'altra – così il nome divino
si colora di noi, delle nostre essenze
profumate e artificiali. E' difficile scontrarsi
con la città di Dio
a tu per tu
con la sua robustezza selvaggia e l'inafferrabile grazia.
Le nostre anime
sono firme lasciate nel cielo, come i pellegrini,
che le affidano all'ampiezza affrescata
delle cupole e delle absidi.
Ma gli inganni degli uomini a poco a poco ci deludono
- le loro scaltrezze –
e alla fine ci annoiano, e la vita che si cerca
è solo la musica
i grandi cori sinfonici, e il risalire di un violino
e la memoria senza fine antica dei suoni.
***
Ezio Falcomer
ECCO, ADESSO
Ecco, adesso sono più leggero.
Se mi dici che ti lavo via tutto il sale,
se mi dici che con me sprofondi
in un sonno di pace,
se mi dici che leggi il nostro futuro
ogni giorno,
se mi dici che i fantasmi non hanno potere.
Ecco, sono più vero,
se il mio cuore si apre,
se il sapere è identico all'amare,
se con te sono pirata e bambino,
libero di mostrami stupido.
La sera è una conquista,
il silenzio del sussurro
nei petali di complicità,
nelle note che il tuo corpo rimanda
se toccato nell'immenso ascolto
del dimenticarmi di me.
Voglio viverli questi flutti
del dolore e del piacere
degli occhi tristi e luminosi
del variare delle stagioni.
Siamo tutto quello che viviamo
e abbiamo vissuto
tutto quello che non sappiamo
tutto quello che mangiamo insieme.
Ecco, adesso sono leggero.
CHELE D'AMORE
Sequele di aromi
umori estasiati
tutto mi porta
il vento di vita
un flutto sommerge
miei malati sapori
le chele del tempo
brezze sciupano e faville
al macero di gloria
di boria ostinata
ma non il cuore che ama
singulti di stupiti cantori
si diramano a radure
e l'amore è ormai
mio vizio e mia aria.
.
UN ACANTO, UN LICHENE
Un acanto, un lichene
e trasmutarsi in liriche di vento
come di savana
eccedere nel compiersi
di favola gitana
amare e dire
il rosso della sera
come folle
su abissi e sommità
raccontare
l'odore di gimcana
fra corolle di luce
e freddi baratri di inerme niente.
*
OLANZAPINA
Sbroda una plebaglia d'inconsulte forme
in licantropa frenesia
la giostra del mio cuore
vuole andare oltre
sempre e comunque
acuminato dente si conficca
a stridere il mio sonno
la notte per amica e la caccia
ad imprese urgenti
bulimia selvaggia
spiaggia di fuochi accesi
solo una molecola per limite
e la mia saggezza
di reduce di sbarchi e liquami
solo una molecola e sinfonie di pagine
e voci
joker da scena
puttana di lungo corso
briccone trickster
sopravvivere comunque
a ogni sghimbescio
a ogni perplesso sguardo
di suocere madri mogli
piccolo borghesi
di vilipesi padri suoceri
zeri di fallo, di ordine ossessi
azzerati e sorpresi
dal timballo del lessico
solo una molecola
e il combattere allo stremo
con la morte per amica
e una fica d'ossessione
e il miracolo di amore
e la luce
che ti invade alla fine
come un alzarsi d'aquilone.
https://www.facebook.com/RottamiDoroEzioFalcomer201012
*
Mi vive qualcosa
Fluttuano da lava e poltiglia
le luride e artistiche cose,
come una flebo mi trascorrono le ore
e i secoli.
Genoma che visita i figli dei figli.
Ignaro dei padri, degli avi.
Scricchiola ogni legno pestato nel bosco;
è tundra, è taiga
la strada del sogno migrante.
Accadono i fenomeni
fanfara di luci, suoni, fetori
e bancarelle del porto.
Mi vive qualcosa
che permesso non chiese.
*
Le foglie
L'anima tua mi abita
gialla,
senza tormento.
Come un manto,
le foglie
dei tuoi giorni
indugiano sul mio viso;
la tua gioia mi sveste
da rottami e chincaglie.
L'amore è questo gelato che mangio,
esposto alla tua luce,
che di meraviglia
sprimaccia il cuscino,
lo ingolfa
di emozione e di senso.
*
Scialo
Scialo, deduco, drago
sradico liquami da calme fiale
conduco gli squali ai moli
il bruco diafano che ami
candito lo riduco al tuo fiele.
*

DUE POESIE DI FERRUCCIO BRUGNARO
ABBIAMO VISTO
Abbiamo visto e vissuto come il gelo
abbraccia l'erba di notte,
come il mare
addenta sempre le stesse baie.
Abbiamo visto e vissuto
ciò che altri uomini abborriscono
e altri ignorano. Abbiamo accettato
scalzi la neve, le giornate tristi
e interminabili e solo noi conoscemmo
il nevischio assiepato sui regoli
delle finestre, il sole trascinato via
di forza dal vento. Noi conoscemmo la luce
del silenzio come nessuno, sentimmo come
nessun altro venire con la notte
l'amore degli astri e il cuore morire.
IO SOLO CON LA VITA
Abbandonatemi al buio
quanto più vi aggrada, allontanatemi isolatemi quanto vi fa piacere.
Io non vi dirò più nulla ormai,
il mio pensiero guarda solo all'amore:
con lui solo discorre
giorno e notte e va per la terra.
Sono un uomo, sono un uomo ora!
Il silenzio mi ha rivelato un camminamento segreto.
Il dolore
mi ha raccontato
cose grandi. Battete pure,
fate a piacimento.
Io sono con la vita
ormai
ho una vita tutta per me.
*
Poesie di Donatella Maino
Inferno
.
Eravamo a due passi dall'inferno,
viva carne al disgelo il nostro corpo.
l'amore ormai orfano d'intenti
ascolta il suono dell'anima dannata
mentre il sasso aspetta la sua croce
in quel desiderio di averti sul mio petto
già tronco alla compassione delle lame
arrotate dalle vecchie ossa
che saranno pulite dalla pioggia
quando la terra capovolta sarà il cielo.
.
*
.
Offertorio
.
S'eleva ad offertorio
il sole d'alba,
s'insinua nella bocca,
apre la gola a liturgie segrete,
un elogio alla negazione:
un gioco inquietante di volti
mangiati dalla notte, colpiti alle spalle
dalla mia disperata voglia di salvarli.
.
*
.
Venere
.
Ogni memoria regge
un figlio d'amante,
la sua lingua buca
la membrana
al cuore di Venere
.
Ah, il mondo degli interludi…
è mare gualcito, aria fibrosa
di poeta straniero
.
" sei bella "
e' che ciò che dice il tuono
nello squarcio di fuoco
dove si amano le tenebre.
.
Cammino piano piano
e con la mano spingo
la porta dura del granaio
ché sempre si moltiplica il verbo
a formare tocchi di pane.
.
*
.
Sentimentale
.
E' uno stato di grazia,
è un'apologia omerica
quando la tua voce diventa
organo dei bassi.fondi
che narra di poeti e muratori,
di pugili rotti al setto,
di donne possedute,
di te ricreato nel mio letto
con le tue esagerazioni
con la solennità episcopale
di un artigiano maledetto.
.
Ci siamo ammazzati
per il desiderio di vivere.
*

EZIO FALCOMER
La poesia come rischio e tensione espressiva, vitalistica; rabbia, risata ed ebbrezza. La poesia come diario dello scacco e della perdita, diario di bordo nel naufragio di fronte al nihil e alla malattia. La poesia come canto dell'amore e dell'eros: selvaggio, pagano, orfano biblico o, più semplicemente, alla fine della tradizione. La vita picara raccoglie tre anni di percorso creativo ed esistenziale sviluppato attraverso il blog e nel dialogo e confronto con il lettore-commentatore.
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Ezio Falcomer è nato a Concordia Sagittaria (VE) nel 1962 e vive a Torino. Lavora come insegnante bibliotecario. E' scrittore ed attore.
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Da La vita picara
(Poesie 2007-2010)
Lanuvio RM
Narrativaepoesia
2010
E/Scatologica
Sull'asse della memoria
mi aggrappo
si stemperano gli arcani maggiori
ovipari di sensi e di storia
armigeri di eventi
pirofori di esistere in etere violaceo
di crepuscolo, come
prima di cadaverica baldoria
io, scoria di angeli
strame di miti di gloria
agli estremi bordi del Tempo
oh, restasse segno o runa
su questo sentiero
vivesse di me cuore o fremito
emaciato
su tumida e madida duna
come un resistere
a ossessa, febbrile fortuna.
Seta e agata
Come se tu fossi qui
a spellare con me
gamberoni e aromi di sguardi
come se tu non fossi andata via
su quelle rotaie di ignoto
parlare l'amore ancora, ballare
alla luce di mani
intrise di olio e tocchi yin e yang
rubare arcani e sillabe alla notte
con rabbia averci e stordimento di onde tenui
di fianchi parole respiri
inesprimibile labirinto di praterie
di seta cremisi e agata corniola
solo dita umide e attenzione
sentire il tuo acquoso gemito
il tuo vuoto
saturo di maestà rapace
di sete che rifiuta la paura del naufragio
di fame
che ama me
che mangio te
che mangi me.
Tu mi fai essere
Tu mi fai essere
cauto scavo nella tua voce
enigma tremore silenzio
sei creatura d'acqua
di sorriso
di nervosi refoli d'ombra.
Armageddon
Asce scorrono lungo i viali dell'anima
svaniscono i fenomeni
a scroscio si riversano le falangi
mischia bolgia omicidio
pallide scoliosi di sciacalli splendono all'alba
si ridestano fiamme di furia
tutto un cercare la luce
tutto un ritorcersi d'asfissia
delirio remoto d'angeli nel tunnel
la fatiscente sclerosi di un dio.
Stenti fatali
Cos'è che c'è
in questa spugna dov'è intrisa la vita
in questo sogno
in cui muoiono gli dei
ragnatele di eventi
amore dolore fetore
spazi di plasma
di braccia allargate
a trafiggere il vuoto
gambe sommerse fino al ginocchio
da un mistero di palude risucchiate
lancio il bengala sull'orizzonte
l'accolgono angeli fatali
amanti
di miasmi amori e di stenti
su questa pianura
che ha desiderio d'istanti.
Azzurri sensi
Azalee d'improvvisi bagliori
orti sarchiati d'azzurro
sussurrano gli immensi spazi
arazzi di silenzio
respiri d'assenzio
invasi di sensi mai sazi.
Lunare
Lunare,
chiedi amore
e scendi lungo un fiume di malinconia
labbra di pesca cantano perenne estate
fragranza di sorrisi caldi, nascosta
sotto timido feroce veleno
sogno i tuoi fianchi...
che ti porterei alla mia bocca
...e traversare il tuo deserto
di oasi lussureggiano.
Strusci e fotoni
Mi ammoscio su lungaggini d'orizzonte
scroscio pensieri e veleni
sfascio cartilagini e crisantemi
piscio lunatiche tossine
striscio ubriaco lungo muri di mattoni
struscio fianchi bisognosi di attenzioni
sciami le mie ore si gettano nel mare
origami di fotoni che si perdono nel dare.
Si diramano anfratti e segrete
Si diramano anfratti e segrete
nel canto del sogno
e luci e sonagliere delirano
ascolto i miei spiriti frinire
fiotti d'ira e di blu anelano al cielo
parto su scafo fenicio
l'Orsa e le Pleiadi mi guidano
e l'Oltre al centro del Qui
vi si appoggia chi muore ogni istante
rido ubriaco d'incoscienza
e di enciclopedica follia.
Notturno con mare
A che punto è la notte
questo calice non contiene tutto me
di stagione in stagione
varco ogni soglia
e dico addio
senza sponde dove consistere
esisto persisto e muto
camaleontica traversata
come un dramma senza esito finale
come clown che schiamazza per la via
ai bordi di un mare saturo di ciclone
vi balugina il canto degli arcipelaghi di sogno.
Spasimano
Spasimano le spettinate onde di papaveri
vento e luce si inabissano su gialle spighe
aria solo aria
e la notte per guarire
si elidono dai rami fiori e frutti
spauriti
per l'ignoto.
Giostra
Scalfisci diafana malinconia
nei riverberi dei tuoi vortici
centrifuga ebbrezza
in spirale l'anima si avvita
seta di schegge precipita
si deformano cavalli e figure
come fuga a favola di risa
prosciuga ogni pensiero
la sarabanda delle tue luci.
Ho tra le mani pochi attrezzi
Ho tra le mani pochi attrezzi
romanzi di avventure altrui
sapori di mie spiagge e periferie
sangue e lacrime anche non piovute
e l'incognito domani da disegnare
so essere intero nel frammento ma
muoio ogni istante da quando son nato
assaporo quand'è il momento
spuma che ritorna all'onda
fragilità che non ha perché.
Brume al di qua del sole
Il sogno
Brume al di qua del sole
echi di larve o dei
mi abitano
non invitati
dipingono alfabeto remoto
e bevo le immagini
oscuro sussurro
o voluttuoso giardino
ambrosia o assenzio
d'ignoto.
Piovasco strenuo
Piovasco strenuo
mi schieno su vetrina
aspiro e fumo.
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Da La vita picara
(Poesie 2007-2010)
Lanuvio RM
Narrativaepoesia
2010
Escrescenze di nodi
Escrescenze di nodi
delitti di un osare innocente
allo specchio sto
fievoli fantasmi di emozioni
tralucono
celiano di bruciori inghiottiti
irreversibili ferite
il passato è solo nella mente
vorrei dire, ma
cos'è questa viscera che non tace
cappio e catena
retribuzione di un vivere
che solo voleva andare
come spavaldo e sereno giocare
bambino che non voleva dormire.
Homenaje
S'assiepano rodei di odori africi tuoi
lungo i vicoli della mia anima
ed entro viscere che si consacrano a te
divina
con la lingua trascorrerò i tuoi petali
a bere le gocce di rugiada
che sanno di muschio e mare.
Aetos
Vorrei un giorno di refoli di luce
d'azzurri spasimi di niente
e planare su nuvole
gonfie d'elettrico e d'immenso
aquila
dominare cime e urli di baratri
con occhi che sanno
l'orrore e la bellezza
della storia
berlo, il calice
come un andare a scontro di schiere
a bolgia
di furia ed amore
a dolore attraversato
e vedere.
Anastasis ton nekron
Sono stato cadavere per secoli
ora canto alla luce di una stella
mannara e serafina
vidi gli abeti sussultare
su crosta lavica
licheni contorcersi
aspidi infami
su pianure di fuoco
e di polveri solitarie
lamenti di cavità viscerali
budelli di ululati
orchidee di apprensioni giallospeziate
setose lacrime
che non riuscivano ad annegare
nei torrenti della vita
avida ed incosciente.
Lejos
Come un lupo mi aggiro
nella notte
saturo di coscienza
nell'attesa di spegnermi
e separarmi da figure parole eventi
dove sono i tuoi fianchi?
felice la mano
si poserebbe
lieve
calda neve
sui tuoi colli addormentati
moriria feliz
a tu lado
mi amor.
Ebbro Ebro
Con questa camicia nera
sfondando vetrine di ovvietà
piogge fangose
sui miei bracieri di anarchia
ho camminato il mio miglio verde
per averti al prezzo
di un'elegia di luce e sinastria
senza di te non sono nulla
nell'uragano rigurgito sangue
e matricidi di civiltà andate
il mio vincolo è un tatuaggio
sull'odore della tua pelle
krishnamurti al kamasutra
del tuo incanto di fata celtica
piovuta su una terra
di silenzi e tori
sacrificati.
Sequestro
Ti ho sequestrata tra nevi e paludi
il vento mi diceva il tuo segreto
e cantava la tua vita amara
ignara di me.
Ti ho come perla
libera
che sfugge a consuetudine.
Ti ho come magia
gettata da un'onda
sulla riva della mia insipienza
stupido e stupito ti ho
e non ti ho mai del tutto.
Sei canto di ninfa
barbara e trasparente
fragile agli istinti
sei nenia ipnotica che ci si porta dentro
inquieta favola che cura e ammala
che regala incanti.
Saltimbanco
Che ansimare equivoco
è il canto che sale
da muffe e licheni
come strana salmodia
manto di emblemi
s'innalza da terra amara
io respiro fra nevi
per secoli di attimi
testardo, intimo al sole
sempre
nuove gocce di speranza
e mi contorco alla luce nuova
mattino che riannoda parole e amori:
saltimbanco sospeso
fra il male e la gioia
in gola l'urlo bambino
che domanda, come seme o spora,
sfrontato rigoglio continuo
ancora e ancora...
Sei bella miracolo di gheparda
Sei bella miracolo di gheparda,
scabra luce in fondo alla notte;
melmosa calda alga sei;
frecce le mie mani
ti inebriano, strette,
morbida albicocca.
Di febbre licantropa e criminale
oltraggio sepali tuoi,
irragionevole dettame d'amore,
mentre
in languido afrore marcisco
di lotta d'eroi,
errando in tuo aroma,
tempesta che involve
mia lurida anima
dannata.
Sei stella che ride e s'attarda
sul cuore mio che attinse alla notte.
Alma falena, le tue mani
tracce lasciano su me,
diroccato da arsura felice
di te.
Si addice
il miracolo che al deserto mio
s'attarda.
Succubi d'amore
La tua carne, infinita domanda
dove si placa il caso,
il possibile mio non esserci.
E il soffio della tua anima
è il mio esserci nell'avvolgerti,
donna di brivido e di mistero;
riempio nell'amarti
il possibile tuo non esserci.
Perderci nel donarci,
ascoltare la pioggia,
succubi dello stringerci
e dell'amarci.
Come un respiro
Come un respiro mi ritorni
alle ore di gocce e miele
sentirti in emozione e pensieri
averti sfuggente e acuta
in cuore
come orizzonte di gabbiano
ascoltarti nel volare comune
mangiare e mangiarti
i tuoi sonni proteggere
folle cerbiatta
di ansimi e graffi
penetrante liquore.
Un acanto, un lichene
Un acanto, un lichene
e trasmutarsi in liriche di vento
come di savana
eccedere nel compiersi
di favola gitana
amare e dire
il rosso della sera
come folle
su abissi e sommità
raccontare
l'odore di gimcana
fra corolle di luce
e freddi baratri di inerme niente.
Le sere che
Le sere che
pallidi i convolvoli
esclamano smeralda follia
si tingono i cuori
di un indaco serico
e madido amaranto
mi scorre
nel tacito grido
che anela
speziati cobalti d'ignoto.
Panismi
Sono ubriaco del tuo odore
nel dolore del tuo non esserci
mordo il mio canto pallido
e spasimo in sogno le tue carni
come gangetico tramonto
selene cananea
io strame d'angeli
dal mio deserto rosso
pastore di ade
risata e urlo di fetida foresta
t'assalgo in vampiriasi
di nenie per zufolo e crotalo
sei il mio centro
ti scuoto mea domina mio giogo
ti rovescio a estatico mistero
di respiri di maglio.
Anima predata
Se ti dài irrorata dai miei sguardi
straluma la mia anima predata
della ritirata brucio i ponti
alla lotta vado
con riso d'orgia commediata
al caos
e alla bolgia di sapori e silenzi e assensi
che mi trafigge
un'isola è ciò che vedo
(naufrago)
di polpe petali e battigie di sogno la sera
mormorio di schiume
galassie roteanti
su incroci di fiati
feroci.
https://www.eziofalcomer.blogspot.com/
*

TERENZIO FORMENTI
ha iniziato il suo viaggio nell'infinito
sabato 25 aprile 2009
[Poeta, psicodrammatista, psicoterapeuta, "persona attenta ai sogni,
alle immagini, alla fantasia, alla natura, alla vita" -
col quale ho avuto una breve corrispondenza alcuni anni fa, in occasione della
mia partecipazione alle "gocce di rugiada" (dewdrops) tradotte in molte lingue.
Bresciano, aveva 86 anni .]
"mi farò una casa nel vento"
mi farò
una casa nel vento
giocherò
con le nubi
mi poserò
sul vecchio baobab
mi confonderò
con la sabbia del deserto
fischierò
fra le rocce
canzoni d'amore
e
finalmente stanco
adagiato sulle onde
mi lascerò cullare...
dolcemente
*
IO SONO L'ARCOBALENO DELLA NOTTE
a Paola
Io sono l'arcobaleno della notte
nato dalle tenebre in questa sera di magia
mi chiederete quali sono i miei colori
chiudete gli occhi e li vedrete
sono il pianto di un bimbo nella notte
la luce negli occhi di due innamorati che si cercano nel buio
i sospiri i sussurri i baci di un incontro d'amore
un fuoco d'artificio che nasce dal buio e muore nel buio
sulle rive di un lago in una notte di festa
sono gli occhi di una tigre in amore che bramisce nella giungla
le luci di Broadway e di Chinatown
gli occhi di un gatto
che miagola alle stelle sul tetto di una baita
una falce di luna
che taglia la segala in un prato di montagna
gli occhi di una volpe
che ha deciso che questa notte non ammazzerà
gli occhi di una lepre
che rassicurata bruca l'erba di un prato tenero
i palpiti di luce di una lucciola
che cerca la sua compagna fra i cespugli
sono i fantasmi e i folletti buoni
che compongono i sogni della notte
uno gnomo
che gioca a nascondino con le sue immagini
la serenata di un grillo del focolare
un fuoco fatuo
che illumina le paure di un viandante
le favole di un nonnino
narrate alla luce dei tizzoni ardenti
un vulcano
che proietta nel cielo i suoi lapilli di gioia
il pianto di stelle della notte di San Lorenzo
sono un piccolo uomo
ma sono anche
l'arcobaleno di questa notte di magia
un frammento di infinito
Terenzio Formenti
per maggiori informazioni vai sul suo sito:
www.terenzioformenti.com
*
CORRISPONDENZE
SEBASTIANO AGLIECO
FRAMMENTI DELLA VOCE
Come un canto si sprigiona la sera
dai tuoi occhi
e in questo istante accetto di parlarti
verso la notte non c'è vento, né aria
solo attesa
perché il silenzio non dice che silenzio
e mi stupisco se il nome ancora chiedi
il tempo, l'ora, e ti dimentichi
che nulla ti può atterrire gli occhi
l'anima di colpo guarisce
quando ad un tratto dispare il riflesso della luce
Quanto ancora ti porti del mio sangue alla deriva?
dove tu attingevi scorre un fiume eterno di malinconia
ferita che sempre nutre le diaspore
a fondo devi scavare per trovare la sorgiva del tuo cuore
lì disseterai le solitudini
e spogliato dei tuoi amori, infine
ti disseccherai
Sempre il limite della tua terra varcherai
e ti parrà il ritorno sempre una partenza
e la partenza ti parrà sempre un ritorno
perché a lungo cercato sempre troverai
perché a lungo trovato sempre dovrai cercare
Non c'è niente che non abbia in sé un seme
e allora non chiedere l'origine e la fine
ma passa oltre e guarda dentro l'abisso
protenditi, e vedrai la tua vita
che ritorna dalle larvate strade
e la riconoscerai, come intatta
alla vista di un tremante colore
Quello che chiami ritmo
è un vuoto formicolante che si mostra in tratti
isole pulsanti dai confini calmi
o tumultuose prevaricazioni del respiro
io sono la forma della voce che sempre invochi
io sono, altro non posso dirti se non descriverti
questo esistere nostro in un ritmo più grande
ombra nella luce in cui respiro
luce nell'ombra in cui sono respirata
[dalla raccolta: "Poesie per la riconciliazione"]
*
GIUSEPPE GORLANI
SE VOLESSI
Potresti, se volessi,
togliere ombre dalle pareti delle case
tornare al pozzo cui s'abbevera la vita.
Se i tuoi pochi anni non annaspassero
distratti
in melmosi cortili senza cielo
ove s'assommano parole vuote,
potresti evocare cherubini e dèi,
comprendere la sapienza apofatica
dell'Areopagita
e rinascere nella quiete viva del cuore.
Ma ad abbracci d'innocenza
ti rifiuti.
Nelle orecchie trattieni seduzioni
striscianti
e in utopie televisive affoghi
a poco a poco.
Potresti sul nulla dei miraggi soffiare
con gote d'oro,
il mondo ricordare degli antichi eroi,
risalire al Principio,
spaziare sul mondo.
Potresti raccogliere l'amore
con mani sicure
e benedire
libero da pesi e fatiche.
Realizzare il Bene potresti se volessi,
ma non vuoi
ed innalzi inni alla materia,
inventi dicotomie, catene, muri, distanze,
tempo, evoluzione, antenati scimmie:
paludi nelle quali spegnere la fiamma
che Dio pose preziosa in te,
sua emanazione diretta,
l'Uomo.
*
MARCO MERLIN
Se ti dicessi
che ho ormai gustato tutta la mia vita
e il futuro mi è padre
diresti ch'è superbia, crederesti
di capire. Ma so vedere anch'io nel cieco
riflusso del millennio
l'alba del Quinto Giorno.
Quello che non comprendi
è l'oceano saturo di sale
nella goccia sorgiva,
è la piaga che ride sul mio volto.
L'ANGELO - LA MIA SORTE
I
Sia benedetta ogni strada, ogni voce
ascoltata
-se unica è la meta
Ma lasciatemi su queste rovine
a cercare la verità morente
il dubbio che ci libera. Io non sono
l'eroe che chiude nel pugno il passato
e punta le pupille dentro il sole
Io non posso , il mio destino è qui, in qualche
libro già letto,
in un balocco rotto
o in un nome troppo semplice, tradito
a dovere nel figlio
dal padre, come un amore irredento
Il mio viaggio profonda
questo tempo, il futuro
preme dietro le spalle.
In un vagito l'angelo
mi chiama sotto i sassi,
impetra l'obbedienza
l'abbandono
II
Comprendo bene
quale condanna dobbiamo scontare
trovare un nuovo
angolo di silenzio,
tornare a dire a sollevare al cielo
macigni di parole
e lasciarli ricadere su noi
Affondare le mani nella piaga
Ogni altra cosa
(anche la sapienza
anche la sapienza)
viene dalla paura.
La mia sorte è legare in ogni gesto
follia e umiltà
*
EMANUELE ROZZONI
(Lethe)
Sei acrocori e piane e bacini
strapiombi fiordi di mare
impazzito e rade profonde
scaglie di rame inverdito.
Nero orifizio dirupo scivoloso
per dove piombo a precipizio
m'inabisso, dal tuo lethe oblioso
sgravato riemergendo
stranito.
*
L'acqua, il vento posa
tace il piovasco venuto
iroso a rimbrottarmi.
Sorridi, e ti si increspa il viso.
Conosco la smorfia gentile
non condanna, sentenza
(dicono che qui finisca l'estate)
senza assoluzione.
Spiove, salgo le scale
(pure già tarda l'autunno a venire).
D'altro che resta? Guardarsi le mani,
aspettare, chiedersi cosa faremo
domani. Rispondersi è meglio dormire.
*
POETI SEGNALATI DAL PROFESSOR
GIORDANO GENGHINI (MONZA)
tramite i circuiti postali della "xeropoesia"
negli anni '80-'90
TRE POESIE DI VICO PIAZZA
1.
Standoti vicino, seduto così ad osservare
alberi, case rare, viadotti passare o restare
la giusta lunghezza della vita apprendo
in quest'ora meridiana d'ombre
corte come punte d'insetti, d'ombre
che nulla hanno di vita.
"Perché ci hai lasciati?"
"Viaggio ora solitario, so
che niente vale
ciò che mi attende".
Poi si interruppe - o così io credetti -
insieme cercammo la stazione. La radio
gracchiando francese, arabo, fischiava
gemendo. Vedi quel punto vuoto,
quel silenzio che ora temiamo
spostando - a dispetto della morte
che incombe - inutili le ore
ora, amandovi ora
poche sagome scorgo: la mia
le vostre riconosco.
2.
Non so descriverti
che per somma di cenni
(tralasci di assecondare il mio sguardo).
Ti aspetto
contando i minuti,
i secondi, mi accorgo
ch'eri tu la prima
a dover pazientare.
3.
Il volo trancia l'azzurro
lo incolora e srotola la strada
il nodo della tua venuta. Dicevi:
"Ciò che tu vuoi" - un'altra volta -
ed era un'arida ventata di scirocco.
L'ombra si leva agli angoli
solo un abile gioco di riflessi
metteva luce. Ma da te non traluce
alcun possibile nulla: era la tua mano
un segno, un pegno
senza proporzione essere
in quella sufficienza di perdono.
*
LUIGI GERARDO COLOMBO
DIES ILLA
Dio distrusse la morte
creando egli stesso la morte:
ogni giorno
costretto a vivere
per destino o miracolo
l'uomo si prepara la sua distruzione.
In un'ora destinata
a sua insaputa
si ritroverà
svestito della sindone
dei suoi rimorsi divoranti
destato dai suoni
delle tube angelicate
per risorgere
dai rimorsi devastatori
completamente trasfigurato
in un corpo uguale e diverso.
Gli specchi andranno in frantumi
gli enigmi sveleranno ogni segreto
in una nudità abbagliante
finalmente sottratta
al crollo strepitoso dello spazio
e al franare irresistibile del tempo.
*
CROCIFISSO
Non un fremito di pietà
viene dalla tua pupilla
alla mia anima in tumulto
ma il consenso accorato e costante
della tua mortale compostezza.
Nessun segno di stupore
né di rimprovero
nel tuo viso
che si china
in un bisogno di abbandono
sulla spalla destra
che è quanto di te
rimane da accarezzare.
Il tuo sguardo si rifugia
sotto le palpebre
e quando vorrei farmi forza
per avvertirne il tremito mi sento sospingere
ineluttabilmente
sul tuo cuore squarciato
per respirare
un alito
in cui si accordano
il tremito delle mie labbra
e il pulsare delle tue vene.
*
ACQUAMARINA
PER LA MANUTENZIONE DELLA VITA
MICHELE ARCANGELO FIRINU
Il mattino ti viene incontro, latteo,
adorno degli argentei ghirigori ricamati
coi fili di bave di lumache.
Ti ci vorrà quasi mezzo secolo
perché tu gli dedichi l'inchino
di quattro fili di erbe.
Il flusso delle ore verso di me si curva, radioso,
con deferenza.
Me ne infischio degli inchiostri più celebri:
io posso intingere il mio sguardo
nell'acquamarina delle mia mente.
Io sono obiquo,
se qui mi avvolgo e vado
in un saio di luce.
*
"HAIKU OCCIDENTALI"
composti durante un "Esercizio di Scrittura Creativa"
nell'Istituto 2E dell'Istituto Tecnico MOSE' BIANCHI di Monza
La morte
è un lenzuolo bianco
nel deserto in delirio.
(non firmato)
*
Vedemmo in loro
fitta la morte.
Tornammo a sentirci isole.
(non firmato)
*
Sospesa sopra il mondo
l'anima disperata vide
il suo corpo scomparire.
(Alessandro De Marco)
*
La via del sonno:
un fiume di ricordi che mi porta via
senza ritorno.
(Hu Bing Kiu)
*
Nel deserto era scesa
la mia colomba, stanca:
un lieve sogno nella sera bianca.
(Giordano Genghini - Insegnante)
*
PIERLUIGI PANZA
BENIAMINO
con gli occhi afflitti e con un pianto rotto
io sento come tu Beniamino
nel gravido convitto della notte
singhiozzi la speranza di un destino.
Tu che non morto voli un vento
che non è più dell'aria tu che non sei che aria
ma piangi a un respiro che può del tempo
cerchi un cercine di stracci nel cuore
un volto per volgerti ai vivi.
Oh! il tuo volto mi fa paura
mi fa paura il tuo viso furtivo
perché qui nel nido è già sera.
Ma ora che l'oscuro discende
e la regina si benda le ciglia
ma ora che la luna s'accende
e l'uncino arrotonda il suo taglio
tu chiara gora d'acqua
sorgi qual vento nel tondo del mio orto
e dall'urna per cui io giacqui
levati improvvisa nell'aria incerta.
O forse senza che ti veda
guarda fuori guarda la terra sotto
e senza che tu accada
rischiarati di te che non sai tutto
di te piangendo brilla
di te brillando piange
che già grave nel grembo della stalla
seppi di te che dentro ti raggiungo
e sono in te sono te... E già temo
che t'avrò tra il mio orrore
paura tra le paure e celato
ti conserverò tra il tremore e il dolore
di sempre.
[dalla rivista "il bagordo", anni '80]
*
MARIO TUCCI
STANZE SPARSE
Così ha pur fine l'inverno
l'ombra del cortile si addensa
dalla corte dei gatti innamorati sfuma
lo stupefatto febbraio. Ora che
m'è dato in tua memoria censire il mio tempo
e gli anni che ti ho attesa gli amici
mandano cartoline illustrate cartoline mandano
dalle frontiere dell'Ovest
da costole di azzurre periferie.
Thank you for a fine real time,
ma l'inverno ha graffiato
le strade di un tempo ha spento il lampione un sasso
prima che l'alba sorgesse dai bordi d'una
luna dimezzata; una tortora si schianta
nella barriera dell'ombra
si schianta a un segnale d'amore.
Parte di te mi chiama
dalla tromba di Satchmo per la campagna brulla
per filari indistinti per viottoli di bruma
quando la curva a un tratto si para davanti
e il prima di esistere salda un futuro
allo stridore dei freni al gioco dei piedi alla
scheggia di un brivido venuto da lontano.
***
L'erba nera della penombra
è un teatro inabitato affonda
nel silenzio delle tue ciglia nel sordo
mormorio della pioggia.
***
Ma vinta dall'ombra del prisma e del poi
una città riemerge dai campi dei papaveri
tra spiragli di nomi da ricomporre
verso le dune della sera
nella luna ridotta a sogno
oscilla lentamente dall' humus primordiale
d'una colomba morta.
Vira al rosso l'attesa della notte
alla prova del volo
voci distratte un suono
basta a scomporre ciò che non siamo
da ciò che non fummo per tutto
ciò che possiamo di nuovo gridare
mentre tubano allegre le tortore
e tu aspetti invano che il sonno
cancelli le tue impronte.
[da un numero del periodico letterario "il bagordo"]
*
Alfonso Gatto
Lettera non spedita
Albero chiuso in tutta la mia sera,
vento calmo di stelle ramo a ramo
compiuto nelle sillabe di un nome
che mi risponde se a tacerlo chiamo,
e tu, sempre lontana dalle chiome
della limpida notte, fresca nera
povera meraviglia del creato.
Amor che a suggello di ogni cosa
incide il segno della mano piena,
nel mio triste contento con me solo
per sempre resterò --fermo nel volo
che mai si leva -- a chiedere che il male
dell'offesa vivente mi sia vivo.
Albero chiuso in tutto il mio passato
e nel gesto perenne remissivo,
ch'io mai ritorni, o cara, a dire morta,
la mia pietà, la breve gioia porta
notizie, brucia, ma la lunga pena
trattiene le sue mani, ancora prova
nel dirti addio una parola nuova.
*
Alessia D'Errigo
Si dipinse la blasfemia dei giorni, il panciotto inciambellato
di ogni forma prese a volare, del resto, come i sognatori
e le unghie effimere del giorno seppellirono appena
l'oscurità reciproca del canto, la carità che fa vero pure il mare
agli occhi degli stolti. Dio ci sia in lode, quanto le fronde
di questo autunno gelate e secche da innumerevoli ammanchi,
si rifocillino pure di carne e neve, così, com'è la terra
nell'affrontare l'acqua e l'aria, così com'è l'uomo
nell'affrontare l'ombra e le pietre. Dio ci sia in lode!
C'è ancora tanto verde in giro e il gregge è ancora accosciato
da prendersi cura l'un l'altro, bruscamente, delle stagioni.
*
Ezra Pound
Histrion
Nessuno mai osò scrivere questo,
ma io so come le anime dei grandi
talvolta dimorano in noi,
e in esse fusi non siamo che
il riflesso di queste anime.
Così son Dante per un po' e sono
un certo Francois Villon, ladro poeta
o sono chi per santità nominare
farebbe blasfemo il mio nome;
un attimo e la fiamma muore.
Come nel centro nostro ardesse una sfera
trasparente oro fuso, il nostro 'Io'
e in questa qualche forma s'infonde:
Cristo o Giovanni o il Fiorentino;
e poi che ogni forma imposta
radia il chiaro della sfera,
noi cessiamo dall'essere allora
e i maestri delle nostre anime perdurano.
*
Raffaele Piazza
"Tesse una musica"
Tesse una musica il marino
fluire senza tempo, l'onda verde
che trasparente vola nella forma
di donna, di conchiglia che scolora
sulla spiaggia dalle felici trame
dove nella tua notte posi l'ombra
tra la sabbia dei passi che riveli
un moto precedente di parole
presunto tra l'argento che ti sfiora
di una luna a pochi tiri
di sasso levigato dall'attesa.
*
Flavio Almerighi
essere
essere treno d'ossa,
fiducioso aspetto un segno e uscire
dal mezzo di una stazione sognante
immersa emersa in mille soste estive,
tante volte una voce assonnata
annuncia partenza e liberazione
poi in sequenza muore,
senza lasciarmi andare
mai
*
Maria Grazia Calandrone
Una poesia-sudario per Genova 14 agosto 2018
Il sudario si chiama sudario
perché assorbe gli umori
dei morti. Viene deposto
sul volto, per nascondere allo sguardo dei vivi
il lavorio della morte
nei lineamenti amati, le enfiagioni
e lo scavo finale, la riduzione all'osso, che riporta
la materia conclusa di un corpo nel non finito dell'altra
materia, all'indistinto delle zolle e degli astri.
Il sudario è deposto per pudore
sul volto, perché quel volto smetta di finire
sotto i nostri occhi. Così vorrei
che le parole, poiché non possono asciugare davvero
neanche una goccia
del vostro sangue, ricordassero almeno
la vita, il celeste profondo
o la rosa canina fra i paranchi
che vi ha fatto sorridere
per la sua ostinazione d'essere viva
nel cantiere perpetuo del porto
luminoso di sole morente
o l'altro sole, la grandezza radiale dell'alba
sollevata tra guizzi di reale come un rinascimento.
Mondo contemporaneo che vai a morire
tra i gabbiani delle periferie,
sotto la rotazione della Via Lattea come una verde insonnia dell'universo
che non ci guarda, mondo che sei questo infinito esistere che non contempla
i mortali, senza nome e cognome torneremo cose
tra le cose, senza involucri e senza nostalgia ritorneremo
all'indifferenziato delle stelle. Ma adesso, adesso
che siamo vivi
*

Loreto Orati
LE MIE LABBRA NON SONO CHE SPONDE DI TERRA
E' nel tormento della parola
che respirano a fatica i poeti,
nella spina del verso,
nell'insonnia che rinnega il sogno,
e cercano luce, per spezzare tutto quel buio,
e frutteti rigogliosi, al centro preciso di ogni deserto,
ed io non posso che inchinarmi
davanti al sangue della bellezza, ai fogli d'oro e di miele,
al silenzio che diventa montagna inarrivabile,
d'echi che scuotono il mondo,
perchè le mie labbra non sono che sponde di terra
su cui germoglia soltanto il tuo nome...
*
Luigi Giordano
GLI EX MORTI
Sei dentro una bara
come la luna nel cono del sole
a calzare di notte il mare
con parole nascoste
dietro l'inchiostro
sul banco abbandonato
in una profonda voragine
e piano si allontanano i passi
al suono di una campanella
nell'ira dei morti
appesi agli angeli.
*
Raffaele Piazza
Del mio tempo il senso
A Felice Serino
Ascoltami, Felice, esiste
una forma che sgretola
le cose, entra ossigeno
nel sangue ed è la poesia.
Dove tu sei ancorato
ad un computer per emergere
dalla chiave della
nebbia, immagino la città
di te da me visitata nel 1984.
Dove accade la vita ed è la
Vergine a prendermi per mano
sotto il Manto, gioisco e
trasalgo per mio figlio
amato e non voluto diciottenne.
Calma estiva nelle mattine
di pace occidentale nella sua
per economia differenziandosi
essenza,
da quella dell'Africa Centrale,
la morte dei bambini neri.
Presagi di gioia, Felice, dopo
le visite rarefatte alle librerie
e alle farmacie e i libri letti,
lo squillo del telefono,
la voce degli amici e
bere il vino rosso per redenzioni.
Parlano i pini del Parco Virgiliano
e un messaggio giuntomi per e-mail
da sorgiva ragazza, dice che
le sono piaciute molto le mie poesie
sul sito di Felice Serino.
Pasolini e Dario Bellezza
vegliano, maledetti angeli.
Mio figlio guida l'auto con
sicurezza, padre gioioso, ho spiato
il suo diario dove ha scritto
sei una ragazza affascinante
verresti a cena con me?
Ieri succhiava dalla tetta.
Alessia, perdonami una vita!!!
*
Davide Rondoni
Addosso vienimi, non lasciare
spazio, che l'aria il cielo o cosa
sento fare pasto di me se
non ti stringi, non spezzi con linee
strane il disegno delle braccia, il bavero
il torso
se non disponi con il tuo il mio corpo
ai nuovi assalti del giorno
ferma le piastre del respiro
ho qualcosa di troppo antico nel petto,
radunami da tutte le città del mio volto
sono solo ombra che brucia
se la tua non mi viene
subito addosso.
***
LA MORTE CAMMINA A TACCHI ALTI
Di Tiziana Monari
Sgomente
s'ammassano mille bocche
in attesa del pianto
inermi
contano il sangue di angeli caduti
vaga smarrita
senza approdo
una fiumana
di membra sfollate e pietra.
E' sceso il buio
la morte ha camminato con i tacchi alti
impotente
sbircio la pioggia dietro i vetri.
Vorrei solo
portare a Dio
un altro conto da saldare.
[Fonte:
Stravagario Emozionale - numero 4 aprile 2009]
***
DAVID MARIA TUROLDO
(1916 - 1992)
Mostrati, Signore
a tutti i cercatori del tuo volto,
mostrati, Signore,
a tutti i pellegrini dell'assoluto,
vieni incontro, Signore;
con quanti si mettono in cammino
e non sanno dove andare
cammina, Signore;
affiancati e cammina con tutti i disperati
sulle strade di Emmaus;
e non offenderti se essi non sanno
che sei tu ad andare con loro,
tu che li rendi inquieti
e incendi i loro cuori;
non sanno che ti portano dentro:
con loro fermati perché si fa sera
e la notte è buia e lunga, Signore.
*
Tutto deve ancora avvenire nella pienezza:
storia è profezia sempre imperfetta.
Guerra è appena il male in superficie
Il grande Male è prima,
Il grande Male è amore-del-nulla.
Per favore, non rubatemi
la mia serenità.
*
E la gioia che nessun tempio ti contiene,
o nessuna chiesa t'incatena:
Cristo sparpagliato per tutta la terra,
Dio vestito di umanità:
Cristo sei nell'ultimo di tutti
come nel più vero tabernacolo:
Cristo dei pubblicani,
delle osterie, dei postriboli,
il tuo nome è colui che-fiorisce-sotto-il-sole.
*
Ti sento, Verbo, risuonare dalle punte dei rami
dagli aghi dei pini dall'assordante
silenzio della grande pineta
-cattedrale che più ami- appena
velata di nebbia come
da diffusa nube d'incenso il tempio.
Subito muore il rumore dei passi
come sordi rintocchi:
segni di vita o di morte?
Non è tutto un vivere e insieme
un morire? Ciò che più conta
non è questo, non è questo:
conta solo che siamo eterni,
che dureremo, che sopravviveremo...
Non so come, non so dove, ma tutto
perdurerà: di vita in vita
e ancora da morte a vita
come onde sulle balze
di un fiume senza fine.
Morte necessaria come la vita,
morte come interstizio
tra le vocali e le consonanti del Verbo,
morte, impulso a sempre nuove forme.
*
Non so quando spunterà l'alba
non so quando potrò
camminare per le vie del tuo paradiso
non so quando i sensi finiranno di gemere
e il cuore sopporterà la luce.
E la mente (oh la mente!) già ubriaca,
sarà finalmente calma e lucida:
e potrò vederti in volto senza arrossire.
*
"Anche Tu / finivi con la certezza di essere /
un abbandonato./ Anche Tu / non sapevi!
E hai gridato il perché/ di tutti i maledetti,
appesi / ai patiboli. E non era / desiderio di
sapere la ragione / del morire: non questo, /
non la morte è l'enigma.../ Mistero è che
nessuno comprende / come Tu possa, Dio,
coesistere / insieme al Male..."
(O sensi miei..., p. 606)
*
Liberata l'anima ritorna
agli angoli delle strade
oggi percorse, a ritrovare i brani.
Lì un gomitolo d'uomo
posato sulle grucce,
e là una donna offriva al suo nato
il petto senza latte.
Nella soffitta d'albergo
una creatura indecifrabile:
dal buio occhi uguali
al cerchio fosforescente di una sveglia
a segnare ore immobili.
E io a domandare alle pietre agli astri
al silenzio: chi ha veduto Cristo?
*
Perfino gli ulivi piangevano quella notte,
e le pietre erano più pallide e immobili,
l'aria tremava tra ramo e ramo
quella Notte.
E dicevi: "Padre, se è possibile...".
Così da questa ringhiera
quale un reticolato da campo
di concentramento, iniziava
la tua Notte.
Si è levata la più densa Notte
sul mondo tra questa
e l'altra preghiera estrema:
"Perché, perché... ma perché, mio Dio..."
Notte senza lume: disperata
tua e nostra Notte. "Perché...?"
*
Padre,
non sappiamo più ascoltare;
Padre,
nessuno più ascolta nessuno:
nessuno sa fare più silenzio!
Abbiamo perso
il senso della contemplazione,
perciò siamo così soli e vuoti,
così rumorosi e insensati;
e inevitabilmente idolatri!
Anche quando l'angoscia ci assale
donaci, o Padre, di non dubitare;
o anche di dubitare,
ma insieme di sempre più credere:
di credere alla tua fedeltà,
al tuo amore
al di là di tutte le apparenze;
e con il tuo Spirito
sempre presente
nella nostra storia.
(da "La notte del Signore")
***
Joë BOUSQUET
FUMAROLA
L'AMORE
nello specchio che affascina gli astri
POVERA
fumarola
SI
preferisce credere di aver sognato il tuo destino
e che nessuno conosca sogno
più esattamente significativo
di una laboriosa digestione
COSÌ
in piedi sulla terra che ti si rotola attorno
e ti stringe con i suoi anelli
ma
i tuoi occhi con i loro tesori
di ricordi e di visioni
subiscono l'attrazione di un astro
invisibile e quell'astro ha una stella
gemella che ti cattura con le canzoni
ch'ella ti fa sentire
e il tuo volto è appeso
alla quadriga stellare
affinché la terra vi entri
con gli orizzonti che ti hanno fatta
e che tu respiri
quando ami
E
tutto ciò che è in questo mondo
ti violenta con i suoi profumi
brucia dentro di te come una lampada
e prende dal tuo cuore delle
ispirazioni amorose
di cui ti ricopre
davvero bisogna che in piedi
seduta o distesa e perfino
con le gambe all'aria
e il sedere al vento tu
tenda dentro di te la ragnatela
ma
questo lavoro da schiavi
fa pietà
NON
si uscirà dunque mai
COME
si comprende il perverso
che vuole essere amato fino alla follia
e imporre all'innocenza
un amore che sia l'oblio
del proprio sesso
ah quello prende il fiore delle sfere
pianta una radice nella vita animale
e subito sente nella sua paura
la vastità e la pesantezza alata
di quella verità che l'occhio
di un uomo non può scorgere
MI
hanno spezzato le ossa affinché diventi
il pensiero la trasparenza di questa verità
e che l'insegni agli uomini
perché essa non può mangiarmi le viscere
L'AMORE
è eterno
come
gli altri amano
delle capre o delle pecore
io
amerò una
BAMBOLA
***
L'OMBRA DI UN'OMBRA
I
La luce fa spazio alla pura verità dei rumori
che si rintanano. Crepuscolo ansioso in cui, nella camera
di un malato, un ciuffo di giglio si ricorda che è
stato giorno.
Tutta la calma della sera, tregua di un cielo che
si dipinge le sue rive.
Ma colui che sa ha degli occhi per vedere il
bianco, il lungo dileguamento in cui le trasparenze
dell'aria sono le sole a sopravvivere, colui che sa che la
bellezza di una donna sogna senza fine quella
felicità che egli ha perduto…
Ascolta, è dolce, l'estate viene di notte
quest'anno. Ascolta, la canzone si ricorda di un
amore senza troppo sapere se si tratta del tuo…
Nell'ora strana che si capovolge, il silenzio viene
da per tutto. L'ombra del'anima, dove brillano
debolmente le forme degli esseri che io amo, mi
appare in tutta la sua grandezza rocciosa, e sento
che la mia realtà d'uomo è per un istante come
schiacciata davanti all'altezza di quello che chiamo il
mio sogno. Altezza materiale e sensibile, che ravviva
attorno a sé un orizzonte interiore in cui la purezza
delle forme è così grande da riuscire a dividere le
tenebre sulla propria chiarezza. Comprimo con due
mani il mio cuore che batte, perché, in questo
scorcio aperto su delle tenebre che fanno regnare
soltanto il mio essere su di me, scopro che il
sentimento della mia umanità si perde, e che
davanti a me, tremante, interdetto, sotto il cielo
morto di una fatalità implacabile, la mia vita ascolta
la mia vita.
Nessuno sa se io dormo. I miei occhi hanno
sognato che non c'erano più lacrime. Nella debole
luce che cade dalle stelle, mi sembra che la mia
anima interroghi il cielo attraverso il pallore del mio
volto che rabbrividisce; e indovino che ogni cosa
vivente si oblia nell'apparizione di una bellezza che,
in me stesso, è silenzio. Solo, come se nessuno
sapesse chi sono, ascolto nella vita dell'ora più
irreale il gemito di tutto ciò che vuol finire e pensa
così di sopravvivere. C'è per me nella macchia scura
di un vetro, sotto i tetti così lontani dalla finestra in
cui mi trattengo, un bambino che scrive il suo diario
senza sapere che egli sarà infelice e che mai una
donna si chiederà che cosa abbia portato dentro il
suo amore.
[...]***
da La conoscenza della sera (La Connaissance du Soir, 1947)
traduzione di Annamaria Laserra, in
Poesia Due, Milano, Guanda, 1981.
Passare
Infanzia passata nello spazio
Come un volo inseguito fino a sera
Chiamo piano la tua ombra
Per paura di vederti
Sorella a lutto dalla veste chiara
La tua fuga è l'uccello blu dei giorni
Che con il suo canto rischiara
I gesti sognati dall'amore
Una fanciulla per il tuo incanto
Con il corpo abbozzato nei cieli
Fece sciogliere le città in pianto
Illuminate nei suoi occhi
E avesti il coraggio di rendere
Il mio dubbio più vivo di me
Passarosa dalle ali di cenere
Che mi aprivi il tuo cuore nel vento
*
Il largo
Non è il suo nome a esaltarlo
Ma che piano sia mormorato
Nelle voci che non conosce
Il segreto di un cuore incrinato
Quando ogni lamento gli svela
Di che cosa abbia pianto la pena
L'uomo sente il suo cuore chiamarlo
Nelle voci che l'hanno ignorato
Così vedono tutte le stelle
Avverarsi la notte delle vette
Ventilando nella notte con le ali
La voce di qualcuno che verrà
Lui il suo male è la stessa pietà
Ciò che è lui a sua volta si oscura
E per rendergli quello che ama
Si rivolge alla pena del giorno
*
Madrigale
Dal tempo che era amata stanca di se stessa
Lei aveva giurato d'essere questo amore
E ne fu l'incanto lui ne fu il poema
La terra è leggera a promesse passate
Il vento piangeva gli uccelli migranti
Cullando i mari sulle ali di sale
Prendo la stella con una bella nuvola
Se la pagina bianca ha consumato il cielo
Nell'aria che fiorisce al suo riso
C'è un vecchio cavallo color del cammino
Capisci al suo passo la morte che m'ispira
E che va senza me a chiederne la mano
*
Poema della sera
Su un giaciglio sfinito
Il lampo che oscura un istante
Mette la veste di fumo
E segue il vento distante
Su terre senza memoria
Ogni piede ha la sua scarpa
L'ala è bianca l'ala è nera
Il giorno è solo metà
E su una trama di cenere
Dove l'uomo non è che i suoi passi
Il cuore palpitò per cogliere
Ciò che uno sguardo non vede
E' la speranza che un mondo a venire
Abbia fatto buio con la nostra ombra
E sorridendoci alla finestra
Abbia solo i nostri occhi per vedersi
Dietro le quartine che lei ispira
Ai giorni che dubitano di te
La vita ha i suoi denti per sorridere
Di ciò che una volta era già stata
*
L'ombra gemella
Varca la notte senza sponde
Se tu sei solo vagamente
L'oblio restituirà il tuo volto
Al cuore da cui nulla è assente
Il tuo silenzio nato da un'ombra
Che a tutto il cielo l'ha unito
Schiude l'amore dove ti abbandoni
Alle braccia di un doppio infinito
E annullandoti sotto i tuoi veli
Presi alla notte da un fiore
Concede occhi alla stella
Di cui la tua ombra è il cuore
*
La fortuna dei giorni
Io so un rosaio dove sboccia una rosa
Non c'è più notte per l'ombra che è
Da un'aiola errante di bagliori chiusi
Dove lo sciame vibrava dei giorni passati
Non c'è fuoco nel buio che il cielo non l'abbia
Con il mio amore morto a tante cose
Tessevo il drappo funebre dei voti sfumati
Era quello di un pianto in cui sboccia una rosa
Alba di una vita estranea ai giorni
L'oblio dell'imprevisto morto dal nostro amore
Dischiude nel fiore la mano che lo stringe
E senza me cogliendo la rosa delle notti
Una sorella di cenere lascia le nostre terre
Rende il corpo lunare ai morti che io sono
*
Giorno e notte
Sul corpo di un uccello di bosco
Inchiodati dalle sue ali immense
I giorni crocifissi alle notti
Aggiungono un nome al silenzio
Passando su lui senza vederlo
Fanno occhi più grandi della vita
All'amante che strugge di sapere
Come si muoia d'essere gradita
I giorni che disfecero i fiori
Per seppellirsi sotto il loro peso
Si sono uniti al cielo nei cuori
Dove s'aprono le ali dell'ombra
Denudandosi sotto le acque
Che la sua trasparenza ha velato
Il mattino che nasce a occhi chiusi
Allibisce di una stella fuggita
La croce che spalanca l'orizzonte
Sente in voci che si chiamano
Due nomi sbocciare un canto
Dove l'alba ride di una rondine
***

TIZIANO FRATUS
Il vangelo della carne, 2008
[torinopoesia.org]
da: Parte prima / Poesie in pelle
dittico marino
I.
a picco sul mare ogni giorno il sole sulla terra
mentre rinunciamo ad afferrare le parole che ci piacciono e rassicurano
raccogliamo noi in noi chini sulla sabbia compatta della spiaggia
rami secchi conchiglie spolpate e pezzi di vetro
li cataloghiamo nel nostro personale linguaggio mediocremente scientifico
li sedimentiamo in vasi trasparenti sigillati da tappi di sughero
ci capiamo senza ragionare in queste corte giornate di vento a piedi nudi
ci basta l'istinto l'intesa lo sguardo e il tatto
il resto del mondo resta in bilico ma le uniche notizie le scoviamo tra le braccia
scolpite tra ossa e arterie setacciate nel sangue
emerse di colpo sul fiorire delle labbra
ad un passo dal ruggire delle onde che spazza via ogni tentativo di fissità
II.
i piedi fasciati nelle scarpe che abbiamo comprato insieme
in una mattina di pioggia
sprofondano lateralmente nelle sabbie della spiaggia deserta
mentre il vento riempie le orecchie fessura le palpebre e arriccia le onde del mare
grigi e blu minerali mischiati in un continuo pulsare d'animale
che non tace un attimo
accade e non di rado che la felicità si faccia strada in noi
quando la parola non ha modo di fluire
quando ci si bacia negli occhi e ci si tiene per mano
e si resta appesi al presente privo di lividi
*
da: Parte seconda / Vene maggiori e vene minori
sei un uomo che crede in un unico dio
sei un uomo che crede in un unico dio
figlio di una terra dimenticata e dalle radici in continua ricerca di profondità
sei un uomo del mare rimasto senza pesci e senza fiato per tenere stretto fra le mani
il rumore della risacca che si rincorre in cavalloni che percorrono distanze maggiori
di quelle che separano i pianeti le costellazioni il cuore indurito di due amanti tagliati in parti
sei un uomo spento nel cuore del vulcano
sei un uomo senza futuro e con un passato mozzato e sbiadito
sei un uomo forse che si è dimenticato cosa possa essere un uomo
sei un uomo senza arti senz'anima
le figure umane costrette dentro le cornici nere che adornano le stanze della tua abitazione
dormi con gli occhi chiusi le rughe incarnate
le ciocche di capelli sfuggite ad un'idea vaga di ordine
sei un uomo che piange negli angoli nascosti dei castelli e dei musei che visiti
sei un uomo che ama tradendo sé stesso e tradisce sé stesso amando
senza riuscire mai a tradire e nemmeno ad amare
sei un uomo che sente ridere i ricordi lontani che non ha mai saputo raggiungere
sei un uomo che brulica in un abito di api intente nella piccola misura del loro ronzare
sei un uomo che si consuma come il fumo di una sigaretta svanendo verso il basso
o verso l'alto o verso un punto qualsiasi dell'universo
*
progetto architettonico per un acquedotto
la vita sgocciola e per quanto tu stringa perde sempre
quella goccia che nelle ellissi della luce sembra nulla
nel cubo di silenzio della notte scava a fondo
scuote i cieli e le profondità della terra
solleva i fondali degli oceani e ribolle il sangue
un'idea d'amore che non dà scampo
bracca la notte per annidarsi sotto cute e rifiorire il giorno
ti fotocopia al negativo
ti converte all'antica pratica del pianto per amore
a cui non avevi mai creduto
eppure se la vita tua può essere salvata
dipende anche dallo schianto della debolezza
dalle parole che scrivi la mattina sulla sabbia
a pochi centimetri dall'acqua
dal sapere abbracciare invece di fuggire
invece di uccidere
*
le legioni sguarnite dell'innocenza
I.
in anni lanosi di scorie o detriti che caricano le bocche e gonfiano le pupille
ti abbandoni all'idea che il vuoto pneumatico che pompa le ore del giorno e della notte
possa essere colmato e disatteso dalla compagnia occasionale
che sia possibile che da fuori qualcuno arrivi a stappare
per consentire lo sgorgo del mare nero che respira dentro le pareti dell'esistere
in anni raccolti i segni di una cura inefficace
in anni ti percuoti a insistere nell'errore
in anni ti racconti storie che non convincono nemmeno le statue nelle chiese
quando fra un passo e l'altro ti rifugi sotto lo sguardo pietroso di
una madonna di un san filippo o di un santo stefano
sedendoti in mezzo ai banchi vuoti
sui legni scheggiati dai secoli e dai silenzi di chi si pente
depositi monete che transitano dal buio delle tasche al buio delle scatole
abbassi il viso e componi una preghiera laica
fingi di rivolgerti al signore o al detentore spirituale della chiesa
chiedi scusa goffamente
chiedi perdono e talvolta cerchi di dire qualcosa che sappia di religioso
la cura dell'anima
la fuga dal vuoto della solitudine
passa per il silenzio delle stanze da letto
piuttosto che nel baccano confuso dei lamenti di due esseri senza pace
guarda il nostro respiro dico contando le ossa del tuo costato
[...]
*
alle porte di san pietro
si dice che si soffra per amore
in verità si soffre per mancanza d'amore
per quel senso di distanza che s'innesta nel sentiero dell'impotenza
dopo una quaresima di morti bianche
innescate dall'abbandono alle leggi del vangelo della carne
a braccia a testate a morsi avrei abbattuto le porte di san pietro
e divelto mani e alabarde delle guardie che si sarebbero interposte
fra la mia rabbia e il centro della conoscenza che fa della
filosofia commercio di reliquia
non interessava contestare il potere
lividare il dubbio di un'epoca densa di contusioni
è chiaro che l'uomo è in fuga dalla decadenza
dal giorno stesso del concepimento
il sangue nascosto schizza dalle atroci convulsioni dei corpi
macchia di scuro il vortice dei pensieri che nel silenzio dei secoli
preme al fondo dell'anima
senza che se ne renda conto piuttosto di raggiungere la punta delle lingue
una visione di mimi francesi e acrobati russi si inalbera
nel cuore del paesaggio
sul palcoscenico scarsamente illuminato
con una luce troppo chiara per rendere giustizia delle intenzioni del regista
quelle vesti riutilizzate da un'antica rappresentazione del riccardo terzo
emanano polvere ad ogni rilassamento nervoso
effetti che il pittore fatica a rendere nei giochi di ombre
del quadro a cui sta dando la caccia da anni
pensare da troppo tempo d'essere responsabili del proprio dolore
al di là di quello che altri dicono e compiono e azionano
si gira e dimentica il nome e il cognome con cui è stato battezzato
un coro di vergini vestali della dea atena e un controcanto di castrati romani
inneggiano al sacrificio che bisogna compiere per salvare sé stessi da sé stessi mentre da un pulpito giovanni sartori
rispiega la politica per la milionesima botta
le donne usano nuovamente dipingersi nèi finti a lato del labbro
*
testa contro testa
proprio non so perché nella tua testa ti dica che per noi il futuro
non può che essere di dolore
non c'è alcun merito nel ritrovarsi nel sangue di un'altra persona
nel sentirsi così chimicamente in fusione
come avviene in noi quando siamo insieme
e ora in questo momento vorrei chiudere gli occhi
e riaprirli lì accanto a te sdraiati nel letto insieme
l'una contro l'altro ad accarezzarci a dirci piccole parole senza significato
*
da: Parte terza / I muri bianchi
sguardo miope di un discendente di galileo galilei
non raggiunge il silenzio qua carcerato
il tremolante gorgheggio del mare
ferito dalle lame del sole
che oggi illumina la distesa delle sabbie
le cinque pareti bianche che circondano
hanno perso presto la memoria della tua voce
le tue parole suicide su qualche foglio di carta
anche le tue foto riposano vuote
so che ti stai facendo divorare dal dubbio
dal torchio oliato del dolore
in una parte della città che non mi è concesso raggiungere
mormoro tra me e me il tuo nome
lo ripeto in chiesa quando riesco a trovare la forza di uscire fra la gente
ma a volte sembra che noi due non sia mai esistito
***
GIUSEPPE VETROMILE
UN PUGNO DI TEMPO
Ho appena conquistato un pugno di tempo da smaltirmi rilassato
sulla liquefatta balconata dopo aver rimesso in tasca
l'ultima ombra della cuccagna agguantata ieri in un effluvio
di sole abbacinante laggiù vedo un acero contorto e la luce
vi piove attorno come per accontentarlo io e lui
non siamo che gravità occasionali impulsi di terra
raccontati al cielo infinito come una fiaba per dormienti
buoni e castigati
non si sa mia cara veniamo da vicine ombre
l'uno all'altra affacciato per sentire le cose con gli stessi sensi
e i riti riprendere per esorcizzare la malasorte
e viviamo della stessa spesa e delle stesse orme di storia
nulla ci abbandona se non quest'ombra a sera e ci distacca la luna
dalle nostre orbite subliminali è vero siamo fantasmi mia cara
che cercano speranza nel buio corridoio
tra una stanza e l'altra
in abbondanza di miti scritti sulla nostra pelle di consumatori a sbafo
[segnalata con particolare menzione al XLIV Concorso Aspera -
edita sulla rivista Alla bottega n. 3/2006]
*
NON CI TOCCA LA SPERANZA
Siamo brevi incastri di terra e perdono:
mai nessuna nostra molecola è andata oltre
l'accoppiamento chimico dovuto
scritto nel quaderno del creato
un tornare indietro mille volte con la mente
cercando una possibile rinascita
laggiù nell'eden
o venuta dai cieli misteriosi
la nostra scaturigine ancora intonsa
e densa di peccato e immodestia
noi voluminoso amplesso di infiniti organi
incasellati da Dio in un fiat di luce
Non ci tocca la speranza
né l'avidità del prodigo figlio
che ritorna a scardinare ogni avere
per un attimo di felicità infeconda
Non ci tocca il domani inesistente e sgravato ora
pensando ad impossibili certezze
(nulla è il tempo che scandiamo ancora
dentro di noi)
mia cara:
ci dissero di profanare l'ombra e la morte
smagrirci fino a diventare spirito innocente
ma dove si compie il destino del sole
è su questo amen che ci richiude per sempre
nell'abito di terra
in questo qualsiasi giorno che non ci appartiene
[segnalata al XLVI Concorso Aspera -
edita sulla rivista Alla bottega n.3/2008]
***
TOMASO KEMENY
Tre poesie
Celebro la poesia
Celebro la poesia
che alle altre non somiglia:
scorre nelle vene azzurre dell'aria
per tingere di desiderio i cieli
e di gemme e di fiori incorona
la mai sazia d'amore.
Lei sola sfida il terrore senile
dell'avventura e accende il tramonto
a sospendere la lacrima stellata
della notte sovrana. Celebro lei,
la poesia che nel sangue germoglia
e ogni cosa decrepita muta
nella rosa di luce
che il mondo risveglia.
*
Stanze anarchiche
Ninna-nanna del porco mondo
la mia vita t'appartiene
e si trasforma di colpo
in un incubo a cinque stelle.
Chi cavalcherà la tempesta
alla testa dei giovani, dei vecchi, dei decrepiti?
Chi disgregherà lo smercio dei ritmi
spenti? Chi ruggirà
la gioia di vivere?
Chi suggerà la luce
dalle poppe stellate
della notte sconfinata?
*
Lappole
Fare l'amore
lungo il fiume
là dove la sabbia
bianca
diventa un letto
tra gli arbusti
Sentire
la vita
volare
sfiorando
le onde
Nel tuo grembo
di piacere
svanire
"Sei il vento
che mi
increspa
l'anima
di piacere"
mi sussurri,
qualche lappola
attaccata
alle calze di lana
tra salici e pioppi
in fuga
tra gli astri.
Ora il tuo volto
sembra una maschera di vento,
un sospiro infuocato
che mi rapisce l'anima.
L'albero e la sua ombra
tu ed io per sempre.
*
PIERLUIGI CAPPELLO
ASSETTO DI VOLO
Crocetti Editore, 2007
[per gentile concessione
dell' Editore, che ringrazio]
DA DENTRO GERICO
1998-2002
Isola
Padre, io a te
io inchiodato a te su questo scoglio
divino che conosci la tua alba
e allacci la tua potenza al fulmine
da questo culmine di spasimo
io vinto mando a te
vincitore di padri
la prora disorientata delle mie parole.
Concedi a coloro che erano ciechi
e a dismisura adesso vedono,
rotto il sigillo della fiamma,
l'ustione della carezza, il fragore
del pugno, ora che sanno
il tossico del palmo e delle nocche
ed è notte, profonda notte
a occidente di ogni immaginare
ora che le iridi conoscono
le costellazioni del dolore e del piacere,
concedi loro di sopportare
per ogni ciglio sospeso alle tenebre
al tramonto di ogni palpebra sfinita
la pronuncia dell'alba e del crepuscolo
e il rombo immenso, che sale dall'uomo.
*
DA DITTICO
1999-2003
dalla sezione Inniò
[versione in calce alla poesia in friulano]
Caino
Ma per te, Caino, fratello che ti scrivo,
le ginocchia sbucciate e la fronte segnata dal lampo,
rincorrersi, rincorrersi per sempre,
il sangue che batte il tempo, dentro le tempie,
la sua corsa il correre del tuo tremare
e ogni giorno la sosta un passo avanti a te;
per te, Caino, né il soltanto né l'abbastanza
né la pace del prima
né il conforto del dopo in pace,
soltanto la maledizione
di non poter cadere.
***
ANTONIO SPAGNUOLO
Da: Misure del timore
6 – Mare
La brezza ha una speranza lungo l'orizzonte:
una nenia che alberga tra il cielo
ed uno spazio che scivola.
Una vela, tre vele, venti vele, le tante vele
che intagliano arcobaleni incandescenti.
L'aria ti accarezza come un mutamento
nel capriccio celeste, corrode il sorriso
che vorresti affondare nel flessuoso millennio,
sino a divenire l'incavo dell'iride
e rischia di fluttuare tra le immagini
di un umido segnale.
*
10 – Dialoghi
Non ha senso annotare e scrivere nel nulla.
Desidero tornare a quella dolce malinconia
che ci accompagnava per i viali,
tra rami e ciottoli, tra le erbe aromatiche
ed il muschio, nell'umido rincorrersi.
Simile a quello che un tempo era il procedere
del destino, per scommettere qualche fantasia,
che circondi gli spazi della oltraggiosa passione,
per non tenerla in agguato come un presentimento
insonne sul corrodersi del tempo.
Chiedo un salmo che colmi il cuore,
una voce che tuoni profezie
e appaghi la tortura dell'ira.
Il dialogo che Dio non concesse
nel migrare di ore ventose,
nelle infinite pagine bianche
tramutate in un buffo risuonare dell' eco.
*
11- Ricordi
Come una volta ai miei ricordi,
quando la marina ripeteva richiami,
e gli scogli ascoltavano irrequieti,
ed il tramonto richiamava miraggi,
e le finzioni aggiravano sorprese,
e le acerbe lividure tornavano alle sere,
e brividi tormentavano il fascino delle ombre,
sgranare in silenzio qualche ritaglio
già seppellito più volte
per rinchiudermi nella solitudine.
Una sorpresa di colori,
come riserva ancora primavera,
misconosciuta nel volgere dei giochi
tra le carni per imperfezioni,
quasi mascherata da fiamme
per le mie urgenze che hanno il mutamento
della pelle che arrossa.
Hai l'ultima confidenza con le mie parole
per lasciare le corde degli estremi.
*
12 – Rimbalzi
La luna inceppa nel cielo,
impazzita per le fitte, barcollando,
per le sere che chiudono il mormorio,
a dissuadere gli incontri.
Decifrare il tuo ciglio è l'abbandono
più accogliente,
qualcosa che lentamente sgocciola,
nel fioco riverbero di alcune barriere.
Invano cerco lusinghe
nelle piccole storie quotidiane,
vagabondo a scartare le manie
o ancora una bugia da scoprire.
Più nulla intorno, intese di armonie
che fondono gli sguardi, suoni e colori,
per un'amara nostalgia
che sembra frammentare il passato
Fuggi mentre annaspo nel tempo
mentre fermenta la più strana parola,
e sventrano scorie intimidite
da nuove ferite, nei colori di ovattati
rimbalzi.
sito web di provenienza: https://www.ebook-larecherche.it/
*

Dalì
*
GUGLIELMO PERALTA
Da: Sognagione
L'albero della visione
Dammi Signore
la mia cecità
quotidiana
affinché io possa
mangiare
dell'albero
della visione
Nel giardino
soale
insegnami
ad arare
a coltivare
il canto
prodigioso
Ed io
mi nutra
del sonoro
frutto
E la terra
ne abbia
messe copiosa
E gli occhi
esultino
per la vendemmia
*
Sognagione*
Nella piantagione
dei sogni
l'agricantore**
coltiva
la sua messe
di stelle
E la vergine terra
accoglie
il suo canto
apre i frutti
sonori
nella bocca
del mondo
affinché tutti
mangino
dell'albero
in abbondanza
e ciascuno
veda
con gli orecchi
la luce e la dimora
* piantagione (o stagione) dei sogni
** è il poeta soale, che coltiva i sogni e il canto nella terra di Soaltà
*
Rivelazione
Nel sepolcro
di stelle
la notte
sapiente
custodisce
il suo
canto
E il mondo
che all'improvviso
si svela
ha il volto
del sogno
che squarcia
i sipari
*
Messia
Con la sua
scenografia
viene
la parola
lo s-guardo
ad incantare
E la parola
è il golgota
e il sogno
la sua croce
*
Metamorfosi
Vede stelle
lo s-guardo
nel nido
soale
Sull'albero
sono frutti
di luce
sonori
La mano
in ascolto
coglie
il canto
in volo
d'uccello
*
La visita
Io canto l'amore
che con passo di danza
viene a visitarmi
Ed ecco
il mio s-guardo si nutre di oro puro
plana nella notte profonda
come un sole-gabbiano
e l'ospite prima inatteso
ora mi è familiare
Nel giardino soale
cresce
col sillabario celeste
l'albero della visione
Amo quest'amore
che nel cielo infinito moltiplica
le mie braccia
Quando l'angelo viene
ha inizio lo spettacolo
il sogno si spalanca sulla scena
e apre nuovi sipari
Con mille bocche riproduce
il suono delle cornamuse
tracima il firmamento
con tutte le stelle
nello spazio fiorito
e la voce che chiama
silenziosa
è un fiume di luce
Io amo
questa veglia d'amore e di fuoco
amo la soglia segreta
il mistero numinoso
che fa di me un viandante
Amo
la Poesia
che con fruscio d'ali
bussa ed annuncia
Allora i miei passi conoscono
lo stupore del cosmo
E le cose
anche le piccole
e dimenticate cose
sognano il loro angelo
E l'uomo
che vinto si piega all'ascolto
libera le neurostelle*
per il convivio d'amore
* le idee, splendenti come stelle (neologismo dell'autore)
*
Dentro, fuori
Io canto il cielo invisibile
che con intima voce
canta. Dentro,
ove s'annida l'implume
parola, è il mito della nascita.
Fuori, nella falsa luce,
si aliena l'infinito. Ma
rotonda è la visione
che lo s-guardo assapora
nel giardino soale
dove coi sogni vola
la rondine sonora.
Io canto la pura dimora,
la scena segreta che s'apre
allo spettacolo. Dentro,
dove crescono i frutti,
si rinnova il miracolo.
Fuori, nell'uso quotidiano,
marcisce la rosa. Ma
sempreverde è la notte
dal candido calice,
dove sbocciano le stelle
per incanto,
dove fiorisce l'albero
dal fertile respiro del vero.
*
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*
Giangiacomo Amoretti
Matura nel silenzio e vi si cela
come in esilio la parola. Sembra
inerte, viva a malapena – seme
che non fiorisce, luce che non schiara.
Ma radicole e filamenti vanno
più giù, tentando il buio della terra.
Un'acre linfa scorre tra le cellule –
tra le sillabe un'ansia, come un tremito
lungo di febbre.
*
DA "IL LIBRO DELL' INQUIETUDINE"
DI BERNARDO SOARES (eteronimo di FERNANDO PESSOA)
33.
(154) 15.9.1931
Nuvole… Oggi sono consapevole del cielo, poiché ci sono giorni in cui non lo guardo ma solo lo sento, vivendo nella città senza vivere nella natura in cui la città è inclusa. Nuvole… Sono loro oggi la principale realtà, e mi preoccupano come se il velarsi del cielo fosse uno dei grandi pericoli del mio destino. Nuvole… Corrono dall’imboccatura del fiume verso il Castello; da Occidente verso Oriente, in un tumultuare sparso e scarno, a volte bianche se vanno stracciate all’avanguardia di chissà che cosa; altre volte mezze nere, se lente, tardano ad essere spazzate via dal vento sibilante; infine nere di un bianco sporco se, quasi volessero restare, oscurano più col movimento che con l’ombra i falsi punti di fuga che le vie aprono fra le linee chiuse dei caseggiati.
Nuvole… Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia. Sono l’intervallo fra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto sogno di essere e quanto la vita mi ha fatto essere, la media astratta e carnale fra cose che non sono niente più il niente di me stesso. Nuvole… Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio! Nuvole… Continuano a passare, alcune così enormi (poiché le case non lasciano misurare la loro esatta dimensione) che paiono occupare il cielo intero; altre di incerte dimensioni, come se fossero due che si sono accoppiate o una sola che si sta rompendo in due, a casaccio, nell’aria alta contro il cielo stanco; altre ancora piccole, simili a giocattoli di forme poderose, palle irregolari di un gioco assurdo, da parte, in un grande isolamento fredde.
Nuvole… Mi interrogo e mi disconosco. Non ho mai fatto niente di utile né faro niente di giustificabile. Quella parte della mia vita che non ho dissipato a interpretare confusamente nessuna cosa, l’ho spesa a dedicare versi prosastici alle intrasmissibili sensazioni con le quali rendo mio l’universo sconosciuto. Sono stanco di me oggettivamente e soggettivamente. Sono stanco di tutto e del tutto di tutto. Nuvole… Esse sono tutto, crolli dell’altezza, uniche cose oggi reali fra la nulla terra e il cielo inesistente; brandelli indescrivibili del tedio che loro attribuisco: nebbia condensata in minacce incolori; fiocchi di cotone sporco di un ospedale senza pareti. Nuvole… Sono come me un passaggio figurato tra cielo e terra, in balìa di un impulso invisibile, temporalesche o silenziose, che rallegrano per la bianchezza o rattristano per l’oscurità, finzioni dell’intervallo e del discammino, lontane dal rumore della terra, lontane dal silenzio del cielo.
Nuvole… Continuano a passare, continuano ancora a passare, passeranno sempre continuamente, in una sfilza discontinua di matasse opache, come il prolungamento diffuso di un falso cielo disfatto.
Traduzione di Maria José de Lancastre e Antonio
*
JORGE LUIS BORGES
IL COMPLICE
Mi crocifiggono e io devo essere la croce e i ...
chiodi.
Mi tendono il calice e io devo essere la cicuta.
Mi ingannano e io devo essere la menzogna.
Mi bruciano e io devo essere l'inferno.
Devo lodare e ringraziare ogni istante del tempo.
Il mio nutrimento son tutte le cose.
Il peso preciso dell'universo, l'umiliazione, il giubilo.
Devo giustificare ciò che ferisce.
Non importa la mia fortuna o la mia sventura.
Sono il poeta.
*
ANTONIA POZZI
Per Emilio Comici
Si spalancano laghi di stupore
a sera nei tuoi occhi
fra lumi e suoni:
s’aprono lenti fiori di follia
sull’acqua dell’anima, a specchio
della gran cima coronata di nuvole…
Il tuo sangue che sogna le pietre
è nella stanzaun favoloso silenzio.
Misurina, 7 agosto 1938
*
Sgorgo
Per troppa via che ho nel sangue
tremo
nel vasto inverno.
E all’improvviso,
come per una fonte che si scioglie
nella steppa,
una ferita che nel sonno si riapre,
perdutamente nascono pensieri
nel deserto castello della notte.
Creatura di fiaba, per le mute
stanze, dove si struggono le lampade
dimenticate,
lieve trascorre una parola bianca:
si levano colombe sull’altana
come alla vista del mare.
Bontà, tu mi ritorni:
si stempera l’inverno nello sgorgo
del mio più puro sangue,
ancora il pianto ha dolcemente nome
perdono.
(12 gennaio 1935)
*
Desiderio di cose leggere
Giuncheto lieve biondo
come un campo di spighe
presso il lago celeste
e le case di un’isola lontana
color di vela
pronte a salpare –
Desiderio di cose
leggere
nel cuore che pesa
come pietra
dentro una barca –
Ma giungerà una sera
a queste rivel’anima liberata:
senza piegare i giunchi
senza muovere l’acqua o l’aria
salperà – con le case
dell’isola lontana,
per un’alta scogliera
di stelle –
1° febbraio 1934
*
Funerale senza tritezza
Questo non è esser morti,
questo è tornare
al paese, alla culla:
chiaro è il giorno
come il sorriso di una madre
che aspettava.
Campi brinati, alberi d’argento, crisantemi
biondi: le bimbe
vestite di bianco,
col velo color della brina,
la voce colore dell’acqua
ancora viva fra terrose prode.
Le fiammelle dei ceri, naufragate
nello splendore del mattino,
dicono quel che sia
questo vanire
delle terrene cose
– dolce –,
questo tornare degli umani,
per aerei ponti
di cielo, per candide creste di monti
sognati,
all’altra riva, ai prati
del sole.
3 dicembre 1934
*
Alpe
(...)
Sulle vette,
quando la brezza che ci sfiora è l’alito
di vite arcane riarse di purezza
ed il sole è un amore che consuma
e, a mezza rupe, migrando le nubi
sopra le valli, rivelando a squarci,
con riflessi di sogno, la pensosa
nudità della terra, allora bello
sopra un masso schiantarsi e luminosa,
certa vita la morte, se non mente
chi ci dice che qui Dio non è lontano.
Pasturo, 28 agosto 1929
*
LASCIATE CHE IO MI PERDA
O lasciate lasciate che io sia
...
una cosa di nessuno
per queste vecchie strade
in cui la sera affonda -
O lasciate che lasciate ch’io mi perda
ombra nell’ombra -
gli occhi
due coppe alzate
verso l’ultima luce -
E non chiedetemi - non chiedetemi
quello che voglio
e quello che sono
se per me nella folla è il vuoto
e nel vuoto l’arcana folla
dei miei fantasmi -
e non cercate - non cercate
quello ch’io cerco
se l’estremo pallore del cielo
m’illumina la porta di una chiesa
e mi sospinge a entrare -
Non domandatemi se prego
e chi prego
e perché prego -
Io entro soltanto
per avere un po’ di tregua
e una panca e il silenzio
in cui parlino le cose sorelle -
Poi ch’io sono una cosa -
una cosa di nessuno
che va per le vecchie vie del suo mondo -
gli occhi
due coppe alzate
verso l’ultima luce -
*
Fine 7
Ritorno ed è ancora sul greto
orma di mare
mentre l’onda si esilia.
E m’imbarca:
e saluto le rive e i colori,
sfumo nel dolce morente
tramonto,
con te mare,
ora vasta
della mia fine notturna.
*
Da PAROLE, 1938
LAMENTAZIONE
Che cosa mi hai dato
Signore
in cambio
di quel che ti ho offerto?
del cuore aperto
come un frutto –
vuotato
del suo seme più puro –
gettato sugli scogli
come una conchiglia inutile
poi che la perla è stata
rubata – (...)
Milano, 6 maggio 1933
DORIAN VERUDA
Da Sarò l'ultimo papa
Genesi Editrice, 1987
Collana di Poesia I Gherigli - n° 25
PROMETEO – L'ELETTO
A Sergio Quinzio
1.
Condannato a fissare
Spire – su spire – di luce…
- laggiù
carriarmati si cozzano – esplodono – il napalm
erige ululanti piramidi-torce
La cupola
è diventata falò gigantesco
… e la folla
… la folla ubriaca…
crepita
nel martirio
supremo…
La croce…
la croce…
danzerà…
nel violaceo
crepuscolo…
Sarò
L'ultimo Papa
- l' Eletto…
Me ucciso…
l'orgiastico – tripudio – di abominio…
culminerà…
L'epocale fastigio.
Poi calerà la – celestiale – armata.
2.
Nelle membra – inrocciate – una gioia
- orrenda – formicola.
E mentre
per l'etere fisso sciamare quei punti
barbuglianti – con essi compulso
mi dissemino in quegli – assorti – nodi.
Divengo un'orbita anch'io.
(Nel tuo sudario
accoglimi
- o Notte –
oppiaceo…)
Ahi – nella grande
metamorfosi
- esplode –
di fuoco
- la memoria precosmica.
(Nel tuo
- calamitato –
maestoso
orgasmo…
mi allucino…
dilato…)
3.
Pupazzo
mi guardo
- lustrale…
- alla forca
- mi tasto –
penzo
lante
- del colonnato di San Pietro.
Ma tu…
redivivo Plutone
- Lucifero…
Ahriman…
non avrai
il mio sangue
- per sempre –
il mio scettro…
Dall'
incesto
obbrobrioso
- per cui
ora mi avvinghia aculeata rupe –
sarò sbalzato
- tratto nella sedia
gestatoria…
Corone di mani
Corone di volti imploranti
Sarò
dischiodato
da gente
dissoluta
- blasfema –
per l'ultimo baratto
… e poi sgozzato
sul libro del dubbio…
Cadrò
con le flaccide membra…
Sputeranno
- imprecheranno
- alle ceneri sparse…
Nel fiume – insanguinato –
sparirò.
E la croce
- la croce –
danzerà
nel violaceo crepuscolo…
Allora
- oh allora…
(senza scampo è l'anatema)
sarà l'inizio dell'Apocalisse.
*
DIALOGO CON MIO PADRE
Padre, la notte s'è spogliata: aduna
gufi e civette per il grande sabbath
quando la mente straripata – formicolerà – di sulfuree
lune e il destino – schiumerà – in vascelli
di folli di streghe fachiri.
Perché
la morte trionfale prepara giumente di bronzo
inghirlanda la fronte di diademi spettrali
per il sommovimento archetipico
il tripudio – che seppero – i re Magi dei mistici.
Il mondo bolla iridescente svàpora…
Il cavallo dall'ali – arpionanti – già plana
con l'angelo d'infanzia su – ciminiere - gravide
di putrescente – annichilante – gas.
E noi…
noi così dementi
- penitenziali – cerei…
aspettiamo lo squarcio del cratere
la sibilla che grida
che grida
disseminando bambole – chiazzate – di pus.
Padre, il mistero – mitico – dischiude le sue valve.
Ciò che fu predetto fu ampliato in furore di trombe
i sigilli divelti confessano arcaici enigmi.
Il mondo
Che amammo si svela
Controfigura di un Moloch
Sidereo…
Le membra spezzate del Dio
generarono mostri
senza mai fine
- ma i mostri
sono scoppiati in un grottesco riso.
Ed ha vinto la Morte paziente
sacerdotessa del vento…
Accetta, padre, la preghiera del bimbo
trafugato
al di là, nel deserto
contraffatto
del sogno.
*
UN GIORNO SCENDERAI
Signore,
un giorno
scenderai dalle nubi d'argento
col carro di fiamme che esplodono in grida
entro lo sguardo di stella scoppiante
uncinerai le – nostre – piattaforme
i nostri grattacieli
le piramidi.
Un giorno scenderai – fulva cometa –
sulle nostre metropoli schiantate.
Troppo peccammo scatenammo giusto
furore
la tua sacra rabbia.
I nostri
misfatti – hanno tradito – il tuo sorriso
il tuo splendido – sogno – aquilonare.
Troppo peccammo: costruimmo ordigni
di sterminio.
Godemmo di boati
ed – orizzonti – di bagliori.
Croci
uncinate intessemmo in camere a gas
e labari librammo in processioni
- fanatiche – empie.
Facemmo tirassegno sui bambini.
Sventrammo le donne
con voluttuosa insania.
Le città
bombardammo.
La cenere
- cateratte di cenere –
testammo
ai nostri – figli – sciagurati…
° ° °
Quale perdono noi potemmo chiederti
quale preghiera osare?
Dove cercare la tua franta Immagine?
Quando dal Tuo silenzio ci balzasti
e le voci dei giusti calpestati
-dei miseri abbattuti –
in Te si fusero…
i morti si schiodarono dall'ombra
brandirono i sudari come lance
imbracciarono i teschi fiammeggianti.
Ora marciano – insieme a te –
per il grande olocausto.
Per il compimento dei tempi.
Signore,
abbi pietà dei nostri bimbi.
Soltanto – essi –
ancora
non hanno avuto il tempo di peccare.
Essi corrono – ignari – come il vento.
***
Chiedo venia, non mi è stato possibile riprodurre la posizione dei versi come nell'origine.
___
JORGE LUIS BORGES
IL COMPLICE
Mi crocifiggono e io devo essere la croce e i ...
chiodi.
Mi tendono il calice e io devo essere la cicuta.
Mi ingannano e io devo essere la menzogna.
Mi bruciano e io devo essere l'inferno.
Devo lodare e ringraziare ogni istante del tempo.
Il mio nutrimento son tutte le cose.
Il peso preciso dell'universo, l'umiliazione, il giubilo.
Devo giustificare ciò che ferisce.
Non importa la mia fortuna o la mia sventura.
Sono il poeta.
*
GIOVANNI COZZA
PIANSE LUI ALMENO
Io cerco e non oso la
svogliata ombra del
Cristo sul muro al materialismo
indotto e rotto
trascino le mie bave per
chiostri e affreschi remoti e
sbiaditi. Oltre il
dirupo urge il digiuno e il
capo sotto la tenda allo
sperpero delle miserie consce ove
placa il fetore del sudato e il
feroce turgore per l'esclusa rinuncia
dato il breve spazio. Eppure
non vale. La breccia torna da
tempo troppo incisa e il
tuo corpo di carne sale al
mistico repertorio della sacrilega
offerta nella stupenda
lascivia di un mantello per me
disteso e fatto. Appeso alle
mie plastiche
mani figuranti profili
fermi d'avorio nello
stillicidio mi vedo di mal
sommerse paure. Pianse Francesco almeno
un giorno lontano e santo nel
saio avvolto.
2° classificato al Premio Internazionale di Poesia
"Guido Gozzano" 1975
Da "Controcampo", anno II - N. 1
*
CARLO ERBETTA
FANTASIA N. 6
Bagliori viola su crocefissi
aggrumati in deserti
tabernacoli pipistrelli di
silenzio "Cristo dove
sei?" - "Ancora Ti
giocano ai dadi del
la parodia!" stingono rotule di
legno farisaiche labbra al
l'ora nona del Venerdì Santo da
pulpiti-uragano agli eletti
quaresimali di pani
d'oro da graticole reprobi
iconoclastici invocano
paradisi il grido cade per
la terza volta il
clamide cade fustigato
anfiteatro di fiaccole al
Gladiatore morente
"adagio maestoso" sul
la piazza-proscenio si
recita a soggetto strabocca il
calice di tutti i
crocefissi una
parabolica verità
mistificata.
Encomio al Premio Internazionale di Poesia
"Guido Gozzano" 1975
Da "Controcampo", anno II - N. 1
*
TERESIO ZANINETTI
Non per nulla
tutti i fiori ritornano nel perimetro estatico
del cuore rimasto
sgranulando bocci d'orchidee e trifogli
Nel caldo mattino
solleviamo briciole
per palpiti senza respiro e ancorché deserto
il prato riavrà parole dovunque l'aria lo voglia
silenzio
di fate di prua
nei vuoti balconi
dove rasserena la dolce canzone
di rabbie e singhiozzi
silenzio
non un'anima fiati
il silenzio si scioglie nel gelo.
(Dicembre 1994)
Dalla Rivista GRANDE VETRO, Maggio '07
*
T. S. ELIOT
La precipite colomba spezza l'aria
La pricipite colomba spezza l'aria
D'una fiamma di terrore incandescente
Le cui fiamme proclamano
L'unica remissione dell'essere e del peccato.
L'unica speranza, o se no la disperazione,
E' nella scelta dell'una o dell'altra pira -
Ad essere redenti dal fuoco mediante il fuoco.
Chi dunque appressò il tormento? L'Amore.
Amore è il nome inusitato
Dietro alle mani che temerono
L'intollerabile tunica di fiamma
Che forza umana non può strappare.
E soltanto viviamo, soltanto sospiriamo
Consunti dall'uno o l'altro fuoco.
*

Felice Serino - Collage apparso sul catalogo "Siviera", mailart
*
NICOLA FIORELLA
DIARIO D'INVERNO
Verdi onde salate muovono il linguaggio solare
nella stagione che brucia le foglie.
Qui di fronte al mare
apro il mio diario d'inverno
con le pagine logorate dal tempo
e urlo per il sangue perduto,
per il sole che cade nei giardini di pietra.
Vibrazioni di voce
narrano la storia dei mondi rovesciati
nel vuoto del cielo.
Un grido di terra
nelle sfere ossidate, una luce ferita
fra le ombre tradite
battono le pietre nel gioco crudele degli atomi.
Ora che l'uranio muove le ruote atomiche
entro nel vuoto delle chitarre infelici
dentro il labirinto della vita
e con la rabbia del vento
cancello tutte le memorie del computer.
[dalla III Rassegna Int.le di Letteratura
LOGOS 1988]
*
TERESIO ZANINETTI
A questo non m'abituo
(Leggevo il tuo profilo esangue nei libecci
arrancando tra gladioli e fiordalisi
dentro i covoni della morte in panne):
questa luce falsa gli occhi, tradisce
bisogni e pazienze, stronca
sul nascere bocci - a questa luce
dai lividi brulli non m'abitua
il liso ricordo del domani in croce.
(Leggevo le tue rughe nei cristalli tintinnanti
assaporando intrecci mozzati di mani giunte
nel girotondo degli scorticati vivi) -
Forse era natale o capodanno, viziate
di droga capitalista le famiglie serravano
pance e manette (panettoni, anitre all'arancia
figli & figlie parenti stretti al collo
da gustare al dente)
- forse era l'altr'anno o non ancora.
Sta di fatto che a quest'aria di morte non m'abituo
Mentre il boia sorride con piacere automatico
ancora la mia mano rifiuta dovute tenerezze.
Sto con le mie prigioni dentro il piombo
del mio corpo stretto. Sto.
Non so come né quando. Sto.
Con il cranio dell'odio di classe. Sto
In un mattino disatteso e stanco
qualcuno esplorerà il relitto
delle ossute gimkane a piedi freddi.
A questa maturità che selvaggiamente delicata cresce
solo un grido - domando - di vendetta e di riscossa,
dolce e tremendo come il dolore
nel tuo profilo esangue, trasparente, vivo.
Teresio Zaninetti (fondatore e editore della Rivista) - 1988
[da LOGOS, 1991]
*
CARLO ERBETTA
BALLATA N. 8
CHI MI DARA'
palizzate d'oniriche
speranze su zattere
naufraghe in marciti
fosforiche la
meridiana d'ore a
illudere il tempo proiezioni di
sole dilaniato sul
l'antico quadrante del
cuore?
CHI MI DARA'
oltre pantografi numerati sul
la tavola pitagorica del
cemento lontananze di
muschio comignoli non
blasfemi presso un
Natale di poche
noci?
CHI MI DARA'
fiocine d'istanti
esplosi entro coralli di
rugiada tramontane a
frugare lunari
soffitte dietro chiuse
vetrate per
accogliere innesti di
amore?
CHI MI DARA'
su caste pale una
fronte di trittici rosa-
pallido e oro la
Annunciazione senza
fiocchi d'organza o Rolls-
Royce per vivi cassa da
morto?
CHI MI DARA'
periferie gitane a
percuotere cieli di
rame gli orti lavati in
absidi di nuvole il
fragore di variopinte
balere a
dilatare vicoli in
festa?
INTANTO IL
frantoio dei sogni da
bidoni rovesciati inesorabile
rigurgita pattume su
anime di
asfalto.
[da Alla bottega -
2° Premio al Concorso di Poesia -Aspera- 1974]
*
BALLATA N. 2
RIDATEMI
arcobaleni di gazze
crocifisse su pali
telegrafici di lira
cherubini suonatori da
arcate bramantesche a
planare su
sguardi d'ogivale
stupore
(Piangono dèmoni
nascosti in pieghe di
tufo con un occhio
solo appollaiati!)
RIDATEMI
pascoli di nubi
scotonate come
tragiche meduse in
metamorfosi d'acquario
mani senza
dimensioni algebriche né
spazi incatenati da
diagrammi di
colore.
(Il colesterolo morde
coronarie aggrumate
l'Amore sbadiglia
nella noia del
coito!)
RIDATEMI
binari di fumo
palette ancora
verdi su pensiline senza
ritorno radure di
carri imbalsamati nel
sole trito da
cicale a battere il
tempo.
(Cornamuse di luna
cantano remoti
peana all'abbaglio
angoscioso del
laser!)
*
BALLATA N. 5
TORNERANNO
tènere sul mangiafumo
coccinelle multicolore feltri
giocheranno specchiere
murali a
Portobello.
TORNERANNO
filari di pace
stemperata da
nuvole d'erica dischiusi
cancelletti in
distici di
rose.
TORNERANNO
pagine di azzurro
sfilacciate ciglia del
mattino una
pausa di sole la
paletta su
vicoli di
fiaba.
TORNERANNO
abbaini di polline
spiovente sintonia per
disperse dolcezze ritrovate
se
una foglia vizza dietro
Nelson potrà ancora
essere la
luna!
[da Alla bottega, n. 4 - luglio-agosto 1975]
*
GUIDO PAZZI
MADRI DI SOLITUDINI
Vicino a stelle che indossano vesti di malinconia
ha vita un pasto di luci dovendosi posare fra occhi di bimbo
con lievità sconosciuta e togliere dolore da madri
con il cuore racchiuso in taglienti solitudini.
*

TERESIO ZANINETTI
CANZONE
già da sempre impiccati
all'albero maestro i predoni
della storia ricamata
con cocci di diamante
dal lustrascarpe di turno
(per ossari e sacrestie
conducevano il fanciullo censurando
i clamori dell'incenso e i guaiti
della folla incatenata
al cerchio di luce sul capo)
e se ancora la pioggia trasforma
in palude il granaio
restiamo insieme a rammendare
il lacerato cielo sopra
questa terra insanguinata.
*
GENESI UNO E DUE
aruspice, dinastia di suoni amorfi
cui il guanto sta come
un seno alla donna. che se
poi rughe sui ginocchi incrociandosi fanno
vento si muore
d'infamia procreando rettili. e
così(s)sia
(nell'antro del lupo). ma
domani
(sotto un sole nuovo)
sventoleremo il giorno sopra
le macerie dell'uomo
(il mai nato di ieri che parla
linguaggi di neve
smussata agli albori
tra scorie e cascate di sangue).
e saremo.
[da Alla bottega, n. 3 - maggio-giugno 1977]
*
GUIDO PAZZI
GIARDINI DI LUNGO IGNOTO
In un giardino di attimi abbigliati
a lungo dall'ignoto termina un pasto di luci;
dovendosi dileguare fra occhi di bimbi
che tolgono lagrime da madri cariate di dolore
e balzi di solitudine.
E riposano dove il pudore sorride alla luna
che sibila bianca eternità e dona fonti
di silenzio purpureo che abbacina
le notti dei sogni col cuore del vento.
[da Alla bottega]
*
GIOVANNI BARRICELLI
RESURREZIONE
Invocando vite inapparenti m'indussero
le zolle sentore di prodigio, dai visceri
del cardo d'impeto sgorgò il fiore giallo.
Era la terra che impugnava il pennello
a tempestare il grembo di colori nuovi.
Il presagio del chicco morituro quando
il pugno vibrava nuvole di grano simile
a proclama: - Fango risorgerò dalle fibre
infrante, in più vite rivivrò verde
linfa ritornata sangue.
*
IO SONO DEL TUTTO E DEL NULLA
Nel breve giro in quegli mi alleno, nel
rapido abbraccio riscopro ambedue, il
pianto ed il riso in comune.
Sprofondo alla terra laddove radice è
l'anima mia che arde in grovigli di spini,
risalgo alla somma del tronco, ritrovo nei
rami deformi le braccia che avevo perduto
e dallo stormire di foglie richiamo il
verbo facendolo mio.
Io sono del tutto e del nulla e l'occhio
m'è cieco perché ogni piccola piaga del
mondo ricalca lo sguardo.
Porziuncola di corpo, trattengo soltanto
una parte di ciò che fu mio, che il più
fu perduto dal seme che spiego nutrendone
il mondo.
*
I RESPONSI DELLE NUVOLE
Messaggi scritti sulla sabbia del cielo
e tu che trattieni e rendi incancellabili
geroglifici di steli
sommersi da altre nuvole che incidono
responsi, parole nuove su lavagne
anch'esse inabissatesi e consunte
tanto via via sbiadisce
il detto e all'occhio trascolora
perché si accavallano le nubi.
E' tutto un rinnovarsi di coscienze
che recano messaggi sopraggiunti.
[Da Alla bottega]
*
GIORGIO BARBERI SQUAROTTI
Per anni non fu che un'agonia (cioè - disse - una
lotta o, meglio, una gara non voluta, una corsa obbligata avanti agli
occhi dei carnefici, fra i curiosi attardati per le strade
delle sere lunghe di dicembre), c'era di là forse la vita, ma
non seppe mai quale voluntate fosse pace per te per lui per il Dio che
ogni tanto pregava nel timore degli autunni o dei fulmini o dei giorni
di veglia accanto al tuo sonno inquieto, alla tua febbre,
o se di tutta la fatica e l'affanno il senso fosse
continuare resistere durare
senza fare domande.
*

Pierluigi Cappello
GIORGIO BARBERI SQUAROTTI
IL FOGLIO
Candido un uccello bucò il foglio
scialbo del cielo d'estate, lentamente
si abbassò sul popolo di anime
nude sotto il vento basso: e dallo strappo
ecco uscire gonfi pesci nerastri con la bocca
aperta, un volo di locuste, le gote rosse di un ragazzo
che soffia invano dietro l'ombra lieve
di una nube rotonda come un'ultima
difesa del pudore sopra questa
vulva spalancata della storia che produce
vermi scorpioni re coronati che severi
assistono alla morte degli schiavi
topi con le lunghe code ispide
un volo biondo di capelli un riso ambiguo
sopra un volto caprino l'ano nero
di una scimmia che vomita monete
d'oro l'urto di una tempesta che forse
è esplosa in qualche parte del tempo dove lascia
rami spezzati, strade piene di fango, foglie,
stracci di vapori velenosi, torri
infrante, schegge di vetri in cui si specchia il nulla
di un giorno senza fine, in cui già tutte
le possibili storie sono state
rappresentate fino in fondo, nessuna traccia ne rimane
negli occhi fitti della gente che ora un poco
si muove sulla spiaggia, scuote dalla
memoria le immagini di fumo, le figure d'aria,
i fantasmi usciti dalla pagina
bucata del libro di Babele: un uccello,
il primo che quest'anno giunge fin qui,
con un pesce che ancora s'agita nel becco,
poi si perde nel vuoto verso terra,
il cielo si è richiuso sull'estremo guizzo di una coda,
il tempo muore, e non c'è altro segno
che quello di Giona.
*
GIAN LUCA FAVETTO
PER UNA VOCE SOLA
In una sera - quando ancora è giorno - buia di libri
annego. In alto tra le medesime fiamme
giacciono gli immortali invecchiati sonni.
Il vento non li avesse amati! e musiche
come preghiere, abbracci distruttori.
Sfilano parole cicatrici che incantano e ribrezzano
i cieli di fredde stelle e lune - chiazze
nel lago, simili a lenzuola da poco usate.
Allora immergo la mia pen(n)a e vorrei un altrove
debole ma vero, ma fuggito all'imballo della carta.
E mentre parlo dormo e il veleno in me è pace.
Dilenziosa gioia per le ringhiere degli occhi
sale lenta e senza affanno: che so che posso
amare ancora fuori d'ogni inganno.
Contro il futuro ed il possibile già digerito
s'agita in lanterna una lamella d'inconnu,
nuvola sospesa su altre nuvole
piove - rada - ripida - e fulgente.
Ed andavamo io e lei che era notte e alba e giorno fatto
ed andavamo ancora.
*
FERDINANDO BANCHINI
EVENTO
Monti gregge violaceo che sta
ammusato brucando la pianura
vaporante la sua vita segreta,
grani di luce che si spande lenta,
stupore mattutino.
Scacchiere colorate, luccichii
d'acque di strade, chiazze verdi bianche
d'alberi casolari, pigri fiumi,
lo stridulo sfrecciare delle rondini,
l'aprirsi del miracolo, l'avvento
di sgomento e di fiamma, del mio tempo
di cenere e di canto, la presenza
che si staglia nel giorno.
[da Noialtri - marzo/aprile 2007]
*
FERDINANDO BANCHINI
OLTRE
La sera allarga il suo varco quieto
nell'ordito rosa-viola, avanza
nel gioco indolente d'un soffio
di vento salso fra gli ulivi. Sparsi
segni fugaci brillano a un riverbero
ultimo, di splendori in numeri annunzio
sereno. Ampio indugio pacato
bellezza rinnovantesi. Voci alate
sommesse si rispondono nei folti
cupi dei lecci. Oh certo trepide mani
ora illudono volti di fiori e di luci,
svanendo ansie in parole lievi.
Quale gioia si spande, quale accordo
mite si compie? Intorno
la buona terra odora.
Ma altrove, altrove è l'eterno.
Oltre sabbie riarse, aerei picchi,
alta aspra è la vita.
[da Noialtri - gennaio/febbraio 2009]
*
FRANCESCO MAROTTA
LA CANZONE DEL SONNO
città irate cieco confine
di cui diranno il nome
frugando luci
che gemono
fra le pietre mappe
invisibili
che ondeggiano confuse armonie
febbre di mani
che si dissetano
nella pietà di un fiore
i passi somigliano
di lampade
verso orizzonti murati
nel gelo
di una voce gli occhi
scomposti
come lontane aurore
questo notturno appesantire di stelle
prive di mondi
attendono gli sguardi e forse
inventeranno un sole
sulle pareti
di palazzi vuoti
giocheranno i domani
come approdi sognati di sete
dove è già tramonto
ogni storia che strapparono ai giorni
canti deserti
di ore rovesciate
le stagioni negate alla terra
**
perché è autunno
l'anima che vedi rotolare lontano
distaccata
risonanza di abbandono
che per nessun volo
saprebbe ormai farsi sentiero
o dimora costretta
a stupore di liquidi ciechi
di carne
e memoria esplosa
tra le rotaie
e la sera compagna
di un grido
compagna di un dio che trascorre
come chi semina
voci di pietre
e frutti domanda a penombre
di sabbia
un dio che morde e avvampa
vestito da bambino
che uccide le sue mani
simili a vento
profumo di spine
dagli anni feriti parole fiorisce
di un oggi che è tempo
che non pesa
e in pozzi di strade
annega
di luce
che non conosce immagini
***
nome non ha né giorno
questa città che mi scoppiava
in mezzo agli occhi
di maschere liberate
nella ritualità
del suo dolore danza
lungo il grigio delle ombre
e i suoi istinti
e notte il canto assenza il viso
che si dispiega per cammini
sterili nulla la voce
che la guida
tranne talvolta quell'unico
lamentato silenzio
che non grida che
non chiede
non dice i passi
non legge l'ora sanguinante
al fuoco dei suoi muri
l'ombra dipinta
che ti viene incontro la polvere
che degli anni è rimasta
impigliata in graffi lenta
curva di lampi
franati
su strade arate di luna
e porti di vento intorno
che affondavano lievi
il cielo superstite
il giorno nell'acqua dei navigli
****
a fatica sospeso in voli di peste
ricompongo le voci
del suo canto io vado là
nel sole di un altrove sommerso
a leggere torri di vetro
stagioni di sale
in un nome a gridare
preghiere senza sonno
come fossi già un passo
sopra l'altro
tra Milano e la follia
più vicino alla lingua
che senza sangue
fa rivivere i volti
non riflessi dagli specchi del giorno
che abita grovigli di vite
accenti e rumori di esistenze
bruciate e neppure c'è un dio
oltre il sonno
ma un cielo compare
e parla di giorni invisibili
racchiusi in un punto io
li penso così
e trovano il tempo di fermare la mano
sul cuore
sia veglia sia sonno
fosse anche l'ultimo sogno
trovano spazio ancora recisi
di sbocciare da radici
di pietra
[dalla rivista Alla bottega]
*

ALFONSO GATTO
PRO MEMORIA
Amico d'una volta,
allegro giustiziere,
ascolta.
Forse di me dovrai dire:
è morto per sbaglio
o voleva morire.
S'accusa sempre l'errore
in ogni tempo di viltà.
Sempre s'uccide il fiore.
.
AGLI AMICI
Fumeremo nel bastimento della bottiglia
tra le grandi lettere tremolanti sull'acqua
la pipa dei racconti, il dolce odore del legno.
Poi dal clamore esiterà nel nulla
l'ultimo sparo che dondola il capo.
*
Dall'intimità - J.L. Borges
Non sarò più felice. Non importa
forse, ci sono ben altre cose al mondo;
un istante qualunque è più profondo
e più vario del mare. Breve il vivere
benché lunghe le ore, e in una d'esse
un oscuro miracolo si cela:
la morte, un altro mare, un'altra freccia
che ci fa liberi da sole e luna
e dall'amore. Il bene che mi desti
e mi togliesti devo cancellarlo;
ciò ch'era tutto dev'essere niente.
Solo mi resta il gusto d'essere niente.
Solo mi resta il gusto d'essere triste,
l'abitudine vana che m'inclina
al Sud, a quella porta, a quel cantone.
*
Il Sud - J.L. Borges (Dall'intimità)
Da uno dei tuoi cortili aver guardato
le antichissime stelle,
dalla panchina in ombra aver mirato
le loro luci sparse
che il mio ignorare non ha ancora appreso
a chiamare per nome
né a ordinarle in costellazioni,
aver sentito l'acqua che fa circoli
nell'occulta cisterna e l'odore
di gelsomino e caprifoglio,
il sonno silenzioso dell'uccello,
sapere l'arco dell'androne e l'umido:
questo forse è poesia, non altro.
*
FERNANDO PESSOA
Grandi misteri stanno
sulla soglia del mio essere,
la soglia su cui si posano un momento
grandi uccelli marini che mi fissano
se lento avanzo a guardarli.
Sono uccelli degli abissi,
come quelli dei sogni.
A pensare mi riempio di dubbi,
per l'anima è un cataclisma
la soglia su cui posa.
Allora mi scuoto dal sogno
e mi rallegro alla luce,
se pur il giorno è triste;
perché la soglia è terribile
e ogni passo è una croce.
[traduzione di Vittoria Corti]
*
Alfonso Gatto
Il Caprimulgo
Tornerà sempre l'ironia serena
del sortilegio sulle tue corolle,
fiore disfatto.
E tu che voli e piangi
stridendo coi tuoi grandi occhi oscuri,
o caprimulgo dalle piume molli,
il buio sempre ingoierà la notte
delle farfalle nere, le lucenti
blatte in cui l' uomo misero rattrae
le mani e gli occhi a rispettarle,
umane della pietà per sé.
Per la scala degli inferi discende
il consenso perenne, l'ordinata
congrega delle vittime plaudenti.
O misura dell'uomo in sé dipinto
costretto oltre la morte, mummia salva
a schermo delle mani,
a non aver più limiti, distratta
è la forza latente, il bruco insonne
della materia che ci traccia e insegue.
Un fenomeno oscuro il divenire
l'enfasi sorda che alle sue parole
non crede più, ma giura. Ancora scende
questa scala degli inferi e l'informe
che chiede un senso smania di figure.
*
Paul Celan
Todesfuge
Nero latte dell’alba lo beviamo la sera
lo beviamo al meriggio, al mattino, lo beviamo la notte
beviamo e beviamo
scaviamo una tomba nell’aria lì non si sta stretti
Nella casa c’è un uomo che gioca coi serpenti che scrive
che scrive in Germania la sera i tuoi capelli d’oro Margarete
lo scrive e va sulla soglia e brillano stelle e richiama i suoi mastini
e richiama i suoi ebrei uscite scavate una tomba nella terra
e comanda i suoi ebrei suonate che ora si balla
Nero latte dell’alba ti beviamo la notte
ti beviamo al mattino, al meriggio ti beviamo la sera
beviamo e beviamo
Nella casa c’è un uomo che gioca coi serpenti che scrive
che scrive in Germania la sera i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith scaviamo una tomba nell’aria lì non si sta stretti
Egli urla forza voialtri dateci dentro scavate e voialtri cantate e suonate
egli estrae il ferro dalla cinghia lo agita i suoi occhi sono azzurri
vangate più a fondo voialtri e voialtri suonate che ancora si balli
Nero latte dell’alba ti beviamo la notte
ti beviamo al meriggio e al mattino ti beviamo la sera
beviamo e beviamo
nella casa c’è un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith egli gioca coi serpenti
egli urla suonate la morte suonate più dolce la morte è un maestro tedesco
egli urla violini suonate più tetri e poi salirete come fumo nell’aria
e poi avrete una tomba nelle nubi lì non si sta stretti
Nero latte dell’alba ti beviamo la notte
ti beviamo al meriggio la morte è un maestro tedesco
ti beviamo la sera e al mattino beviamo e beviamo
la morte è un maestro tedesco il suo occhio è azzurro
egli ti centra col piombo ti centra con mira perfetta
nella casa c’è un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
egli aizza i suoi mastini su di noi ci dona una tomba nell’aria
egli gioca coi serpenti e sogna la morte è un maestro tedesco
i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith
da “Papavero e memoria”
*
BRUNO SOURDIN
[Dal poemetto "Recandomi a Lisbona dopo una visita a Francois Augieras senza incontrarlo" - facente parte del libretto "Paris git-le-coeur", fuori serie della rivista Quetton L'Arttotal, 4° trimestre 1994, per la collana Poesie clandestine]
.
Neon ammiccanti, bagliore selvaggio, sul marciapiede all'alba
Vento leggero, dopo una lunga notte magica
Coltivata sotto un riflesso, strada misteriosa
Le auto filano senza arrestarsi
Sogno lampo, nell'aria scintillante
*
E io t'immagino entro la gioia
Selvaggia di questo sole che sorge
Solo appollaiato sul bordo di scogliere
Da dove guardi scorrere la Dordogne
In compagnia di uccelli di serpenti
E del cri di cicale che ami
*
Nuvole fluttuanti del mattino
Rotolate nel mio sacco a pelo
Ho male a svegliarmi
Cielo freddo, alcune case, colline
*
E t'immagino nel silenzio
Selvaggio di questa caverna
Accendere fuochi sul ciglio del vuoto
Il tuo fumo sale verso il sole
Tu sei felice e chiudi gli occhi
Nella forza nascente del giorno
*
Si fila attraverso la Spagna
Muscoli irritati, ubriachi di stanchezza
Gli insetti gracchiano, gioia vigorosa
Vento chiaro, ronzio di conversazioni
La strada s'immerge attraverso la grande pianura accesa
*
E t'immagino nel sogno
Selvaggio di questa notte d'estate
Solo nel profondo segreto della pietra
Donde fai cantare le corde del tuo arco
I suoni si perdono all'infinito
Ed è così che tu adori l'universo
*
Mille nuvole, sole già alto
Erbacce, polvere fine, la strada profuma
Noi parliamo, scherziamo
Spirito chiaro, Lisbona appare
Questa pura gioia del giorno, a che assomiglia?
*
E t'immagino nel sogno
Selvaggio di questo pianeta
Solo e felice di eternità
Tu guardi a lungo il cielo crivellato di stelle
Vecchio uomo venuto dagli astri
Tu ami l'universo che è il tuo dio
*
Percorro Lisbona sacco in spalla, i grandi occhi aperti
Rilucenti di sudore, stanchi
Di nuovo solo, nel polverìo del sole
Già vedo il Tage, mille dita s'agitano, cielo immenso
Strade polverose, capelli al vento,
Assaporo la luce pura, immacolata
Una volta ancora rivedo la mia vecchia vita
Vita magica, lasciatemi in pace
Ah! questa chiara gioia
D'esistere
Lontano dagli uomini
.
Bruno Sourdin (traduzione di Felice Serino)
*
JORGE LUIS BORGES
Rimorso per qualsiasi morte
Libero dalla memoria e dalla speranza,
illimitato, astratto, quasi futuro,
il morto non è un morto: è la morte.
Come il Dio dei mistici,
del Quale si devono negare tutti i predicati,
il morto ubiquamente estraneo
non è che la perdizione e l'assenza del mondo.
Tutto gli derubiamo,
non gli lasciamo né un colore né una sillaba:
qui c'è il patio che già non condividono i suoi occhi,
là il marciapiede dove spiava la sua speranza.
Perfino ciò che pensiamo potrebbe starlo pensando lui pure;
ci siamo spartiti come ladroni
il capitale delle notti e dei giorni.
*
Sabati
Fuori c'è un occaso, gioiello oscuro
incastonato nel tempo,
e una profonda città cieca
di uomini che non ti videro.
La sera tace o canta.
Qualcuno decrocifigge gli aneliti
inchiodati nel pianoforte.
Sempre, la moltitudine della tua bellezza.
* * *
A dispetto del tuo disamore
la sua bellezza
prodiga il suo miracolo nel tempo.
E' in te l'avvenire
come la primavera nella foglia nuova.
Già quasi non sono nessuno,
sono soltanto quell'anelito
che si perde nella sera.
In te sta la delizia
come sta la crudeltà nelle spade.
* * *
Opprimendo l'inferriata sta la notte.
Nella sala severa
si cercano come ciechi le nostre due solitudini.
Sopravvive alla sera
il biancore glorioso della tua carne.
Nel nostro amore c'è una pena
che somiglia all'anima.
* * *
Tu
che ieri soltanto eri tutta la bellezza
sei anche tutto l'amore, adesso.
[da: "Fervore di Buenos Aires"]
PEDRO SALINAS
LA MATERIA NON PESA
La materia non pesa.
Il tuo corpo ed il mio,
uniti, non sentono mai
schiavitù, sentono ali.
I baci che tu mi dai
sono sempre redenzioni:
tu baci verso l'alto,
e qualcosa di me porti a luce,
costretto prima
nel fondo oscuro.
Lo salvi, lo guardiamo
per vedere come ascende,
e vola, per l'impulso che gli dài,
verso il suo paradiso
dove ci aspetta.
No, non opprime la tua carne
e neppure la terra che calpesti
né il mio corpo che stringi.
Sento, quando mi abbracci,
che ho tenuto contro il petto
un lieve palpitare,
vicinissimo, di stella,
che viene da un'altra vita.
Il mondo materiale
nasce quando tu parti.
E sull'anima sento
quest'oppressione enorme
di ombre che hai lasciato,
di parole, senza labbra,
scritte su fogli di carta.
Restituito alla legge
del metallo, della roccia,
della carne. La tua forma
corporea,
il tuo dolce peso rosa,
è ciò che mi rendeva
il mondo più lieve.
Ma ciò che non sopporto
è che mi schiaccia,
chiamandomi alla terra,
senza te per difendermi,
è la distanza,
è il vuoto del tuo corpo.
Sì, tu mai, tu mai:
il tuo ricordo, è materia.
[trad. Emma Scoles]
VICENTE HUIDOBRO
Fatica
Cammino giorno e notte
come un parco desolato.
Cammino giorno e notte tra sfingi cadute dai miei occhi;
guardo il cielo e la sua erba che impara a cantare;
guardo la campagna ferita a grandi grida
e il sole in mezzo al vento.
Accarezzo il mio cappello pieno di una luce speciale;
carezzo il dorso del vento;
i venti, che passano come le settimane;
i venti e le luci con apparenza di frutta e sete di sangue;
le luci, che passano come i mesi;
mentre la notte s'appoggia alle case
e il profumo dei garofani gira intorno al loro asse.
Prendo posto, come il canto degli uccelli;
è la fatica lontana e la bruma;
cado come il vento sulla luce.
Cado sulla mia anima.
Ecco l'uccello dei miracoli;
ecco i tatuaggi del mio castello;
ecco le mie penne sul mare, che grida addio.
Cado dalla mia anima.
E mi rompo in pezzi d'anima sull'inverno;
cado dal vento sulla luce;
cado dalla colomba sul vento.
*
Illusioni perdute
Foglia dell'albero caduta in infanzia
foglia caduta in ginocchio
al centro del suo oblio
dolce balocco di speranze e lampi
che sanguina dalla testa ferita
come le illusioni ottiche
nel palazzo di morte non scordabile
costante nave dal cuore dolente
tra naufragio e ombra che s'affretta
Foglia del nodo caduto in albero caduto in infanzia
dove mai ti trascinano foglia dal dolce cuore
e gli eccessi del fuoco delle aquile visive
foglie dei rami riscaldabili
ferme nell'aria
pronte alla corruzione fra le loro stesse braccia
come le acque stregate
Foglie di fantasmi sorpresi
foglie di uccelli scritti
ciascuna ha un cavallo e una colomba
ciascuna ha un orizzonte ad ogni costo
e per la sua amarezza né albero né vela.
Foglie dell'albero cadute
sul capo del poeta
sul suo desiderio di piangere perché non giunge mai
quello che aspetta in fondo ad ogni verso
quello che attende dietro tutte le ombre
*


Fabio Greco è nato a Torino nel 1969. Ha pubblicato i volumi di poesie: Sulle rive dell'estro, Tra le pieghe dell'ego, L'orologio a vento.
Alfonso Gatto
Notte
Tremo d’esile vena per lontane
arie di suono, mi lusingo in volto.
Come alleviate toccano le vane
solitudini il cielo vuoto, ascolto.
Lungo sereno dileguano piane
voci apparenti nel mondo sepolto:
m’adeguano nel sonno di montane
bare odorose, ed il cuore n’è folto.
*
Erba e latte
Mansueta di campani la sera remota
alle finestre pallide di cielo
odora umido, e tace in gradini la casa vuota.
Svanisce, continuo tepore di gelo,
nella bottiglia verde il latte; nuvole chiare
lontanano nel fioco armonioso tacere
della campagna. Sembra compiuto nel limitare
della mia casa il sonno delle riviere.
Beato volto al sereno, quasi la notte m’apra
continuamente a sgorgare in fragranza.
Tepida e lieve, cauta, mi lambisce una capra:
odora d’erbe e di muschio la stanza.
*
Alba
Passerà l’alba in un sogno
al freddo freddo d’ogni casa
al solitario azzurro del mare.
È nudo il mondo un’altra volta.
Erompa il cuore con la mela rossa
contenta d’esser dura.
In una selva molle di nuvole e di nevi
pozz’acre di verde si rimescola il mare.
Lo spazio smemorato si ridesta
tra lontananze ventilato leggero.
*
Le cose
Un giorno busseranno ad ogni casa,
chi vive è già colpevole d’avere
la sua vita segreta. Scende il buio
della notte, si resta dietro ai vetri
ad aspettare come giunge il vasto
assurdo della quiete. È nelle cose
di sempre ferme al loro posto il nuovo
sguardo impietrito: l’angolo deserto
mette in salvo il fuggiasco o per lo scarto
gli affaccia la sua muta. Sembra un vano
delirio questo credere alle cose.
*
Carri d’autunno
Nello spazio lunare
pesa il silenzio dei morti.
Ai carri eternamente remoti
il cigolìo dei lumi
improvvisa perduti e beati
villaggi di sonno.
Come un tepore troveranno l’alba
gli zingari di neve,
come un tepore sotto l’ala i nidi.
Così lontano a trasparire il mondo
ricorda che fu d’erba, una pianura.
*
Vento sulla Giudecca
I venti, i venti spogliano le navi
e discendono al freddo
e sono morti.
Chi li spiegherà nel rigoglio
delle accese partenze
ove squilla più forte più forte il mare
e l’antenna sventola il mattino?
Tutta donna tutta forte tutto amore
ed è rossa la mela, giallo il pane
della Pasqua d’aprile…
Ed eri calda
ed eri il sole, mattone su mattone,
oltre quel muro la campagna il cielo.
*
Osteria flegrea
Come assidua di nulla al nulla assorta
la luce della polvere! La porta
al verde oscilla, l’improvvisa vampa
del soffio è breve.
Fissa il gufo
l’invidia della vita,
l’immemore che beve
nella pergola azzurra del suo tufo
ed al sereno della morte invita.
(Tutte le poesie, Mondadori, 2017)
Alfonso Gatto nasce a Salerno nel 1909.
Nel 1941 ottiene la cattedra di Letteratura Italiana al Liceo Artistico di Bologna. Alfonso Gatto si dedica inoltre alla pittura e alla critica; è anche attore cinematografico. Muore nel 1976 per le conseguenze di un incidente d’auto.
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Irene Rapelli
DELICATEZZA
Silenzio è il trasparente
carcere di narcisi da potare.
Attendono solo
che una forbice incida
steli e radici ed il pistillo voli, perpetuamente,
nell'azzurrità rupestre
dove l'abisso si apre a cesure ebbre,
taciute o sfatte di essenza
più sensuale del seme vincolante,
in vene e suoni
di millenni. Sorride
del germoglio zittito l'aura informe,
nuda ed aspersa dell'ultima luce
prima del salto. L'assoluto parla, vivo e nullifico,
di eternità rubata
del tremulo sospiro nella bocca
di fiori della poesia. Ancora qui? Da me
odi delicatezza, un'agonia
che pulsa, implode ed esplode, trabocca, piccola morte
sul margine di ogni rupe, bianchezza, virgola lisa
di pagine elettriche del sole sfrondato
ch'emani. L'assoluto canta nero
duramente, di povera
immensità ridotta a buio
nel tuffo d'acqua.
https://irerapelli.blog/2025/03/13/delicatezza/
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Giovanni Perri Agua
Vorrei veder tramontare ad oriente
sul breve canale delle canne addormentarmi
sopra una scia di spari cacciatori
fuggire gli alberi a ritroso
e la notte incendiaria sentire
l'annuncio dei cani arancioni
vorrei nascondermi nel fieno di maggio
nell'ampia volta del cielo che pende
sorridere per un ricordo
invertir l'ombra mia stessa
di lividi e dimenticanze
e d'anni che non ritrovo più.
Ma d’ore numinose è fatta
l’anima mia riflessa e d’archi e frecce,
portami il cuore nella luce a planare
sopra un acquaio di malinconie
saltami allegramente sulle sponde
della mia vena d’oro e scrivimi
col vento ogni ferita
degli occhi e della lingua
io ti sono nel canto padre e figlio
e fratello dei cocci lunari
allora fammi terra
fammi profumo di terra e di stalla
oppure scovami nella campagna ramata, raggiungimi
fin dove tocca l’erba la parola
e non v’è peso
né formula dei miei destini accumulati.
.
Giangiacomo Amoretti
Solo nella penombra
più rarefatta e interna,
di là dalle figure
stinte dell’iconòstasi,
fra due colonne, spento
anche l’ultimo cero,
vedrò io – senza un lume
che veli – per un attimo
sospeso e come assolto
dal tempo e dal morire –
l’icona più segreta –
l’invisibile Volto?
.
Settembre. Le ali porpora dei cirri
sfatti nell'alto, gli esodi infiammati
fra cielo e cielo dei rondoni, i voli
e i silenzi e gli spazi,
le albe, i non ritorni
per sempre –
ed i ricordi,
i ricordi che straziano.
.
Spleen
Malinconia dell’angelo che guarda e che non vede,
che si avvicina a Dio da sempre e ne è lontano
più di noi stessi – le sue ali bianche
più alte di ogni cielo e di ogni nuvola.
Malinconia di esistere – angelo, uomo o rondine –
in bilico tra i mondi e sospesi nel tempo.
La linea del confine sempre oltre.
Il mare uguale senza un orizzonte.
E quando si fa sera questo lungo discendere
come di un velo fumido sulle spiagge deserte.
Le acque immote, color blu cobalto.
Sospeso in alto, fioco, il plenilunio.
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Mattia Tarantino
21 luglio '18
C'è un'estate di sangue e mare. Un secolo che ci obbliga a tramare un'elegia, un'elegia all'Europa che muore.
Per il Collettivo MalaTerra:
"Oppure da una lingua del Nord
sarà la sillaba che gonfia le ossa
dei morti? Fummo il fanciullo e fummo
l’acrobata: c’è sempre
una fune tra luce e precipizio.
Veniamo a bruciare
le vertebre al cielo, veniamo
a invertire la pioggia:
certi versi sgozzano
le aquile, altri
marciscono i vessilli dell’Impero.
Quest’acqua ci disperde, non conosce
i nomi cui ha rubato sangue
e sorte. A quest’acqua
noi torniamo in obbedienza, senza croci
che trattengano le stelle.
Da lontano una Medea
araba conduce la sardana:
chi rompe il cerchio lo rimette
ai margini del tempio.
Arrivano le schiere: impugnano
e rovesciano il gerundio;
arrivano le gazze
ma tu raccogli solo fiori estinti."
Mi preme segnalarla a Claudio, Annamaria, Gabriele
A Ginevra, che ne custodisce il segreto
.
La vita è davvero bizzarra: tutto prende un verso, tutto ha più di un verso, tutto è verso. Ma i versi non sanno molte cose, si perdono, si consumano.
Per il Collettivo MalaTerra:
"Ma i versi non sanno
ingoiare le falene quando sempre
più nere e sempre
più feroci insorgono e devastano.
Non sanno quanti nomi
possiamo dare agli angeli, quante
voci setacciare fino all'ultima
vocale ancora intatta.
Non sanno quali giri
porta avanti la fortuna, quali sfere
interrogare perché i bimbi
non confondano il sangue con le rose.
Eppure conoscono
il mistero delle gazze quando legano
alle ali un cielo furibondo."
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