GIOIELLI RUBATI
Dal Domenicale di Flavio Almerighi

https://almerighi.wordpress.com/
.

Geografia di graffi

dirò di quella volta
che l’ondata mi strappò
come una gigantesca mano
dallo scoglio

pensavo fosse finita
mentr’ero sballottato
come una cosa

poi mi guardai
la geografia di graffi

e mi toccai
inebetito

Gioielli rubati 3

 


Lungopò

noi due mi dici
siamo della stessa pasta
-quanto a me non so dire i difetti
la trave nel mio occhio

le anatre abboccano
le nostre briciole
tra dorati riflessi e giochi d’acqua

tu
ti mantieni bella e gli anni non sciupano
questa luminosità del viso

mi chiedo quanti inverni
ancora nelle ossa
che gemono nelle giunture

Gioielli rubati 5

 


Angelo

angelo icona della volta
che mi vedevi da lassù
la testa all’ indietro
a contemplare i lineamenti perfetti

nei tuoi occhi vedevo palpitare
il cuore della Bellezza e
m’ incantavo

poi per paura
del male del mondo
la sera mi rifugiavo nel sogno
di te e toccavo il cielo

quando
dopo la mia accorata preghiera
venivi a visitarmi

Gioielli rubati 8

 


La rosa di sangue

in sogno spio se
riesce a passare "qualcuno"
per la cruna
Dio non è stanco
mai dell'uomo

gl' insulti gli sputi
gli scivolano addosso
Lui perdona sempre perché "non sanno"

sempre viva è la rosa di sangue
e splende di bellezza

Gioielli rubati 18

 

Sapremo

sapremo - io di te tu di me dei nostri
scheletri nell'armadio
di ciò che non ci siamo detti
delle ammutolite coscienze nell'ora
alta delle scelte
dove si curva l'orizzonte dei pensieri

sapremo - non per speculum
in aenigmate: trasparenti saremo

Gioielli rubati 23

 

 

E oggi che mi ritrovi uomo fatto

padre che sei rimasto di me più giovane
consumato anzitempo
una vita sul mare e le brevi
soste col mal di terra

avevi la salsedine nel sangue

così presenti
mi restano le rare passeggiate
mattutine e mai che mi avessi preso
per la strada in discesa
a cavalcioni sulle spalle

di carezze non eri capace

e oggi che mi ritrovi
uomo fatto
sai: mi fa male quel distacco

Gioielli rubati 24

 


Elegia

ora m’incolpi del mio silenzio?
e Tu dov’eri mi chiedi
quando a migliaia
venivano spinti sotto le docce a gas
Io ero ognuno di quei poveracci
in verità
ti dico
Io sono la Vittima l’agnello la preda
del carnefice quando fa scempio
di un bambino innocente
Io sono quel bambino ricorda
anch’io in sorte ho avuto una croce
la Croce
la più abietta la benedetta
ho urlato a un cielo distante Padre perché
perché solo mi lasci in quest’ora di cenere e pianto

Gioielli rubati 27

 


Anche per voi

salgo sulla croce anche per voi disse con gli occhi
rivolto a quelli che lo inchioderanno
anche per voi che ancora nei secoli
mi schiaffeggiate sputate
negando la vita buttandola tra i rifiuti
aizzando popolo contro popolo
sotto tutte le latitudini
salgo sulla croce anche per voi
che mi sprecate nelle icone
per voi nuovi erodi/eredi della svastica
che insanguinate la luce delle stelle
oscurando la Notte della mia nascita
anche per voi potenti della terra
razza di serpenti
che non sopportate di sentirmi nominare
dal mio costato squarciato fiumi di sangue
tracciano il cammino della storia
la mia Passione è un solo grande urlo muto
di milioni di bocche imploranti
dinanzi al vostro immenso Spreco
con cui avete eretto babeli
di lussuria come cultura di morte

Gioielli rubati 31

 


Qui ci sta bene uno spazio

ecco vedi
la poesia deve respirare
nascendo dal bianco
innalzarsi come
cresta d'onda per poi
immergersi fino allo spasimo
in profondità d'echi e ancora su
con lo slancio felice d'un
enjambement
vedi
la poesia è una tipa
selettiva
sfoglia scandaglia spoglia
immagini le riveste a sua
somiglianza
porta
sogni e nuvole al guinzaglio

Gioielli rubati 88

 


La casa delle nuvole

cieli d'acqua e cavalli
d'aria
lì custodisco ore
sfilacciate e segrete pene
-oh giovinezza di deliri e
notti illuni
lì dove il turbinio
degli anni
è rappreso in un palpito
che nell'aria trema

Gioielli rubati 92

 

 

Luna park

ride la piccola Margot
alle smorfie del papà che si rade
"suvvia ti porto alle giostre" e
lei s'illumina di gioia e
poi a cavalcioni sulle larghe spalle
nella fantasmagoria delle luci
un po' ci si attarda
nell'aria ancora calda di fine settembre
riverbera una miriade di
stelle negli occhi innocenti
mentre le nasconde
il resto del viso una montagna
di zucchero filato

Gioielli rubati 93

 

 

Spleen (2)

lo scoglio
e tu
come un tutt'uno
quasi sul ciglio
del mondo avvolto
in una strana luce
labbra di cielo
questo
contatto di sole
vedi nell'aria
marina
un gabbiano planare
su una solitudine
che ti lacera
all'infinito

Gioielli rubati 106

 


Le vele del sogno

me ne andrei quasi di soppiatto
alle prime luci
mentre si fredda la tazzina
mai portata alle labbra

entrerebbe il vasto orizzonte
nei miei occhi azzurrocielo
il mare aperto
nell’abbraccio
delle vele del sogno

Gioielli rubati 123

 

L'ombra 2

meridiana a perpendicolo
poi eccola s’allunga
l’ombra oscuro specchio
che mi ripete
si spezza allorché riflessa
tra pigre nuvole nel lago

Gioielli rubati 124

 


L'albero di Giuda

tagliando per la pianura
non trovavi più il cuore

sulle punte delle stelle ti volevi
trafitto
e il sangue quasi ricamasse
una scritta ingloriosa

ma il tuo albero
ecco venirti incontro

e già il cappio
vederlo
-sinistro

Gioielli rubati 131

 

 

Cavalli di nuvole

i primi smarrimenti: quando ti sembrava
dovesse cascare il mondo
-disegnavi angosce o voli
pindarici nell’aria

da una feritoia ti guardava
un pezzo di cielo
-tu ragazzino -ricordi-
rifugiato in una baracca
a smaltire l’ “onta” di una derisione
non sapendola costellata di prove
la tua stella

intanto
cavalli di nuvole
a sequenza
dicevano la vita leggera

Gioielli rubati 140

 

Fedele alla vita

mia vita
senza rete t’appigli
alla Bellezza intaccabile

a quella del cuore e alle
armoniose figure della danza
o del cavallo nel bianco salto

finché ti chiedi dov’è
lei l’ irraggiungibile
non tutto è perduto

voltato sei sul giusto
versante lucente ancora
una volta – vita

fedele alla vita

Gioielli rubati 160

 


Avevo in mente una poesia

stamattina avevo in mente una poesia
stasera
non ricordo più nemmeno un verso

ho lasciato il foglio bianco
con flebili echi d'un mezzo secolo e

ora rammento solo una pioggia di luce
di stelle sopra il letto
e il caldo abbraccio di lei

sullo schermo della mente
un vissuto che sembra ieri

Gioielli rubati 167

 

Ai piedi della notte

un nodo d'inquietudine sospesa
si scioglie ai piedi della notte
sotto una luna ammiccante
l'amore è come l'ansimare del mare
s'abbevera del sangue delle stelle
aduna in sé il sentimento del tempo
vòlto dove è dolce la luce

Gioielli rubati 178

 

Emarginato

quest’uomo: tristezza
d’albero nudo
avanzo di vita aperta
ferita

-occhi scavati
che perdono pezzi
di cielo

quest’uomo
puntato a dito
quest’uomo fatto
torcia

per gioco

Gioielli rubati 184

 

La luna dei poeti

ho la luna dei poeti
-pesci sull’ imum coeli–

scivola
la barca della passione
verso terre di mistero

pesco sogni di ragno
nell’ intreccio di parole
nate sulla bocca dell’ alba

mentre
uno sbuffo di vento
porta afflati d’ amore

Gioielli rubati 190

 

Dei miei detrattori

(Diocleziano, uno dei più odiati della storia)

lasciai alla terra il corpo-zavorra
da cui forse con sollievo mi trassi

se sia ala d'angelo a coprirmi
il disonore -si dirà- ora che
s'una misera tomba s'accanisce
dei miei detrattori il ghigno
feroce e lo sputo

Gioielli rubati 195

 

Il mare era una favola

"non vorrei più uscire da questa
dimensione eppure basterebbe
come altre volte
stringere forte gli occhi e..."

ma voglia non ne avevo - poi giocoforza
mi ritrovai quasi deluso nel mio letto

avevo lasciato un mare che era
una favola
un'immensa tavola
imbandita per i gabbiani a frotte

Gioielli rubati 204

 

Spleen 4

brusio di voci

galleggiare di volti
su indefiniti fiati

si sta come
staccati
da sé

golfi di mestizia
mappe segnate
dietro gli occhi

vi si piega
il cuore
nella sanguigna luce

Gioielli rubati 210

 


La colpa

sono io quel ragazzo che
scappò da casa con poche lire in tasca
e un quaderno d'improbabili versi?

lo sono sì ma dopo sei decenni

non mi riconosco in lui se non nel sogno
ricorrente che al mattino mi lascia
il cuore stretto dall'angoscia

sarà un residuo di "colpa da espiare"
per aver procurato un veleno sottile
a chi bene mi voleva

Gioielli rubati 215

 

Creatura

sembra che il solo sguardo
la mantenga in vita
la sua creatura

ché Lui la pensò
ancor prima di sognarla
in forma ed essenza

poi del sogno
il suo farsi
carne e respiro

Gioielli rubati 222

 

Non sei dei loro

nel chiuso della stanza o
di pomeriggio nel sole
da un po’ ti sorprendono
a parlare coi morti – questi
non tornano e tu non sei
dei loro -ancora-

sono spirito (ma di essi
poco si sa) -ubiqui
ti leggono il pensiero e a volte
giocano con le nuvole – quando
nelle tue pareidolie
ti pare ravvisarli

Gioielli rubati 228

 

Dammi cuore (preghiera)

dammi ancora tempo
tempo per sognare
altre vite
tempo per
arcobaleni e luce e voli

e che io fedele sia
alla verità

alla fine
dei giorni che non debba
vergognarmi di me

dammi altro tempo - dammi
dolore
per gli ultimi
dammi cuore per gli ultimi

Gioielli rubati 236

 

Di noi
.
di noi
mostriamo esigua vita
più l’esteriore che
quella che ferve nel sangue

i viaggi mentali i sogni
mistero ch’è appannaggio
di proprietà esclusiva

-la testa reclina
il nostro fido ci guarda attento
come cogliesse pensieri

.Gioielli rubati 247

 

Fogli-aquiloni

impregnati dell’humus dell’estro
del vasto respiro di cielo
svolazzano s’impennano appena
liberati dall’artefice dei versi
-suoi non più suoi-
a volerli divulgare per il mondo

Gioielli rubati 254


I tuoi santi

corda tesa tra la bestia e l’angelo

scala al cielo per
l’Assoluto

c’è sempre
l’iconoclasta che

lascia osceni echi nel sangue

dileggiando i santi che
tu Nina preghi incessante

Gioielli rubati 261

 


Reliquie

a scrivere non la mano
ma la mia radice ferita

testimonianza siano
non lettere storte sull'acqua

o che volteggino eteree
dissanguandosi in volo

ma i momenti che restano
nel tempo appesi al cuore

Gioielli rubati 277


Primavera

mattina sul lago:
si spalma
sugli occhi la luce
intonano
melodie uccelli di passo

è un fremere di gioia la pineta

Gioielli rubati 291

 

Era una favola il mare

consapevole di trovarti nel sogno
chiederti se riuscirai ad uscirne
tuttavia volendoci restare
ancora un poco

ché
era una favola il mare
su creste d'onde guizzavano pesci
dalle squame luccicanti nel sole

calavano gabbiani a frotte

Gioielli rubati 301

 

Divagazioni sullo zero e sulla o

il nucleo l’anello l’uroboro
due zeri abbracciati ti danno
il simbolo dell’infinito
puoi notare
la vocale o di rimbaud
gli ovali dell’ottocento
la bocca spalancata nell’urlo di munch
le bolle di sapone
immagina
gli occhielli delle forbici gli oblò
simili allo zero o alla o

Gioielli rubati 325

 

*

 

 

Afrodite - William Adolphe Bouguereau

 

 

 

Versi per Nina

 

sento la vita quasi fosse

apparenza in vaghezza di sogno

l'anima è spersa dove fitta

trama d'ambiguo s'incaglia

ah le uve dei tuoi occhi: uno spasmo

di luce una spina nel sangue

e quel sorriso – oggi

che mi sorprendo a inseguire ombre

in cerca del tuo profilo –

mi si trasfigura in un graffio

difficile da decifrare

*

la mano disegna nell'aria

il tuo profilo indugia

su bocca naso e occhi

la mano della mente ben conosce

quei dettagli come una madre – Nina

stella del cielo che mi cammini nei sogni

ora sono aghi

che trafiggono

nell' accendersi nel sangue

la mai sopita passione

mentre la mente disegna

dove fermenta il cuore

*

silenzio allagato di luna – una

silhouette nella mente ondeggia

e gli arzigogoli

a dirmi vano

il ricordo sgualcito dal tempo

dalla foto color seppia

mi guardano

i tuoi occhi velati di mestizia

-ah l'assedio degli anni

e il cuore

a dare smalto a un sogno sbiadito

*

donna dei boschi: occhi

di cerbiatta – la tua

anima di foglia

di sé m'innamora

*

entro ed esco dalla tua anima

dove dimorano pezzi di me

un odore di pini ci avvolge

– certo lo senti anche tu –

i nostri passi sul viale accecato di sole

un grido di gabbiani e l'ascolto

del mare in una conchiglia:

questi i momenti

d' incantamento

fermati dal nostro amore imperituro

*

rosa il tuo fiato

fragranza di bosco la tua pelle ambrata

apparivi sirena

distesa s'uno scoglio

allucinazione forse

mi facevi un cenno

mentre il cielo s'apriva in una luce

aurorale

come il tuo sorriso

*

sparire nel nulla

è l'urlo della rosa strappata

da mano indelicata

consola a tratti un palpito

di luce selenica

che abbraccia il ricordo

ravviva empatie

gentile il velo spiegato

dell'angelo

su un lato del cielo

*

forse solo nell' oltre saprò

si scioglierà l' enigma – e intanto

i tuoi modi garbati che ritornano

nella camera viola della mente

mi sorreggono per il tempo a me concesso

mentre perso sono

nel perimetrare il vuoto che lasci:

un' ombra feroce

mi strappa all'abbraccio del sangue

il buconero risucchia

presenze umori respiri

non il tuo garbo che in me

non si cancella

*

non ti vedrò più Nina

se non in vaghezza di sogno –

oggi mi nutro come un passero

dei tuoi scritti di luce che aprono

su universi solo a te noti

e che forse ospitano la tua

essenza mentre mi appare

delinearsi il tuo volto

in una nuvola vagante

in questo cielo bianco di silenzi

*

e tu a lumeggiare le mie sere

anima di candore e di sogno

si fa conca il cuore

ad accogliere

dei versi dettati da un altrove

*

l'anima tendeva alle stelle

quando tu Nina apparivi

rosavestita

stagliata contro un lembo di cielo

ti fermavi nella piazzetta e

ti facevano festa i colombi

planando sul mangime che spargevi

allora

il tuo sorriso era una pasqua

mentre il tempo aveva una sosta

*

dimmi Nina: che vedi

tu che hai casa nelle nuvole

tu che sai il linguaggio dei voli?

forse

la giovinezza spezzata

che ora in lampi di déjà vu ritorna?

o

rivivi nel cuore

verde dell'acqua

che ti vide sirena emula del canto

di odisseo

rapimento

dei sensi

che in sogno ancora mi seduce

*

ahi i ponti sgretolati

o pure considera quelli

detti collanti di carne e di sangue

e il desiderio che

si fa arco d'amore

filo teso d'acrobata

all'altro capo sei Nina

e mi vedi adesso

varcare fra nuvole in sogno lo spazio

di un volo fino alle tue braccia

*

il tuo volteggiare Nina

nelle stanze viola della memoria

– dicevi il reale non è fatuo

apparire o entrare nello specchio

dell'essenza evocando

palpiti di luce

di un tempo senza tempo

noi dal celeste palpito

dicevi – qui siamo

affratellati nel sangue

con la terra e la morte

© Felice Serino

 

 

*

 

 

 

 

Amici poeti

 

TERESIO ZANINETTI

MI APRIRO' IN DUE

Mi aprirò in due
come guscio di ramarro alla frontiera
nel rigonfio del vento, parentesi graffiata
sul prepuzio dei miei sogni rapaci
che già morte pregustano indolore
Mi aprirò in due e sarò in un libro nudo
di bufera il precipizio
mentre cancella solchi d'abracadabra
la vecchia cornamusa avventuriera

Mi aprirò in due, brivido mai raggiunto
al culmine del coltello
nel centro del cranio
Io, come tutti come nessuno
alla foce del capitale
consegnerò la scorza della storia
Mi aprirò in due per non essere Uno
che ancora pensa Trino. Col coltello,
per mostrarti quanto sei lurido,
io mi aprirò in due

*

 

A questo non m'abituo
(Leggevo il tuo profilo esangue nei libecci
arrancando tra gladioli e fiordalisi
dentro i covoni della morte in panne):
questa luce falsa gli occhi, tradisce
bisogni e pazienze, stronca
sul nascere bocci – a questa luce
dai lividi brulli non s'abitua
il liso ricordo del domani in croce.
(Leggevo le tue rughe nei cristalli tintinnanti
assaporando intrecci mozzati di mani giunte
nel girotondo degli scorticati vivi) –

Forse era Natale o Capodanno, viziate
di droga capitalista le famiglie serravano
pance e manette (panettoni, anitre all'arancia
figli & figlie parenti stretti al collo
da gustare al dente)
-forse era l'altr'anno o non ancora.
Sta di fatto che a quest'aria di morte non m'abituo
Mentre il boia sorride con piacere automatico
ancora la mia mano rifiuta dovute tenerezze.
Sto con le mie prigioni dentro il piombo
del mio corpo stretto. Sto.
Non so come né quando. Sto.

Con il cranio dell'odio di classe. Sto.
In un mattino disatteso e stanco
qualcuno esplorerà il relitto
delle ossute gimcane a piedi freddi.
A questa maturità che selvaggiamente delicata cresce
solo un grido – domando – di vendetta e di riscossa,
dolce e tremendo come il dolore
nel tuo profilo esangue, trasparente, vivo.

*

 

Non per nulla

tutti i fiori ritornano nel perimetro estatico

del cuore rimasto

sgranulando bocci d'orchidee e trifogli

Nel caldo mattino

solleviamo briciole

per palpiti senza respiro e ancorché deserto

il prato riavrà parole dovunque l'aria lo voglia

silenzio

di fate di prua

nei vuoti balconi

dove rasserena la dolce canzone

di rabbie e singhiozzi

silenzio

non un'anima fiati

il silenzio si scioglie nel gelo.

(Dicembre 1994)

Dalla Rivista GRANDE VETRO, Maggio '07

 

*

 

Poesie di Donatella Pezzino

.

Potresti

Potresti attutire il rumore che faccio

cadendo; con le mani invece

rabbocchi quello che non manca

e mi peschi a caso

dal sacco delle foglie. Ho voglia

di liquirizia: ma non ricordo più la strada

che porta alle tue tasche. Sotto la lampadina

a risparmio

si diventa letargici, ragionando d'uva buona

e del mare sotto i treni e delle lenti da lettura

che ti sperdi per casa. Fuori l' autunno

ostenta certi fiori piccoli

che quando li calpesti fanno un silenzio

odoroso e impotente; ma tanto, mi dici,

verrà la pioggia a lavare via

la terra nera dal mandorlo

.

Linfa d'autunno

Foglia sgualcita, trasvolo lungo il fiume

 

dove l'acqua

ha le tue braccia, e un retrogusto

 

di lacrime mentre mi accoglie. E' lo stato larvale

della farfalla che rientra nel bozzolo, e che s'appaga

 

d'ovattato niente, rinunciando alle ali che ha bruciato

tra il calore del grano maturato al gelo

 

e il profumo struggente di un giorno che non torna

*

 

Quando le ali cadono lasciano erba

smossa, e vuoti carichi di braccia

 

respirate nel punto esatto dove le mandorle

e i crisantemi si sfiorano, e si pensano uguali

tristemente

 

per aver dentro qualcosa

di bianco, quasi un vellutato

pianto

 

e non saperlo ricordare.

.

Ho amato

come si amano gli angeli: a metà. Un'ala spezzata

ha fatto da cornice. Forse avevo paura

 

di rimarginarmi presto – ed era terrore, il mio –

 

o forse temevo il logorio dei passi

su quel lungo tappeto disteso

fra la follia e l'abbandono.

.

Lentamente

Sola. Sono la piccola solitudine dei fiori

quando non trovano il vento alla giusta latitudine

da potersi dire carezza, olfatto, tintinnio di bicchieri; sono

 

la pioggia che guarda gli uccelli sotto la gronda

senza potersi fermare. Da questo cielo

continuano a passare

voli

mentre io continuo a cercarti a ritroso

seguendo il calco delle mie ferite.

Estate 1979

.

Quello che so

Non importa

se un fiore che appassisce fra le pagine

lascia un'ombra inodore che non scompare

 

se siamo tutti

strappi deliranti, nella tela antica

che un male oscuro corroderà in eterno

 

clandestini a tempo

in questa strana osmosi

fra l'infinito ed un pugno di terra

 

ti ho perduto,

è quello che so

 

e tu, caldo rifugio

odoroso di talco e di carezze

sei diventata il gelo di un vento che soffia

 

tutte le volte

che un angelo piange

 

2013

 

Non parlatemi

Il mio pianto è una strada che non conduce,

il mio bambino un fiore sparpagliato a terra.

Non parlatemi di angeli oggi,

né di quante volte io debba pregare.

Ho schegge sulla lingua che mozzano le parole

e odori di sangue che piantano radici nel mio orto.

Nell'aria che brucia seccano seni e fontane

ma non ho mai avuto tanto freddo come adesso.

2017

.

Samovar

Mi spezzo

proprio ora che il vento si ferma:

ed è una morte

gentile, dove trapassano

i sogni, le rose, e le cose

perdute

che vedo solo io; e dove

amore

è un modo come un altro

per chiamare la solitudine

*

 

Non ti ho comprato le gerbere.

 

"Abbiamo colori bellissimi,

oggi" diceva la signora dei fiori.

 

Colori. Bellissimi.

 

C'era un azzurro

che tremava nelle ossa: inverno

e rimpianto. Giallo il polline

che il vento portava lontano

tra gli aranceti e il mare; dove la vita

ti urla negli occhi. E sotto

l'erba,

petali ancora freschi

che nessuno ricorda: il viola

delle cose non colte.

 

Ricordo profumi

Io in perispirito

ricordo profumi di sapone

e di cuscini tiepidi da sprimacciare al mattino

 

e assumo il mio corpo intermedio quasi fosse un calmante

prescrittomi per compiacenza quando in realtà non c'è niente da fare,

 

due compresse al dì: quanto basta per permettermi di passare con le dita

tra le maglie dello specchio, o di confondermi col grido

che si apre nell'erba

 

quando la terra non respira. Io – fame d'aria

lanciata in alto come una moneta

 

indecisa

da quale parte cadere

 

(2017)

 

Donatella Pezzino, storica, scrittrice, autrice di testi poetici e recensioni. Si occupa di storia religiosa, storia e letteratura femminile, teologia cattolica, poesia, archeologia, arte cristiana, storia della Sicilia. Sue pubblicazioni e ricerche sono presenti su Academia.edu, oltre che su riviste storiche e letterarie. Collabora con il sito di attualità "Alessandria Today". Sul blog del collettivo "Bibbia d'Asfalto", di cui fa parte dal 2013, tiene la rubrica "Caffè letterario" sui poeti italiani dell'800 e del '900.

 

https://stanzadeglispecchi.wordpress.com/

 

*

 

 

 

 

Poesie di Silvia De Angelis

 

COMPARSE ENIGMATICHE

Giocano utopie di fiati ammansiti

nel moto effervescente di ragione

stondato da sintonie in contrasto.

Ingombranti macigni di piombo

accumulati nella stiva del pensiero

accentuano l'elusione d'ingaggi surreali.

Si mescolano a comparse d'amore che vanno e vengono

per poi dileguarsi nel nulla.

E' in quel nulla che si perde il palmo della mano

inclinato di volta in volta in docili carezze

complici di profondi tessuti raddolciti da sguardi emotivi

rapiti da un silenzio sovrastante le stagioni

capace oscurare il tempo del sole…

@Silvia De Angelis

 

VICINISSIMA

Quasi lacero

papavero

creatura asettica

friabilissima

d'un volo sgualcito

su argute dita di vento.

Assenza totale d'impeto

nell'enorme franchigia

dovuta alla natura.

Solitudine in spicchi di sole

nel vuoto che non è confine

ma il piegarsi

a una ragione inamovibile

disarticolata

alla pochezza inflitta…

vicinissima alla mia cattedrale

ove non rivolgo prece….

@Silvia De Angelis

.

https://quandolamentesisveste.wordpress.com/

 

BELVEDERE DEL MATTINO

Ambiguità d'un dire giornaliero

erede d'un girone dantesco

esprime ombre di confine

su un vero dissociato dall'essenza.

Scaglie ingannatrici

e sfondi surreali

dilatano a forza l'entità d'immaginoso

scivolato su un'insensata deriva.

Si fa forte un'arte provocatoria e insistente

dedita a pregiudizi e finzioni

che irrompono nella loggia più intima

scomponendone l'originaria l'identità

sul belvedere del mattino.

@Silvia De Angelis

.

PERFETTA MECCANICA

racchiusa nel perimetro

d'un estro personale

mosso da eventi inaspettati

a cui assoggettare il pensiero.

Si scivolerà

senza rumore

sulla linea del tempo

ignorandone gli oscuri echi.

Resi lucenti da un'accentuata suggestione

annulleranno briciole d'ombra di luna

sospinte dal soffio d'una presenza interiore

vacante nell'immenso infinito

@Silvia De Angelis

.

https://deangelisilvia.blogspot.com/

 

LA DESTINAZIONE

Nelle pulsazioni d'aria metallica

spulcio il tuo dire silenzioso

inteso come una sberla alla vita che accade.

Affilo gli occhi in caduta libera

sul tuo ego riciclato

da una quasi ibernazione voluta.

Gazzelle si muovono velocemente

fuori del muto dogma

senza raggiungere la traversa

che ti attraversa..

proseguono imperterrite la corsa

mutando destinazione….

@Silvia De Angelis

.

SIGNIFICANTE AFFINITA'

Insistente

si posa

nel mio segreto

il tuo affascinante vociare

racchiudendo

"inaccessibile memorandum"

Dischiuso

sfiora

magica

indissolta affinità

come seducente amante

che nel vuoto

accarezza

avita simbiosi con te…

…spezzata da un ambiguo tuffo

in un lago di cenere

@Silvia De Angelis

https://deangelissilvia.blogspot.com/

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Biografia di Silvia De Angelis

Amante di versi dell'immaginoso nasce a Roma Silvia De Angelis, sempre invogliata dal contatto con la gente per il suo carattere estroverso e comunicativo.

E' affascinata dallo scrivere liriche e dopo un inizio poetico rivolto a elaborati dai toni "scarniti", cresce notevolmente, modificando lo stile e delineandone il fascino, con scritti più congrui e completati da una struttura più armoniosa.

Gioisce al contatto con la natura, in tutte le sue manifestazioni, dedicandole svariati elaborati poetici, in particolare, un volume, completamente riservato agli animali "CONOSCIAMOLI MEGLIO".

Ne pubblica poi un secondo, intinto in variegate sensazioni dell'anima "CORALLI DI PAROLE INTAGLIATE COL FIATO" in cui si sofferma volutamente su tratti d'inconscio.

Ancora un terzo libro, stavolta in vernacolo, dedicato alla tradizione della sua città nativa, Roma, dal titolo "'N'ANTICCHIA DE'

ROMA MIA".

Infine altri due libri di poesie variegate "INGANNI TRAVESTITI D'INCANTO" e "SCREZI NEL VENTO".

Pubblica i suoi elaborati su siti virtuali, partecipando alla loro vita ed apprezzando notevolmente le opere di altri autori.

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Notizie tratte da https://alessandria.today.it

 

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Scelta di poesie di Angela Greco AnGre

 

Cinque poesie di Angela Greco da "PERSONALE EDEN", La Vita Felice – 2015

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c'è una strada che collega due attimi dai nostri nomi

materia inattesa che si dissipa ad un sorriso

distratto e malizioso questo battito di ciglia

differenza tra quotidiano e desiderio da attraversare

tra il bianco e il nero sfumati fino all'opera d'arte

ti guardo muovere il microcosmo senza regole sul tavolo

nasceranno nuovi silenzi e ritratti fermi tra le stelle

e dalla finestra tolgo limite allo sguardo profanando il cielo

sei tu stesso a crearmi figura fuori come fossi pelle

mentre sulla discesa ripida tra le ali catturo un bacio lento

e come faccio a dire della goccia che scivola alla tua voce

della capriola dello stomaco quando aspetto la luce e te?

ho dita tremanti che segnano un profilo nelle ore

[d'impazienza

e sembra rallentare il creato se non arrivi a segnarne il passo

ascolto sul petto sciorinando stupore al sole della tua schiena

e richiamo meraviglia oltre e più che le tue mani creatrici

ho un sospetto di sentimento che s'accorda al tuo nome

e vocali e voragini aperte nell'attesa di averti addosso

in questo momento sfuggito al caos di astri avanzati

trapiantati in tessuti sanguinanti affinché fioriscano aurore

*

raccontami la periferia delle tue mani

quando incontrano nude il nodo dell'universo

e risvegliano il senso d'essere donna e tua

segna a dito ogni confine e oltrepassalo

col tuo sapore poi sconfiggimi senza altra parola

che non siano nome e sorriso tuoi e ferma il corpo

contro me / seno di latte dalle vie colme d'azzurro

ti lascio scorrere caldo in questa terra bianca

come la prima stagione buona

in fioritura anticipata ad un respiro

nudi piegammo la schiena voltandola d'incanto

e tolsi fiato all'erba serrandola tra dita voraci

fino a diventare noi stessi il paradiso perduto

e questa volta fu il creato a chiedere di entrare

in noi

dalle tue natiche ai miei fianchi larghi d'attesa

bastò una voce e fummo ancora e nuovi

*

riprendimi esattamente da questo punto

quello in cui coloravamo il ritrovarci stretti

precisi nello sbottonare voglia e labbra:

tra le tue dita il mio dettaglio nascosto alza la voce

e fughiamo chiaroscuri di silenzi ormai altrove da qui

ché sappiamo adesso dove posare l'istinto incrollabile

ad afferrare e restituire duplicate ipotesi di paradiso:

ritrovami ancora umida meraviglia

che ho atteso leccando una ad una piaghe d'assenza

mancanza oggi risolta dalla conoscenza delle tue rughe

varchi di tempo narrato ai miei occhi e sapienza

di sapermi nell'intimo di un ancoradadire:

siamo distanti solo un bacio non di più

e questa attesa è solo il nostro abbraccio più lungo

*

nella cicatrice del giorno segno il tuo petto a passi di danza

sottile ci lega un'impazienza d'arrivare a sfiorare quella spina

che senza pudore preme a segnare di straordinario quest'ora

nel solonostro che ci invita ritroviamo carezze sospese

nella mezz'aria che sempre manca al saperci insieme

e confondendo baci a poche lettere riconosco il tuo sapore

d'immenso e d'albero fronde al vento dove riparare il battito:

sciolgo inattesa lode e tu raccogli trasparente silenzio

dalle labbra che nella tua direzione invocano mezzogiorno

e ad ombra zero penetra nell'ancora – ancora – da dire:

sosteniamo fieri lontananza fino al ritrovarci

ché nemmeno una sfumatura ci allontana dall'iride

custode preziosa di tutti gli argomenti possibili

sei tu il mio preferito

scrivendomi dentro percorsi d'azzurri insperati

oggi finalmente ha smesso di piovere

allacciando pensieri e gambe in questo letto

*

m'hai accarezzata a filo di voce o scrittura è uguale

hai acceso il brivido che si riconosce alla schiusa

nel frantumare istintivo il velo che ostacola vita

penetrando raggio incisivo di risurrezione

nel cavo d'un luogo troppo buio per vedere mattino:

caldo mi hai così avvinta fino alla resa in stelle

a trapuntare amplessi in universi ricreati

fragili per il troppo peso dell'ordinario sognare

ma necessari a chiamarci per nome o per mano:

il dettaglio della tua schiena mi stordisce

curva ad Oriente giorno in rinascita

ed io ultimo astro ne colgo il richiamo

nel sottoventre insperato dove nidificano silenzi

pas de deux le tue vertebre in arcuato canto

sospirano che t'avvolga di me oltre ragione

.da: https://lapresenzadierato.com/2015/06/19/cinque-poesie-di-angela-greco-da-personale-eden-la-vita-felice-2015/

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Summer evening. La luce penetra la notte intorno.

Siamo notte e luce.

Animali ringhianti a guardia dell'umanità.

Il chiarore sulla veranda rivela un desiderio insoluto;

nell'attesa liquidi ci interessiamo delle prossime stelle,

impegnate a illudere romantici. Un fruscio dall'interno

scioglie incertezze. Ululiamo posati alla ringhiera. Accade.

.

Lo stiletto conficcato ossida il mattino. Al terzo intercostale

si risolve il dubbio e possiamo continuare. Lo strappo

rivela un volto sorridente sotto il primo velo di carta.

Si sovrappongono rappresentazioni e tempi e Mimmo lo sa.

Fuggiamo a Casablanca, a piedi, finché siamo in tempo.

Prenderò il porto d'armi soltanto per puntarti addosso

le canne del mio sovrapposto, oggi, che non sei più lo stesso.

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da All'oscuro dei voyeur (YCP, 2019; prefazione di Franco Pappalardo La Rosa)

§

Nell'oscurità della propria insonnia

il turno, la chiusura dei conti, il ritorno;

in un silenzio asfissiante

si assottiglia il coraggio

e feroce svanisce l'illusione di riuscirci.

.

Qui non importa essere figlio di dio.

Il cielo è così distante da confondere idee

e la sera è uno stato permanente.

.

Il rumore della sopravvivenza

fuori da questo perimetro

ha qualcosa di conosciuto che

non si può più ignorare.

da Ancora Barabba (plaquette; YCP, 2018)

§

Il sole pendola a un'ora ferma sulla grave

a sud di primavera anticipata; una sequenza

di rotti vetri colorati e legni e un ciondolo

appeso alla cipria del cielo, sul collo di un

pomeriggio casuale. Claire vede il verde

di occhi echeggiare alla parete carsica;

meraviglie nascoste dietro fessure di silenzio

e gatti in bilico tra troppe vite. Un falco sorvola

il luogo del prossimo nido incurante della sera

incipiente e dei suoi colori. Giochiamo a dare un senso

alle parole, che ci fraintendono prima della buonanotte.

.

Si sfuoca in lontananza la visione e per oggi siamo

fermi in questo cerchio, affacciati a un balcone.

(inedito)

.

.

Angela Greco è nata il primo maggio del '76 a Massafra (TA). Ha pubblicato: in prosa, Ritratto di ragazza allo specchio (racconti, Lupo Editore, 2008); in poesia: A sensi congiunti (Edizioni Smasher, 2012; 2017); Arabeschi incisi dal sole (Terra d'ulivi, 2013); Personale Eden (La Vita Felice, 2015); Attraversandomi (Limina Mentis, 2015, con ciclo fotografico realizzato con Giorgio Chiantini e nota introduttiva di Nunzio Tria); Anamòrfosi (Progetto Cultura, Roma, 2017, prefazione di Giorgio Linguaglossa). Presente anche in diverse antologie e su diversi siti e blog è ideatrice e curatrice del collettivo di poesia, arte e dintorni Il sasso nello stagno di AnGre (https://ilsassonellostagno.wordpress.com/). Commenti e note critiche sono reperibili all'indirizzo https://angelagreco76.wordpress.com/

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Salvador Dalì

 

 

 

Poesie di Giovanni Perri

 

 

Uno che passa ride, ed apre il cielo;

santo e demone col cuore intrecciato

a una sua tutta piovosa malinconia.

Sapergli il nome e la ferita, farlo cadere

nell'ago di aprile come un sogno.

Ecco con quale leggerezza il vento

spiega un suo lucore alla notte,

come gli riempie l'occhio la perla lunare.

Inganno adulto è questo non sapere

da quale feritoia cadrà la mezzaluce del giorno

e dove infine apriremo al dolore la voce.

.

Avevo preso tutta l'acqua del fiume.

Il bicchiere era sul comodino

insieme ai libri al termometro a una

piccola macchia di sole wengè.

Come un dio avevo esclamato

nella lingua sonnolenta dell'acqua

e ogni mio giorno era finito dentro

quel fondo dal quale bevevo

come da una delle 7 opere.

Ma dentro, soldati e cavalieri e angeli dalle ali plananti, residui e residui di luce

dentro ancora io era senza orizzonti, senza lamenti di navi greche o fenicie, pensavo un uomo in sè totale, del tutto assente, del tutto chiuso in un suo mondo ulteriore

mentre dai labbri mi cadeva un albero maestro. ~Erano l'onde

e le voragini buie

e gli abissi labirinti a risalire

da tutti i miei mari

mischiati.

E invece con che suoni

dalla finestra il giorno

pieno di geometrie

nell'azzurro ignaro

cantava.

.

Viene il pensiero di perderti talvolta

la sera è un posto girato nel sonno

stare di guardia fiutare come

dal picco di una brace la tua cena.

Ma non lo caccio, gli tocco l'osso

del gomito, gli faccio fare il giro della casa

prima che dica è tardi vai a letto

e così vado

a sedermi nelle sue occhiaie di marmo

nei suoi capelli così pieni di cavalli e canali

e penso che il tempo non passa, solo

ascolta gli spigoli e le buche

tiene girati i polsi sulla fronte.

.

Andiamo per similitudini, e sembra quasi di sentirci

in questa cosa che appena ci somiglia se ne va.

Pellicola del sogno, mia pellicana dolcezza

lasciati incorniciare da uno sguardo

di pietra viva, fatti gettare da Pirra e da Eucalione

nel mio cuore di latte e cemento e aspettami,

io sono il tuo medesimo furto di occhi e di lingua

nell'ora che agguanta e moltiplica ogni anelito andare,

lasciati nominare miscuglio di ferro e mistero

nel mio ottobre di addii smisurati

e piegami e svolgimi e ripetimi

del padre e della madre l'identica luce

che accende parola e rivela.

.

I° maggio

Attorno era la festa dei morti bruciati

un riapparire dentro le forme del fuoco

ma sempre da un angolo nuovo

e ognuno aveva addosso la sua sagoma

e c'era sempre quel numero mancante,

col pugno alzato sul fumo, a cantare.

.

Lettera ad una madre

E' tempo di comprendere

che siamo qui a dividerci il pane:

scendo per dirti

che sono capitato per caso

e non ho ancora un nome:

qui si parla di niente

e la sera si contano i topi

ma in compenso non si vive male,

la gente passeggia e

sorride, una ragazza si sente chiamare.

Saluto te, madre

che mi hai girato le spalle

dicendomi di andare

in ogni porto

pregando

ed io per ogni porto

prego

l'insurrezione e l'amore,

ma sotto ho questo muro

impregnato di urina

e mi gira la testa:

sto con questo animale

e non parlo da giorni,

sento pian piano morire

anche il lamento del mare.

.

Senza titolo

Impressioni

volano foglie d'oro, è il giorno degli avanzi di febbre,

qualcuno posa le buste pesanti sull'asfalto, respira e riparte

portando con sé una scia di ricordi.

In alto danzano i lampioni,

sembrano corpi condannati a resistere

più che luce, lividi, persi nel tempo, sopra il primo strato del tempo.

La sera ha questa pelle spessa

un taglio che non sanguina

una scritta sul vetro appannato, forse

questa è la vita, dico,

un rumore lontano, qualcosa che sai

sta nascendo.

.

Melancholia

li morti tra li vivi s'assecondano:

si toccano le schiene stanno muti

ne li occhi rimestano paura

e paura li mangia

per fame, poco a poco:

ma i morti sono morti di luce, ché luce acceca l'occhi e sfibra

e parola s'accampa

legittima resa;

e più di tutto pesa

del cuore allegrezza

che è misura d'inganno e offesa.

.

Vorrei veder tramontare ad oriente

sul breve canale delle canne addormentarmi

sopra una scia di spari cacciatori

fuggire gli alberi a ritroso

e la notte incendiaria sentire

l'annuncio dei cani arancioni

vorrei nascondermi nel fieno di maggio

nell'ampia volta del cielo che pende

sorridere per un ricordo

invertir l'ombra mia stessa

di lividi e dimenticanze

e d'anni che non ritrovo più.

Ma d'ore numinose è fatta

l'anima mia riflessa e d'archi e frecce,

portami il cuore nella luce a planare

sopra un acquaio di malinconie

saltami allegramente sulle sponde

della mia vena d'oro e scrivimi

col vento ogni ferita

degli occhi e della lingua

io ti sono nel canto padre e figlio

e fratello dei cocci lunari

allora fammi terra

fammi profumo di terra e di stalla

oppure scovami nella campagna ramata, raggiungimi

fin dove tocca l'erba la parola

e non v'è peso

né formula dei miei destini accumulati.

.

Giovanni Perri

(da Bibbia d'asfalto): https://poesiaurbana.altervista.org/author/giovanni-perri/

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Il lettore deve sapere, leggendomi (leggendo questa non-biografia dalla quale estrapolo che nasco a Napoli e ci vivo col pregio d'arricchirmene fino a smarrirla) che un po' della mia poetica (ammesso che sia tale) risponde al desiderio, non del tutto cosciente, d'allargare il mio ipotetico dolore, la mia svagata gioia di vivere, e tutte le mie infinite miserie, ai piani più alti del sogno e della bellezza. Ogni poesia è un'occasione di sogno e di bellezza. E la bellezza è un lavoro paziente di scavo. Io sogno di essere archeologo e scultore: levigo negli affanni e a volte mi trovo a scoprire che la vita è un'invenzione stramba dei poeti che tutto sanno fare fuorché vivere.

(…)

Poesia mimetica e riflessiva, umbratile, ritmica, geometrica; poesia lunatica, ingenua, scenica (mi piacerebbe fosse, se fosse veramente, poesia) la mia.

 

*

 

La vetrata nera - di Giordano Genghini

 

Io sono colui che ascolta
nella notte
l'urlo interminabile
come un cane di tenebre alla luna
lungo i corridoi spenti
dall'alto i pini immani della notte
sul prato
la luce alta
sotto la finestra
del lampione
in contrappunto
la nenia il canto dell'uomo che muore
anima legata
da mille metastasi alla mente
ombra immane di pini nella notte
un animale ansima in agguato.

Punti di luce
nella città
suture
nel ventre immenso in agonia del cielo
stelle cadute
dalla vetrata oscura il grido sale
sull'asfalto nero
giunge fino alla notte di febbraio
spezzata dal vento
giunge fino ad un'altra primavera
in altra vita forse
e i pini
unghia d'asfalto nella luce obliqua
paiono immobili
ma attendono
come ogni notte
un animale ansima in agguato.

Punti di luce nera nella notte
suture
nel ventre immenso in agonia del cielo
e l'urlo della notte
che muore
i corridoi percorre un canto lento
il silenzio è conchiglia
dice il folle
non conosco il mio numero sai
ma ero un tempo forse una donna
forse
un tempo
un animale ansima in agguato
la notte non vuole morire.
E' facile invece
dice il bambino
divorare il corpo ma non la testa
è facile invece
dicembre nascono funghi immagini e pensieri
divorare l'involucro di grigia spugna
e grida
certo è facile invece
dice
con gli occhi ciechi e pieni di paura
e nient'altro dice
e niente altro
e un grido
percorre i corridoi da sempre forse
il grido della notte che muore
legata da mille metastasi
al corpo della terra in agonia.

Pigiama azzurro l'ombra d'un gabbiano
lei è ritornata
per questi suoni noi ti ringraziamo
musica auricolare pianoforte
e silenzio
sopra il tessuto d'urla della notte
che muore
mentre i sogni camminano leggeri
oltre la soglia
ti ringraziamo
per il carcere infinito dell'universo
per l'anima la vita e questa radio
e la piccola lampadina accesa
sopra la vetrata nera.

Il tempo si dibatte
come pesce strappato dalle acque
ogni cosa ritorna
anche tu cara sei davanti a me
e ti amo come quel giorno
e tocco la tua pelle
tiepida e sottile
e ti amo
oltre la notte che urlando muore
oltre la vuota scorza della mente
e i sogni che abbandonano la soglia
e l'ombra immane in falsa luce obliqua
e l'animale in agguato
oltre le squame del tempo
che si dibatte sulla riva
del cielo capovolto e delle onde.

Pomeriggio
macchie di luce fra stroncati rami
gonfi di gemme
la giovane donna seduta guarda lontano
oltre i rami
gonfi di gemme che non cresceranno
e vede il sole alto sopra i muri
oltre i tre uomini
di spalle

Ma poi per chi la raccontava quella
dell'annegato che ti tira giù
e nel corridoio l'amica
parlando a brandelli
da qualche tempo
s'è immersa nel nulla
e sono scivolata dice
quella dell'annegato
sono scivolata
per chi
dice
la raccontava ci si scosta
per non precipitare nell'abisso
degli occhi

Si spappola il cervello dice l'altra
i passeri sul davanzale
e può durare un'ora un mese un anno
è un grido cieco è l'anima che muore
i passeri vi trovano briciole
ininterrottamente notte e giorno
di timore non c'è qui
alcun motivo

E i due parlano
vicini
giovani sotto il giovane sole
filigrane di passeri nel volo
quando la smetterai con questo scherzo
lei dice
e la brezza del desiderio
come le ali ai passeri le muove
i lunghi capelli.
Sono colui che mai ti ha conosciuto
ed antico di mille anni
è il midollo d'immagini sepolte
nel tronco dell'anima
t'indicavo ricordi?
scheletri di tralicci e gru metalliche
e le sere e le nevi e le acque e i cieli

E venne poi l'artefice con l'urna
e la cifra bizzarra
oltre i sentieri antichi e l'erba nuova
oltre grida lontane di corvi
oltre steli che tremano nel vento
e venne un albero tagliato
e venne il sonno.

Così va bene grazie
a ritroso
attraverso generazioni e secoli
erbe sfuggite al faticoso seme
i millenni le ere interminabili
per riapparire ora
al cielo nudo in questa primavera
maldestramente dipinto
col grande sole falso di cartone
così va bene grazie
il senso d'ogni cosa è chiaro ora
fermo stabilito
come l'ora del turno agli infermieri.
Io sono colui che veglia
quando il mio corpo dorme
io sono colui che esplora
la pioggia sull'asfalto bagnato dalle luci
io sono colui che all'ultimo fiume
accompagna la notte
e guarda
il pettine d'argento
il molo dele anime
le grandi navi che mai salperanno
sono colui che immobile sta dietro
la vetrata nera.

Giordano Genghini
('85 – '93)

 

.

 

 

 

 

Giordano Genghini - da Altri ritorni - Madrigali contemporanei

 

1.
Sarà forse domani: con un fioco
soffio di mani: un fuoco

di specchi spenti: accanto a me rimani

ancora un poco

in questi specchi della pioggia, strani
volti degli anni e dei millenni, persi

come in gorghi notturni gli universi
dissolti: e il vuoto inganno degli inganni
ora al ricordo riconosce fine

di suono sordo divelto: e il segreto
è in noi sepolto tra venti e rovine.

2.
Navi d'unghie di morti: arcobaleno
infranto: lunghe prore luminose
nello scroscio dei raggi chiari, ed acque
e radure di mari

tra steli d'oro: e d'improvviso il soffio
di cieli e stelle dall'immenso molo
libera l'universo:

minuscolo, sul palmo della mano
bianca, insetto di brina: nel mattino
fragile, al volo.

3.
Astrali azzurri nomi, luci fatue,

petali tenui di rumore: graffi
di gesti, esile traccia

sulla pista magnetica del nastro
assente:

grecaggio della mente: e in fogli strani

virati soli, corpi d'aria, voli,

nidi di mani in alberi di veli.

4.
Polvere d'astri limpidi e pianeti

negli universi: rete

d'aria labile, d'orme

s'intesse nel respiro e spersa smaglia

il campo delle forme, nell'arena
di infiniti confini: oltre foreste
di mari e di pensieri, scroscia tersa
e svanisce tra le onde la risacca
delle cose: l'immagine stupita

di germogli di stelle: e oscilla, pulsa,
vacilla,

viva fiorisce in cieli ed antri d'albe

e giorni, voce chiara: ed oltre stormi
d'orizzonti e frastuono d'ere, s'alza
brezza di luce in neri spazi: ed ombra

tra selve d'ali e suono nasce e muore

di ritorni, di un cuore.

5.

Lampade d'erba, e luci, e forme, ed ali

di foglie, ferme:

dissolti solchi di zolle racchiuse

in corpi, e bianche orme,

e nella notte lenta transumanza
d'astri gelidi e nuvole, attraverso
fiumi di spazi e valli d'universi

celate: anse del tempo ossa di vento

imprigionano in gesti: e freddi suoni
divelti
da sordo legno intorno: da millenni
un volo
d'angeli e antiche vite, in muto stormo

per i cieli,

ove dorme nel sorriso

la fonte del pensiero: morta al giorno

dei lampi

la luce gonfia: e dall'azzurro sole
notturno, d'improvviso ai campi irrompe
sgorgando dalle vene dei sentieri
la cavalcata degli alberi neri.

6.

Spaurito, nel cerchio: intorno cerco
un'ombra luminosa nella mente
verde di limo ed onde: e un arco freddo
affonda e affiora, e ancora

affonda, e rete smaglia, e serra il varco
tra pensiero e respiro: e lento ascende

al niente, mentre il giorno si fa sera:
sbagliava, primavera.

7.

Pingue nebbia di noia: nervature
d'ombre lunghe: ritorto

albero sopra la pietraia: adunca
l'unghia della radice

raschia il fondale oscuro della mente
e affonda, e in linfa langue sconosciuta

-umido giunco timido allo stelo,
esile trama d'alito- e la foglia
dall'immobile riva, in bianco gelo

a pena viva,
tra rami neri appare: e trema, e cela
sguardi, e il volto specchiato: e d'altre foglie
infinito ricamo, labirinto

d'ignoto velo: il corpo della notte
in verde cielo.

8.

Baia dell'ombra chiara: verde nave
se n'è andata, la vita: ieri, ancora
creta di risa spente: onici vaghi
di volti: ed ora, nera
presenza d'astri serici, riflessa

sopra il mare del corpo: e s'innamora
di spazi interminabili la sera

pallida di paura, ed alta sorge

la vetrata confusa, e in prati d'ali

sottile specchio di fiati scolora

al tocco delle dita: e presa, chiusa
nella gelida gola, nella roccia,
la voce attende il dono, la parola
rubata: squarcia l'anima sdrucita
da forbici di refoli di vento:
strappa forme la terra, sole il sole
nella cala delle ombre, dove cala
la tenebra: ove l'osso

perora il volto bianco della mente
e le file di denti morti: pietra,

teca, cristallo freddo e muto, niente:
tetro, il cialtrone intona uno starnuto.

9.

Nodi di fredda seta e d'oro fuso,
nodi di nervi e chiodi ed urla e frodi
all'improvviso sciogliersi: confuso
aggrovigliarsi, forse,

di momenti e di menti:

ma intrecci di respiri, e anelli, e corse

nel teatro di verdi reti: e un drago
liquido lento emerge dai sentieri
del vento

nella fossa: ma tonfi d'acqua e brago

nel lago dei pensieri, e suoni gonfi
nell'aria grigia: nodi d'intricate

gomene: ultimo segno

di navi e vele e cancellate tracce
di presenze: ma non voli leggeri:
passeri neri nel cerchio di legno.

10.

Sussurri, vetri: cigolìo di stanze

distanti: nel deserto dello specchio
danze esili: e la toga

aperta che una mano obliqua lega
nel riflesso è persona, e ad arco piega

labile corpo assente, e nella gola
cavo legno di noce una parola

pegno di luce, ancora

deriva nella gora: lontananze
d'un segno ancora, ancora d'una voce

petali azzurri

nel prato nero: nei muti sussurri
ancora danze

di maschere velate di sembianze.

11.

La pelle è di metallo: tocca, è fredda
la bocca, e più non chiama, e lento scocca
vento giallo
d'ali chiare, il respiro: alle pareti
di foglie, l'universo nasce e muore:
e nell'intrico d'ore agita il tempo
i cieli e il mondo, e sciamano le immense
ombre del cuore.

12.

Tracce di mani, vortici di volti

tra piume di pensieri: ma di notte
salpano: ma sarmenti

e sterpi e funi e la morta parete
chiudono l'arpa nella quiete, dove
rete di suono smaglia e strappa bianca

mano di stoffa: e cadono comete
soffici, sopra l'isola

di ciottoli e di soffi

lucenti, e chiara pace: ma il gigante
azzurro, dentro l'antro d'aria, tace:
in catene di nubi avvinto, solo,

le lente onde non ode: e sono spente

le navi e il vento nel deserto molo.

13.

Del vuoto ancora il grido: nell'ovale
risonante respiri: prati neri,
sonagli d'aria e argento e ferro, e cupi

dirupi della mente
ingombrano i sentieri.

14.

Vedi? l'angelo ride soavemente
invisibile, in volo: in ombra lenta

fragile rete di colori e fregi

e rami e rado verde
sul volto tenue, oltre galassie d'anni
e cieli: e, sola, l'isola, nel solo

luogo vero presente, ora: quel volto
nel mare della mente.

15.

Dunque t'attendo: per l'appuntamento
nella nicchia di tenebra: le squame
torbide nei cunicoli di rame

oltre grida e silenzi, in morti morbide.

16.

Ombra di legno: strappa il velo, appare
d'improvviso: nel volo, nello specchio
ricerca d'aria e d'acqua, balzo zoppo:

universo-gabbiano in alto, cieca
fuga, rapida corsa oltre le stelle

d'ambra e granito:

ed ali aperte sul segno e l'intarsio
di forme, a squarciatuoni:

ricaduta sul vecchio

pavimento dei suoni.

17.

E la tua mano mi conduce: ancora
salvo: nell'aria candida, oltre il vento,

la porta lenta s'apre nella luce

musica, della voce: e nel respiro
calmo, ti sento.

18.

In gocce di cristallo le parole:
forse, i respiri: escursione veloce
furtiva, foglia, voce: liberata

fuggiva, forma viva.

19.

Il viso nella rete: smagliature

d'invisibili passi: bianche crepe
sulla parete: fra vicini volti
di specchi

e ferro dentro il ferro, cerca afferra
antica luce estinta, mentre il tempo
lo governa e imprigiona: invano atteso

invano attende un nome: ingresso, uscita
nel buio angolo bianco, ala indecisa.

20.

D'improvviso, ecco irrompono le immagini
e sguardi fra le porte

spalancate, infrangendo il nero vetro,

fra voragini gonfie: e ruota sorte
d'acqua, fuoco, aria, terra:

ogni risposta è ignota: e mai c'è morte

in questa guerra.

21.

Nel corpo imprigionata si dissolve
la voce d'aria chiara: oltre la chiglia
della luna, s'avvolve
nero limo salmastro:
e sopra il lume rovescia la sponda
e in strepiti di schiume affiora e affonda
nell'acqua: e sulla riva, la lucerna
rivela il freddo palpito degli occhi
spalancati: e la carta dei tarocchi,
cifra delle onde, segno
lastricato di mani, alla taverna
precipita sul tavolo di legno.

22.

Tu non sai cosa cela l'alta porta
rinchiusa: nelle stanze più profonde
dove l'alito è avvolto nelle squame
e la traccia di luce non conduce
che a radure
sorde: tu parli, avvolto nella scorza
del volto, della forza: ma non eri
nel recinto sepolto, dietro i neri
ricami d'onde: tu bonsai, ma parli,
forma conclusa: ma oltre le pareti
solo la tua domanda ti risponde.

23.

Sento il peso del corpo, e dure zanne
sorgono a un tratto nella gola: siedo
e segni vedo e cerchi in pietra, e attendo
l'urto profondo
del sogno oscuro: irrompe, è spento il mondo
nella sera che incede: e il cielo vola
spinto dal nero vento
tra false nubi: e sbuffi
di canto, e strane stoffe, e stretti passi
sul legno dei pensieri: oh! Il soffio attuffa
ciuffi e glifi di rose,
e in groviglio s'azzuffano le cose.

24.

Fa' che non torni il giorno dai contorni
torvi: l'uscio si chiude, grigia grata
imprigiona la mente:
dov'erano le onde, sordamente
sciambrotta la belletta negra, e gridano
corvi, anime perse alla deriva:
oscilla nella stiva della notte
il vascello sepolto
nella rada… ma ora
ascolto ali ascolto mani ascolto
il ruscello ed ancora ascolto i verdi
coralli nella tersa acqua del volto
sconfinato: e le dita mi attraversano
e il bosco folto dei respiri ascolto
e foglie d'aria e sussurri: e si perde
fra monti in oro e azzurro
la parvenza del palpito: ossa e mura
di paura e di assenza
crollano: e immensa altura è cielo verde
dissolto: rispecchiato, il volto dura
nel mare d'erba pura, capovolto.

25.

Il gigante seduto: nella sera
stormi di luce fra le guglie grigie
della stanza, e silenzi
dentro l'ombra, nascosti:
e sguardi e suoni e falsi cerchi d'oro
tra siepi di velluto: like a bird
on the wire, tace, ascolta, è fermo,è solo
il gigante, di spalle: oltre le grigie
luci, intricate tracce di rumore
nella stanza:
e dischiude la mano il lento volo
oltre le tende e il tempo,a oggetti e spazi
confusi, nella stanza ingombra: e intanto
controluce, il gigante, in lontananza,
visto di spalle, è solo, è vecchio: obliqui
nella curva penombra, oltre lo specchio,
segni: immagini, forse, di un istante
presente, che non muta: forse, nera
nebbia distante.

26.

Sembianti inermi, valichi di specchi,
nuvole d'occhi, fermi
nei volti: mormorio stanco di maghi
e fiati di flauti
varcano i sogni folti: e cauti draghi
in vacillanti luci di voragini
chiare, e laghi d'immagini
in cieli capovolti.


27.

Oceani s'avviluppano irrequieti
nel sole, oltre le mani: la brughiera
… the moor
is dark: gelide reti nella sera
svanita intricano rami e pensieri
umidi, e l'aria spenta
incaglia strappa arronciglia: e le dita
la fossa d'acqua attende: al passo breve
fiorisce ghiaccio il prato, bianco d'onde.

28.

Semi di nebbia, nodi d'oro e fiamma
e onciali segni: mura alte di sogni,
lame di luce viva oltre la riva
nascosta: al sole correre, e negare
e la risposta,e l'ombra,e il cielo,e il mare.

29.

E invano cerchi il centro, invano cerchi
il varco in sogno vano:
la nave è morta foglia oltre la soglia
del niente,ed oltre il foglio è già la mano:
segretamente, in cerchi, guardi assente
fra specchi di metallo e nere danze
ripetute… non alberi d'argento:
chiome di fumo e maschere di vento.

30.

Riccioli verdi, eh, dici? e non capisci
se scherzi:
se, riccio aperto, lieto ti diverti
in brezze e in versi, o versi in frasche d'acqua,
in fontane: o in capriccio,
fruscio d'uccello: guscio
sottile aperto, oh bello! e dietro l'uscio
riaverti:
credimi, cose strane,
spruzzi barocchi, verde
guizzi di crine alpestre:
occhi, trine, finestre.

31.

L'urto del vento lacera la vela
in ventagli di neve, e nella nera
luce scoscesa, beve
l'ombra fonda del sole: ed onde bionde
indorano ora i raggi: il fiato lieve
del giorno, ora rinato,
induce ad altri viaggi: ad un ritorno
oltre le porte
dell'oceano dei sogni, a navi e legni
di raggi d'oro, d'intrecciati steli
in luminose gomene ritorti
fra le sartie ed i veli: oltre le bolge
e i viluppi del porto,
dirupi, valli, gelo avvolge il sole
in bianchi nastri, e nubi strappa il vento
aggrovigliando i vertici dei monti
nell'acqua antica, in chiari
vortici: e soffia, e travolge strinati
relitti di tramonti, cieli ed astri,
tra spirali di mari.

32.

Ora le tempie sfiorano del tempo
stormi di luci
e il mondo tace, ed intendo sul volto
un ventar d'ali, ed al chiarore stanco
densi rami offre al volo
l'albero della pace: e di polito
argento ricamata alba riluce
ed ornano le notti
nubi di seta e d'oro: l'universo
s'apre, morbido, in musica infinita
e forgia forme
di resina forbita ed aria, e labili
orditi di lucenti filigrane
e d'azzurri velami: oltre la soglia
invisibile, s'apre e corpi schiude
tra lievi tracce
di luce immacolata, dove giace
l'ombra abbracciata al sole: dove dorme
nella nicchia, la voce
e dita brune tessono le foglie
e i germogli del cuore
dischiude in noi, donandoci monili
d'ultimi astrali voli
di nubi e seta ed oro e di respiri.

33.

Ecco, il mio vuoto colmano le immagini
vuote: ringrazio, antica sera, il dono
ripetuto, lo stampo delle voci
di maiolica fredda, il morto suono:
qui, nella mente, io abito, lo vedi,
amica: un sordo saio di pensieri
ricopre il corpo-mare: e la tua luce
arabescata, lucciola sul niente.

34.

Ma ora ascolto te, mia cara, amore:
nella selva dei volti e delle mani
aperte: petali d'alito, stami
di lievi sguardi in fiore, e bianche perle
di sillabe velate: e nel vederle,
cieco, dorme stasera
il vento dei pensieri: ascolto voli
molli, di suono ed eco: calma attesa
d'accese luci, folli
soffi di sogni nell'aria distesa.

35.

E tu chi sei, che appari nella strana
bellezza umana? tu che pari vento
quando ti sento: e il lento
cerchio s'apre nel cuore: e nella mente
il dubbio tu riaccendi sull'oscuro
veto del tempo, oltre il muro ed il vetro
strinato del futuro: e taci, e ascolti,
e sciogli il velo che imprigiona i volti.

36.

Ritorna l'ombra della croce: a monte
cigola il ponte teso sopra il cielo
dell'istante, riaperto alle domande
e il segno eterno, minuscolo e grande
dell'universo, è lucciola alla mano…
Non mi seguire: non so come il mare
delle forme s'addensa in tempo umano.

37.

Suono di lente corse: nello specchio
invisibile, forse,
altre strette di forze, e fiati, e mare:
ma corazze di corde, nel volare,
imprigionano le ali: e il tempo morde
l'altra luna: nel secchio, dietro il tempio
di morbido metallo, occhio del niente,
la gabbia d'aria e ferro della mente.

38.

Ci rivedremo? v'ha accolto la sera,
cari: non forme o suoni, aria leggiera,
orme di luci spente nella vita
svanita, fiori ed erbe
che verde primavera in soffi sperde.
Siete svaniti: insieme, oltre la chiara
ombra del cielo: e vi ricopre il velo
sollevato sui sassi e le acque e i passi
del passato: tornati oltre le porte
che il vento d'oro ora chiude, e la morte
suona il dolce suo flauto, nel ritorno
della notte lucente, ala del giorno:
di voi mi resta un suono
assopito, di immagini: presente
nella pianura chiara della mente.

39.

Voglio restare accanto a te: non voglio
perdermi in canto giallo
fra rondini nel cielo di cristallo
spezzato: voglio toccare le mani
ed il volto, e la voce: ora, domani,
mentre il sole ritorna e erba di prato
germoglia: e nuovo è il tronco, lieve
trama di corpo, e verso il giorno viene
giovane,e già s'inoltra nella vita
il figlio da noi nato, e andiamo, insieme,
cercando una speranza senza fine,
tra grida di battaglie sul confine.

Sarà forse domani: dalla sera
si schiude un'altra notte: ora riposa
lo stormo inquieto di forme e di mani
che irrompono nel volto cancellando
i ricami dell'alito e le orme
di luce: è notte, ascolto
le sillabe del cielo, e le alte stelle,
e le bianche acque calme:ascolto il vento
ma è terra il corpo e trema, argilla nuda:
è cava tartaruga il tempo: dorme
su un azzurro guanciale nostro figlio.
E' lontano cento anni il nuovo giorno
e un miliardo di secoli il ritorno
dall'esilio.

40.

Dimmi tu chi era in preghiera: chi c'era
nella luce tua prima:
dimmi chi c'era, prima del respiro,
nel mistero tuo vero
oltre il chiarore teso sulle soglie:
dimmi chi s'era celato, chi c'era
tra velami di foglie e rami e rose
di vita che destando forme e cose
s'aprì nell'alba nera: ombra di mani
bianche, in paziente attesa
di onde di primavera nel domani.

Monza – Maggio 1994 [edito in proprio]

 

.

 

 

Octavio Ocampo

 

 

 

Poesie di Flavio Ballerini (in memoria)

 

Da qualche onirico terrazzo bianco
stazione ottica dei sogni aperti,
ancora ritransitabili a notti
inoltrate su crocevia
ove solo il soprassalire muta,
quei bianchi terrazzi ov'ero lì e altrove
insieme, affacciato su altri sogni
immortale e in medesima luce
nel lieve stupire primaverile,
vissuti con la materia dei sogni
eppure ricordati come eterna
promossa felicità!
Vissuti davvero quando ritorno
sorpreso improvvisamente in balìa
inafferrabile intemporale.

30 marzo 2003

*

Grigio che confonde cielo e orizzonte
consuma la collina nel risucchio
del suo verde umido già digerito
dai moli di sera una rosa luce
lacrima oltre la campana velata
traspira sangue un cosmico delitto
per pochi minuti o un parto divino

*

Libero dentro il guscio e solitario.
Ho sentito tutti i miei cari morti,
mostratogli la fonte del disagio
come infelice fuori dall'intero –
fuori dopo la pioggia miagolava
come un grido di dolore nell'aria
mutata e dolce una gatta d'amore
lo strazio che non puoi non ascoltare
Non mi resta altro che essere presente
oggi dentro e dopo tutti i congedi
Sopra il ponte del Miralfiore l'aria
disse d'esser la vita del pianeta
oltre l'umano. Tutto muta e si può
uscire dalla propria forma un poco
e in quell'allora nell'oltre guardare
e accorgersi forse di un altro fare…
Umili e leggeri oltre il terribile

*

Mai mi sono sentito così solo
Ed è una notte così bella nera
e luminosa di luna crescente
con tutto il cielo la stella più grande
si avvicina se la guardi alla terra,
l'aria è fresca e gli alberi della piazza
tremolano un'onda frusciante efferve
ovunque e il piacere di questi attimi
offre di starci insieme anche nel sonno.

*

Non si sa dove se ne sono andati.
Ed io non sono da allora più io.
Né confuso conosco quel che resta
nella scia di scomposti agglomerati
svaniti via, sol qualche monca memoria
qua e là nella geografia del vuoto
Appariva come una penisola
(ben ancorata a solida storia)
poi smisurabile fu il suo confine
ed arcipelago che s'allontana.
Per dubbie derive. Non sono più io.
Mi sembra un bel po' che mi cerco.
Fu quando la corrente si raffreddò;
Ad est del golfo non c'era più sale
fiumi d'acque dolci scendendo dai poli
le primavere incerte svanivano
il ghiaccio avvicinava tutti i cuori
sorrisi si stampavano di pietra
sospesa come nel gatto di Alice.
Segni d'allarme, sogni suoni di chiurli
campane gufi inascoltati ed urli
furono disseminati nel tran tran
………………………………..

*

(Per Kostas Kariotakis)

Per compensare tutto questo sole
d'aprile leggerò un poeta triste
la cui luce diverrà meno tetra
più attutita la vacuità del giorno
Resterò con i versi come in chiesa
-anche se dinnanzi a un inquieto mare –
in attesa che lo spirito aleggi
e come in una sentita preghiera
un angelo delicato e deciso
aprirà il cuore alla più pura pietà
Questa è la carità che voglio offrire
alla spirale nera dell'anima

[finalista al Premio "Paesepoesia",
Belvedere Ostrense 2005]

*

Pure come invisibile radice
sorprende ai varchi un puro domandare
ove l'alieno allea forma che muta
oltre il noto che si infissa vorace
cibo a perpetuare la stessa fine
l'uguale fuggire il Logos vivace

(a Felice Serino su "L'ombra")
11 luglio 05

Flavio Ballerini

*

Non ricordo se riflesso dal vetro
o se fu folgorazione dell'ombra
o se vidi me specchiato dall'alto
per un istante nel limpido fiume
ricordo però la curva del cranio
le linee assorbite di schiena e spalle
io vidi ciò che mai prima non vidi
il profilo la posa in un unico
familiare ed estraneo interrogare
il mondo intero attorno
come la parte chiede al tutto cos'è
io vidi di mela formalo stampo,
vivo, fatto di antica attesa, forte,
come non fosse tutto quel che non è,
stampo dell'antico a sé, il doppio
il precedente
impronta emersa dall'ombra nell'ombra

*

Tutta la notte sogni ruotavano sulla poesia il poetare
Sono giunto là dove nasce il vento
alla curva del sogno
all'esterno pervade l'aperto
-da sopra le curve degli alberi
nell'inoltrato rimbomba
in altro modo il tempo

dicembre '01

*

Se io posso dirti son io ascoltami
sono innamorato del tuo ascolto
e della tua vera voce
E tu mi dici che la tua vera voce
non è quella vera ma una fra le tante
Io so che rideremo insieme
e la risata risalirà i sensi
come il suono di una cascata
su per le valli dell'Acquacheta
anche gli abissi
rideranno

Flavio Ballerini

*

Bibliotecario, filosofo, libraio nel campo delle teorie e terapie olistiche, poeta, scomparso improvvisamente il 3 dicembre 2006, pubblica nel 2001 "Versi licantropi" che raccoglie poesie e prose e che diventa, in collaborazione col musicista Michele Donati uno spettacolo teatrale e un CD.

 

.

 

Dipinto di Kateryna Kovarzh

 

 

Giordano Genghini

 

PENSIERI

 

Io penso al destino delle anime - a volte -

quando al corpo le strappa le unghie della morte.

Dove sono ora - chiedo - uomini e donne nati

che a milioni dal mondo se ne sono già andati?

Menti, affetti, parole cosa diventeranno?

Forse, esse ora ci parlano soltanto con il suono

del vento e delle foglie, o col rombo del tuono

guardandoci dai sogni che la notte ci dona...

Forse forme invisibili ma per sempre viventi

si aggirano fra i nostri corpi, lenti opachi e pesanti...

Forse lucente nebbia nasconde i loro volti...

Spero e credo che noi non saremo mai morti

quando noi moriremo, lasciando il mondo e il tempo.

Ma che cosa saranno le anime nel vento?

Ci sono giorni in cui a ciò penso, talvolta.

In altri giorni sempre penso alla vita morta.

 

.

 

TERESIO ZANINETTI

 

Non per nulla

tutti i fiori ritornano nel perimetro estatico

del cuore rimasto

sgranulando bocci d'orchidee e trifogli

Nel caldo mattino

solleviamo briciole

per palpiti senza respiro e ancorché deserto

il prato riavrà parole dovunque l'aria lo voglia

silenzio

di fate di prua

nei vuoti balconi

dove rasserena la dolce canzone

di rabbie e singhiozzi

silenzio

non un'anima fiati

il silenzio si scioglie nel gelo.

(Dicembre 1994)

Dalla Rivista GRANDE VETRO, Maggio '07

 

.

 

MICHELE PIOVANO

 

Da: "LA VITA E' APERTA"

Genesi Editrice, Torino, 2011

dalla sezione:

OLTRE IL CERCHIO

No, non mi bastano i contorni

incerti della polvere a demolire

pregiudizi trattative che lasciano

scorrere i giorni nell'indifferenza.

Forse col sogno respiro energia

nel gioco perenne delle invenzioni

restituendo al cuore la sua fantasia

se la vertigine sale.

Reale è soltanto la voce del vento

a risvegliare il pensiero,

tracciato a volo basso

che batte e ribatte nella mente.

*

Solstizio d'estate

Vorrei stringere la luce, ma quella

più che mai mi sfugge

e sempre più si addentra con tocco sicuro

nella caverna in cui le cellule

danzano e muoiono nel buio.

La stanca è nelle cose

vive o meno che mi ronzano intorno.

Il giorno estivo è da bersi fino in fondo

anche se in fondo al precipizio

agonizzano le idee chiare o indistinte.

Un colpo di artiglio e frana la tempia,

il frutto spiccato dall'albero

come ricordo di stagione.

Non so che dire del caldo silenzio

che m'insegue, ma a volte l'ombra

di un ramo si posa sulla mia spalla.

*

Guardo negli occhi il vicino

se l'abito si allarga e viva

è la voglia di conoscere. Avrà un senso

l'orizzonte che appare

senza direzione precisa? Buongiorno:

con un largo sorriso sgorga

il calore del giorno. Ora io sono quell'altro

che aspetta oltre la tenda.

*

Piccole vite vagabonde

a mia figlia

Sono piccole vite vagabonde

che lo sguardo coglie lungo il cammino.

Esistono chissà come e dove

vuole il gioco del destino,

come il fiore ai piedi della scala

che si nasconde agli empiti dell'aria.

Una voce lontana fa il cuore

incerto tra vento e quiete,

ma resiste il soffio impetuoso della vita,

nudo dolore e gioia

fino a quando odora il mattino

e l'ombra si nasconde fra gli alberi.

Ora le foglie indolenti si svegliano

alla cerca di un mondo che fluttua.

C'è una continuazione,

qualcosa continua oltre i cancelli,

qualche perplessità, forse solo percezioni,

come un volo di uccelli.

*

dalla sezione:

LE PULSIONI CONTINUANO

LA PAROLA COMPIUTA

Cielo sereno da cogliere come presagio

se risplendono le labbra

e l'aria calda dello stagno;

nell'orto si spiega la nuova insalata,

gli iris fioriti danzano

sopra le spade. E' il presente

che sgorga come efemera dall'acqua

quando giunge il soprassalto a farci vivere

e allora vorremmo la parola compiuta,

quasi un fittone di tarassaco,

così profonda da coprire gli altri linguaggi.

Tempo di vespe, di canti d'amore

che ronzano attraverso il fogliame

e nell'aria passa il rumore di una nuvola.

*

Bolle di sapone

Un amore sfiorito

nei prati della dimenticanza,

che torna con l'aroma di nuove visioni,

il consenso suona le sue corde,

l'energia della luna

bevuta dal cuore innamorato.

Oh, come tutto si può sorseggiare

lentamente in bocca.

Le stelle lanciano segnali

con il loro profondo sussurro,

e noi accendiamo e spegniamo la luce

dell'immaginazione, uno stare con le cose

che incantano l'oriente e l'occidente,

come una bolla di sapone.

*

Sosta in panchina

Qualche ricordo

rimane impresso sulla pelle

quando il verde cammina, il mattino

apre strade giornali

e le panchine ai giochi di stagione.

Tempo al tempo - la luce

viene crescendo come l'erba

lo sguardo svagato d'una ragazza,

da un cantico in gola conforme

all'aria che lo nutre.

Oh, la solitudine marcisce nell'ombra

fin che perdo l'esattezza della forma

il sogno che apre

e chiude le piaghe - i tratti del volto

gli ossi ostinati si distinguono appena.

Un po' di saggezza e l'amore

per la vita con le sue contraddizioni

mi seduce e confonde.

*

dalla sezione:

VICISSITUDINI

La vita è aperta

Un volto nuovo e la voce al citofono

galleggiano sul letto. Prima o poi

il magma si avventura nel cielo e noi

a cercare la musica che tracci la strada

dopo le macerie. Una gioia appesa

ai balconi fioriti e l'alfabeto

canta con accenti più giovani.

La vita è aperta

a inventare nuove prospettive.

Notazione di un attimo - qualche lettera

in stampatello barcolla sulla pagina

ma non si arrende, anzi,

di fronte al bene e al male

si arrampica in aria scompigliando i princìpi.

*

I passi della luna

E' tempo di fermenti

incuriositi più che mai

alle varie stranezze. E' lì la vita?

Il sorriso si è spento sulle pietre

e la luna va scivolando nell'ombra.

Scusa il ritardo per un fatto banale:

la notte si è appoggiata

a una finestra semiaperta.

A volte inseguo il cammino dell'acqua

lungo i tubi del muro,

i pesci blu a spasso con le stelle,

la neve che cade a pois,

due cavalli marini imbizzarriti.

Hai visto? si è incrinato il bicchiere

e cricchia il legno scollato del parquet

sotto i passi felpati della luna.

*

La cresta dell'onda

"Intorno a te si torceva la vita"

Cristina Sparagana

 

Il guizzo delle isole appare all'orizzonte,

il volo degli uccelli marini

sopra le vele srotolate.

Adesso il mare ha il colore del vento

che cigola dentro le sartie

e fa incerte le nostre speranze.

Tempo, dici, che affila i nostri corpi

rendendoli vigili e attenti.

Guarda come splende la voglia della vita,

ma la vita è scavata dalle ondate

e sembra che il bar cada di sotto.

L'acqua manda barbagli,

una foga leggera

a sostenere la marea che sale

sale fino a entrare nel porto

con disinvoltura. E' impossibile

fermarla - quanti flutti

levati si sfilacciano nell'aria.

 

.

 

 

 

 

GIORDANO GENGHINI


I.
Distesa sul mio cuore, l'anima mia respira.
Sul volto della foglia risplende l'universo.
Rapita dentro il corpo, attraverso lo sguardo,
la luce immaginata crea ricami e colori.
Rivestito dal mondo, cinto dagli orizzonti,
l'alto soffio del sole fiorisce in cieli d'erbe.
Lo scoiattolo-nube gioca fra i verdi monti.


II.
Mille stelle in una bolla:
in un'ala di farfalla
vasti cieli di velluto.
Le galassie sono neve
e la luna è un fiocco lieve
nella tenue luce gialla.
Gemma d'anima rampolla
dentro il corpo che la culla.

 

.

 

FABIO GRECO


Notte si fa in me
più chiara
limpida del giorno.
A breve farà eco
un silenzio solo mio.
Nella quiete emerga
una distanza che almeno
d'illusione mi sazi.
Preda è l'anima ferita
più secca, nera di dolore.


*


Ogni volta
Ti ritrovavo
seduta su scale
di sale, il mare
fra morbide labbra
posava la linfa
ed esuli zattere
gemevano smarrite
nel silenzio
delle tue braccia.

 

.

 

ANDREA CROSTELLI


Ad Antonio Santinelli


L'onda, respiro del mare.
Soffiavano dalle nari i tuoi cavalli
un forte attaccamento alla terra,
un forte respiro di vento.
Voleva esser pieno il tuo passo
del giallo frumento verità,
dorato segreto dell'arte
a piccoli sorsi donato.
Appesa ai tuoi occhi e frapposta
l'atroce meridiana del tempo
fissava l'ora senza nome,
priva di sole e fughe d'ombra,
la somma di tutte le ombre.
Oggi guardo il pulviscolo dorato
nella fascia di luce: moscerini
in sospensione: catalessi del corpo
dell'arte, e penso a te, amico caro,
mentre passi ancora fra le nuvole
e sposti l'aria dei miei pensieri,
a te che mi gridasti aiuto senza voce…
riprendo a cavalcare in groppa
al tuo cavallo con la tua forza
in corpo, dopo che, per un attimo,
il tuo passo si fermò, il mare
ritrasse il suo respiro
e fu la secca. 

 

Da: "IL CONTENITORE DELLE NUVOLE" - 2001
Circolo Culturale La Gioconda - Ostra (AN)-


LA MUMMIA
La mummia del mondo
non può ascoltarti,
sei per lei
ciò che è lei:
un organo senza fiato.
Le giri intorno,
cerchi una fessura
... occhi persi
dal grande dolore...
la cantilena del delirio
è fumo che non si posa.
*
VASTITA'
Il trapezio della luna
è un disco volante,
sul rettangolo azzurro
colpisce di luce la piccola sfera,
al ritmo di ping pong
le risate nella vallata
sono il tuono sangue del cocomero,
la gracchiante eco dei corvi.
Solitario
voli airone
al tuo nido di polvere,
congelati occhi
ti troveranno mai
Sul treno della luna i vagoni delle nubi.
*
ARMONIA
Mi cala la notte sulle spalle
il pesante mantello oscurità,
pensante paroliere al leggio
sfoglia veloce libro di parole
sulla bocca del silenzio.
L'arma in più
è l'estasiante sorriso.
*
SEGRETI...
Vero ufo
spia accesa, il Sole,
scopre segreti al sorgere,
arrossisce il tuo sguardo,
timido ti volti,
ombra che tradisce
l'anima svuotata
*
VENTO CIPRESSO
Il vento cipresso
spiraliforme nuvola,
cuscino spiumato
ventaglio carezzevole,
dormitorio perenne
pacificato spirito.
*
LA RETE
Il letto del poeta
è un fiume adagiato di parole
dove scorrono i nostri sogni:
pesci che di tanto in tanto
saltellano al di fuori
all'aria fossile:
imprimatur versi
la cattura immortale
del pescatore.
*
"CARTA BIANCA"
A Plinio Acquabona


e alla sua poesia
Non sempre
così felicemente sera,
sciogliere grumi di poesia
nelle mie vene.
Esse son lì,
a gridare solo d'esser prese,
parole di sangue universale.
Spazio in "carta bianca"
l'invenzione e l'ecclimetro
succhia al poeta.
*
FIAMMATA
Spandermi fumo
mentre l'azzurro si spegne
e arde coniato il mar rosso.
Odoro già di cenere,
vedo consumarsi
il braciere della mia esistenza.
Dondolo vuoto in cielo
ascoltandomi sereno.
*
L'ATTO
L'amore è lasciarsi
succhiare il sangue,
è un atto di farfalla
che si posa lievemente
sulle spalle dell'Infinito.
*
L'ENERGIA CHE EMERGE
Il bosco dei frati
muove il suo cappuccio stasera,
come dentro una conchiglia
tutto il respiro del mare in tempesta.
Ma non c'è inquietudine
in questa mia Pasqua,
landa di rassegnazione.
Io gorgo torbido d'un fiume
col collo radar di struzzo
rifiato dal mio circolo senza uscite.
La fede è l'energia che emerge
per camminare sulle acque,
passare a porte chiuse,
aleggiare da risorti in cielo.
* * *


Da: "DENTRO OCEANI"


(poesie e pitture per la Mostra
tenutasi a Belvedere Ostrense nel luglio 2008)


Oscuramento
Quanto mi spegnerei facilmente qui
all'ombra riarsa di un sole tagliente
alla memoria lugubre di un epitaffio immemore
quanto mi spegnerei facilmente qui
dietro il vetro che scompone il mondo
e ne clicca il suono oltre il suo sigillo
Loro son là per la strada maestra
e io di qua chiamo il mio maestro
che non arriva se non nella raccomandata di esistere.
*
Il ratto
Su questa carrozza dondolante
i cavalli, spossati, a volte si riposani,
sempre all'erta al morso del serpente,
alla rapina del fuorilegge.
Tutto ciò è il mare la nave le vele,
i tentacoli della piovra e gli agguati dei pescecani:
Terribili ansie a chi cavalca le onde,
insidie nascondono le acque
mostri per chi non può vedere.
Non gioca a carte scoperte l'Oceano,
luccicante il dorso che svia il tuo sguardo
pensi "adesso bara" e bara si fa paura.
Dubbi sulla sconfinata limpida onestà,
sincerità trasparente che non ha facce
se non la tua che vi riflette
l'anima sperduta inconsolabile dell'uomo.
*
Io sono sempre altrove
1
Ho ribaltato le mie case
e le mie cose in mare
lo faccio ormai da quarant'anni
ogni mattina quando mi guardo allo specchio
e vedo il vuoto più assoluto
piombarmi addosso
naufrago di me stesso
e della malattia che mi porto appresso:
l'ancora delle mie pazzie
gettata nell'universo senza suolo
2
Sbatto le palpebre
che si riaprono
nel nulla è cambiato
la mano del mondo
non sa dove sono
e non può afferrarmi
sono invisibile
come palpebre mute
che fanno meno rumore
e ancora meno presenza
della quercia che pensa...
io sono sempre altrove
3
Inoltrato dal silenzio
nel mare può vogare
il mio verso,
suono di bassa frequenza
ecoscandaglio di balena
parole viaggiano a lungo
sotto il braccio del mare...
... e il mare
sfoglia libri...
intanto smemorato
il mio viaggio
porta me altrove
senza rileggermi

*


Da "PAESI DI MARE"
Circolo Culturale La Gioconda - Ostra
Tecnostampa Edizioni, 2008
11 novembre 2007


Concentrato
su una gamba sola
come un fenicottero
raggiungo
stasi ed estasi
e perdo così
anche l'ultimo appoggio
mentre la mente
porta lontano
nel giorno che fugge
dal corpo
e il corpo alleggerito
lievita sospeso
galleggia a mezz'aria
improvviso s'impenna
mette le ali e insegue
la mente già lontana
per riaccorparsi a lei
accettando l'eccezione
della gravitazione
al posto del consueto
toccare piedi a terra
*
Provvidenza
Sembra allentarsi intorno
il foro dei chiodi delle stelle
ma non v'è pericolo che cadano
oltre il mare che le accoglie
con il suo salvagente
resteranno a galla
oscillando ancor più nel loro tremore
ricordando il mio spalpebrare
muto e sperduto
così anche i miei quadri
protetti dalle ali degli angeli
non si staccheranno dalle pareti
* * *
Andrea Crostelli è nato nel 1963 ad Ostra, dove vive e lavora.
Collabora con diverse case editrici come illustratore,
fumettista, critico artistico-letterario. Espone le sue opere
in Italia e all'estero. Ha pubblicato varie raccolte di poesie, e
l'opera per cui ha ottenuto lusinghieri consensi dalla critica,
"Nei Mari di Melville" (Moby Dick, 2004).

 

.

 

 

 

 

Raffaele Piazza

 

"Tesse una musica"

 

Tesse una musica il marino

fluire senza tempo, l'onda verde

che trasparente vola nella forma

di donna, di conchiglia che scolora

sulla spiaggia dalle felici trame

dove nella tua notte posi l'ombra

tra la sabbia dei passi che riveli

un moto precedente di parole

presunto tra l'argento che ti sfiora

di una luna a pochi tiri

di sasso levigato dall'attesa.

 

.

 

Flavio Almerighi

 

essere

 

essere treno d'ossa,

fiducioso aspetto un segno e uscire

dal mezzo di una stazione sognante

immersa emersa in mille soste estive,

tante volte una voce assonnata

annuncia partenza e liberazione

poi in sequenza muore,

senza lasciarmi andare

mai

 

.

 

Raffaele Piazza

 

Del mio tempo il senso

A Felice Serino

 

Ascoltami, Felice, esiste

una forma che sgretola

le cose, entra ossigeno

nel sangue ed è la poesia.

Dove tu sei ancorato

ad un computer per emergere

dalla chiave della

nebbia, immagino la città

di te da me visitata nel 1984.

Dove accade la vita ed è la

Vergine a prendermi per mano

sotto il Manto, gioisco e

trasalgo per mio figlio

amato e non voluto diciottenne.

Calma estiva nelle mattine

di pace occidentale nella sua

per economia differenziandosi

essenza,

da quella dell'Africa Centrale,

la morte dei bambini neri.

Presagi di gioia, Felice, dopo

le visite rarefatte alle librerie

e alle farmacie e i libri letti,

lo squillo del telefono,

la voce degli amici e

bere il vino rosso per redenzioni.

Parlano i pini del Parco Virgiliano

e un messaggio giuntomi per e-mail

da sorgiva ragazza, dice che

le sono piaciute molto le mie poesie

sul sito di Felice Serino.

Pasolini e Dario Bellezza

vegliano, maledetti angeli.

Mio figlio guida l'auto con

sicurezza, padre gioioso, ho spiato

il suo diario dove ha scritto

sei una ragazza affascinante

verresti a cena con me?

Ieri succhiava dalla tetta.

Alessia, perdonami una vita!!!

 

.

 

Dalì - Baccanale

 

 

 

Poeti vari

 

 

CHANDRA CANDIANI

 

a Misha Alperin

Dammi un gesto vuoto
senza redenzione,
suona al pianoforte
una salvezza per la mia
belva notte,
un a-capo in picchiata
fino alla riga spezzata
ruvida
di ogni poesia.
Sono parola minuscola e nel fitto
e tu già asceta
sei il silenzio
la foresta protesa
al canto di un solo uccello
quello che custodisce
nel becco
il segreto.
Ho l'anima di carta
prende fuoco per un nonnulla.
Il teatro di una piccola
città di mare
da solo nel buio
improvvisi al pianoforte
una prova impossibile.
Qualcuno mi strappa:
«È un momento di segreta
intimità». Ma
c'è piú abissale intimità
di suonare
a un pubblico spaventato
il silenzio
la gioia sfrenata
del silenzio?
Condividiamo il cibo del mondo
Misha
come gli uccelli il vento.
Senza saperlo.
.
Chandra Candiani da 'La bambina pugile'. Einaudi
.
Chandra Livia Candiani all'anagrafe Livia Candiani (Milano, 1952) è una poetessa e traduttrice italiana.

*

 

 

2 poesie di EUGENIO MONTEJO

 

Essere qui per anni sulla terra,
con le nuvole che arrivano, con gli uccelli,
sospesi ad ore fragili.
A bordo, quasi alla deriva,
più vicini a Saturno, più lontani,
mentre il sole gira e ci trascina
e il sangue percorre il suo profondo universo
più sacro di tutti gli astri.
Essere qui sulla terra: non più lontani
di un albero, non più inspiegabili;
lievi in autunno, rigonfi in estate,
con ciò che siamo o non siamo, con l'ombra,
la memoria, il desiderio, fino alla fine
(se c'è una fine) voce a voce,
casa per casa,
sia chi porta la terra, se la portano,
sia chi l'aspetta, se l'aspettano,
ogni volta spezzando insieme il pane
in due, in tre, in quattro,
senza dimenticare gli avanzi della formica
che viene sempre da remote stelle
per essere puntuale all'ora della nostra cena
benché amare siano le briciole.

(da Territudine, 1978)
.
.

Lascia che ti ami fino a quando girerà la terra
e gli astri inchinino i loro cranei azzurri
sulla rosa dei venti.
Galleggiando, a bordo di questo giorno
nel quale per caso, per un istante,
ci siamo destati così vicini.
Ho potuto vivere in un altro regno, in un altro mondo,
a molte leghe dalle tue mani, dal tuo sorriso,
su un pianeta remoto, irraggiungibile.
Sono potuto nascere secoli fa
quando non esistevi in nulla
e nelle mie ansie di orizzonte
potevo indovinarti in sogni di futuro,
ma le mie ossa a quest'ora
non sarebbero che alberi o pietre.
Non è stato ieri né domani, in un altro tempo,
in un altro spazio,
né giammai accadrà
quantunque l'eternità lanci i suoi dadi
a favore della mia fortuna.
Lascia che ti ami fino a quando la terra
graviterà al ritmo dei suoi astri
e ad ogni istante ci stupisca
questo fragile miracolo di esser vivi.
Non abbandonarmi fino a quando essa non si fermerà.

(da Papiri amorosi )

.

Eugenio Montejo (Caracas, 19 ottobre 1938 – Valencia, 5 giugno 2008) è stato un poeta e saggista venezuelano.

 

*

 

FERNANDO PESSOA

 

Ho pena delle stelle
che brillano da tanto tempo,
da tanto tempo…
Ho pena delle stelle.
Non ci sarà una stanchezza
delle cose,
di tutte le cose,
come delle gambe o di un braccio?
Una stanchezza di esistere,
di essere,
solo di essere,
l'essere triste lume o un sorriso…
Non ci sarà dunque,
per le cose che sono,
non la morte, bensì
un'altra specie di fine,
o una grande ragione:
qualcosa così, come un perdono?

 

*

 

 

Dylan Thomas

*

 

Fernanda Ferraresso Haziel

 

Tu, come lama di coltello sei entrata nel mio cuore in lacrime!

Charles Baudelaire, Il vampiro

.

su fondamenti invisibili fuori prospettiva

con precisione chirurgica

la lama della lingua

ha affilato il verbo amare

ma fu un punteruolo

che impugnò il desiderio e impudico

dal quel corpo analfabeta estrasse una costola parlante

l'ombra viva che con il fiato rimodellò

femmina da uno scheletro senza nome

insieme la carne tornita di fresco

ebbe la stessa immagine riflessa divina una sola semenza

ma qualcosa andò per il verso sbagliato e

lei non volle giacere sotto di lui non volle

stare sottomessa per un volere che non fosse il suo

rosso un mare aperto fu la sua casa di tendini e battiti e futura

la conoscenza di se stessa l'albero e il frutto in una sola terra

fuori dalla legge e lettera a se stessa il suo linguaggio

fu notte e crepuscolo

non addomesticabile la sua fiera è monaca ferina

di una natura selvaggia e ingovernabile monca in lei la morte

perché dea di terra in una terra la riconobbe

nel suo ventre radica preistorica una realtà millenaria

della vita e dell'inizio di ogni vita

fertilità di una passione mai prona che ogni regola trasgredisce

su tutto innalzando la bellezza

di tutto quanto è un cosmo creato

notte oscurità penombra è spirito di vento la sua orma

nella tempesta avanza piegando il giglio del suo desiderio

bianco regale e netto da terra si erge innocente in un caos di lussuria

il fiore liberato da qualsiasi sottomissione e ricatto

la sua purezza scintilla su uova di depravazione

la sua astinenza è l'inizio di tutto quanto è possibile ancora

f.f.- L'isola e il cerchio- su fondamenti invisibili fuori prospettiva è l'amore che non si può dire

 

*

 

Amina Narimi (Claudia Sogno)

 

Siamo stati angeli nell'acqua,

piccole stelle dell'alba,

quando ancora le viti erano muschi,

farfalle di mare che andavano alla deriva

sbattendo l'azzurro dei piedi

tra le onde del sole

seguivamo il ronzio genitale dei nostri delfini

i click sordi delle stenelle in amore,

nutrendoci degli errabondi, i mangiatori di luce-

di notte facevamo buon conto della neve marina-

Più di tutto amavamo i verdazzurri,

centomille in una goccia di sale,

e i nostri capelli luccicavano a giorno.

Quella notte, la grande notte,

seguimmo una forma di lacrima

che andava a deporre le uova.

Ohh cosa stavamo vedendo

nella buca profonda di sabbia,

bambini! Stretti nella preghiera

ci fermammo

per ordine delle mani

fino a farli sparire.

Il mare si calmò, con l'anno nuovo,

minuscoli pastori cercarono l'uscita,

puntarono al largo verso l'acqua nera,

portando sul dorso come faville.

fu allora che le albere presero a far luce

che ci contammo le ossa una ad una

passando le dita a vicenda negli anni

finché una bambina prese a salire,

con le giumelle educate all'amore,

le nostre timide gole per terra

alzando la neve dal suo libro d'ore

come fa un mattutino all'Ave Maria.

 

https://www.youtube.com/watch?v=zthq9p8uTBg

 

*

 

 

Dalì - Leda atomica

*

 

Poesie di Ezio Falcomer

 

Chele d'amore

Sequele di aromi

umori estasiati

tutto mi porta

il vento di vita

un flutto sommerge

miei malati sapori

le chele del tempo

brezze sciupano e faville

al macero di gloria

di boria ostinata

ma non il cuore che ama

singulti di stupiti cantori

si diramano a radure

e l'amore è ormai

mio vizio e mia aria.

(Ezio Falcomer, "La vita picara", Lanuvio RM, Narrativaepoesia, 2010)

.https://www.accademiadeisensi.it/2012/10/chele-damore-ezio-falcomer-la-vita.html

.

Prego le muffe

Del mattino io studio la freschezza

e l'illusione, i promontori

di parole vane, la gloria degli uomini.

Della memoria i meccanismi

sociali. Chiuso qui in convento,

prego le muffe e i fantasmi

del cuore, degli ancestrali volumi.

Farnetico di spiriti, di oscuri

sacrifici, di frutta lavata.

Ho un'anima gentile e malata,

ho i piedi nudi. Orecchie da sbarco,

cervello svaccato, sogni. Ogni.

.

Zucche marce

A volte divento malato

e amo i suoni

della ferraglia arrugginita,

dei cavi del tram che starnazzano,

del fetore delle zucche marce.

Amo il silenzio

della folla distratta dai pensieri,

delle vetrine

imbambolate dall'attesa.

Divento così malato

che mi schizzo via

da ogni orbita

e il mio cervello

è solo pieno di solitudine

e formaggi stagionati.

E non c'è un giorno da passare,

ho solo bisogno

di parole acide e convincenti

e dell'eterno,

come di una coperta slabbrata.

Voglio cadere fuori dal tempo

senza dare nell'occhio,

facendo finta di sputare

contro il muro.

.

Sei l'albore

Sei l'albore,

Il turgido granturco,

la viscera innamorata

che mi conduce

al di là del male.

In te riposo,

gioia e tristezza,

indomito abisso

io cerco,

fine

del dolore animale.

Come un fiore,

farmaco

al mio essere scisso.

.

Sulla prora

Amo in questo

essere sulla prora,

in questo

sottrarmi al dolore,

aggiungere amore

alle radici dei fiori.

Alzo lo sguardo sul mare.

Linguaggio crittato

d'onde e spume,

illusorio sprofondare,

dimenticando la storia.

Senza più rancore,

né pirati,

né granchi dalle chele avvelenate.

L'oblio è lettura,

la lettura è preghiera.

Dimenticare sofferenza e fatica.

Nero silenzio abbacinante.

.

Macerie

E verrà il giorno in cui mi arrenderò,

camminando fra le macerie,

il cappotto rubato a un cadavere,

l'orecchio a un antica musica,

deposta la fatica detta vita.

Mi arrenderò e sarà un sollievo.

Avrò fra i denti

un sangue d'ironia,

il teatro emaciato,

silenzioso senza più bestemmie

e sudore di apprensivi guitti.

.

Ora di punta

È un'ora di punta come un'altra,

questa, delle dieci del mattino.

Mi dico: "Ho sbagliato tutto nella vita?

Forse dovevo arrendermi prima".

Ma i cieli sono in fiore

e le fogne emettono umiltà.

Dovevo fare tante cose

prima di arrivare a questo punto.

È accaduto tutto tanto in fretta.

Le stelle sono collassate

prima che io avessi il tempo di dire "beh".

Non ero preparato a nulla.

La vita mi è venuta addosso

come un treno.

https://www.alidicarta.it/autore/ezio-falcomer/testi#sc

.

Mi accadi

Mi accadi di meandri di baci

esulto in braci di averti

taci

svelami il dono di concerti sontuosi

di carne e d'afrori

assaggiarti d'amore

ah i tuoi sguardi

coloniali romanzi scabrosi.

(dalla raccolta "La vita picara", Lanuvio (RM), Narrativaepoesia, 2010, p. 105)

https://www.rossovenexiano.com/blog/ezio-falcomer/mi-accadi

.

Ezio Falcomer è nato a Concordia Sagittaria (VE) nel 1962 e vive a Torino. Lavora come insegnante bibliotecario e archivista nella Scuola Superiore. Ha un'esperienza di attore di prosa in teatro e in Rai, negli anni Ottanta. Dottore di Ricerca in Italianistica (1997), ha pubblicato Carlo Vidua. Un giovane letterato subalpino in età napoleonica (Alessandria, Dall'Orso, 1991) e altri lavori di critica letteraria su Camillo Sbarbaro, Eugenio Montale, Giacomo Leopardi, Carlo Goldoni, Voltaire, Piero Gobetti, Ippolito Pindemonte. Nell'aprile del 2010, Nerosubianco ha pubblicato il suo Vorrei vincere il nobel per la Fisica come Frank Einstein. Post comici, demenziali, ludicomaniacali. Nello stesso anno è uscita la raccolta poetica La vita picara (NarrativaePoesia, Lanuvio, RM) e nel 2012 Rottami d'oro (Ilmiolibro.it).

https://www.puntoacapo-editrice.com/product-page/luna-comica-ezio-falcomer

 

 

 

*

 

Poesie di Giangiacomo Amoretti

 

Essi nell'ombra, i senza tempo, i morti,

così pallidi i loro volti, esili

e tremanti le loro braccia, le

mani diafane, aperte ancora, essi

che non parlano, che

forse appena respirano, lontani

più del cielo e degli astri, e ci riguardano

fissamente da sempre – sanno, i morti,

di noi ciò che ci è ignoto o fu perduto

nell'oblio, ciò che amammo

e che sognammo; e tristemente osservano

il logoro filmato in bianco e nero

del nostro scivolare,

del nostro lento approssimarci a loro.

*

Aperto sei tu, ancora,

e non sei tu – aperto

sei la lama e sei il taglio,

sei il sangue ed il respiro.

Ti avvolge l'aria, ti

brucia uno spasmo. Sei

lo scatto breve, il gesto

immobile – sei il volo

che oscilla e non si arresta.

Aperto, sei già oltre

la terra infesta e l'ombra

che la sòffoca. Aperto

sei il non essere e il buio –

l'orizzonte – la luce.

*

Le voci più lontane, il fruscio lento

della risacca sugli scogli, i rauchi

richiami a tratti dei gabbiani. È l'ora

che precede il crepuscolo e dischiude

a un silenzio più alto e mare e cieli

e nuvole e colline, quando sale

a poco a poco uno stupore nuovo

nell'anima e si fa quasi dolente,

guardando, il memorare – più segreto

lo sperare, più limpido l'attendere.

*

Appena trattenuto

lucore – sangue o anello – tra le unghie,

livido, come fosse

già semistinto e ancora

fin dentro la tua pelle

avido e la tua carne

di splendere nel vivo

tutto della sua fiamma

e nel suo sole, ancora, prima di

svanendo farsi nulla dalle tue

mani dischiuse – buie

mani stremate dalla febbre, cieche.

*

Io guardo te nel fondo dello specchio

e in te lo specchio, il vetro e il suo riflesso,

te immagine di nulla e corpo vero,

tangibile ora-e-qui, fantasma e velo.

*

Da quale sfatta mezzanotte a quale

biancore a malapena intravisto e già forse

temuto, tra le foglie, di là dai vetri, o

adesso in questo ombroso interno di memorie

e di vaghe presenze, quando spessi tendaggi

o velami nascondano i gesti rallentati,

nel sogno, di chi piange senza piangere – da

quale ansia, remota ancora, o quale

febbrile sussurrio, fra i divani, alla luce

crepuscolare e fioca di un abat-jour – da quale

rarefazione minima, là fuori, della coltre

vellutata di bruma che avvolge alberi e siepi –

a quale oltre, a quale via di fuga…

*

E così passeranno i nostri morti –

sarà memoria, sarà sogno, o altro... –

a passo lieve, per le strade e i viottoli

qui di Liguria, forse, o forse altrove,

per campi senza alberi e pianure

velate dalla nebbia. Passeranno

ignoti a noi – ci guarderanno appena,

come distratti, forse, o forse ci

ignoreranno – alti, silenziosi,

oramai senza volto e senza corpo,

senza nome. Così, a uno a uno,

scivolando fra terra e cielo e

svanendo nel crepuscolo, da noi

già quietamente prendono congedo.

*

Questo mistero, che tu sia te stessa

di là da me, guardandomi, eludendo

a momenti il mio sguardo, e muta là

respirando, lontana e vicinissima,

di terra e d'aria, più mi inquieta, più

mi meraviglia, adesso, del mio stesso

ancora, qui, esistere, guardandoti.

Forse altro non è, penso, l'amore

che questo lungo riguardare, questo

incantarsi dell'anima davanti

a un'imago, a un'icona, a un volto in ombra –

a una silente epifania dell'essere.

(In: Poeti italiani del '900 e contemporanei)

*

Come chiamare te – angelo, specchio,

volto dentro lo specchio, altro me stesso?

O nulla del mio nulla – né teda né lucore –

fuoco fatuo, riflesso – tremito d'aura – albore.

*

Velato amore, non dischiuso amore,

amore di ombre, amore di silenzi,

di non detto, di implicito, di vago,

amore che si occulta, muto, e spasima,

dolente – ignaro pur

di sé, di sé dimentico e di tanta

sua luce e fiamma.

*

Sussurro: 'tu'… e si apre a me uno spazio

ove non sono già più io, ma quasi

altro da me, da me remoto – come

se per prodigio in me di colpo fosse

qualcosa giunto a compimento di

profondo e ancora inconosciuto – chiuso

alfine il cerchio, risanata la

ferita che doleva, antica. E posso

parlare nuovamente, dire e forse

udire – posso pronunciare un nome,

questo, che è il tuo – tacendo, a tratti, gli occhi

semichiusi, non quieto, non inquieto,

o sussurrando, a voce bassa – io

memore e stanco, attònito di te.

*

E le bare, le bare in fila a Bergamo

davanti al cimitero – sullo sfondo,

in penombra, il Famedio – le hai vedute

dormendo? Quasi fossero

le tue da sempre, immagini

dei tuoi deliri, delle tue, né inconsce

né coscienti, paure... O sogni, ancora,

e null'altro che sogni... A una a una

le vedevi posare

più grevi sulla terra, oltre la notte –

come uccelli feriti, come foglie marcite,

premendo su di te, sul tuo silenzio.

*

Forse è questa, mi diceva, la pena

che ti attende e mi attende, non sai

quanto amara, e piangeva, lei

dolorando per me. Salivano lenti

larghi fiocchi di nebbia a separarci,

solo i suoi occhi ancora vivi e

tremanti. Madre, oh madre, io,

tendendo in alto le mani, invano,

dicevo, o sognavo di dire,

già muto, già di lei spogliato ancora.

*

La luce che balùgina

ai vetri a mezzanotte.

Un brividio più lungo –

un battere di denti.

Il corpo che non sa

e che sa – né dimentica

la punta della spina,

il bruciore del lampo.

Il corpo che si affida

al chiudersi, al non dire –

ad occultare sé –

a celare il morire.

*

Esistere che arde e si fa cenere,

che sale in alto – fumo, aria o luce;

che si assottiglia, che si sfrangia e

diventa altro, cede al non più essere,

al non vedere, al non mai più sapere

che è oblio e già evidenza – cecità

e balenio di una veggenza d'oltre –

nulla e non nulla – buio e primo incipit.

E fosse, chi può dirlo, appena un filo

d'erba che oscilla, un soffio

lene di vento, o questo blando ora

va e vieni delle acque

sull'arenile. Esistere che palpita

un attimo e dilegua

subito nel non più – e così è

per sempre, in questa notte che lo serba.

*

Tu chiedi chi io sia, tu che mi ascolti

adesso fra speranza e dubbio – e io

che non so nulla e a malapena so

di te e delle tue angosce,

dei tuoi silenzi e delle tue parole,

io ti guardo stupito, a lungo… Io sono

da te, io sono a te – invisibili

i miei occhi, invisibili da sempre

le mie ali di aria – io connato

in te e con te dall'acqua

purissima e segreta di una stessa

polla battesimale.

Io sono in te il silenzio, in te la voce.

Sono l'Angelo – sono te medesimo.

*

Di amore questo puoi

dire, dubbioso: amore

è appena un volto, appena

due labbra che si schiudono;

forse una mano che

vada sfiorando lieve

un'altra mano; forse

meno ancora, uno sguardo,

una tinta, il profumo

di un corpo che non c'è.

E avresti quasi detto

già tutto, e pure ancora

mancherebbe qualcosa,

un nonnulla, quell'ultima

sfumatura che sfugge

al dire – l'inespresso,

l'inesprimibile altro:

di là dal cielo il cielo,

di là da questo mare

il mare quando è l'alba –

e l'altra rosa dietro questa rosa.

*

Acrostico (nuova versione)

Ora la luce è come aerea, come

Trasparente e remota, in questa ora

Tarda che si fa sera e lunghe, rosee

Ombre già si diffondono. È così

Breve adesso al tramonto il giorno... questa

Rarefatta chiaria, questo velato

E dolente presagio di una fine...

*

Settembre. Le ali porpora dei cirri

sfatti nell'alto, gli esodi infiammati

fra cielo e cielo dei rondoni, i voli

e i silenzi e gli spazi,

le albe, i non ritorni

per sempre –

ed i ricordi,

i ricordi che straziano.

*

Spleen

Malinconia dell'angelo che guarda e che non vede,

che si avvicina a Dio da sempre e ne è lontano

più di noi stessi – le sue ali bianche

più alte di ogni cielo e di ogni nuvola.

Malinconia di esistere – angelo, uomo o rondine –

in bilico tra i mondi e sospesi nel tempo.

La linea del confine sempre oltre.

Il mare uguale senza un orizzonte.

E quando si fa sera questo lungo discendere

come di un velo fumido sulle spiagge deserte.

Le acque immote, color blu cobalto.

Sospeso in alto, fioco, il plenilunio.

*

Giangiacomo Amoretti · Ha studiato presso Università degli Studi di Genova · Ha frequentato Università degli studi di Genova · Vive a Genova · Di Imperia.

 

*

 

 

Maria Chiara Linn

 

*

 

Poesie di Mattia Tarantino

 

21 luglio '18

C'è un'estate di sangue e mare. Un secolo che ci obbliga a tramare un'elegia, un'elegia all'Europa che muore.

Per il Collettivo MalaTerra:

"Oppure da una lingua del Nord

sarà la sillaba che gonfia le ossa

dei morti? Fummo il fanciullo e fummo

l'acrobata: c'è sempre

una fune tra luce e precipizio.

Veniamo a bruciare

le vertebre al cielo, veniamo

a invertire la pioggia:

certi versi sgozzano

le aquile, altri

marciscono i vessilli dell'Impero.

Quest'acqua ci disperde, non conosce

i nomi cui ha rubato sangue

e sorte. A quest'acqua

noi torniamo in obbedienza, senza croci

che trattengano le stelle.

Da lontano una Medea

araba conduce la sardana:

chi rompe il cerchio lo rimette

ai margini del tempio.

Arrivano le schiere: impugnano

e rovesciano il gerundio;

arrivano le gazze

ma tu raccogli solo fiori estinti."

Mi preme segnalarla a Claudio, Annamaria, Gabriele

A Ginevra, che ne custodisce il segreto

*

Mi troverai al di là della luce,

nell'orma bianca del passo

tracciato dal canto, dove tutto

il dolore del mondo è ammainato.

Sarò il verbo custode

di ogni avvenire, la fiamma

che purifica il fiore:

vivremo nel bosco segreto

dove accade ogni cosa, dove

regna la mano che stringe

la mano, e l'uomo con l'uomo.

Già tramo l'incanto dell'iride

e conosco il mistero dei mondi.

Ho visto la prima parola

e il primo bacio svelarsi:

saremo la grazia e la lira,

il passero che addomestica il cielo.

Saremo la rovina dell'angelo

caduto da un cielo ostinato.

(inedito per gentile concessione dell'autore)

*

La vita è davvero bizzarra: tutto prende un verso, tutto ha più di un verso, tutto è verso. Ma i versi non sanno molte cose, si perdono, si consumano.

Per il Collettivo MalaTerra:

"Ma i versi non sanno

ingoiare le falene quando sempre

più nere e sempre

più feroci insorgono e devastano.

Non sanno quanti nomi

possiamo dare agli angeli, quante

voci setacciare fino all'ultima

vocale ancora intatta.

Non sanno quali giri

porta avanti la fortuna, quali sfere

interrogare perché i bimbi

non confondano il sangue con le rose.

Eppure conoscono

il mistero delle gazze quando legano

alle ali un cielo furibondo."

*

Un salmo usurato

Comando che il tuo cuore tossisca

timido, tra le mani degli angeli.

Poiché non fui che un salmo usurato;

il profeta dei morti e il fanciullo

che invoca perdono dai fiori,

chiedo in questa veglia la parola

che ci salvi dall'inverno e faccia casa.

***

La stanza

Si ammala la parola, le mie

vertebre si curvano in silenzio.

Non piove che acqua sporca,

e questa stanza è troppo bianca:

morirò nel singhiozzo delle allodole.

***

Luce

C'è l'acqua, c'è la pietra, e tu potresti

sprofondare nei miei versi non salvando

che una rondine corrotta:

troppa luce squarcia l'ala, troppa luce

squarcia il nero e lo redime.

Prenderemo Roma con i nostri

nervi curvi in cui collassa

il cielo; non avremo

che una voce malaticcia a rivelare

ciò che tramano le sillabe:

questa luce è lo starnuto

di ogni angelo perverso.

***

Silenzio

Ma lo conosci il segno

degli angeli? Quello che confonde

l'acqua con le rose, il pane

e un antico verbo senza suono.

Da molliche e da crepacci risorgiamo

a una veglia furibonda:

è singhiozzo, questi versi e poi il silenzio.

***

Mio nonno

"In autunno i morti gorgogliano,

hanno in gola la rosa

interrotta, le ultime

parole mozzate ammainando

la luna. Strette

queste ossa, stretto

il bacio che li negò al mondo:

c'è qualcosa di sepolto

tra mio nonno e il mio cognome"

*

Vorrei guardare il cielo

Vorrei guardare il cielo, ma le stelle

mi aprono il sangue e disturbano

i versi in bocca ai morti:

stanotte mia madre non partecipa

al pane che si spezza, non consente

né risate né preghiere, capovolge

tutti i nomi e li scavalca;

stanotte mio padre non ricorda

quante volte ha indovinato, quante volte

la parola gli ha mozzato la parola.

Stanotte prendo l'ago e cucio

i miei occhi agli occhi di mia madre, prendo

un piccolo coltello e svuoto

le mie ossa nelle ossa di mio padre.

Vorrei guardare il cielo, ma le stelle

le ho tra i denti e fanno male.

*

Mattia Tarantino è nato a Napoli, a secolo già iniziato.

Dirige il blog "Alka-Seltzer – La disobbedienza è la blasfemia dei servi"; fa parte del collettivo artistico "Nucleo Negazioni". È presente in diverse riviste e pubblicazioni, cartacee e digitali. Si è sempre schierato dalla parte del torto, preferendo, da subito, Capitan Uncino a Peter Pan ed Ettore ad Achille. Ora vive nella terra dei fuochi, e si affretta a pubblicare le sue poesie prima che divengano postume e, quindi, famose.

da: https://poesiaurbana.altervista.org/mattia-tarantino/

 

*

 

 

Iole Toini – da Niente di tiepido, Pietre vive Editore 2023

 

*

 

POESIE DI ENRICO BESSO (EBYWEB) IN MEMORIA

 

S'ATTARDANO I CHIARORI DELLA SERA

S'attardano i chiarori della sera
ed è un incendio rosso il vecchio molo.
Giù alla marina l'aria è a pizzicotti,
ghiaccio a cristalli è il sale sulle labbra.

In questi tardi giorni di settembre
spiuma nell'onda l'ultima illusione,
quella promessa al buio sottomuro,
la fuga degli sguardi sul domani.

Pesa sul cuore questo mare scemo,
che prende e poi riporta ciò che ha preso,
pesa anche il tonfo sordo del silenzio

e questo vecchio immobile pontile.

Risillabo tra i denti piano un nome
e in me si muore l'ora della notte.

*

IN QUELL'ANDARE A STRUSCIO MURO D'OMBRA

In quell'andare a struscio muro d'ombra,
sfugge, tra un battito di ciglia e l'altro,
l'ora del giorno che si appresta a sera
e mi dolora, genuflesso, l'ansia
nel dormiveglia tra la pietra fredda
e l'incartare del sole in persiane
rigate a coltello dal vento.

Come
il muso del cane, che mi somiglia,
scompiglio l'ombra a questa vita morta
nel segno dei miei denti sulla mela.

*

LA MIA ISOLA

Confina a nord con l'orizzonte
l'isola che il male, a sud, lentamente
consuma
e all'onda, il gesto,
straniato anche Dio,
è un passo incerto alla battigia, stanco.
Riscatta il tempo, la sopravvivenza,
rabbrividisce al volgersi, la fine,
ché di perpetuo non esiste il moto
e nell'oscillazione è l'amarezza del domani

di quest'isola mia.

*

SMURO, A TRE PASSI DA UN'ORA QUALUNQUE

Smuro,
a tre passi da un'ora qualunque,
l'intrigo complice delle stagioni ormai perdute
e in questa vedovanza di sorrisi,
al gelo arato di rughe,
lascio le stoppie scritte a bordo pagina,
cariate da menzogne dolorose.

Oh possa io confondermi di nulla
migrando sulla rotta delle rondini,
oltre l'icona della sofferenza,
ortogonale a un tronco di carrubo.

*

DILAVA LA PIOGGIA DAI VETRI

Dilava la pioggia dai vetri
che già declina, obliqua,
l'ombra nell'incorruttibile sera,
dal ballatoio sul cortile.

Non sento il tuo odore da un anno
e prigioniero dei ricordi fiuto,
come un cane randagio,
ogni angolo del nostro letto.
Spengo la notte nei lampioni
di strade che non conoscevo
e il giorno mi sorprende vivo
col cuore appeso ad un bicchiere.

*

ABITO, PALUSTRE, LA CODA ACCESA DELLA LUNA

Abito, palustre,
la coda accesa della luna,
il semicerchio stillante
a graffiare la notte con le dita,
la polvere di stelle tra le cosce.

Ho scoperto la morte, bella!
-Vuoi forse fare l'amore con tua madre? –
E l'ho odiata. Poi, sono andato a spasso nel cervello,
attraverso il naso, l'occhio,
fino a palpare il sesso dell'ipòfisi,
orgasmo di una sega circolare.

Ora, sono così come mi vedi,
-un non vivo- e siamo in tanti,
ci diamo appuntamento al buio,
guarda, l'ultima a destra è la mia stella,
quella dove scrivo, vivo,
tutte le mie poesie.

*

LO SPECCHIO NON RIFLETTE PIU' CHE GLI OCCHI

Lo specchio non riflette più che gli occhi
e smascherato il viso al giorno,
schivo, nell'estro di luce,
l'ansia rubata di soppiatto al buio.

Non puoi conoscere quel vuoto
-a richiamare con la mente un gesto
e abbandonarlo, vinto,
ché anche una lacrima è fatica -,
non puoi.

Hanno le mani piccole i bambini,
piccole mani ad inventare grandi sogni
sui vetri appannati di fiato,
la morte è altrove.

*

A FISSARE INDELEBILE NEGLI OCCHI

Di questo ferragosto – avanti un passo
lungo le diagonali in mattonelle grigiorosso sporco –
ricorderò la balconata a mare
e il cielo a picco nell'alga che si piega a cartapesta stinta sugli scogli.

C'è l'agonia dell'onda lasca,
al ritirarsi lento dell'acqua,
in rassegnata attesa della fine.

-Clicco su pause, fermo immagine,
a fissare indelebile negli occhi questo istante. –

C'è un pò della mia vita
nel sale a scaglie che rimane.

Nell'aria a graffi e brividi, lontano,
a pelo d'orizzonte oltre lo sguardo,
la sagoma sfocata di una nave.
Sarà la vita che continua o forse
la vita che, passata, è andata via.
.
(Rivoli-To, 8.12.1957 – dic.2019)
.
https://farapoesia.blogspot.com/2008/01/enrico-besso-e-gli-anni-di-vento.html

 

*

 

 

Gianpaolo G. Mastropasqua

 

*

 

Eugenio Montale

Spesso il male di vivere ho incontrato

 

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato. 

 

*

 

Giovanni Giudici

 

Vivranno per sempre?

………………………………..Sempre, sì – mi dicevo

e le vedevo

alla distanza del tempo rimpicciolire

lontanissime, in piedi, a braccia conserte

su quelle stesse soglie, o leggendo gli stessi giornali

crollando il capo, scuotendo gli stessi grembiali,

di nero o di grigio vestite e decisamente

fuori di moda come diventerà

ogni persona vivente

– ovunque e su quella stessa

strada fra il mare e una fila di platani

dove quieta ubbidiente e dimessa passò

la mia età infantile

………………………….– quelle persone viventi

che passarono poi come l'età

rispondendo di no alla domanda

che avevo dimenticata: no (dicendo)

non vivremo per sempre

– senza notizia alcuna, senza coscienza

di storia o di giustizia, senza il minimo dubbio

che un'altra vita sarebbe stata a venire

più vera, con più intelligenza:

e dunque senza viltà consegnate alla sorte

– alcune con stupore della morte,

con desiderio altre, con sofferenza.

(da La vita in versi, 1965)

 

*

 

Salvatore Leone

25 maggio

Gli orgia

 

Vengo da acque rotte e la Semele incenerita

a danzare sui vostri specchi, ordinando fiori e vino nuovo

e resistere allo scintillio che mia madre ha veduto.

Sono qui, nel giglio e nel coltello

a stordire l'oriente e la bestia cantando.

Vengo da un porpora osceno che divarica l'inguine

se gli ori ai padroni vi raddrizzano le schiene

e giurate solenne obbedienza.

E vengo a consacrare sudori al ventre

le mischie fatte di voci e sulla pelle

rantolo d'alba e la lama.

Vengo a inumidirvi coi rossi e d'acque piegate

al grido breve. A scongiurare il demone

fermo sul collo, mani che stringono

il cielo alla testa, e in terra la rigirano

e la battono, e mi rivestono

di fuoco migliore, l'altissimo bruciore.

sl2019

 

*

 

Raffaele Carrieri

 

Ho un angelo che mi guarda dietro la spalla stanca, un angelo senza bilancia non

pesa la mia giornata. Un angelo che non mi condanna quando la rosa ferisco,

quando fuggo la speranza, quando batto la fronte sulla pietra del disinganno,

quando inganno la morte con rondini di carta. Ho un angelo che mi salva dietro

la spalla stanca.

 

*

 


Roberto Mussapi


Ritorno dal pianeta


Io sono disceso e lo ricordo

il pianeta : a poco a poco si spegnevano le luci

e il sonno saliva dalle finestre, come una marea,

una luce che si spegneva e la radio ancora accesa,

buio e voce.

Chi spossato si addormentava come un animale

Nel Tir simile a un gigante pacificato,

immenso e muto sullo spiazzo dell'autostrada,

vidi gli insonni, la fame, la paura,

la disperazione di chi cercava una dose,

vidi la notte scendere su altri, nel cuore,

corpi che si placavano umidi, abbracciati,

proseguendo il respiro dove le parole hanno fine,

li vidi, addormentati, il molteplice e l'uno,

l'amore dei corpi che si rigenera nel sogno.

E io che credevo di essere luce fui buio,

perché buia era la notte sui mortali e buio il pianto

che da me, come avessi occhi, calava su loro.

Ho guardato, ho visto, credimi, Dio,

non fu inferiore

l'amore tra corpo e corpo, tra persona e persona,

quando abbassarono le persiane cercando un silenzio

più disperato e pieno di tutti i miei voli.

Questo posso testimoniare, questo ho veduto

Su quel pianeta dall'alto più piccolo della mia mano,

e che soffrì le acque, il delfino, il tuffatore,

che conobbe la donna e in essa il dolore,

e strade che imitavano la luce di quel cielo,

l'asfalto le automobili,

dove uno accelera e l'altro si affida,

e ognuno sogna un viaggio senza fine,

ho visto fari spegnersi nella notte e voci ronzare

e uno solo nel silenzio con l'autoradio

(sembrava la mia voce)

Due che chiedevano fino a quando,

fino a quando, amore?

Li ho accarezzati, ho posato

L'ala sulle loro spalle, ho sfiorato le mani,

le mani che si stringevano nel molteplice e nell'uno,

dal fumo della sigaretta che lei aveva appena acceso

io vidi nei suoi occhi il firmamento,

e il roteare eterno verso una sola luce.

Poi mi allontanai, lasciandoli soli,

nel firmamento, nell'abitacolo, nell'uno

che essi avevano scoperto nella valle del pianto e dell'amore,

e il ricordo,

e quel ricordo vela la trasparenza dei cieli.

Questo ti chiedo, il termine, il tempo,

che paghi l'amore e la separazione

se il tempo li generò e rese vivi

più di me. Dio, più del mio volo.


***


In attesa che l'amico torni

Tu non sai cosa sia la notte
sulla montagna
essere soli come la luna;
nè come sia dolce il colloquio
e l'attesa di qualcuno
mentre il vento appena vibra
alla porta socchiusa della cella.

Tu non sai cosa sia il silenzio
nè la gioia dell'usignolo
che canta, da solo nella notte;
quanto beata è la gratuità ,
il non appartenersi
ed essere solo
ed essere di tutti
e nessuno lo sa o ti crede.

Tu non sai
come spunta una gemma
a primavera, e come un fiore
parla a un altro fiore
e come un sospiro
è udito dalle stelle.
E poi ancora il silenzio
e la vertigine dei pensieri,
e poi nessun pensiero
nella lunga notte,
ma solo gioia
pienezza di gioia
d'abbracciare la terra intera;
e di pregare e cantare
ma dentro, in silenzio.

Tu non sai questa voglia
di danzare
solo nella notte
dentro la chiesa,
tua nave sul mare.
E la quiete dell'anima
e la discesa nelle profondità ,
e sentirti morire
di gioia
nella notte.

 

*

 

 

 

 

PIER LUIGI BACCHINI

 

Contemplazioni meccaniche e pneumatiche

[da "Atelier" n. 32, pagg. 100-101 - dicembre 2003]

* * *

Punto di riferimento


Lo specchio sfaccettato, e la cameriera

che roteava con lui, moltiplicata

nelle luci riflesse – sprazzi

come stelle – e il bicchiere della mia fantasia,

umiliata in un succo di pompelmo. All'esterno

la strada, auto

dietro i vetri, i passanti: non siamo

come siamo, da non crederci – estesi

più nella memoria e nel pensiero infinito

e nell'ansia amorosa,

che nel breve spazio. Urne

minime. Straniti

nell'osservarci da qui, simmetrici non simultanei,

con orologi atomici

tra moti astrali, velocità incrocianti, orbite nuove.


*

Nomi


Perché trovarsi nella solitudine disperatissima di viole

o di giunchiglie

e abbandonare questa città

col ricordo gioioso e protettivo

d'un sole meccanico che si riflette, e il frastuono,

i vetri ampi dei bus

rispecchianti facciate in movimento? E il daffare, i ristori

e i tavolini

come cimiteri già fioriti, che spuntano di bacche

e di sorrisi.

Gente che si ritrova

con memorie così lontane

da sembrare velari trasparenti.

I giorni dei viaggi, quei baci che si scambiano

tra monumenti

e i dipinti nelle gallerie.


Quando l'uomo ha scavato le cripte,

con le pietre enormi di sostegno e le colonne,

con i nomi dei pellegrini antichi nei muri

sotto una mano d'intonaco, allora si amano

le meditazioni,

soltanto allora, in quei luoghi. E le giunchiglie si amano

quando ci si accompagna e si ride

e si beve la bocca dell'altra – così il nome divino

si colora di noi, delle nostre essenze

profumate e artificiali. E' difficile scontrarsi

con la città di Dio

a tu per tu

con la sua robustezza selvaggia e l'inafferrabile grazia.


Le nostre anime

sono firme lasciate nel cielo, come i pellegrini,

che le affidano all'ampiezza affrescata

delle cupole e delle absidi.

Ma gli inganni degli uomini a poco a poco ci deludono

- le loro scaltrezze –

e alla fine ci annoiano, e la vita che si cerca

è solo la musica

i grandi cori sinfonici, e il risalire di un violino

e la memoria senza fine antica dei suoni.

***

 

Ezio Falcomer

 

ECCO, ADESSO

Ecco, adesso sono più leggero.

Se mi dici che ti lavo via tutto il sale,

se mi dici che con me sprofondi

in un sonno di pace,

se mi dici che leggi il nostro futuro

ogni giorno,

se mi dici che i fantasmi non hanno potere.

Ecco, sono più vero,

se il mio cuore si apre,

se il sapere è identico all'amare,

se con te sono pirata e bambino,

libero di mostrami stupido.

La sera è una conquista,

il silenzio del sussurro

nei petali di complicità,

nelle note che il tuo corpo rimanda

se toccato nell'immenso ascolto

del dimenticarmi di me.

Voglio viverli questi flutti

del dolore e del piacere

degli occhi tristi e luminosi

del variare delle stagioni.

Siamo tutto quello che viviamo

e abbiamo vissuto

tutto quello che non sappiamo

tutto quello che mangiamo insieme.

Ecco, adesso sono leggero.

 

CHELE D'AMORE

Sequele di aromi

umori estasiati

tutto mi porta

il vento di vita

un flutto sommerge

miei malati sapori

le chele del tempo

brezze sciupano e faville

al macero di gloria

di boria ostinata

ma non il cuore che ama

singulti di stupiti cantori

si diramano a radure

e l'amore è ormai

mio vizio e mia aria.

.

UN ACANTO, UN LICHENE

Un acanto, un lichene

e trasmutarsi in liriche di vento

come di savana

eccedere nel compiersi

di favola gitana

amare e dire

il rosso della sera

come folle

su abissi e sommità

raccontare

l'odore di gimcana

fra corolle di luce

e freddi baratri di inerme niente.

*

OLANZAPINA

Sbroda una plebaglia d'inconsulte forme

in licantropa frenesia

la giostra del mio cuore

vuole andare oltre

sempre e comunque

acuminato dente si conficca

a stridere il mio sonno

la notte per amica e la caccia

ad imprese urgenti

bulimia selvaggia

spiaggia di fuochi accesi

solo una molecola per limite

e la mia saggezza

di reduce di sbarchi e liquami

solo una molecola e sinfonie di pagine

e voci

joker da scena

puttana di lungo corso

briccone trickster

sopravvivere comunque

a ogni sghimbescio

a ogni perplesso sguardo

di suocere madri mogli

piccolo borghesi

di vilipesi padri suoceri

zeri di fallo, di ordine ossessi

azzerati e sorpresi

dal timballo del lessico

solo una molecola

e il combattere allo stremo

con la morte per amica

e una fica d'ossessione

e il miracolo di amore

e la luce

che ti invade alla fine

come un alzarsi d'aquilone.

https://www.facebook.com/RottamiDoroEzioFalcomer201012

*

Mi vive qualcosa

Fluttuano da lava e poltiglia

le luride e artistiche cose,

come una flebo mi trascorrono le ore

e i secoli.

Genoma che visita i figli dei figli.

Ignaro dei padri, degli avi.

Scricchiola ogni legno pestato nel bosco;

è tundra, è taiga

la strada del sogno migrante.

Accadono i fenomeni

fanfara di luci, suoni, fetori

e bancarelle del porto.

Mi vive qualcosa

che permesso non chiese.

*

Le foglie

L'anima tua mi abita

gialla,

senza tormento.

Come un manto,

le foglie

dei tuoi giorni

indugiano sul mio viso;

la tua gioia mi sveste

da rottami e chincaglie.

L'amore è questo gelato che mangio,

esposto alla tua luce,

che di meraviglia

sprimaccia il cuscino,

lo ingolfa

di emozione e di senso.

*

Scialo

Scialo, deduco, drago

sradico liquami da calme fiale

conduco gli squali ai moli

il bruco diafano che ami

candito lo riduco al tuo fiele.

 

*

 

 

 

 

DUE POESIE DI FERRUCCIO BRUGNARO

 

ABBIAMO VISTO

Abbiamo visto e vissuto come il gelo

abbraccia l'erba di notte,

come il mare

addenta sempre le stesse baie.

Abbiamo visto e vissuto

ciò che altri uomini abborriscono

e altri ignorano. Abbiamo accettato

scalzi la neve, le giornate tristi

e interminabili e solo noi conoscemmo

il nevischio assiepato sui regoli

delle finestre, il sole trascinato via

di forza dal vento. Noi conoscemmo la luce

del silenzio come nessuno, sentimmo come

nessun altro venire con la notte

l'amore degli astri e il cuore morire.

 

IO SOLO CON LA VITA

Abbandonatemi al buio

quanto più vi aggrada, allontanatemi isolatemi quanto vi fa piacere.

Io non vi dirò più nulla ormai,

il mio pensiero guarda solo all'amore:

con lui solo discorre

giorno e notte e va per la terra.

Sono un uomo, sono un uomo ora!

Il silenzio mi ha rivelato un camminamento segreto.

Il dolore

mi ha raccontato

cose grandi. Battete pure,

fate a piacimento.

Io sono con la vita

ormai

ho una vita tutta per me.

 

*

 

Poesie di Donatella Maino

 

Inferno

.

Eravamo a due passi dall'inferno,

viva carne al disgelo il nostro corpo.

l'amore ormai orfano d'intenti

ascolta il suono dell'anima dannata

mentre il sasso aspetta la sua croce

in quel desiderio di averti sul mio petto

già tronco alla compassione delle lame

arrotate dalle vecchie ossa

che saranno pulite dalla pioggia

quando la terra capovolta sarà il cielo.

.

*

.

Offertorio

.

S'eleva ad offertorio

il sole d'alba,

s'insinua nella bocca,

apre la gola a liturgie segrete,

un elogio alla negazione:

un gioco inquietante di volti

mangiati dalla notte, colpiti alle spalle

dalla mia disperata voglia di salvarli.

.

*

.

Venere

.

Ogni memoria regge

un figlio d'amante,

la sua lingua buca

la membrana

al cuore di Venere

.

Ah, il mondo degli interludi…

è mare gualcito, aria fibrosa

di poeta straniero

.

" sei bella "

e' che ciò che dice il tuono

nello squarcio di fuoco

dove si amano le tenebre.

.

Cammino piano piano

e con la mano spingo

la porta dura del granaio

ché sempre si moltiplica il verbo

a formare tocchi di pane.

.

*

.

Sentimentale

.

E' uno stato di grazia,

è un'apologia omerica

quando la tua voce diventa

organo dei bassi.fondi

che narra di poeti e muratori,

di pugili rotti al setto,

di donne possedute,

di te ricreato nel mio letto

con le tue esagerazioni

con la solennità episcopale

di un artigiano maledetto.

.

Ci siamo ammazzati

per il desiderio di vivere.

 

*

 

 

 

 

EZIO FALCOMER

 

La poesia come rischio e tensione espressiva, vitalistica; rabbia, risata ed ebbrezza. La poesia come diario dello scacco e della perdita, diario di bordo nel naufragio di fronte al nihil e alla malattia. La poesia come canto dell'amore e dell'eros: selvaggio, pagano, orfano biblico o, più semplicemente, alla fine della tradizione. La vita picara raccoglie tre anni di percorso creativo ed esistenziale sviluppato attraverso il blog e nel dialogo e confronto con il lettore-commentatore.

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Ezio Falcomer è nato a Concordia Sagittaria (VE) nel 1962 e vive a Torino. Lavora come insegnante bibliotecario. E' scrittore ed attore.

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Da La vita picara

(Poesie 2007-2010)


Lanuvio RM
Narrativaepoesia
2010

 

E/Scatologica

Sull'asse della memoria
mi aggrappo
si stemperano gli arcani maggiori
ovipari di sensi e di storia
armigeri di eventi
pirofori di esistere in etere violaceo
di crepuscolo, come
prima di cadaverica baldoria
io, scoria di angeli
strame di miti di gloria
agli estremi bordi del Tempo
oh, restasse segno o runa
su questo sentiero
vivesse di me cuore o fremito
emaciato
su tumida e madida duna
come un resistere
a ossessa, febbrile fortuna.

 

Seta e agata

Come se tu fossi qui
a spellare con me
gamberoni e aromi di sguardi
come se tu non fossi andata via
su quelle rotaie di ignoto
parlare l'amore ancora, ballare
alla luce di mani
intrise di olio e tocchi yin e yang
rubare arcani e sillabe alla notte
con rabbia averci e stordimento di onde tenui
di fianchi parole respiri
inesprimibile labirinto di praterie
di seta cremisi e agata corniola
solo dita umide e attenzione
sentire il tuo acquoso gemito
il tuo vuoto
saturo di maestà rapace
di sete che rifiuta la paura del naufragio
di fame
che ama me
che mangio te
che mangi me.

 

Tu mi fai essere

Tu mi fai essere
cauto scavo nella tua voce
enigma tremore silenzio
sei creatura d'acqua
di sorriso
di nervosi refoli d'ombra.

 

Armageddon

Asce scorrono lungo i viali dell'anima
svaniscono i fenomeni
a scroscio si riversano le falangi
mischia bolgia omicidio
pallide scoliosi di sciacalli splendono all'alba
si ridestano fiamme di furia
tutto un cercare la luce
tutto un ritorcersi d'asfissia
delirio remoto d'angeli nel tunnel
la fatiscente sclerosi di un dio.

 

Stenti fatali

Cos'è che c'è
in questa spugna dov'è intrisa la vita
in questo sogno
in cui muoiono gli dei
ragnatele di eventi
amore dolore fetore
spazi di plasma
di braccia allargate
a trafiggere il vuoto
gambe sommerse fino al ginocchio
da un mistero di palude risucchiate
lancio il bengala sull'orizzonte
l'accolgono angeli fatali
amanti
di miasmi amori e di stenti
su questa pianura
che ha desiderio d'istanti.

 

Azzurri sensi

Azalee d'improvvisi bagliori
orti sarchiati d'azzurro
sussurrano gli immensi spazi
arazzi di silenzio
respiri d'assenzio
invasi di sensi mai sazi.


Lunare

Lunare,
chiedi amore
e scendi lungo un fiume di malinconia
labbra di pesca cantano perenne estate
fragranza di sorrisi caldi, nascosta
sotto timido feroce veleno
sogno i tuoi fianchi...
che ti porterei alla mia bocca
...e traversare il tuo deserto
di oasi lussureggiano.

 

Strusci e fotoni

Mi ammoscio su lungaggini d'orizzonte

scroscio pensieri e veleni

sfascio cartilagini e crisantemi

piscio lunatiche tossine

striscio ubriaco lungo muri di mattoni

struscio fianchi bisognosi di attenzioni

sciami le mie ore si gettano nel mare

origami di fotoni che si perdono nel dare.

 

Si diramano anfratti e segrete

Si diramano anfratti e segrete

nel canto del sogno

e luci e sonagliere delirano

ascolto i miei spiriti frinire

fiotti d'ira e di blu anelano al cielo

parto su scafo fenicio

l'Orsa e le Pleiadi mi guidano

e l'Oltre al centro del Qui

vi si appoggia chi muore ogni istante

rido ubriaco d'incoscienza

e di enciclopedica follia.

 

Notturno con mare

A che punto è la notte
questo calice non contiene tutto me
di stagione in stagione
varco ogni soglia
e dico addio
senza sponde dove consistere
esisto persisto e muto
camaleontica traversata
come un dramma senza esito finale
come clown che schiamazza per la via
ai bordi di un mare saturo di ciclone
vi balugina il canto degli arcipelaghi di sogno.

 

Spasimano

Spasimano le spettinate onde di papaveri
vento e luce si inabissano su gialle spighe
aria solo aria
e la notte per guarire
si elidono dai rami fiori e frutti
spauriti
per l'ignoto.

 

Giostra

Scalfisci diafana malinconia
nei riverberi dei tuoi vortici
centrifuga ebbrezza
in spirale l'anima si avvita
seta di schegge precipita
si deformano cavalli e figure
come fuga a favola di risa

prosciuga ogni pensiero
la sarabanda delle tue luci.

 

Ho tra le mani pochi attrezzi

Ho tra le mani pochi attrezzi
romanzi di avventure altrui
sapori di mie spiagge e periferie
sangue e lacrime anche non piovute
e l'incognito domani da disegnare
so essere intero nel frammento ma
muoio ogni istante da quando son nato
assaporo quand'è il momento
spuma che ritorna all'onda
fragilità che non ha perché.

 

Brume al di qua del sole

Il sogno


Brume al di qua del sole
echi di larve o dei
mi abitano
non invitati
dipingono alfabeto remoto
e bevo le immagini
oscuro sussurro
o voluttuoso giardino
ambrosia o assenzio
d'ignoto.

 

Piovasco strenuo

Piovasco strenuo
mi schieno su vetrina
aspiro e fumo.

https://www.eziofalcomer.blogspot.com/

 

Da La vita picara

(Poesie 2007-2010)


Lanuvio RM
Narrativaepoesia
2010

Escrescenze di nodi


Escrescenze di nodi
delitti di un osare innocente
allo specchio sto
fievoli fantasmi di emozioni
tralucono
celiano di bruciori inghiottiti
irreversibili ferite
il passato è solo nella mente
vorrei dire, ma
cos'è questa viscera che non tace
cappio e catena
retribuzione di un vivere
che solo voleva andare
come spavaldo e sereno giocare
bambino che non voleva dormire.

Homenaje

S'assiepano rodei di odori africi tuoi

lungo i vicoli della mia anima

ed entro viscere che si consacrano a te

divina

con la lingua trascorrerò i tuoi petali

a bere le gocce di rugiada

che sanno di muschio e mare.

Aetos

Vorrei un giorno di refoli di luce

d'azzurri spasimi di niente

e planare su nuvole

gonfie d'elettrico e d'immenso

aquila

dominare cime e urli di baratri

con occhi che sanno

l'orrore e la bellezza

della storia

berlo, il calice

come un andare a scontro di schiere

a bolgia

di furia ed amore

a dolore attraversato

e vedere.

Anastasis ton nekron

Sono stato cadavere per secoli

ora canto alla luce di una stella

mannara e serafina

vidi gli abeti sussultare

su crosta lavica

licheni contorcersi

aspidi infami

su pianure di fuoco

e di polveri solitarie

lamenti di cavità viscerali

budelli di ululati

orchidee di apprensioni giallospeziate

setose lacrime

che non riuscivano ad annegare

nei torrenti della vita

avida ed incosciente.

Lejos

Come un lupo mi aggiro
nella notte
saturo di coscienza
nell'attesa di spegnermi
e separarmi da figure parole eventi

dove sono i tuoi fianchi?

felice la mano
si poserebbe
lieve
calda neve
sui tuoi colli addormentati

moriria feliz
a tu lado
mi amor.

Ebbro Ebro
Con questa camicia nera

sfondando vetrine di ovvietà

piogge fangose

sui miei bracieri di anarchia

ho camminato il mio miglio verde

per averti al prezzo

di un'elegia di luce e sinastria

senza di te non sono nulla

nell'uragano rigurgito sangue

e matricidi di civiltà andate

il mio vincolo è un tatuaggio

sull'odore della tua pelle

krishnamurti al kamasutra

del tuo incanto di fata celtica

piovuta su una terra

di silenzi e tori

sacrificati.

Sequestro

Ti ho sequestrata tra nevi e paludi

il vento mi diceva il tuo segreto

e cantava la tua vita amara

ignara di me.

Ti ho come perla

libera

che sfugge a consuetudine.

Ti ho come magia

gettata da un'onda

sulla riva della mia insipienza

stupido e stupito ti ho

e non ti ho mai del tutto.

Sei canto di ninfa

barbara e trasparente

fragile agli istinti

sei nenia ipnotica che ci si porta dentro

inquieta favola che cura e ammala

che regala incanti.

Saltimbanco

Che ansimare equivoco

è il canto che sale

da muffe e licheni

come strana salmodia

manto di emblemi

s'innalza da terra amara

io respiro fra nevi

per secoli di attimi

testardo, intimo al sole

sempre

nuove gocce di speranza

e mi contorco alla luce nuova

mattino che riannoda parole e amori:

saltimbanco sospeso

fra il male e la gioia

in gola l'urlo bambino

che domanda, come seme o spora,

sfrontato rigoglio continuo

ancora e ancora...

Sei bella miracolo di gheparda

Sei bella miracolo di gheparda,

scabra luce in fondo alla notte;

melmosa calda alga sei;

frecce le mie mani

ti inebriano, strette,

morbida albicocca.

Di febbre licantropa e criminale

oltraggio sepali tuoi,

irragionevole dettame d'amore,

mentre

in languido afrore marcisco

di lotta d'eroi,

errando in tuo aroma,

tempesta che involve

mia lurida anima

dannata.

Sei stella che ride e s'attarda

sul cuore mio che attinse alla notte.

Alma falena, le tue mani

tracce lasciano su me,

diroccato da arsura felice

di te.

Si addice

il miracolo che al deserto mio

s'attarda.

Succubi d'amore

La tua carne, infinita domanda

dove si placa il caso,

il possibile mio non esserci.

E il soffio della tua anima

è il mio esserci nell'avvolgerti,

donna di brivido e di mistero;

riempio nell'amarti

il possibile tuo non esserci.

Perderci nel donarci,

ascoltare la pioggia,

succubi dello stringerci

e dell'amarci.

Come un respiro

Come un respiro mi ritorni

alle ore di gocce e miele

sentirti in emozione e pensieri

averti sfuggente e acuta

in cuore

come orizzonte di gabbiano

ascoltarti nel volare comune

mangiare e mangiarti

i tuoi sonni proteggere

folle cerbiatta

di ansimi e graffi

penetrante liquore.

Un acanto, un lichene

Un acanto, un lichene

e trasmutarsi in liriche di vento

come di savana

eccedere nel compiersi

di favola gitana

amare e dire

il rosso della sera

come folle

su abissi e sommità

raccontare

l'odore di gimcana

fra corolle di luce

e freddi baratri di inerme niente.

Le sere che

Le sere che

pallidi i convolvoli

esclamano smeralda follia

si tingono i cuori

di un indaco serico

e madido amaranto

mi scorre

nel tacito grido

che anela

speziati cobalti d'ignoto.

Panismi

Sono ubriaco del tuo odore

nel dolore del tuo non esserci

mordo il mio canto pallido

e spasimo in sogno le tue carni

come gangetico tramonto

selene cananea

io strame d'angeli

dal mio deserto rosso

pastore di ade

risata e urlo di fetida foresta

t'assalgo in vampiriasi

di nenie per zufolo e crotalo

sei il mio centro

ti scuoto mea domina mio giogo

ti rovescio a estatico mistero

di respiri di maglio.

Anima predata

Se ti dài irrorata dai miei sguardi

straluma la mia anima predata

della ritirata brucio i ponti

alla lotta vado

con riso d'orgia commediata

al caos

e alla bolgia di sapori e silenzi e assensi

che mi trafigge

un'isola è ciò che vedo

(naufrago)

di polpe petali e battigie di sogno la sera

mormorio di schiume

galassie roteanti

su incroci di fiati

feroci.

https://www.eziofalcomer.blogspot.com/

 

*

 

 

 

 

TERENZIO FORMENTI


ha iniziato il suo viaggio nell'infinito
sabato 25 aprile 2009


[Poeta, psicodrammatista, psicoterapeuta, "persona attenta ai sogni,
alle immagini, alla fantasia, alla natura, alla vita" -
col quale ho avuto una breve corrispondenza alcuni anni fa, in occasione della
mia partecipazione alle "gocce di rugiada" (dewdrops) tradotte in molte lingue.
Bresciano, aveva 86 anni .]


"mi farò una casa nel vento"
mi farò
una casa nel vento
giocherò
con le nubi
mi poserò
sul vecchio baobab
mi confonderò
con la sabbia del deserto
fischierò
fra le rocce
canzoni d'amore
e
finalmente stanco
adagiato sulle onde
mi lascerò cullare...
dolcemente
*


IO SONO L'ARCOBALENO DELLA NOTTE

a Paola


Io sono l'arcobaleno della notte
nato dalle tenebre in questa sera di magia
mi chiederete quali sono i miei colori
chiudete gli occhi e li vedrete
sono il pianto di un bimbo nella notte
la luce negli occhi di due innamorati che si cercano nel buio
i sospiri i sussurri i baci di un incontro d'amore
un fuoco d'artificio che nasce dal buio e muore nel buio
sulle rive di un lago in una notte di festa
sono gli occhi di una tigre in amore che bramisce nella giungla
le luci di Broadway e di Chinatown
gli occhi di un gatto
che miagola alle stelle sul tetto di una baita
una falce di luna
che taglia la segala in un prato di montagna
gli occhi di una volpe
che ha deciso che questa notte non ammazzerà
gli occhi di una lepre
che rassicurata bruca l'erba di un prato tenero
i palpiti di luce di una lucciola
che cerca la sua compagna fra i cespugli
sono i fantasmi e i folletti buoni
che compongono i sogni della notte
uno gnomo
che gioca a nascondino con le sue immagini
la serenata di un grillo del focolare
un fuoco fatuo
che illumina le paure di un viandante
le favole di un nonnino
narrate alla luce dei tizzoni ardenti
un vulcano
che proietta nel cielo i suoi lapilli di gioia
il pianto di stelle della notte di San Lorenzo
sono un piccolo uomo
ma sono anche
l'arcobaleno di questa notte di magia
un frammento di infinito


Terenzio Formenti


per maggiori informazioni vai sul suo sito:
www.terenzioformenti.com

 

*

 

CORRISPONDENZE

 

SEBASTIANO AGLIECO

 

FRAMMENTI DELLA VOCE

Come un canto si sprigiona la sera

dai tuoi occhi
e in questo istante accetto di parlarti
verso la notte non c'è vento, né aria
solo attesa
perché il silenzio non dice che silenzio
e mi stupisco se il nome ancora chiedi
il tempo, l'ora, e ti dimentichi
che nulla ti può atterrire gli occhi
l'anima di colpo guarisce
quando ad un tratto dispare il riflesso della luce

Quanto ancora ti porti del mio sangue alla deriva?
dove tu attingevi scorre un fiume eterno di malinconia
ferita che sempre nutre le diaspore
a fondo devi scavare per trovare la sorgiva del tuo cuore
lì disseterai le solitudini
e spogliato dei tuoi amori, infine
ti disseccherai

Sempre il limite della tua terra varcherai
e ti parrà il ritorno sempre una partenza
e la partenza ti parrà sempre un ritorno
perché a lungo cercato sempre troverai
perché a lungo trovato sempre dovrai cercare

Non c'è niente che non abbia in sé un seme
e allora non chiedere l'origine e la fine
ma passa oltre e guarda dentro l'abisso
protenditi, e vedrai la tua vita
che ritorna dalle larvate strade
e la riconoscerai, come intatta
alla vista di un tremante colore

Quello che chiami ritmo
è un vuoto formicolante che si mostra in tratti
isole pulsanti dai confini calmi
o tumultuose prevaricazioni del respiro
io sono la forma della voce che sempre invochi
io sono, altro non posso dirti se non descriverti
questo esistere nostro in un ritmo più grande
ombra nella luce in cui respiro
luce nell'ombra in cui sono respirata

[dalla raccolta: "Poesie per la riconciliazione"]

*

 

GIUSEPPE GORLANI

 

SE VOLESSI

Potresti, se volessi,
togliere ombre dalle pareti delle case
tornare al pozzo cui s'abbevera la vita.
Se i tuoi pochi anni non annaspassero
distratti
in melmosi cortili senza cielo
ove s'assommano parole vuote,
potresti evocare cherubini e dèi,
comprendere la sapienza apofatica
dell'Areopagita
e rinascere nella quiete viva del cuore.
Ma ad abbracci d'innocenza
ti rifiuti.
Nelle orecchie trattieni seduzioni
striscianti
e in utopie televisive affoghi
a poco a poco.
Potresti sul nulla dei miraggi soffiare
con gote d'oro,
il mondo ricordare degli antichi eroi,
risalire al Principio,
spaziare sul mondo.
Potresti raccogliere l'amore
con mani sicure
e benedire
libero da pesi e fatiche.
Realizzare il Bene potresti se volessi,
ma non vuoi
ed innalzi inni alla materia,
inventi dicotomie, catene, muri, distanze,
tempo, evoluzione, antenati scimmie:
paludi nelle quali spegnere la fiamma
che Dio pose preziosa in te,
sua emanazione diretta,
l'Uomo.

*

 

MARCO MERLIN

 

Se ti dicessi
che ho ormai gustato tutta la mia vita
e il futuro mi è padre

diresti ch'è superbia, crederesti
di capire. Ma so vedere anch'io nel cieco
riflusso del millennio
l'alba del Quinto Giorno.

Quello che non comprendi
è l'oceano saturo di sale
nella goccia sorgiva,
è la piaga che ride sul mio volto.

 

L'ANGELO - LA MIA SORTE

I

Sia benedetta ogni strada, ogni voce
ascoltata
-se unica è la meta

Ma lasciatemi su queste rovine
a cercare la verità morente
il dubbio che ci libera. Io non sono
l'eroe che chiude nel pugno il passato
e punta le pupille dentro il sole
Io non posso , il mio destino è qui, in qualche
libro già letto,
in un balocco rotto
o in un nome troppo semplice, tradito
a dovere nel figlio
dal padre, come un amore irredento
Il mio viaggio profonda
questo tempo, il futuro
preme dietro le spalle.
In un vagito l'angelo
mi chiama sotto i sassi,
impetra l'obbedienza
l'abbandono

II

Comprendo bene
quale condanna dobbiamo scontare
trovare un nuovo
angolo di silenzio,
tornare a dire a sollevare al cielo
macigni di parole
e lasciarli ricadere su noi

Affondare le mani nella piaga

Ogni altra cosa
(anche la sapienza
anche la sapienza)
viene dalla paura.

La mia sorte è legare in ogni gesto
follia e umiltà

*

 

EMANUELE ROZZONI

 

(Lethe)

Sei acrocori e piane e bacini
strapiombi fiordi di mare
impazzito e rade profonde
scaglie di rame inverdito.

Nero orifizio dirupo scivoloso
per dove piombo a precipizio
m'inabisso, dal tuo lethe oblioso
sgravato riemergendo
stranito.

*

L'acqua, il vento posa
tace il piovasco venuto
iroso a rimbrottarmi.
Sorridi, e ti si increspa il viso.
Conosco la smorfia gentile
non condanna, sentenza
(dicono che qui finisca l'estate)
senza assoluzione.

Spiove, salgo le scale
(pure già tarda l'autunno a venire).
D'altro che resta? Guardarsi le mani,
aspettare, chiedersi cosa faremo

domani. Rispondersi è meglio dormire.

 

*

 

POETI SEGNALATI DAL PROFESSOR
GIORDANO GENGHINI (MONZA)

tramite i circuiti postali della "xeropoesia"
negli anni '80-'90

 

TRE POESIE DI VICO PIAZZA

1.
Standoti vicino, seduto così ad osservare
alberi, case rare, viadotti passare o restare
la giusta lunghezza della vita apprendo
in quest'ora meridiana d'ombre
corte come punte d'insetti, d'ombre
che nulla hanno di vita.
"Perché ci hai lasciati?"
"Viaggio ora solitario, so
che niente vale
ciò che mi attende".
Poi si interruppe - o così io credetti -
insieme cercammo la stazione. La radio
gracchiando francese, arabo, fischiava
gemendo. Vedi quel punto vuoto,
quel silenzio che ora temiamo
spostando - a dispetto della morte
che incombe - inutili le ore
ora, amandovi ora
poche sagome scorgo: la mia
le vostre riconosco.

2.
Non so descriverti
che per somma di cenni
(tralasci di assecondare il mio sguardo).
Ti aspetto
contando i minuti,
i secondi, mi accorgo
ch'eri tu la prima
a dover pazientare.

3.
Il volo trancia l'azzurro
lo incolora e srotola la strada
il nodo della tua venuta. Dicevi:
"Ciò che tu vuoi" - un'altra volta -
ed era un'arida ventata di scirocco.
L'ombra si leva agli angoli
solo un abile gioco di riflessi
metteva luce. Ma da te non traluce
alcun possibile nulla: era la tua mano
un segno, un pegno
senza proporzione essere
in quella sufficienza di perdono.

*

 

LUIGI GERARDO COLOMBO

DIES ILLA

Dio distrusse la morte
creando egli stesso la morte:
ogni giorno
costretto a vivere
per destino o miracolo
l'uomo si prepara la sua distruzione.
In un'ora destinata
a sua insaputa
si ritroverà
svestito della sindone
dei suoi rimorsi divoranti
destato dai suoni
delle tube angelicate
per risorgere
dai rimorsi devastatori
completamente trasfigurato
in un corpo uguale e diverso.
Gli specchi andranno in frantumi
gli enigmi sveleranno ogni segreto
in una nudità abbagliante
finalmente sottratta
al crollo strepitoso dello spazio
e al franare irresistibile del tempo.

*

CROCIFISSO

Non un fremito di pietà
viene dalla tua pupilla
alla mia anima in tumulto
ma il consenso accorato e costante
della tua mortale compostezza.
Nessun segno di stupore
né di rimprovero
nel tuo viso
che si china
in un bisogno di abbandono
sulla spalla destra
che è quanto di te
rimane da accarezzare.
Il tuo sguardo si rifugia
sotto le palpebre
e quando vorrei farmi forza
per avvertirne il tremito mi sento sospingere
ineluttabilmente
sul tuo cuore squarciato
per respirare
un alito
in cui si accordano
il tremito delle mie labbra
e il pulsare delle tue vene.

*

 

ACQUAMARINA

PER LA MANUTENZIONE DELLA VITA


MICHELE ARCANGELO FIRINU

Il mattino ti viene incontro, latteo,
adorno degli argentei ghirigori ricamati
coi fili di bave di lumache.

Ti ci vorrà quasi mezzo secolo
perché tu gli dedichi l'inchino
di quattro fili di erbe.

Il flusso delle ore verso di me si curva, radioso,
con deferenza.

Me ne infischio degli inchiostri più celebri:
io posso intingere il mio sguardo
nell'acquamarina delle mia mente.

Io sono obiquo,
se qui mi avvolgo e vado
in un saio di luce.

*

 

"HAIKU OCCIDENTALI"

composti durante un "Esercizio di Scrittura Creativa"

nell'Istituto 2E dell'Istituto Tecnico MOSE' BIANCHI di Monza

 

La morte
è un lenzuolo bianco
nel deserto in delirio.
(non firmato)

*

Vedemmo in loro
fitta la morte.
Tornammo a sentirci isole.
(non firmato)

*

Sospesa sopra il mondo
l'anima disperata vide
il suo corpo scomparire.
(Alessandro De Marco)

*

La via del sonno:
un fiume di ricordi che mi porta via
senza ritorno.
(Hu Bing Kiu)

*

Nel deserto era scesa
la mia colomba, stanca:
un lieve sogno nella sera bianca.

(Giordano Genghini - Insegnante)

*

 

PIERLUIGI PANZA

BENIAMINO

con gli occhi afflitti e con un pianto rotto
io sento come tu Beniamino
nel gravido convitto della notte
singhiozzi la speranza di un destino.

Tu che non morto voli un vento
che non è più dell'aria tu che non sei che aria
ma piangi a un respiro che può del tempo
cerchi un cercine di stracci nel cuore

un volto per volgerti ai vivi.
Oh! il tuo volto mi fa paura
mi fa paura il tuo viso furtivo
perché qui nel nido è già sera.

Ma ora che l'oscuro discende
e la regina si benda le ciglia
ma ora che la luna s'accende
e l'uncino arrotonda il suo taglio

tu chiara gora d'acqua
sorgi qual vento nel tondo del mio orto
e dall'urna per cui io giacqui
levati improvvisa nell'aria incerta.

O forse senza che ti veda
guarda fuori guarda la terra sotto
e senza che tu accada
rischiarati di te che non sai tutto

di te piangendo brilla
di te brillando piange
che già grave nel grembo della stalla
seppi di te che dentro ti raggiungo

e sono in te sono te... E già temo
che t'avrò tra il mio orrore
paura tra le paure e celato
ti conserverò tra il tremore e il dolore

di sempre.

[dalla rivista "il bagordo", anni '80]

*

 

MARIO TUCCI

STANZE SPARSE

Così ha pur fine l'inverno
l'ombra del cortile si addensa
dalla corte dei gatti innamorati sfuma
lo stupefatto febbraio. Ora che
m'è dato in tua memoria censire il mio tempo
e gli anni che ti ho attesa gli amici
mandano cartoline illustrate cartoline mandano
dalle frontiere dell'Ovest
da costole di azzurre periferie.
Thank you for a fine real time,
ma l'inverno ha graffiato
le strade di un tempo ha spento il lampione un sasso
prima che l'alba sorgesse dai bordi d'una
luna dimezzata; una tortora si schianta
nella barriera dell'ombra
si schianta a un segnale d'amore.
Parte di te mi chiama
dalla tromba di Satchmo per la campagna brulla
per filari indistinti per viottoli di bruma
quando la curva a un tratto si para davanti
e il prima di esistere salda un futuro
allo stridore dei freni al gioco dei piedi alla
scheggia di un brivido venuto da lontano.

***

L'erba nera della penombra
è un teatro inabitato affonda
nel silenzio delle tue ciglia nel sordo
mormorio della pioggia.

***

Ma vinta dall'ombra del prisma e del poi
una città riemerge dai campi dei papaveri
tra spiragli di nomi da ricomporre
verso le dune della sera
nella luna ridotta a sogno
oscilla lentamente dall' humus primordiale
d'una colomba morta.
Vira al rosso l'attesa della notte
alla prova del volo
voci distratte un suono
basta a scomporre ciò che non siamo
da ciò che non fummo per tutto
ciò che possiamo di nuovo gridare
mentre tubano allegre le tortore
e tu aspetti invano che il sonno
cancelli le tue impronte.

[da un numero del periodico letterario "il bagordo"]

 

*

 

Alfonso Gatto

 

Lettera non spedita

 

Albero chiuso in tutta la mia sera,

vento calmo di stelle ramo a ramo

compiuto nelle sillabe di un nome

che mi risponde se a tacerlo chiamo,

e tu, sempre lontana dalle chiome

della limpida notte, fresca nera

povera meraviglia del creato.

Amor che a suggello di ogni cosa

incide il segno della mano piena,

nel mio triste contento con me solo

per sempre resterò --fermo nel volo

che mai si leva -- a chiedere che il male

dell'offesa vivente mi sia vivo.

Albero chiuso in tutto il mio passato

e nel gesto perenne remissivo,

ch'io mai ritorni, o cara, a dire morta,

la mia pietà, la breve gioia porta

notizie, brucia, ma la lunga pena

trattiene le sue mani, ancora prova

nel dirti addio una parola nuova.

 

*

 

Alessia D'Errigo

 

Si dipinse la blasfemia dei giorni, il panciotto inciambellato

di ogni forma prese a volare, del resto, come i sognatori

e le unghie effimere del giorno seppellirono appena

l'oscurità reciproca del canto, la carità che fa vero pure il mare

agli occhi degli stolti. Dio ci sia in lode, quanto le fronde

di questo autunno gelate e secche da innumerevoli ammanchi,

si rifocillino pure di carne e neve, così, com'è la terra

nell'affrontare l'acqua e l'aria, così com'è l'uomo

nell'affrontare l'ombra e le pietre. Dio ci sia in lode!

C'è ancora tanto verde in giro e il gregge è ancora accosciato

da prendersi cura l'un l'altro, bruscamente, delle stagioni.

 

*

 

Ezra Pound

 

Histrion

 

Nessuno mai osò scrivere questo,

ma io so come le anime dei grandi

talvolta dimorano in noi,

e in esse fusi non siamo che

il riflesso di queste anime.

Così son Dante per un po' e sono

un certo Francois Villon, ladro poeta

o sono chi per santità nominare

farebbe blasfemo il mio nome;

un attimo e la fiamma muore.

Come nel centro nostro ardesse una sfera

trasparente oro fuso, il nostro 'Io'

e in questa qualche forma s'infonde:

Cristo o Giovanni o il Fiorentino;

e poi che ogni forma imposta

radia il chiaro della sfera,

noi cessiamo dall'essere allora

e i maestri delle nostre anime perdurano.

 

*

 

Raffaele Piazza

 

"Tesse una musica"

 

Tesse una musica il marino

fluire senza tempo, l'onda verde

che trasparente vola nella forma

di donna, di conchiglia che scolora

sulla spiaggia dalle felici trame

dove nella tua notte posi l'ombra

tra la sabbia dei passi che riveli

un moto precedente di parole

presunto tra l'argento che ti sfiora

di una luna a pochi tiri

di sasso levigato dall'attesa.

 

*

 

Flavio Almerighi

 

essere

 

essere treno d'ossa,

fiducioso aspetto un segno e uscire

dal mezzo di una stazione sognante

immersa emersa in mille soste estive,

tante volte una voce assonnata

annuncia partenza e liberazione

poi in sequenza muore,

senza lasciarmi andare

mai

 

*

 

Maria Grazia Calandrone

 

Una poesia-sudario per Genova 14 agosto 2018

 

Il sudario si chiama sudario

perché assorbe gli umori

dei morti. Viene deposto

sul volto, per nascondere allo sguardo dei vivi

il lavorio della morte

nei lineamenti amati, le enfiagioni

e lo scavo finale, la riduzione all'osso, che riporta

la materia conclusa di un corpo nel non finito dell'altra

materia, all'indistinto delle zolle e degli astri.

Il sudario è deposto per pudore

sul volto, perché quel volto smetta di finire

sotto i nostri occhi. Così vorrei

che le parole, poiché non possono asciugare davvero

neanche una goccia

del vostro sangue, ricordassero almeno

la vita, il celeste profondo

o la rosa canina fra i paranchi

che vi ha fatto sorridere

per la sua ostinazione d'essere viva

nel cantiere perpetuo del porto

luminoso di sole morente

o l'altro sole, la grandezza radiale dell'alba

sollevata tra guizzi di reale come un rinascimento.

Mondo contemporaneo che vai a morire

tra i gabbiani delle periferie,

sotto la rotazione della Via Lattea come una verde insonnia dell'universo

che non ci guarda, mondo che sei questo infinito esistere che non contempla

i mortali, senza nome e cognome torneremo cose

tra le cose, senza involucri e senza nostalgia ritorneremo

all'indifferenziato delle stelle. Ma adesso, adesso

che siamo vivi

 

*

 

 

 

 

 

Loreto Orati

 

LE MIE LABBRA NON SONO CHE SPONDE DI TERRA

 

E' nel tormento della parola

che respirano a fatica i poeti,

nella spina del verso,

nell'insonnia che rinnega il sogno,

e cercano luce, per spezzare tutto quel buio,

e frutteti rigogliosi, al centro preciso di ogni deserto,

ed io non posso che inchinarmi

davanti al sangue della bellezza, ai fogli d'oro e di miele,

al silenzio che diventa montagna inarrivabile,

d'echi che scuotono il mondo,

perchè le mie labbra non sono che sponde di terra

su cui germoglia soltanto il tuo nome...

*

Luigi Giordano

 

GLI EX MORTI

 

Sei dentro una bara

come la luna nel cono del sole

a calzare di notte il mare

con parole nascoste

dietro l'inchiostro

sul banco abbandonato

in una profonda voragine

e piano si allontanano i passi

al suono di una campanella

nell'ira dei morti

appesi agli angeli.

*

 

Raffaele Piazza

 

Del mio tempo il senso

A Felice Serino

 

Ascoltami, Felice, esiste

una forma che sgretola

le cose, entra ossigeno

nel sangue ed è la poesia.

Dove tu sei ancorato

ad un computer per emergere

dalla chiave della

nebbia, immagino la città

di te da me visitata nel 1984.

Dove accade la vita ed è la

Vergine a prendermi per mano

sotto il Manto, gioisco e

trasalgo per mio figlio

amato e non voluto diciottenne.

Calma estiva nelle mattine

di pace occidentale nella sua

per economia differenziandosi

essenza,

da quella dell'Africa Centrale,

la morte dei bambini neri.

Presagi di gioia, Felice, dopo

le visite rarefatte alle librerie

e alle farmacie e i libri letti,

lo squillo del telefono,

la voce degli amici e

bere il vino rosso per redenzioni.

Parlano i pini del Parco Virgiliano

e un messaggio giuntomi per e-mail

da sorgiva ragazza, dice che

le sono piaciute molto le mie poesie

sul sito di Felice Serino.

Pasolini e Dario Bellezza

vegliano, maledetti angeli.

Mio figlio guida l'auto con

sicurezza, padre gioioso, ho spiato

il suo diario dove ha scritto

sei una ragazza affascinante

verresti a cena con me?

Ieri succhiava dalla tetta.

Alessia, perdonami una vita!!!

 

*

 

Davide Rondoni


Addosso vienimi, non lasciare
spazio, che l'aria il cielo o cosa
sento fare pasto di me se

non ti stringi, non spezzi con linee
strane il disegno delle braccia, il bavero
il torso

se non disponi con il tuo il mio corpo
ai nuovi assalti del giorno

ferma le piastre del respiro
ho qualcosa di troppo antico nel petto,
radunami da tutte le città del mio volto

sono solo ombra che brucia
se la tua non mi viene
subito addosso.

***

 

LA MORTE CAMMINA A TACCHI ALTI


Di Tiziana Monari


Sgomente

s'ammassano mille bocche

in attesa del pianto

inermi

contano il sangue di angeli caduti


vaga smarrita

senza approdo

una fiumana

di membra sfollate e pietra.


E' sceso il buio

la morte ha camminato con i tacchi alti

impotente

sbircio la pioggia dietro i vetri.


Vorrei solo

portare a Dio

un altro conto da saldare.

[Fonte:
Stravagario Emozionale - numero 4 aprile 2009]

***

 

DAVID MARIA TUROLDO

(1916 - 1992)


Mostrati, Signore

a tutti i cercatori del tuo volto,

mostrati, Signore,

a tutti i pellegrini dell'assoluto,

vieni incontro, Signore;

con quanti si mettono in cammino

e non sanno dove andare

cammina, Signore;

affiancati e cammina con tutti i disperati

sulle strade di Emmaus;

e non offenderti se essi non sanno

che sei tu ad andare con loro,

tu che li rendi inquieti

e incendi i loro cuori;

non sanno che ti portano dentro:

con loro fermati perché si fa sera

e la notte è buia e lunga, Signore.


*

Tutto deve ancora avvenire nella pienezza:

storia è profezia sempre imperfetta.

Guerra è appena il male in superficie

Il grande Male è prima,

Il grande Male è amore-del-nulla.

Per favore, non rubatemi

la mia serenità.


*

E la gioia che nessun tempio ti contiene,

o nessuna chiesa t'incatena:

Cristo sparpagliato per tutta la terra,

Dio vestito di umanità:

Cristo sei nell'ultimo di tutti

come nel più vero tabernacolo:

Cristo dei pubblicani,

delle osterie, dei postriboli,

il tuo nome è colui che-fiorisce-sotto-il-sole.


*


Ti sento, Verbo, risuonare dalle punte dei rami

dagli aghi dei pini dall'assordante

silenzio della grande pineta

-cattedrale che più ami- appena

velata di nebbia come

da diffusa nube d'incenso il tempio.

Subito muore il rumore dei passi

come sordi rintocchi:

segni di vita o di morte?

Non è tutto un vivere e insieme

un morire? Ciò che più conta

non è questo, non è questo:

conta solo che siamo eterni,

che dureremo, che sopravviveremo...

Non so come, non so dove, ma tutto

perdurerà: di vita in vita

e ancora da morte a vita

come onde sulle balze

di un fiume senza fine.

Morte necessaria come la vita,

morte come interstizio

tra le vocali e le consonanti del Verbo,

morte, impulso a sempre nuove forme.

*

Non so quando spunterà l'alba

non so quando potrò

camminare per le vie del tuo paradiso

non so quando i sensi finiranno di gemere

e il cuore sopporterà la luce.

E la mente (oh la mente!) già ubriaca,

sarà finalmente calma e lucida:

e potrò vederti in volto senza arrossire.


*


"Anche Tu / finivi con la certezza di essere /

un abbandonato./ Anche Tu / non sapevi!

E hai gridato il perché/ di tutti i maledetti,

appesi / ai patiboli. E non era / desiderio di

sapere la ragione / del morire: non questo, /

non la morte è l'enigma.../ Mistero è che

nessuno comprende / come Tu possa, Dio,

coesistere / insieme al Male..."


(O sensi miei..., p. 606)


*

Liberata l'anima ritorna

agli angoli delle strade

oggi percorse, a ritrovare i brani.

Lì un gomitolo d'uomo

posato sulle grucce,

e là una donna offriva al suo nato

il petto senza latte.

Nella soffitta d'albergo

una creatura indecifrabile:

dal buio occhi uguali

al cerchio fosforescente di una sveglia

a segnare ore immobili.

E io a domandare alle pietre agli astri

al silenzio: chi ha veduto Cristo?


*

Perfino gli ulivi piangevano quella notte,

e le pietre erano più pallide e immobili,

l'aria tremava tra ramo e ramo

quella Notte.

E dicevi: "Padre, se è possibile...".

Così da questa ringhiera

quale un reticolato da campo

di concentramento, iniziava

la tua Notte.

Si è levata la più densa Notte

sul mondo tra questa

e l'altra preghiera estrema:

"Perché, perché... ma perché, mio Dio..."

Notte senza lume: disperata

tua e nostra Notte. "Perché...?"


*

Padre,

non sappiamo più ascoltare;

Padre,

nessuno più ascolta nessuno:

nessuno sa fare più silenzio!

Abbiamo perso

il senso della contemplazione,

perciò siamo così soli e vuoti,

così rumorosi e insensati;

e inevitabilmente idolatri!

Anche quando l'angoscia ci assale

donaci, o Padre, di non dubitare;

o anche di dubitare,

ma insieme di sempre più credere:

di credere alla tua fedeltà,

al tuo amore

al di là di tutte le apparenze;

e con il tuo Spirito

sempre presente

nella nostra storia.


(da "La notte del Signore")


***

 

Joë BOUSQUET

 

FUMAROLA

L'AMORE
nello specchio che affascina gli astri
POVERA
fumarola
SI
preferisce credere di aver sognato il tuo destino
e che nessuno conosca sogno
più esattamente significativo
di una laboriosa digestione
COSÌ
in piedi sulla terra che ti si rotola attorno
e ti stringe con i suoi anelli
ma
i tuoi occhi con i loro tesori
di ricordi e di visioni
subiscono l'attrazione di un astro
invisibile e quell'astro ha una stella
gemella che ti cattura con le canzoni
ch'ella ti fa sentire
e il tuo volto è appeso
alla quadriga stellare
affinché la terra vi entri
con gli orizzonti che ti hanno fatta
e che tu respiri
quando ami
E
tutto ciò che è in questo mondo
ti violenta con i suoi profumi
brucia dentro di te come una lampada
e prende dal tuo cuore delle
ispirazioni amorose
di cui ti ricopre
davvero bisogna che in piedi
seduta o distesa e perfino
con le gambe all'aria
e il sedere al vento tu
tenda dentro di te la ragnatela
ma
questo lavoro da schiavi
fa pietà
NON
si uscirà dunque mai
COME
si comprende il perverso
che vuole essere amato fino alla follia
e imporre all'innocenza
un amore che sia l'oblio
del proprio sesso
ah quello prende il fiore delle sfere
pianta una radice nella vita animale
e subito sente nella sua paura
la vastità e la pesantezza alata
di quella verità che l'occhio
di un uomo non può scorgere
MI
hanno spezzato le ossa affinché diventi
il pensiero la trasparenza di questa verità
e che l'insegni agli uomini
perché essa non può mangiarmi le viscere
L'AMORE
è eterno
come
gli altri amano
delle capre o delle pecore
io
amerò una
BAMBOLA

***

L'OMBRA DI UN'OMBRA
I
La luce fa spazio alla pura verità dei rumori
che si rintanano. Crepuscolo ansioso in cui, nella camera
di un malato, un ciuffo di giglio si ricorda che è
stato giorno.
Tutta la calma della sera, tregua di un cielo che
si dipinge le sue rive.
Ma colui che sa ha degli occhi per vedere il
bianco, il lungo dileguamento in cui le trasparenze
dell'aria sono le sole a sopravvivere, colui che sa che la
bellezza di una donna sogna senza fine quella
felicità che egli ha perduto…
Ascolta, è dolce, l'estate viene di notte
quest'anno. Ascolta, la canzone si ricorda di un
amore senza troppo sapere se si tratta del tuo…
Nell'ora strana che si capovolge, il silenzio viene
da per tutto. L'ombra del'anima, dove brillano
debolmente le forme degli esseri che io amo, mi
appare in tutta la sua grandezza rocciosa, e sento
che la mia realtà d'uomo è per un istante come
schiacciata davanti all'altezza di quello che chiamo il
mio sogno. Altezza materiale e sensibile, che ravviva
attorno a sé un orizzonte interiore in cui la purezza
delle forme è così grande da riuscire a dividere le
tenebre sulla propria chiarezza. Comprimo con due
mani il mio cuore che batte, perché, in questo
scorcio aperto su delle tenebre che fanno regnare
soltanto il mio essere su di me, scopro che il
sentimento della mia umanità si perde, e che
davanti a me, tremante, interdetto, sotto il cielo
morto di una fatalità implacabile, la mia vita ascolta
la mia vita.
Nessuno sa se io dormo. I miei occhi hanno
sognato che non c'erano più lacrime. Nella debole
luce che cade dalle stelle, mi sembra che la mia
anima interroghi il cielo attraverso il pallore del mio
volto che rabbrividisce; e indovino che ogni cosa
vivente si oblia nell'apparizione di una bellezza che,
in me stesso, è silenzio. Solo, come se nessuno
sapesse chi sono, ascolto nella vita dell'ora più
irreale il gemito di tutto ciò che vuol finire e pensa
così di sopravvivere. C'è per me nella macchia scura
di un vetro, sotto i tetti così lontani dalla finestra in
cui mi trattengo, un bambino che scrive il suo diario
senza sapere che egli sarà infelice e che mai una
donna si chiederà che cosa abbia portato dentro il
suo amore.
[...]***

da La conoscenza della sera (La Connaissance du Soir, 1947)
traduzione di Annamaria Laserra, in
Poesia Due, Milano, Guanda, 1981.


Passare

Infanzia passata nello spazio
Come un volo inseguito fino a sera
Chiamo piano la tua ombra
Per paura di vederti
Sorella a lutto dalla veste chiara
La tua fuga è l'uccello blu dei giorni
Che con il suo canto rischiara
I gesti sognati dall'amore
Una fanciulla per il tuo incanto
Con il corpo abbozzato nei cieli
Fece sciogliere le città in pianto
Illuminate nei suoi occhi
E avesti il coraggio di rendere
Il mio dubbio più vivo di me
Passarosa dalle ali di cenere
Che mi aprivi il tuo cuore nel vento

*

Il largo

Non è il suo nome a esaltarlo
Ma che piano sia mormorato
Nelle voci che non conosce
Il segreto di un cuore incrinato
Quando ogni lamento gli svela
Di che cosa abbia pianto la pena
L'uomo sente il suo cuore chiamarlo
Nelle voci che l'hanno ignorato
Così vedono tutte le stelle
Avverarsi la notte delle vette
Ventilando nella notte con le ali
La voce di qualcuno che verrà
Lui il suo male è la stessa pietà
Ciò che è lui a sua volta si oscura
E per rendergli quello che ama
Si rivolge alla pena del giorno

*

Madrigale

Dal tempo che era amata stanca di se stessa
Lei aveva giurato d'essere questo amore
E ne fu l'incanto lui ne fu il poema
La terra è leggera a promesse passate
Il vento piangeva gli uccelli migranti
Cullando i mari sulle ali di sale
Prendo la stella con una bella nuvola
Se la pagina bianca ha consumato il cielo
Nell'aria che fiorisce al suo riso
C'è un vecchio cavallo color del cammino
Capisci al suo passo la morte che m'ispira
E che va senza me a chiederne la mano

*

Poema della sera

Su un giaciglio sfinito
Il lampo che oscura un istante
Mette la veste di fumo
E segue il vento distante
Su terre senza memoria
Ogni piede ha la sua scarpa
L'ala è bianca l'ala è nera
Il giorno è solo metà
E su una trama di cenere
Dove l'uomo non è che i suoi passi
Il cuore palpitò per cogliere
Ciò che uno sguardo non vede
E' la speranza che un mondo a venire
Abbia fatto buio con la nostra ombra
E sorridendoci alla finestra
Abbia solo i nostri occhi per vedersi
Dietro le quartine che lei ispira
Ai giorni che dubitano di te
La vita ha i suoi denti per sorridere
Di ciò che una volta era già stata

*

L'ombra gemella

Varca la notte senza sponde
Se tu sei solo vagamente
L'oblio restituirà il tuo volto
Al cuore da cui nulla è assente
Il tuo silenzio nato da un'ombra
Che a tutto il cielo l'ha unito
Schiude l'amore dove ti abbandoni
Alle braccia di un doppio infinito
E annullandoti sotto i tuoi veli
Presi alla notte da un fiore
Concede occhi alla stella
Di cui la tua ombra è il cuore

*

La fortuna dei giorni

Io so un rosaio dove sboccia una rosa
Non c'è più notte per l'ombra che è
Da un'aiola errante di bagliori chiusi
Dove lo sciame vibrava dei giorni passati
Non c'è fuoco nel buio che il cielo non l'abbia
Con il mio amore morto a tante cose
Tessevo il drappo funebre dei voti sfumati
Era quello di un pianto in cui sboccia una rosa
Alba di una vita estranea ai giorni
L'oblio dell'imprevisto morto dal nostro amore
Dischiude nel fiore la mano che lo stringe
E senza me cogliendo la rosa delle notti
Una sorella di cenere lascia le nostre terre
Rende il corpo lunare ai morti che io sono

*

Giorno e notte

Sul corpo di un uccello di bosco
Inchiodati dalle sue ali immense
I giorni crocifissi alle notti
Aggiungono un nome al silenzio
Passando su lui senza vederlo
Fanno occhi più grandi della vita
All'amante che strugge di sapere
Come si muoia d'essere gradita
I giorni che disfecero i fiori
Per seppellirsi sotto il loro peso
Si sono uniti al cielo nei cuori
Dove s'aprono le ali dell'ombra
Denudandosi sotto le acque
Che la sua trasparenza ha velato
Il mattino che nasce a occhi chiusi
Allibisce di una stella fuggita
La croce che spalanca l'orizzonte
Sente in voci che si chiamano
Due nomi sbocciare un canto
Dove l'alba ride di una rondine

 

***

 

 

 

 

TIZIANO FRATUS

 

Il vangelo della carne, 2008
[torinopoesia.org]


da: Parte prima / Poesie in pelle

dittico marino

I.

a picco sul mare ogni giorno il sole sulla terra
mentre rinunciamo ad afferrare le parole che ci piacciono e rassicurano
raccogliamo noi in noi chini sulla sabbia compatta della spiaggia
rami secchi conchiglie spolpate e pezzi di vetro
li cataloghiamo nel nostro personale linguaggio mediocremente scientifico
li sedimentiamo in vasi trasparenti sigillati da tappi di sughero
ci capiamo senza ragionare in queste corte giornate di vento a piedi nudi
ci basta l'istinto l'intesa lo sguardo e il tatto
il resto del mondo resta in bilico ma le uniche notizie le scoviamo tra le braccia
scolpite tra ossa e arterie setacciate nel sangue
emerse di colpo sul fiorire delle labbra
ad un passo dal ruggire delle onde che spazza via ogni tentativo di fissità

II.

i piedi fasciati nelle scarpe che abbiamo comprato insieme
in una mattina di pioggia
sprofondano lateralmente nelle sabbie della spiaggia deserta
mentre il vento riempie le orecchie fessura le palpebre e arriccia le onde del mare
grigi e blu minerali mischiati in un continuo pulsare d'animale
che non tace un attimo
accade e non di rado che la felicità si faccia strada in noi
quando la parola non ha modo di fluire
quando ci si bacia negli occhi e ci si tiene per mano
e si resta appesi al presente privo di lividi

*
da: Parte seconda / Vene maggiori e vene minori

sei un uomo che crede in un unico dio

sei un uomo che crede in un unico dio
figlio di una terra dimenticata e dalle radici in continua ricerca di profondità
sei un uomo del mare rimasto senza pesci e senza fiato per tenere stretto fra le mani
il rumore della risacca che si rincorre in cavalloni che percorrono distanze maggiori
di quelle che separano i pianeti le costellazioni il cuore indurito di due amanti tagliati in parti
sei un uomo spento nel cuore del vulcano
sei un uomo senza futuro e con un passato mozzato e sbiadito
sei un uomo forse che si è dimenticato cosa possa essere un uomo
sei un uomo senza arti senz'anima
le figure umane costrette dentro le cornici nere che adornano le stanze della tua abitazione
dormi con gli occhi chiusi le rughe incarnate
le ciocche di capelli sfuggite ad un'idea vaga di ordine
sei un uomo che piange negli angoli nascosti dei castelli e dei musei che visiti
sei un uomo che ama tradendo sé stesso e tradisce sé stesso amando
senza riuscire mai a tradire e nemmeno ad amare
sei un uomo che sente ridere i ricordi lontani che non ha mai saputo raggiungere
sei un uomo che brulica in un abito di api intente nella piccola misura del loro ronzare
sei un uomo che si consuma come il fumo di una sigaretta svanendo verso il basso
o verso l'alto o verso un punto qualsiasi dell'universo

*
progetto architettonico per un acquedotto

la vita sgocciola e per quanto tu stringa perde sempre
quella goccia che nelle ellissi della luce sembra nulla
nel cubo di silenzio della notte scava a fondo
scuote i cieli e le profondità della terra
solleva i fondali degli oceani e ribolle il sangue
un'idea d'amore che non dà scampo
bracca la notte per annidarsi sotto cute e rifiorire il giorno
ti fotocopia al negativo
ti converte all'antica pratica del pianto per amore
a cui non avevi mai creduto
eppure se la vita tua può essere salvata
dipende anche dallo schianto della debolezza
dalle parole che scrivi la mattina sulla sabbia
a pochi centimetri dall'acqua
dal sapere abbracciare invece di fuggire
invece di uccidere

*
le legioni sguarnite dell'innocenza

I.

in anni lanosi di scorie o detriti che caricano le bocche e gonfiano le pupille
ti abbandoni all'idea che il vuoto pneumatico che pompa le ore del giorno e della notte
possa essere colmato e disatteso dalla compagnia occasionale
che sia possibile che da fuori qualcuno arrivi a stappare
per consentire lo sgorgo del mare nero che respira dentro le pareti dell'esistere
in anni raccolti i segni di una cura inefficace
in anni ti percuoti a insistere nell'errore
in anni ti racconti storie che non convincono nemmeno le statue nelle chiese
quando fra un passo e l'altro ti rifugi sotto lo sguardo pietroso di
una madonna di un san filippo o di un santo stefano
sedendoti in mezzo ai banchi vuoti
sui legni scheggiati dai secoli e dai silenzi di chi si pente
depositi monete che transitano dal buio delle tasche al buio delle scatole
abbassi il viso e componi una preghiera laica
fingi di rivolgerti al signore o al detentore spirituale della chiesa
chiedi scusa goffamente
chiedi perdono e talvolta cerchi di dire qualcosa che sappia di religioso
la cura dell'anima
la fuga dal vuoto della solitudine
passa per il silenzio delle stanze da letto
piuttosto che nel baccano confuso dei lamenti di due esseri senza pace
guarda il nostro respiro dico contando le ossa del tuo costato

[...]

*
alle porte di san pietro

si dice che si soffra per amore
in verità si soffre per mancanza d'amore
per quel senso di distanza che s'innesta nel sentiero dell'impotenza
dopo una quaresima di morti bianche
innescate dall'abbandono alle leggi del vangelo della carne
a braccia a testate a morsi avrei abbattuto le porte di san pietro
e divelto mani e alabarde delle guardie che si sarebbero interposte
fra la mia rabbia e il centro della conoscenza che fa della
filosofia commercio di reliquia
non interessava contestare il potere
lividare il dubbio di un'epoca densa di contusioni
è chiaro che l'uomo è in fuga dalla decadenza
dal giorno stesso del concepimento
il sangue nascosto schizza dalle atroci convulsioni dei corpi
macchia di scuro il vortice dei pensieri che nel silenzio dei secoli
preme al fondo dell'anima
senza che se ne renda conto piuttosto di raggiungere la punta delle lingue
una visione di mimi francesi e acrobati russi si inalbera
nel cuore del paesaggio
sul palcoscenico scarsamente illuminato
con una luce troppo chiara per rendere giustizia delle intenzioni del regista
quelle vesti riutilizzate da un'antica rappresentazione del riccardo terzo
emanano polvere ad ogni rilassamento nervoso
effetti che il pittore fatica a rendere nei giochi di ombre
del quadro a cui sta dando la caccia da anni
pensare da troppo tempo d'essere responsabili del proprio dolore
al di là di quello che altri dicono e compiono e azionano
si gira e dimentica il nome e il cognome con cui è stato battezzato
un coro di vergini vestali della dea atena e un controcanto di castrati romani
inneggiano al sacrificio che bisogna compiere per salvare sé stessi da sé stessi mentre da un pulpito giovanni sartori 

rispiega la politica per la milionesima botta
le donne usano nuovamente dipingersi nèi finti a lato del labbro


*
testa contro testa

proprio non so perché nella tua testa ti dica che per noi il futuro
non può che essere di dolore
non c'è alcun merito nel ritrovarsi nel sangue di un'altra persona
nel sentirsi così chimicamente in fusione
come avviene in noi quando siamo insieme
e ora in questo momento vorrei chiudere gli occhi
e riaprirli lì accanto a te sdraiati nel letto insieme
l'una contro l'altro ad accarezzarci a dirci piccole parole senza significato

*
da: Parte terza / I muri bianchi

sguardo miope di un discendente di galileo galilei

non raggiunge il silenzio qua carcerato
il tremolante gorgheggio del mare
ferito dalle lame del sole
che oggi illumina la distesa delle sabbie
le cinque pareti bianche che circondano
hanno perso presto la memoria della tua voce
le tue parole suicide su qualche foglio di carta
anche le tue foto riposano vuote
so che ti stai facendo divorare dal dubbio
dal torchio oliato del dolore
in una parte della città che non mi è concesso raggiungere
mormoro tra me e me il tuo nome
lo ripeto in chiesa quando riesco a trovare la forza di uscire fra la gente
ma a volte sembra che noi due non sia mai esistito


***

 

GIUSEPPE VETROMILE


UN PUGNO DI TEMPO

Ho appena conquistato un pugno di tempo da smaltirmi rilassato
sulla liquefatta balconata dopo aver rimesso in tasca
l'ultima ombra della cuccagna agguantata ieri in un effluvio
di sole abbacinante laggiù vedo un acero contorto e la luce
vi piove attorno come per accontentarlo io e lui
non siamo che gravità occasionali impulsi di terra
raccontati al cielo infinito come una fiaba per dormienti
buoni e castigati

non si sa mia cara veniamo da vicine ombre
l'uno all'altra affacciato per sentire le cose con gli stessi sensi
e i riti riprendere per esorcizzare la malasorte
e viviamo della stessa spesa e delle stesse orme di storia

nulla ci abbandona se non quest'ombra a sera e ci distacca la luna
dalle nostre orbite subliminali è vero siamo fantasmi mia cara
che cercano speranza nel buio corridoio
tra una stanza e l'altra

in abbondanza di miti scritti sulla nostra pelle di consumatori a sbafo


[segnalata con particolare menzione al XLIV Concorso Aspera -
edita sulla rivista Alla bottega n. 3/2006]

*

NON CI TOCCA LA SPERANZA

Siamo brevi incastri di terra e perdono:
mai nessuna nostra molecola è andata oltre
l'accoppiamento chimico dovuto
scritto nel quaderno del creato

un tornare indietro mille volte con la mente
cercando una possibile rinascita
laggiù nell'eden
o venuta dai cieli misteriosi
la nostra scaturigine ancora intonsa
e densa di peccato e immodestia
noi voluminoso amplesso di infiniti organi
incasellati da Dio in un fiat di luce

Non ci tocca la speranza
né l'avidità del prodigo figlio
che ritorna a scardinare ogni avere
per un attimo di felicità infeconda

Non ci tocca il domani inesistente e sgravato ora
pensando ad impossibili certezze
(nulla è il tempo che scandiamo ancora
dentro di noi)
mia cara:
ci dissero di profanare l'ombra e la morte
smagrirci fino a diventare spirito innocente

ma dove si compie il destino del sole
è su questo amen che ci richiude per sempre
nell'abito di terra

in questo qualsiasi giorno che non ci appartiene


[segnalata al XLVI Concorso Aspera -
edita sulla rivista Alla bottega n.3/2008]


***

 

TOMASO KEMENY

Tre poesie


Celebro la poesia

Celebro la poesia
che alle altre non somiglia:
scorre nelle vene azzurre dell'aria
per tingere di desiderio i cieli
e di gemme e di fiori incorona
la mai sazia d'amore.
Lei sola sfida il terrore senile
dell'avventura e accende il tramonto
a sospendere la lacrima stellata
della notte sovrana. Celebro lei,
la poesia che nel sangue germoglia
e ogni cosa decrepita muta
nella rosa di luce
che il mondo risveglia.

*

Stanze anarchiche

Ninna-nanna del porco mondo
la mia vita t'appartiene
e si trasforma di colpo
in un incubo a cinque stelle.

Chi cavalcherà la tempesta
alla testa dei giovani, dei vecchi, dei decrepiti?
Chi disgregherà lo smercio dei ritmi
spenti? Chi ruggirà
la gioia di vivere?
Chi suggerà la luce
dalle poppe stellate
della notte sconfinata?

*

Lappole

Fare l'amore
lungo il fiume
là dove la sabbia
bianca
diventa un letto
tra gli arbusti

Sentire
la vita
volare
sfiorando
le onde

Nel tuo grembo
di piacere
svanire

"Sei il vento
che mi
increspa
l'anima
di piacere"
mi sussurri,
qualche lappola
attaccata
alle calze di lana
tra salici e pioppi
in fuga
tra gli astri.

Ora il tuo volto
sembra una maschera di vento,
un sospiro infuocato
che mi rapisce l'anima.

L'albero e la sua ombra
tu ed io per sempre.

*

 

PIERLUIGI CAPPELLO


ASSETTO DI VOLO


Crocetti Editore, 2007


[per gentile concessione

dell' Editore, che ringrazio]

DA DENTRO GERICO

1998-2002


Isola


Padre, io a te

io inchiodato a te su questo scoglio

divino che conosci la tua alba

e allacci la tua potenza al fulmine

da questo culmine di spasimo

io vinto mando a te

vincitore di padri

la prora disorientata delle mie parole.

Concedi a coloro che erano ciechi

e a dismisura adesso vedono,

rotto il sigillo della fiamma,

l'ustione della carezza, il fragore

del pugno, ora che sanno

il tossico del palmo e delle nocche

ed è notte, profonda notte

a occidente di ogni immaginare

ora che le iridi conoscono

le costellazioni del dolore e del piacere,

concedi loro di sopportare

per ogni ciglio sospeso alle tenebre

al tramonto di ogni palpebra sfinita

la pronuncia dell'alba e del crepuscolo

e il rombo immenso, che sale dall'uomo.


*

DA DITTICO

1999-2003


dalla sezione Inniò

[versione in calce alla poesia in friulano]

Caino


Ma per te, Caino, fratello che ti scrivo,

le ginocchia sbucciate e la fronte segnata dal lampo,

rincorrersi, rincorrersi per sempre,

il sangue che batte il tempo, dentro le tempie,

la sua corsa il correre del tuo tremare

e ogni giorno la sosta un passo avanti a te;

per te, Caino, né il soltanto né l'abbastanza

né la pace del prima

né il conforto del dopo in pace,

soltanto la maledizione

di non poter cadere.


***

 

ANTONIO SPAGNUOLO

 

Da: Misure del timore

 

 

6 – Mare

 

La brezza ha una speranza lungo l'orizzonte:

una nenia che alberga tra il cielo

ed uno spazio che scivola.

Una vela, tre vele, venti vele, le tante vele

che intagliano arcobaleni incandescenti.

L'aria ti accarezza come un mutamento

nel capriccio celeste, corrode il sorriso

che vorresti affondare nel flessuoso millennio,

sino a divenire l'incavo dell'iride

e rischia di fluttuare tra le immagini

di un umido segnale.

 

*

 

10 – Dialoghi

 

Non ha senso annotare e scrivere nel nulla.

Desidero tornare a quella dolce malinconia

che ci accompagnava per i viali,

tra rami e ciottoli, tra le erbe aromatiche

ed il muschio, nell'umido rincorrersi.

Simile a quello che un tempo era il procedere

del destino, per scommettere qualche fantasia,

che circondi gli spazi della oltraggiosa passione,

per non tenerla in agguato come un presentimento

insonne sul corrodersi del tempo.

Chiedo un salmo che colmi il cuore,

una voce che tuoni profezie

e appaghi la tortura dell'ira.

Il dialogo che Dio non concesse

nel migrare di ore ventose,

nelle infinite pagine bianche

tramutate in un buffo risuonare dell' eco.

 

*

 

11- Ricordi

 

Come una volta ai miei ricordi,

quando la marina ripeteva richiami,

e gli scogli ascoltavano irrequieti,

ed il tramonto richiamava miraggi,

e le finzioni aggiravano sorprese,

e le acerbe lividure tornavano alle sere,

e brividi tormentavano il fascino delle ombre,

sgranare in silenzio qualche ritaglio

già seppellito più volte

per rinchiudermi nella solitudine.

Una sorpresa di colori,

come riserva ancora primavera,

misconosciuta nel volgere dei giochi

tra le carni per imperfezioni,

quasi mascherata da fiamme

per le mie urgenze che hanno il mutamento

della pelle che arrossa.

Hai l'ultima confidenza con le mie parole

per lasciare le corde degli estremi.

 

*

 

12 – Rimbalzi

 

La luna inceppa nel cielo,

impazzita per le fitte, barcollando,

per le sere che chiudono il mormorio,

a dissuadere gli incontri.

Decifrare il tuo ciglio è l'abbandono

più accogliente,

qualcosa che lentamente sgocciola,

nel fioco riverbero di alcune barriere.

Invano cerco lusinghe

nelle piccole storie quotidiane,

vagabondo a scartare le manie

o ancora una bugia da scoprire.

Più nulla intorno, intese di armonie

che fondono gli sguardi, suoni e colori,

per un'amara nostalgia

che sembra frammentare il passato

Fuggi mentre annaspo nel tempo

mentre fermenta la più strana parola,

e sventrano scorie intimidite

da nuove ferite, nei colori di ovattati

rimbalzi.

 

 

sito web di provenienza: https://www.ebook-larecherche.it/

 

*

 

 

Dalì

 

*

GUGLIELMO PERALTA

 

Da: Sognagione

 

 

L'albero della visione

 

Dammi Signore

la mia cecità

quotidiana

affinché io possa

mangiare

dell'albero

della visione

Nel giardino

soale

insegnami

ad arare

a coltivare

il canto

prodigioso

Ed io

mi nutra

del sonoro

frutto

E la terra

ne abbia

messe copiosa

E gli occhi

esultino

per la vendemmia

 

*

 

Sognagione*

 

Nella piantagione

dei sogni

l'agricantore**

coltiva

la sua messe

di stelle

E la vergine terra

accoglie

il suo canto

apre i frutti

sonori

nella bocca

del mondo

affinché tutti

mangino

dell'albero

in abbondanza

e ciascuno

veda

con gli orecchi

la luce e la dimora

 

* piantagione (o stagione) dei sogni

** è il poeta soale, che coltiva i sogni e il canto nella terra di Soaltà

 

*

 

Rivelazione

 

Nel sepolcro

di stelle

la notte

sapiente

custodisce

il suo

canto

E il mondo

che all'improvviso

si svela

ha il volto

del sogno

che squarcia

i sipari

 

*

 

Messia

 

Con la sua

scenografia

viene

la parola

lo s-guardo

ad incantare

E la parola

è il golgota

e il sogno

la sua croce

 

*

 

Metamorfosi

 

Vede stelle

lo s-guardo

nel nido

soale

Sull'albero

sono frutti

di luce

sonori

La mano

in ascolto

coglie

il canto

in volo

d'uccello

 

*

 

La visita

 

Io canto l'amore

che con passo di danza

viene a visitarmi

Ed ecco

il mio s-guardo si nutre di oro puro

plana nella notte profonda

come un sole-gabbiano

e l'ospite prima inatteso

ora mi è familiare

Nel giardino soale

cresce

col sillabario celeste

l'albero della visione

Amo quest'amore

che nel cielo infinito moltiplica

le mie braccia

Quando l'angelo viene

ha inizio lo spettacolo

il sogno si spalanca sulla scena

e apre nuovi sipari

Con mille bocche riproduce

il suono delle cornamuse

tracima il firmamento

con tutte le stelle

nello spazio fiorito

e la voce che chiama

silenziosa

è un fiume di luce

Io amo

questa veglia d'amore e di fuoco

amo la soglia segreta

il mistero numinoso

che fa di me un viandante

Amo

la Poesia

che con fruscio d'ali

bussa ed annuncia

Allora i miei passi conoscono

lo stupore del cosmo

E le cose

anche le piccole

e dimenticate cose

sognano il loro angelo

E l'uomo

che vinto si piega all'ascolto

libera le neurostelle*

per il convivio d'amore

 

* le idee, splendenti come stelle (neologismo dell'autore)

 

*

 

Dentro, fuori

 

Io canto il cielo invisibile

che con intima voce

canta. Dentro,

ove s'annida l'implume

parola, è il mito della nascita.

Fuori, nella falsa luce,

si aliena l'infinito. Ma

rotonda è la visione

che lo s-guardo assapora

nel giardino soale

dove coi sogni vola

la rondine sonora.

Io canto la pura dimora,

la scena segreta che s'apre

allo spettacolo. Dentro,

dove crescono i frutti,

si rinnova il miracolo.

Fuori, nell'uso quotidiano,

marcisce la rosa. Ma

sempreverde è la notte

dal candido calice,

dove sbocciano le stelle

per incanto,

dove fiorisce l'albero

dal fertile respiro del vero.

 

*

 

sito web di provenienza: https://www.ebook-larecherche.it/

 

*

 

Giangiacomo Amoretti

 

    Matura nel silenzio e vi si cela

    come in esilio la parola. Sembra

    inerte, viva a malapena – seme

    che non fiorisce, luce che non schiara.

     

    Ma radicole e filamenti vanno

    più giù, tentando il buio della terra.

    Un'acre linfa scorre tra le cellule –

    tra le sillabe un'ansia, come un tremito

     

    lungo di febbre.

     

    *

     

    DA "IL LIBRO DELL' INQUIETUDINE"

    DI BERNARDO SOARES (eteronimo di FERNANDO PESSOA)

     

    33. 

    (154)                                                                                                                               15.9.1931

     

     

           Nuvole… Oggi sono consapevole del cielo, poiché ci sono giorni in cui non lo guardo ma solo lo sento, vivendo nella città senza vivere nella natura in cui la città è inclusa. Nuvole… Sono loro oggi la principale realtà, e mi preoccupano come se il velarsi del cielo fosse uno dei grandi pericoli del mio destino. Nuvole… Corrono dall’imboccatura del fiume verso il Castello; da Occidente verso Oriente, in un tumultuare sparso e scarno, a volte bianche se vanno stracciate all’avanguardia di chissà che cosa; altre volte mezze nere, se lente, tardano ad essere spazzate via dal vento sibilante; infine nere di un bianco sporco se, quasi volessero restare, oscurano più col movimento che con l’ombra i falsi punti di fuga che le vie aprono fra le linee chiuse dei caseggiati. 

           Nuvole… Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia. Sono l’intervallo fra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto sogno di essere e quanto la vita mi ha fatto essere, la media astratta e carnale fra cose che non sono niente più il niente di me stesso. Nuvole… Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio! Nuvole… Continuano a passare, alcune così enormi (poiché le case non lasciano misurare la loro esatta dimensione) che paiono occupare il cielo intero; altre di incerte dimensioni, come se fossero due che si sono accoppiate o una sola che si sta rompendo in due, a casaccio, nell’aria alta contro il cielo stanco; altre ancora piccole, simili a giocattoli di forme poderose, palle irregolari di un gioco assurdo, da parte, in un grande isolamento fredde. 

          Nuvole… Mi interrogo e mi disconosco. Non ho mai fatto niente di utile né faro niente di giustificabile. Quella parte della mia vita che non ho dissipato a interpretare confusamente nessuna cosa, l’ho spesa a dedicare versi prosastici alle intrasmissibili sensazioni con le quali rendo mio l’universo sconosciuto. Sono stanco di me oggettivamente e soggettivamente. Sono stanco di tutto e del tutto di tutto. Nuvole… Esse sono tutto, crolli dell’altezza, uniche cose oggi reali fra la nulla terra e il cielo inesistente; brandelli indescrivibili del tedio che loro attribuisco: nebbia condensata in minacce incolori; fiocchi di cotone sporco di un ospedale senza pareti. Nuvole… Sono come me un passaggio figurato tra cielo e terra, in balìa di un impulso invisibile, temporalesche o silenziose, che rallegrano per la bianchezza o rattristano per l’oscurità, finzioni dell’intervallo e del discammino, lontane dal rumore della terra, lontane dal silenzio del cielo. 

          Nuvole… Continuano a passare, continuano ancora a passare, passeranno sempre continuamente, in una sfilza discontinua di matasse opache, come il prolungamento diffuso di un falso cielo disfatto. 

      

     

    Traduzione di Maria José de Lancastre e Antonio 

     

    *

     

    JORGE LUIS BORGES

    IL COMPLICE



    Mi crocifiggono e io devo essere la croce e i ...
    chiodi.

    Mi tendono il calice e io devo essere la cicuta.

    Mi ingannano e io devo essere la menzogna.

    Mi bruciano e io devo essere l'inferno.

    Devo lodare e ringraziare ogni istante del tempo.

    Il mio nutrimento son tutte le cose.

    Il peso preciso dell'universo, l'umiliazione, il giubilo.

    Devo giustificare ciò che ferisce.

    Non importa la mia fortuna o la mia sventura.

    Sono il poeta.

     

    *


    ANTONIA POZZI


    Per Emilio Comici

    Si spalancano laghi di stupore
    a sera nei tuoi occhi
    fra lumi e suoni:

    s’aprono lenti fiori di follia
    sull’acqua dell’anima, a specchio
    della gran cima coronata di nuvole…

    Il tuo sangue che sogna le pietre
    è nella stanzaun favoloso silenzio.


    Misurina, 7 agosto 1938

    *

    Sgorgo

    Per troppa via che ho nel sangue
    tremo
    nel vasto inverno.

    E all’improvviso,
    come per una fonte che si scioglie
    nella steppa,
    una ferita che nel sonno si riapre,

    perdutamente nascono pensieri
    nel deserto castello della notte.

    Creatura di fiaba, per le mute
    stanze, dove si struggono le lampade
    dimenticate,
    lieve trascorre una parola bianca:
    si levano colombe sull’altana
    come alla vista del mare.

    Bontà, tu mi ritorni:
    si stempera l’inverno nello sgorgo
    del mio più puro sangue,
    ancora il pianto ha dolcemente nome
    perdono.

    (12 gennaio 1935)

    *

    Desiderio di cose leggere

    Giuncheto lieve biondo
    come un campo di spighe
    presso il lago celeste

    e le case di un’isola lontana
    color di vela
    pronte a salpare –

    Desiderio di cose
    leggere
    nel cuore che pesa
    come pietra
    dentro una barca –

    Ma giungerà una sera
    a queste rivel’anima liberata:
    senza piegare i giunchi
    senza muovere l’acqua o l’aria
    salperà – con le case
    dell’isola lontana,
    per un’alta scogliera
    di stelle –


    1° febbraio 1934

    *

    Funerale senza tritezza

    Questo non è esser morti,
    questo è tornare
    al paese, alla culla:
    chiaro è il giorno
    come il sorriso di una madre
    che aspettava.
    Campi brinati, alberi d’argento, crisantemi
    biondi: le bimbe
    vestite di bianco,
    col velo color della brina,
    la voce colore dell’acqua
    ancora viva fra terrose prode.
    Le fiammelle dei ceri, naufragate
    nello splendore del mattino,
    dicono quel che sia
    questo vanire
    delle terrene cose
    – dolce –,
    questo tornare degli umani,
    per aerei ponti
    di cielo, per candide creste di monti
    sognati,
    all’altra riva, ai prati
    del sole.

    3 dicembre 1934

    *

    Alpe

    (...)
    Sulle vette,
    quando la brezza che ci sfiora è l’alito
    di vite arcane riarse di purezza
    ed il sole è un amore che consuma
    e, a mezza rupe, migrando le nubi
    sopra le valli, rivelando a squarci,
    con riflessi di sogno, la pensosa
    nudità della terra, allora bello
    sopra un masso schiantarsi e luminosa,
    certa vita la morte, se non mente
    chi ci dice che qui Dio non è lontano.

    Pasturo, 28 agosto 1929

    *

    LASCIATE CHE IO MI PERDA


    O lasciate lasciate che io sia
    ...

    una cosa di nessuno

    per queste vecchie strade

    in cui la sera affonda -

    O lasciate che lasciate ch’io mi perda

    ombra nell’ombra -

    gli occhi

    due coppe alzate

    verso l’ultima luce -

    E non chiedetemi - non chiedetemi

    quello che voglio

    e quello che sono

    se per me nella folla è il vuoto

    e nel vuoto l’arcana folla

    dei miei fantasmi -

    e non cercate - non cercate

    quello ch’io cerco

    se l’estremo pallore del cielo

    m’illumina la porta di una chiesa

    e mi sospinge a entrare -

    Non domandatemi se prego

    e chi prego

    e perché prego -

    Io entro soltanto

    per avere un po’ di tregua

    e una panca e il silenzio

    in cui parlino le cose sorelle -

    Poi ch’io sono una cosa -

    una cosa di nessuno

    che va per le vecchie vie del suo mondo -

    gli occhi

    due coppe alzate

    verso l’ultima luce -

    *

    Fine 7

    Ritorno ed è ancora sul greto
    orma di mare
    mentre l’onda si esilia.
    E m’imbarca:
    e saluto le rive e i colori,
    sfumo nel dolce morente
    tramonto,
    con te mare,
    ora vasta
    della mia fine notturna.

    *

    Da PAROLE, 1938
    LAMENTAZIONE

    Che cosa mi hai dato
    Signore
    in cambio
    di quel che ti ho offerto?
    del cuore aperto
    come un frutto –
    vuotato
    del suo seme più puro –
    gettato sugli scogli
    come una conchiglia inutile
    poi che la perla è stata
    rubata – (...)

    Milano, 6 maggio 1933

     

     

    DORIAN VERUDA

     

    Da Sarò l'ultimo papa

    Genesi Editrice, 1987
    Collana di Poesia I Gherigli - n° 25

    PROMETEO – L'ELETTO

    A Sergio Quinzio


    1.

    Condannato a fissare

    Spire – su spire – di luce…

    - laggiù

    carriarmati si cozzano – esplodono – il napalm

    erige ululanti piramidi-torce

    La cupola

    è diventata falò gigantesco

    … e la folla

    … la folla ubriaca…

    crepita

    nel martirio

    supremo…

    La croce…

    la croce…

    danzerà…

    nel violaceo

    crepuscolo…

    Sarò

    L'ultimo Papa
    - l' Eletto…

    Me ucciso…

    l'orgiastico – tripudio – di abominio…

    culminerà…

    L'epocale fastigio.

    Poi calerà la – celestiale – armata.

    2.

    Nelle membra – inrocciate – una gioia

    - orrenda – formicola.

    E mentre

    per l'etere fisso sciamare quei punti

    barbuglianti – con essi compulso

    mi dissemino in quegli – assorti – nodi.

    Divengo un'orbita anch'io.

    (Nel tuo sudario

    accoglimi

    - o Notte –

    oppiaceo…)

    Ahi – nella grande

    metamorfosi

    - esplode –

    di fuoco

    - la memoria precosmica.

    (Nel tuo

    - calamitato –

    maestoso

    orgasmo…

    mi allucino…

    dilato…)

    3.

    Pupazzo

    mi guardo

    - lustrale…

    - alla forca

    - mi tasto –

    penzo

    lante

    - del colonnato di San Pietro.

    Ma tu…

    redivivo Plutone

    - Lucifero…

    Ahriman…

    non avrai

    il mio sangue

    - per sempre –

    il mio scettro…

    Dall'

    incesto

    obbrobrioso

    - per cui

    ora mi avvinghia aculeata rupe –

    sarò sbalzato

    - tratto nella sedia

    gestatoria…

    Corone di mani

    Corone di volti imploranti

    Sarò

    dischiodato

    da gente

    dissoluta

    - blasfema –

    per l'ultimo baratto

    … e poi sgozzato

    sul libro del dubbio…

    Cadrò

    con le flaccide membra…

    Sputeranno

    - imprecheranno

    - alle ceneri sparse…

    Nel fiume – insanguinato –

    sparirò.

    E la croce

    - la croce –

    danzerà

    nel violaceo crepuscolo…

    Allora

    - oh allora…

    (senza scampo è l'anatema)

    sarà l'inizio dell'Apocalisse.

    *


    DIALOGO CON MIO PADRE

    Padre, la notte s'è spogliata: aduna

    gufi e civette per il grande sabbath

    quando la mente straripata – formicolerà – di sulfuree

    lune e il destino – schiumerà – in vascelli

    di folli di streghe fachiri.


    Perché

    la morte trionfale prepara giumente di bronzo

    inghirlanda la fronte di diademi spettrali

    per il sommovimento archetipico

    il tripudio – che seppero – i re Magi dei mistici.

    Il mondo bolla iridescente svàpora…

    Il cavallo dall'ali – arpionanti – già plana

    con l'angelo d'infanzia su – ciminiere - gravide

    di putrescente – annichilante – gas.


    E noi…

    noi così dementi

    - penitenziali – cerei…

    aspettiamo lo squarcio del cratere

    la sibilla che grida

    che grida

    disseminando bambole – chiazzate – di pus.

    Padre, il mistero – mitico – dischiude le sue valve.

    Ciò che fu predetto fu ampliato in furore di trombe

    i sigilli divelti confessano arcaici enigmi.


    Il mondo

    Che amammo si svela

    Controfigura di un Moloch

    Sidereo…

    Le membra spezzate del Dio

    generarono mostri

    senza mai fine

    - ma i mostri

    sono scoppiati in un grottesco riso.

    Ed ha vinto la Morte paziente

    sacerdotessa del vento…

    Accetta, padre, la preghiera del bimbo

    trafugato

    al di là, nel deserto


    contraffatto


    del sogno.

    *

    UN GIORNO SCENDERAI

    Signore,

    un giorno

    scenderai dalle nubi d'argento

    col carro di fiamme che esplodono in grida

    entro lo sguardo di stella scoppiante

    uncinerai le – nostre – piattaforme

    i nostri grattacieli

    le piramidi.


    Un giorno scenderai – fulva cometa –

    sulle nostre metropoli schiantate.

    Troppo peccammo scatenammo giusto

    furore

    la tua sacra rabbia.

    I nostri

    misfatti – hanno tradito – il tuo sorriso

    il tuo splendido – sogno – aquilonare.


    Troppo peccammo: costruimmo ordigni

    di sterminio.

    Godemmo di boati

    ed – orizzonti – di bagliori.

    Croci

    uncinate intessemmo in camere a gas

    e labari librammo in processioni

    - fanatiche – empie.


    Facemmo tirassegno sui bambini.

    Sventrammo le donne

    con voluttuosa insania.

    Le città

    bombardammo.

    La cenere

    - cateratte di cenere –

    testammo

    ai nostri – figli – sciagurati…

    ° ° °


    Quale perdono noi potemmo chiederti

    quale preghiera osare?

    Dove cercare la tua franta Immagine?

    Quando dal Tuo silenzio ci balzasti

    e le voci dei giusti calpestati

    -dei miseri abbattuti –

    in Te si fusero…

    i morti si schiodarono dall'ombra

    brandirono i sudari come lance

    imbracciarono i teschi fiammeggianti.

    Ora marciano – insieme a te –

    per il grande olocausto.

    Per il compimento dei tempi.


    Signore,

    abbi pietà dei nostri bimbi.

    Soltanto – essi –

    ancora

    non hanno avuto il tempo di peccare.

    Essi corrono – ignari – come il vento.


    ***

    Chiedo venia, non mi è stato possibile riprodurre la posizione dei versi come nell'origine.

    ___

     

    JORGE LUIS BORGES

    IL COMPLICE



    Mi crocifiggono e io devo essere la croce e i ...
    chiodi.

    Mi tendono il calice e io devo essere la cicuta.

    Mi ingannano e io devo essere la menzogna.

    Mi bruciano e io devo essere l'inferno.

    Devo lodare e ringraziare ogni istante del tempo.

    Il mio nutrimento son tutte le cose.

    Il peso preciso dell'universo, l'umiliazione, il giubilo.

    Devo giustificare ciò che ferisce.

    Non importa la mia fortuna o la mia sventura.

    Sono il poeta.

     

    *


    GIOVANNI COZZA

    PIANSE LUI ALMENO

    Io cerco e non oso la
    svogliata ombra del
    Cristo sul muro al materialismo
    indotto e rotto
    trascino le mie bave per
    chiostri e affreschi remoti e
    sbiaditi. Oltre il
    dirupo urge il digiuno e il
    capo sotto la tenda allo
    sperpero delle miserie consce ove
    placa il fetore del sudato e il
    feroce turgore per l'esclusa rinuncia
    dato il breve spazio. Eppure
    non vale. La breccia torna da
    tempo troppo incisa e il
    tuo corpo di carne sale al
    mistico repertorio della sacrilega
    offerta nella stupenda
    lascivia di un mantello per me
    disteso e fatto. Appeso alle
    mie plastiche
    mani figuranti profili
    fermi d'avorio nello
    stillicidio mi vedo di mal
    sommerse paure. Pianse Francesco almeno
    un giorno lontano e santo nel
    saio avvolto.

    2° classificato al Premio Internazionale di Poesia
    "Guido Gozzano" 1975

    Da "Controcampo", anno II - N. 1

    *

    CARLO ERBETTA

    FANTASIA N. 6

    Bagliori viola su crocefissi
    aggrumati in deserti
    tabernacoli pipistrelli di
    silenzio "Cristo dove
    sei?" - "Ancora Ti
    giocano ai dadi del
    la parodia!" stingono rotule di
    legno farisaiche labbra al
    l'ora nona del Venerdì Santo da
    pulpiti-uragano agli eletti
    quaresimali di pani
    d'oro da graticole reprobi
    iconoclastici invocano
    paradisi il grido cade per
    la terza volta il
    clamide cade fustigato
    anfiteatro di fiaccole al
    Gladiatore morente
    "adagio maestoso" sul
    la piazza-proscenio si
    recita a soggetto strabocca il
    calice di tutti i
    crocefissi una
    parabolica verità
    mistificata.

    Encomio al Premio Internazionale di Poesia
    "Guido Gozzano" 1975

    Da "Controcampo", anno II - N. 1

    *


    TERESIO ZANINETTI

    Non per nulla
    tutti i fiori ritornano nel perimetro estatico
    del cuore rimasto
    sgranulando bocci d'orchidee e trifogli
    Nel caldo mattino
    solleviamo briciole
    per palpiti senza respiro e ancorché deserto
    il prato riavrà parole dovunque l'aria lo voglia
    silenzio
    di fate di prua
    nei vuoti balconi
    dove rasserena la dolce canzone
    di rabbie e singhiozzi
    silenzio
    non un'anima fiati
    il silenzio si scioglie nel gelo.

    (Dicembre 1994)

    Dalla Rivista GRANDE VETRO, Maggio '07


    *

    T. S. ELIOT

    La precipite colomba spezza l'aria

    La pricipite colomba spezza l'aria
    D'una fiamma di terrore incandescente
    Le cui fiamme proclamano
    L'unica remissione dell'essere e del peccato.
    L'unica speranza, o se no la disperazione,
    E' nella scelta dell'una o dell'altra pira -
    Ad essere redenti dal fuoco mediante il fuoco.

    Chi dunque appressò il tormento? L'Amore.
    Amore è il nome inusitato
    Dietro alle mani che temerono
    L'intollerabile tunica di fiamma
    Che forza umana non può strappare.
    E soltanto viviamo, soltanto sospiriamo
    Consunti dall'uno o l'altro fuoco.

    *

     

     

    Felice Serino - Collage apparso sul catalogo "Siviera", mailart

    *

     

    NICOLA FIORELLA

     

    DIARIO D'INVERNO

     

    Verdi onde salate muovono il linguaggio solare

    nella stagione che brucia le foglie.

    Qui di fronte al mare

    apro il mio diario d'inverno

    con le pagine logorate dal tempo

    e urlo per il sangue perduto,

    per il sole che cade nei giardini di pietra.

    Vibrazioni di voce

    narrano la storia dei mondi rovesciati

    nel vuoto del cielo.

    Un grido di terra

    nelle sfere ossidate, una luce ferita

    fra le ombre tradite

    battono le pietre nel gioco crudele degli atomi.

    Ora che l'uranio muove le ruote atomiche

    entro nel vuoto delle chitarre infelici

    dentro il labirinto della vita

    e con la rabbia del vento

    cancello tutte le memorie del computer.

     

    [dalla III Rassegna Int.le di Letteratura

    LOGOS 1988]

     

    *

     

    TERESIO ZANINETTI

     

    A questo non m'abituo

    (Leggevo il tuo profilo esangue nei libecci

    arrancando tra gladioli e fiordalisi

    dentro i covoni della morte in panne):

    questa luce falsa gli occhi, tradisce

    bisogni e pazienze, stronca

    sul nascere bocci - a questa luce

    dai lividi brulli non m'abitua

    il liso ricordo del domani in croce.

     

    (Leggevo le tue rughe nei cristalli tintinnanti

    assaporando intrecci mozzati di mani giunte

    nel girotondo degli scorticati vivi) -

    Forse era natale o capodanno, viziate

    di droga capitalista le famiglie serravano

    pance e manette (panettoni, anitre all'arancia

    figli & figlie parenti stretti al collo

    da gustare al dente)

    - forse era l'altr'anno o non ancora.

     

    Sta di fatto che a quest'aria di morte non m'abituo

     

    Mentre il boia sorride con piacere automatico

    ancora la mia mano rifiuta dovute tenerezze.

    Sto con le mie prigioni dentro il piombo

    del mio corpo stretto. Sto.

    Non so come né quando. Sto.

    Con il cranio dell'odio di classe. Sto

    In un mattino disatteso e stanco

    qualcuno esplorerà il relitto

    delle ossute gimkane a piedi freddi.

    A questa maturità che selvaggiamente delicata cresce

    solo un grido - domando - di vendetta e di riscossa,

    dolce e tremendo come il dolore

    nel tuo profilo esangue, trasparente, vivo.

     

    Teresio Zaninetti (fondatore e editore della Rivista) - 1988

     

    [da LOGOS, 1991]

     

    *

     

    CARLO ERBETTA

     

    BALLATA N. 8

     

    CHI MI DARA'

    palizzate d'oniriche

    speranze su zattere

    naufraghe in marciti

    fosforiche la

    meridiana d'ore a

    illudere il tempo proiezioni di

    sole dilaniato sul

    l'antico quadrante del

    cuore?

     

    CHI MI DARA'

    oltre pantografi numerati sul

    la tavola pitagorica del

    cemento lontananze di

    muschio comignoli non

    blasfemi presso un

    Natale di poche

    noci?

     

    CHI MI DARA'

    fiocine d'istanti

    esplosi entro coralli di

    rugiada tramontane a

    frugare lunari

    soffitte dietro chiuse

    vetrate per

    accogliere innesti di

    amore?

     

    CHI MI DARA'

    su caste pale una

    fronte di trittici rosa-

    pallido e oro la

    Annunciazione senza

    fiocchi d'organza o Rolls-

    Royce per vivi cassa da

    morto?

     

    CHI MI DARA'

    periferie gitane a

    percuotere cieli di

    rame gli orti lavati in

    absidi di nuvole il

    fragore di variopinte

    balere a

    dilatare vicoli in

    festa?

     

    INTANTO IL

    frantoio dei sogni da

    bidoni rovesciati inesorabile

    rigurgita pattume su

    anime di

    asfalto.

     

    [da Alla bottega -

    2° Premio al Concorso di Poesia -Aspera- 1974]

     

    *

     

    BALLATA N. 2

     

    RIDATEMI

    arcobaleni di gazze

    crocifisse su pali

    telegrafici di lira

    cherubini suonatori da

    arcate bramantesche a

    planare su

    sguardi d'ogivale

    stupore

    (Piangono dèmoni

    nascosti in pieghe di

    tufo con un occhio

    solo appollaiati!)

     

    RIDATEMI

    pascoli di nubi

    scotonate come

    tragiche meduse in

    metamorfosi d'acquario

    mani senza

    dimensioni algebriche né

    spazi incatenati da

    diagrammi di

    colore.

    (Il colesterolo morde

    coronarie aggrumate

    l'Amore sbadiglia

    nella noia del

    coito!)

     

    RIDATEMI

    binari di fumo

    palette ancora

    verdi su pensiline senza

    ritorno radure di

    carri imbalsamati nel

    sole trito da

    cicale a battere il 

    tempo.

    (Cornamuse di luna

    cantano remoti

    peana all'abbaglio

    angoscioso del

    laser!)

     

     

    *

     

    BALLATA N. 5

     

    TORNERANNO

    tènere sul mangiafumo

    coccinelle multicolore feltri

    giocheranno specchiere

    murali a

    Portobello.

     

    TORNERANNO

    filari di pace

    stemperata da

    nuvole d'erica dischiusi

    cancelletti in

    distici di

    rose.

     

    TORNERANNO

    pagine di azzurro

    sfilacciate ciglia del

    mattino una

    pausa di sole la

    paletta su

    vicoli di

    fiaba.

     

    TORNERANNO

    abbaini di polline

    spiovente sintonia per

    disperse dolcezze ritrovate

    se

    una foglia vizza dietro

    Nelson potrà ancora

    essere la

    luna!

     

    [da Alla bottega, n. 4 - luglio-agosto 1975]

     

     *

     

    GUIDO PAZZI

    MADRI DI SOLITUDINI


    Vicino a stelle che indossano vesti di malinconia
    ha vita un pasto di luci dovendosi posare fra occhi di bimbo
    con lievità sconosciuta e togliere dolore da madri
    con il cuore racchiuso in taglienti solitudini.


    *

     

     

     

     

    TERESIO ZANINETTI

    CANZONE


    già da sempre impiccati
    all'albero maestro i predoni
    della storia ricamata
    con cocci di diamante
    dal lustrascarpe di turno
    (per ossari e sacrestie
    conducevano il fanciullo censurando
    i clamori dell'incenso e i guaiti
    della folla incatenata
    al cerchio di luce sul capo)
    e se ancora la pioggia trasforma
    in palude il granaio
    restiamo insieme a rammendare
    il lacerato cielo sopra
    questa terra insanguinata.

    *

    GENESI UNO E DUE

    aruspice, dinastia di suoni amorfi
    cui il guanto sta come
    un seno alla donna. che se
    poi rughe sui ginocchi incrociandosi fanno
    vento si muore
    d'infamia procreando rettili. e
    così(s)sia
    (nell'antro del lupo). ma
    domani
    (sotto un sole nuovo)
    sventoleremo il giorno sopra
    le macerie dell'uomo
    (il mai nato di ieri che parla
    linguaggi di neve
    smussata agli albori
    tra scorie e cascate di sangue).
    e saremo.

    [da Alla bottega, n. 3 - maggio-giugno 1977]

    *

     

    GUIDO PAZZI

    GIARDINI DI LUNGO IGNOTO


    In un giardino di attimi abbigliati
    a lungo dall'ignoto termina un pasto di luci;
    dovendosi dileguare fra occhi di bimbi
    che tolgono lagrime da madri cariate di dolore
    e balzi di solitudine.
    E riposano dove il pudore sorride alla luna
    che sibila bianca eternità e dona fonti
    di silenzio purpureo che abbacina
    le notti dei sogni col cuore del vento.

    [da Alla bottega] 

     

    *

     

    GIOVANNI BARRICELLI

     

    RESURREZIONE

     

    Invocando vite inapparenti m'indussero

    le zolle sentore di prodigio, dai visceri

    del cardo d'impeto sgorgò il fiore giallo.

    Era la terra che impugnava il pennello

    a tempestare il grembo di colori nuovi.

    Il presagio del chicco morituro quando

    il pugno vibrava nuvole di grano simile

    a proclama: - Fango risorgerò dalle fibre

    infrante, in più vite rivivrò verde

    linfa ritornata sangue.

     

    *

     

    IO SONO DEL TUTTO E DEL NULLA

     

    Nel breve giro in quegli mi alleno, nel

    rapido abbraccio riscopro ambedue, il

    pianto ed il riso in comune.

    Sprofondo alla terra laddove radice è

    l'anima mia che arde in grovigli di spini,

    risalgo alla somma del tronco, ritrovo nei

    rami deformi le braccia che avevo perduto

    e dallo stormire di foglie richiamo il

    verbo facendolo mio.

    Io sono del tutto e del nulla e l'occhio

    m'è cieco perché ogni piccola piaga del

    mondo ricalca lo sguardo.

    Porziuncola di corpo, trattengo soltanto

    una parte di ciò che fu mio, che il più

    fu perduto dal seme che spiego nutrendone

    il mondo.

     

    *

     

    I RESPONSI DELLE NUVOLE

     

    Messaggi scritti sulla sabbia del cielo

    e tu che trattieni e rendi incancellabili

    geroglifici di steli

    sommersi da altre nuvole che incidono

    responsi, parole nuove su lavagne

    anch'esse inabissatesi e consunte

    tanto via via sbiadisce

    il detto e all'occhio trascolora

    perché si accavallano le nubi.

    E' tutto un rinnovarsi di coscienze

    che recano messaggi sopraggiunti.

     

    [Da Alla bottega]

    *

     

    GIORGIO BARBERI SQUAROTTI

    Per anni non fu che un'agonia (cioè - disse - una
    lotta o, meglio, una gara non voluta, una corsa obbligata avanti agli
    occhi dei carnefici, fra i curiosi attardati per le strade
    delle sere lunghe di dicembre), c'era di là forse la vita, ma
    non seppe mai quale voluntate fosse pace per te per lui per il Dio che
    ogni tanto pregava nel timore degli autunni o dei fulmini o dei giorni
    di veglia accanto al tuo sonno inquieto, alla tua febbre,
    o se di tutta la fatica e l'affanno il senso fosse
    continuare resistere durare
    senza fare domande.

    *

     

     

    Pierluigi Cappello

     

     

    GIORGIO BARBERI SQUAROTTI

    IL FOGLIO


    Candido un uccello bucò il foglio
    scialbo del cielo d'estate, lentamente
    si abbassò sul popolo di anime
    nude sotto il vento basso: e dallo strappo
    ecco uscire gonfi pesci nerastri con la bocca
    aperta, un volo di locuste, le gote rosse di un ragazzo
    che soffia invano dietro l'ombra lieve
    di una nube rotonda come un'ultima
    difesa del pudore sopra questa
    vulva spalancata della storia che produce
    vermi scorpioni re coronati che severi
    assistono alla morte degli schiavi
    topi con le lunghe code ispide
    un volo biondo di capelli un riso ambiguo
    sopra un volto caprino l'ano nero
    di una scimmia che vomita monete
    d'oro l'urto di una tempesta che forse
    è esplosa in qualche parte del tempo dove lascia
    rami spezzati, strade piene di fango, foglie,
    stracci di vapori velenosi, torri
    infrante, schegge di vetri in cui si specchia il nulla
    di un giorno senza fine, in cui già tutte
    le possibili storie sono state
    rappresentate fino in fondo, nessuna traccia ne rimane
    negli occhi fitti della gente che ora un poco
    si muove sulla spiaggia, scuote dalla
    memoria le immagini di fumo, le figure d'aria,
    i fantasmi usciti dalla pagina
    bucata del libro di Babele: un uccello,
    il primo che quest'anno giunge fin qui,
    con un pesce che ancora s'agita nel becco,
    poi si perde nel vuoto verso terra,
    il cielo si è richiuso sull'estremo guizzo di una coda,
    il tempo muore, e non c'è altro segno
    che quello di Giona.

    *

     

    GIAN LUCA FAVETTO

    PER UNA VOCE SOLA


    In una sera - quando ancora è giorno - buia di libri
    annego. In alto tra le medesime fiamme
    giacciono gli immortali invecchiati sonni.
    Il vento non li avesse amati! e musiche
    come preghiere, abbracci distruttori.
    Sfilano parole cicatrici che incantano e ribrezzano
    i cieli di fredde stelle e lune - chiazze
    nel lago, simili a lenzuola da poco usate.
    Allora immergo la mia pen(n)a e vorrei un altrove
    debole ma vero, ma fuggito all'imballo della carta.
    E mentre parlo dormo e il veleno in me è pace.
    Dilenziosa gioia per le ringhiere degli occhi
    sale lenta e senza affanno: che so che posso
    amare ancora fuori d'ogni inganno.
    Contro il futuro ed il possibile già digerito
    s'agita in lanterna una lamella d'inconnu,
    nuvola sospesa su altre nuvole
    piove - rada - ripida - e fulgente.
    Ed andavamo io e lei che era notte e alba e giorno fatto
    ed andavamo ancora.

    *

     

    FERDINANDO BANCHINI

    EVENTO


    Monti gregge violaceo che sta
    ammusato brucando la pianura
    vaporante la sua vita segreta,
    grani di luce che si spande lenta,
    stupore mattutino.
    Scacchiere colorate, luccichii
    d'acque di strade, chiazze verdi bianche
    d'alberi casolari, pigri fiumi,
    lo stridulo sfrecciare delle rondini,
    l'aprirsi del miracolo, l'avvento
    di sgomento e di fiamma, del mio tempo
    di cenere e di canto, la presenza
    che si staglia nel giorno.

    [da Noialtri - marzo/aprile 2007]

    *

     

    FERDINANDO BANCHINI

    OLTRE


    La sera allarga il suo varco quieto
    nell'ordito rosa-viola, avanza
    nel gioco indolente d'un soffio
    di vento salso fra gli ulivi. Sparsi
    segni fugaci brillano a un riverbero
    ultimo, di splendori in numeri annunzio
    sereno. Ampio indugio pacato
    bellezza rinnovantesi. Voci alate
    sommesse si rispondono nei folti
    cupi dei lecci. Oh certo trepide mani
    ora illudono volti di fiori e di luci,
    svanendo ansie in parole lievi.
    Quale gioia si spande, quale accordo
    mite si compie? Intorno
    la buona terra odora.

    Ma altrove, altrove è l'eterno.
    Oltre sabbie riarse, aerei picchi,
    alta aspra è la vita.

    [da Noialtri - gennaio/febbraio 2009]

    *

     

    FRANCESCO MAROTTA

    LA CANZONE DEL SONNO


    città irate cieco confine
    di cui diranno il nome
    frugando luci
    che gemono
    fra le pietre mappe
    invisibili
    che ondeggiano confuse armonie
    febbre di mani
    che si dissetano
    nella pietà di un fiore
    i passi somigliano
    di lampade
    verso orizzonti murati
    nel gelo
    di una voce gli occhi
    scomposti
    come lontane aurore
    questo notturno appesantire di stelle
    prive di mondi
    attendono gli sguardi e forse
    inventeranno un sole
    sulle pareti
    di palazzi vuoti
    giocheranno i domani
    come approdi sognati di sete
    dove è già tramonto
    ogni storia che strapparono ai giorni
    canti deserti
    di ore rovesciate
    le stagioni negate alla terra

    **

    perché è autunno
    l'anima che vedi rotolare lontano
    distaccata
    risonanza di abbandono
    che per nessun volo
    saprebbe ormai farsi sentiero
    o dimora costretta
    a stupore di liquidi ciechi
    di carne
    e memoria esplosa
    tra le rotaie
    e la sera compagna
    di un grido
    compagna di un dio che trascorre
    come chi semina
    voci di pietre
    e frutti domanda a penombre
    di sabbia
    un dio che morde e avvampa
    vestito da bambino
    che uccide le sue mani
    simili a vento
    profumo di spine
    dagli anni feriti parole fiorisce
    di un oggi che è tempo
    che non pesa
    e in pozzi di strade
    annega
    di luce
    che non conosce immagini

    ***

    nome non ha né giorno
    questa città che mi scoppiava
    in mezzo agli occhi
    di maschere liberate
    nella ritualità
    del suo dolore danza
    lungo il grigio delle ombre
    e i suoi istinti
    e notte il canto assenza il viso
    che si dispiega per cammini
    sterili nulla la voce
    che la guida
    tranne talvolta quell'unico
    lamentato silenzio
    che non grida che
    non chiede
    non dice i passi
    non legge l'ora sanguinante
    al fuoco dei suoi muri
    l'ombra dipinta
    che ti viene incontro la polvere
    che degli anni è rimasta
    impigliata in graffi lenta
    curva di lampi
    franati
    su strade arate di luna
    e porti di vento intorno
    che affondavano lievi
    il cielo superstite
    il giorno nell'acqua dei navigli

    ****

    a fatica sospeso in voli di peste
    ricompongo le voci
    del suo canto io vado là
    nel sole di un altrove sommerso
    a leggere torri di vetro
    stagioni di sale
    in un nome a gridare
    preghiere senza sonno
    come fossi già un passo
    sopra l'altro
    tra Milano e la follia
    più vicino alla lingua
    che senza sangue
    fa rivivere i volti
    non riflessi dagli specchi del giorno
    che abita grovigli di vite
    accenti e rumori di esistenze
    bruciate e neppure c'è un dio
    oltre il sonno
    ma un cielo compare
    e parla di giorni invisibili
    racchiusi in un punto io
    li penso così
    e trovano il tempo di fermare la mano
    sul cuore
    sia veglia sia sonno
    fosse anche l'ultimo sogno
    trovano spazio ancora recisi
    di sbocciare da radici
    di pietra

    [dalla rivista Alla bottega]


    *

     

     

     

     

    ALFONSO GATTO

    PRO MEMORIA


    Amico d'una volta,
    allegro giustiziere,
    ascolta.

    Forse di me dovrai dire:
    è morto per sbaglio
    o voleva morire.

    S'accusa sempre l'errore
    in ogni tempo di viltà.
    Sempre s'uccide il fiore.

    .

    AGLI AMICI

    Fumeremo nel bastimento della bottiglia
    tra le grandi lettere tremolanti sull'acqua
    la pipa dei racconti, il dolce odore del legno.
    Poi dal clamore esiterà nel nulla
    l'ultimo sparo che dondola il capo.

    *

     

    Dall'intimità - J.L. Borges


    Non sarò più felice. Non importa

    forse, ci sono ben altre cose al mondo;

    un istante qualunque è più profondo

    e più vario del mare. Breve il vivere

    benché lunghe le ore, e in una d'esse

    un oscuro miracolo si cela:

    la morte, un altro mare, un'altra freccia

    che ci fa liberi da sole e luna

    e dall'amore. Il bene che mi desti

    e mi togliesti devo cancellarlo;

    ciò ch'era tutto dev'essere niente.

    Solo mi resta il gusto d'essere niente.

    Solo mi resta il gusto d'essere triste,

    l'abitudine vana che m'inclina

    al Sud, a quella porta, a quel cantone.


    *

    Il Sud - J.L. Borges (Dall'intimità)


    Da uno dei tuoi cortili aver guardato

    le antichissime stelle,

    dalla panchina in ombra aver mirato

    le loro luci sparse

    che il mio ignorare non ha ancora appreso

    a chiamare per nome

    né a ordinarle in costellazioni,

    aver sentito l'acqua che fa circoli

    nell'occulta cisterna e l'odore

    di gelsomino e caprifoglio,

    il sonno silenzioso dell'uccello,

    sapere l'arco dell'androne e l'umido:

    questo forse è poesia, non altro.

    *

    FERNANDO PESSOA

    Grandi misteri stanno
    sulla soglia del mio essere,
    la soglia su cui si posano un momento
    grandi uccelli marini che mi fissano
    se lento avanzo a guardarli.

    Sono uccelli degli abissi,
    come quelli dei sogni.
    A pensare mi riempio di dubbi,
    per l'anima è un cataclisma
    la soglia su cui posa.

    Allora mi scuoto dal sogno
    e mi rallegro alla luce,
    se pur il giorno è triste;
    perché la soglia è terribile
    e ogni passo è una croce.

    [traduzione di Vittoria Corti]

    *

     

    Alfonso Gatto
    Il Caprimulgo


    Tornerà sempre l'ironia serena
    del sortilegio sulle tue corolle,
    fiore disfatto.
    E tu che voli e piangi
    stridendo coi tuoi grandi occhi oscuri,
    o caprimulgo dalle piume molli,
    il buio sempre ingoierà la notte
    delle farfalle nere, le lucenti
    blatte in cui l' uomo misero rattrae
    le mani e gli occhi a rispettarle,
    umane della pietà per sé.
    Per la scala degli inferi discende
    il consenso perenne, l'ordinata
    congrega delle vittime plaudenti.
    O misura dell'uomo in sé dipinto
    costretto oltre la morte, mummia salva
    a schermo delle mani,
    a non aver più limiti, distratta
    è la forza latente, il bruco insonne
    della materia che ci traccia e insegue.
    Un fenomeno oscuro il divenire
    l'enfasi sorda che alle sue parole
    non crede più, ma giura. Ancora scende
    questa scala degli inferi e l'informe
    che chiede un senso smania di figure.

    *

     

    Paul Celan

    Todesfuge


    Nero latte dell’alba lo beviamo la sera
    lo beviamo al meriggio, al mattino, lo beviamo la notte
    beviamo e beviamo
    scaviamo una tomba nell’aria lì non si sta stretti

    Nella casa c’è un uomo che gioca coi serpenti che scrive
    che scrive in Germania la sera i tuoi capelli d’oro Margarete
    lo scrive e va sulla soglia e brillano stelle e richiama i suoi mastini
    e richiama i suoi ebrei uscite scavate una tomba nella terra
    e comanda i suoi ebrei suonate che ora si balla

    Nero latte dell’alba ti beviamo la notte
    ti beviamo al mattino, al meriggio ti beviamo la sera
    beviamo e beviamo
    Nella casa c’è un uomo che gioca coi serpenti che scrive
    che scrive in Germania la sera i tuoi capelli d’oro Margarete
    i tuoi capelli di cenere Sulamith scaviamo una tomba nell’aria lì non si sta stretti

    Egli urla forza voialtri dateci dentro scavate e voialtri cantate e suonate
    egli estrae il ferro dalla cinghia lo agita i suoi occhi sono azzurri
    vangate più a fondo voialtri e voialtri suonate che ancora si balli

    Nero latte dell’alba ti beviamo la notte
    ti beviamo al meriggio e al mattino ti beviamo la sera
    beviamo e beviamo
    nella casa c’è un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
    i tuoi capelli di cenere Sulamith egli gioca coi serpenti
    egli urla suonate la morte suonate più dolce la morte è un maestro tedesco
    egli urla violini suonate più tetri e poi salirete come fumo nell’aria
    e poi avrete una tomba nelle nubi lì non si sta stretti

    Nero latte dell’alba ti beviamo la notte
    ti beviamo al meriggio la morte è un maestro tedesco
    ti beviamo la sera e al mattino beviamo e beviamo
    la morte è un maestro tedesco il suo occhio è azzurro
    egli ti centra col piombo ti centra con mira perfetta
    nella casa c’è un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
    egli aizza i suoi mastini su di noi ci dona una tomba nell’aria
    egli gioca coi serpenti e sogna la morte è un maestro tedesco

    i tuoi capelli d’oro Margarete
    i tuoi capelli di cenere Sulamith

    da “Papavero e memoria”

    *

     

    BRUNO SOURDIN

    [Dal poemetto "Recandomi a Lisbona dopo una visita a Francois Augieras senza incontrarlo" - facente parte del libretto "Paris git-le-coeur", fuori serie della rivista Quetton L'Arttotal, 4° trimestre 1994, per la collana Poesie clandestine]

    .

    Neon ammiccanti, bagliore selvaggio, sul marciapiede all'alba
    Vento leggero, dopo una lunga notte magica
    Coltivata sotto un riflesso, strada misteriosa
    Le auto filano senza arrestarsi
    Sogno lampo, nell'aria scintillante

    *

    E io t'immagino entro la gioia
    Selvaggia di questo sole che sorge
    Solo appollaiato sul bordo di scogliere
    Da dove guardi scorrere la Dordogne
    In compagnia di uccelli di serpenti
    E del cri di cicale che ami

    *

    Nuvole fluttuanti del mattino
    Rotolate nel mio sacco a pelo
    Ho male a svegliarmi
    Cielo freddo, alcune case, colline

    *

    E t'immagino nel silenzio
    Selvaggio di questa caverna
    Accendere fuochi sul ciglio del vuoto
    Il tuo fumo sale verso il sole
    Tu sei felice e chiudi gli occhi
    Nella forza nascente del giorno

    *

    Si fila attraverso la Spagna
    Muscoli irritati, ubriachi di stanchezza
    Gli insetti gracchiano, gioia vigorosa
    Vento chiaro, ronzio di conversazioni
    La strada s'immerge attraverso la grande pianura accesa

    *

    E t'immagino nel sogno
    Selvaggio di questa notte d'estate
    Solo nel profondo segreto della pietra
    Donde fai cantare le corde del tuo arco
    I suoni si perdono all'infinito
    Ed è così che tu adori l'universo

    *

    Mille nuvole, sole già alto
    Erbacce, polvere fine, la strada profuma
    Noi parliamo, scherziamo
    Spirito chiaro, Lisbona appare
    Questa pura gioia del giorno, a che assomiglia?

    *

    E t'immagino nel sogno
    Selvaggio di questo pianeta
    Solo e felice di eternità
    Tu guardi a lungo il cielo crivellato di stelle
    Vecchio uomo venuto dagli astri
    Tu ami l'universo che è il tuo dio

    *

    Percorro Lisbona sacco in spalla, i grandi occhi aperti
    Rilucenti di sudore, stanchi

    Di nuovo solo, nel polverìo del sole
    Già vedo il Tage, mille dita s'agitano, cielo immenso
    Strade polverose, capelli al vento,
    Assaporo la luce pura, immacolata
    Una volta ancora rivedo la mia vecchia vita
    Vita magica, lasciatemi in pace
          Ah! questa chiara gioia
          D'esistere
          Lontano dagli uomini

    .

    Bruno Sourdin (traduzione di Felice Serino)

    *

     

    JORGE LUIS BORGES


    Rimorso per qualsiasi morte

    Libero dalla memoria e dalla speranza,
    illimitato, astratto, quasi futuro,
    il morto non è un morto: è la morte.
    Come il Dio dei mistici,
    del Quale si devono negare tutti i predicati,
    il morto ubiquamente estraneo
    non è che la perdizione e l'assenza del mondo.
    Tutto gli derubiamo,
    non gli lasciamo né un colore né una sillaba:
    qui c'è il patio che già non condividono i suoi occhi,
    là il marciapiede dove spiava la sua speranza.
    Perfino ciò che pensiamo potrebbe starlo pensando lui pure;
    ci siamo spartiti come ladroni
    il capitale delle notti e dei giorni.

    *

    Sabati

    Fuori c'è un occaso, gioiello oscuro
    incastonato nel tempo,
    e una profonda città cieca
    di uomini che non ti videro.
    La sera tace o canta.
    Qualcuno decrocifigge gli aneliti
    inchiodati nel pianoforte.
    Sempre, la moltitudine della tua bellezza.

    * * *

    A dispetto del tuo disamore
    la sua bellezza
    prodiga il suo miracolo nel tempo.
    E' in te l'avvenire
    come la primavera nella foglia nuova.
    Già quasi non sono nessuno,
    sono soltanto quell'anelito
    che si perde nella sera.
    In te sta la delizia
    come sta la crudeltà nelle spade.

    * * *

    Opprimendo l'inferriata sta la notte.
    Nella sala severa
    si cercano come ciechi le nostre due solitudini.
    Sopravvive alla sera
    il biancore glorioso della tua carne.
    Nel nostro amore c'è una pena
    che somiglia all'anima.

    * * *

    Tu
    che ieri soltanto eri tutta la bellezza
    sei anche tutto l'amore, adesso.


    [da: "Fervore di Buenos Aires"]





    PEDRO SALINAS


    LA MATERIA NON PESA

    La materia non pesa.
    Il tuo corpo ed il mio,
    uniti, non sentono mai
    schiavitù, sentono ali.
    I baci che tu mi dai
    sono sempre redenzioni:
    tu baci verso l'alto,
    e qualcosa di me porti a luce,
    costretto prima
    nel fondo oscuro.
    Lo salvi, lo guardiamo
    per vedere come ascende,
    e vola, per l'impulso che gli dài,
    verso il suo paradiso
    dove ci aspetta.
    No, non opprime la tua carne
    e neppure la terra che calpesti
    né il mio corpo che stringi.
    Sento, quando mi abbracci,
    che ho tenuto contro il petto
    un lieve palpitare,
    vicinissimo, di stella,
    che viene da un'altra vita.
    Il mondo materiale
    nasce quando tu parti.
    E sull'anima sento
    quest'oppressione enorme
    di ombre che hai lasciato,
    di parole, senza labbra,
    scritte su fogli di carta.
    Restituito alla legge
    del metallo, della roccia,
    della carne. La tua forma
    corporea,
    il tuo dolce peso rosa,
    è ciò che mi rendeva
    il mondo più lieve.
    Ma ciò che non sopporto
    è che mi schiaccia,
    chiamandomi alla terra,
    senza te per difendermi,
    è la distanza,
    è il vuoto del tuo corpo.

    Sì, tu mai, tu mai:
    il tuo ricordo, è materia.


    [trad. Emma Scoles]




    VICENTE HUIDOBRO


    Fatica

    Cammino giorno e notte
    come un parco desolato.
    Cammino giorno e notte tra sfingi cadute dai miei occhi;
    guardo il cielo e la sua erba che impara a cantare;
    guardo la campagna ferita a grandi grida
    e il sole in mezzo al vento.

    Accarezzo il mio cappello pieno di una luce speciale;
    carezzo il dorso del vento;
    i venti, che passano come le settimane;
    i venti e le luci con apparenza di frutta e sete di sangue;
    le luci, che passano come i mesi;
    mentre la notte s'appoggia alle case
    e il profumo dei garofani gira intorno al loro asse.

    Prendo posto, come il canto degli uccelli;
    è la fatica lontana e la bruma;
    cado come il vento sulla luce.

    Cado sulla mia anima.
    Ecco l'uccello dei miracoli;
    ecco i tatuaggi del mio castello;
    ecco le mie penne sul mare, che grida addio.

    Cado dalla mia anima.

    E mi rompo in pezzi d'anima sull'inverno;
    cado dal vento sulla luce;
    cado dalla colomba sul vento.

    *


    Illusioni perdute

    Foglia dell'albero caduta in infanzia
    foglia caduta in ginocchio
    al centro del suo oblio
    dolce balocco di speranze e lampi
    che sanguina dalla testa ferita
    come le illusioni ottiche
    nel palazzo di morte non scordabile
    costante nave dal cuore dolente
    tra naufragio e ombra che s'affretta

    Foglia del nodo caduto in albero caduto in infanzia
    dove mai ti trascinano foglia dal dolce cuore
    e gli eccessi del fuoco delle aquile visive
    foglie dei rami riscaldabili
    ferme nell'aria
    pronte alla corruzione fra le loro stesse braccia
    come le acque stregate

    Foglie di fantasmi sorpresi
    foglie di uccelli scritti
    ciascuna ha un cavallo e una colomba
    ciascuna ha un orizzonte ad ogni costo
    e per la sua amarezza né albero né vela.

    Foglie dell'albero cadute
    sul capo del poeta
    sul suo desiderio di piangere perché non giunge mai
    quello che aspetta in fondo ad ogni verso
    quello che attende dietro tutte le ombre


    *

     

     

    Fabio Greco è nato a Torino nel 1969. Ha pubblicato i volumi di poesie: Sulle rive dell'estro, Tra le pieghe dell'ego, L'orologio a vento.

     

     

    Alfonso Gatto

    Notte

    Tremo d’esile vena per lontane
    arie di suono, mi lusingo in volto.
    Come alleviate toccano le vane
    solitudini il cielo vuoto, ascolto.

    Lungo sereno dileguano piane
    voci apparenti nel mondo sepolto:
    m’adeguano nel sonno di montane
    bare odorose, ed il cuore n’è folto.

    *

    Erba e latte

    Mansueta di campani la sera remota
    alle finestre pallide di cielo
    odora umido, e tace in gradini la casa vuota.
    Svanisce, continuo tepore di gelo,

    nella bottiglia verde il latte; nuvole chiare
    lontanano nel fioco armonioso tacere
    della campagna. Sembra compiuto nel limitare
    della mia casa il sonno delle riviere.

    Beato volto al sereno, quasi la notte m’apra
    continuamente a sgorgare in fragranza.
    Tepida e lieve, cauta, mi lambisce una capra:
    odora d’erbe e di muschio la stanza.

    *

    Alba

    Passerà l’alba in un sogno
    al freddo freddo d’ogni casa
    al solitario azzurro del mare.
    È nudo il mondo un’altra volta.

    Erompa il cuore con la mela rossa
    contenta d’esser dura.

    In una selva molle di nuvole e di nevi
    pozz’acre di verde si rimescola il mare.

    Lo spazio smemorato si ridesta
    tra lontananze ventilato leggero.

    *

    Le cose

    Un giorno busseranno ad ogni casa,
    chi vive è già colpevole d’avere
    la sua vita segreta. Scende il buio
    della notte, si resta dietro ai vetri
    ad aspettare come giunge il vasto
    assurdo della quiete. È nelle cose
    di sempre ferme al loro posto il nuovo
    sguardo impietrito: l’angolo deserto
    mette in salvo il fuggiasco o per lo scarto
    gli affaccia la sua muta. Sembra un vano
    delirio questo credere alle cose.

    *

    Carri d’autunno

    Nello spazio lunare
    pesa il silenzio dei morti.
    Ai carri eternamente remoti
    il cigolìo dei lumi
    improvvisa perduti e beati
    villaggi di sonno.

    Come un tepore troveranno l’alba
    gli zingari di neve,
    come un tepore sotto l’ala i nidi.

    Così lontano a trasparire il mondo
    ricorda che fu d’erba, una pianura.

    *

    Vento sulla Giudecca

    I venti, i venti spogliano le navi
    e discendono al freddo
    e sono morti.

    Chi li spiegherà nel rigoglio
    delle accese partenze
    ove squilla più forte più forte il mare
    e l’antenna sventola il mattino?

    Tutta donna tutta forte tutto amore
    ed è rossa la mela, giallo il pane
    della Pasqua d’aprile…

    Ed eri calda
    ed eri il sole, mattone su mattone,
    oltre quel muro la campagna il cielo.

    *

    Osteria flegrea

    Come assidua di nulla al nulla assorta
    la luce della polvere! La porta
    al verde oscilla, l’improvvisa vampa
    del soffio è breve.

    Fissa il gufo
    l’invidia della vita,
    l’immemore che beve
    nella pergola azzurra del suo tufo
    ed al sereno della morte invita.

    (Tutte le poesie, Mondadori, 2017)

    Alfonso Gatto nasce a Salerno nel 1909.
    Nel 1941 ottiene la cattedra di Letteratura Italiana al Liceo Artistico di Bologna. Alfonso Gatto si dedica inoltre alla pittura e alla critica; è anche attore cinematografico. Muore nel 1976 per le conseguenze di un incidente d’auto.

    Fonte: https://poesiaurbana.altervista.org/alfonso-gatto-caffe-letterario/?fbclid=IwY2xjawHJMBtleHRuA2FlbQIxMQABHd_nffF7y2oUpH9dJouH_ZCrLn6nbRpFNhhEZJ3oX7ooV1TnRPyTWC7wrQ_aem_mExjbiU9bjlVte2lwac2Nw

     

    .

    Irene Rapelli

    DELICATEZZA

    Silenzio è il trasparente
    carcere di narcisi da potare.
    Attendono solo
    che una forbice incida
    steli e radici ed il pistillo voli, perpetuamente,
    nell'azzurrità rupestre
    dove l'abisso si apre a cesure ebbre,
    taciute o sfatte di essenza
    più sensuale del seme vincolante,
    in vene e suoni
    di millenni. Sorride
    del germoglio zittito l'aura informe,
    nuda ed aspersa dell'ultima luce
    prima del salto. L'assoluto parla, vivo e nullifico,
    di eternità rubata
    del tremulo sospiro nella bocca
    di fiori della poesia. Ancora qui? Da me
    odi delicatezza, un'agonia
    che pulsa, implode ed esplode, trabocca, piccola morte
    sul margine di ogni rupe, bianchezza, virgola lisa
    di pagine elettriche del sole sfrondato
    ch'emani. L'assoluto canta nero
    duramente, di povera
    immensità ridotta a buio
    nel tuffo d'acqua.

    https://irerapelli.blog/2025/03/13/delicatezza/

     

    .

    Giovanni Perri Agua

    Vorrei veder tramontare ad oriente
    sul breve canale delle canne addormentarmi
    sopra una scia di spari cacciatori
    fuggire gli alberi a ritroso
    e la notte incendiaria sentire
    l'annuncio dei cani arancioni
    vorrei nascondermi nel fieno di maggio
    nell'ampia volta del cielo che pende
    sorridere per un ricordo
    invertir l'ombra mia stessa
    di lividi e dimenticanze
    e d'anni che non ritrovo più.
    Ma d’ore numinose è fatta
    l’anima mia riflessa e d’archi e frecce,
    portami il cuore nella luce a planare
    sopra un acquaio di malinconie
    saltami allegramente sulle sponde
    della mia vena d’oro e scrivimi
    col vento ogni ferita
    degli occhi e della lingua
    io ti sono nel canto padre e figlio
    e fratello dei cocci lunari
    allora fammi terra
    fammi profumo di terra e di stalla
    oppure scovami nella campagna ramata, raggiungimi
    fin dove tocca l’erba la parola
    e non v’è peso
    né formula dei miei destini accumulati.

    .


    Giangiacomo Amoretti

    Solo nella penombra
    più rarefatta e interna,
    di là dalle figure
    stinte dell’iconòstasi,
    fra due colonne, spento
    anche l’ultimo cero,
    vedrò io – senza un lume
    che veli – per un attimo
    sospeso e come assolto
    dal tempo e dal morire –
    l’icona più segreta –
    l’invisibile Volto?

    .

    Settembre. Le ali porpora dei cirri
    sfatti nell'alto, gli esodi infiammati
    fra cielo e cielo dei rondoni, i voli
    e i silenzi e gli spazi,
    le albe, i non ritorni
    per sempre –
    ed i ricordi,
    i ricordi che straziano.

    .

    Spleen

    Malinconia dell’angelo che guarda e che non vede,
    che si avvicina a Dio da sempre e ne è lontano
    più di noi stessi – le sue ali bianche
    più alte di ogni cielo e di ogni nuvola.

    Malinconia di esistere – angelo, uomo o rondine –
    in bilico tra i mondi e sospesi nel tempo.
    La linea del confine sempre oltre.
    Il mare uguale senza un orizzonte.

    E quando si fa sera questo lungo discendere
    come di un velo fumido sulle spiagge deserte.
    Le acque immote, color blu cobalto.
    Sospeso in alto, fioco, il plenilunio.

     

    .

    Mattia Tarantino
    21 luglio '18
    C'è un'estate di sangue e mare. Un secolo che ci obbliga a tramare un'elegia, un'elegia all'Europa che muore.
    Per il Collettivo MalaTerra:

    "Oppure da una lingua del Nord
    sarà la sillaba che gonfia le ossa
    dei morti? Fummo il fanciullo e fummo
    l’acrobata: c’è sempre
    una fune tra luce e precipizio.

    Veniamo a bruciare
    le vertebre al cielo, veniamo
    a invertire la pioggia:

    certi versi sgozzano
    le aquile, altri
    marciscono i vessilli dell’Impero.

    Quest’acqua ci disperde, non conosce
    i nomi cui ha rubato sangue
    e sorte. A quest’acqua
    noi torniamo in obbedienza, senza croci
    che trattengano le stelle.

    Da lontano una Medea
    araba conduce la sardana:
    chi rompe il cerchio lo rimette
    ai margini del tempio.

    Arrivano le schiere: impugnano
    e rovesciano il gerundio;
    arrivano le gazze

    ma tu raccogli solo fiori estinti."

    Mi preme segnalarla a Claudio, Annamaria, Gabriele
    A Ginevra, che ne custodisce il segreto

     

    .

     

    La vita è davvero bizzarra: tutto prende un verso, tutto ha più di un verso, tutto è verso. Ma i versi non sanno molte cose, si perdono, si consumano.
    Per il Collettivo MalaTerra:

    "Ma i versi non sanno
    ingoiare le falene quando sempre
    più nere e sempre
    più feroci insorgono e devastano.

    Non sanno quanti nomi
    possiamo dare agli angeli, quante
    voci setacciare fino all'ultima
    vocale ancora intatta.

    Non sanno quali giri
    porta avanti la fortuna, quali sfere
    interrogare perché i bimbi
    non confondano il sangue con le rose.

    Eppure conoscono
    il mistero delle gazze quando legano
    alle ali un cielo furibondo."

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