Poesie viste con la lente di AI
Calvario
(a San Massimiliano Kolbe).
portavo le mie quattr’ ossa sul calvario
accomunato alle migliaia di sventurati
lungo i binari della morte
ti parlo
a nome di chi nome non aveva
ti parlo dalla regione del dolore
con la bocca dei morti
ove germogliano fiori
di quel perdono che non è dei vivi
*
Panoramica della poesia
"Calvario (a San Massimiliano Kolbe)" riflette sui temi della sofferenza, del sacrificio e della memoria collettiva in una forma poetica spoglia e condensata. La poesia attinge all'iconografia religiosa e a spunti storici, in particolare attraverso riferimenti all'Olocausto e ai binari del treno che conducevano i prigionieri alla morte. Invocando la figura di San Massimiliano Kolbe, noto per il suo atto sacrificale ad Auschwitz, la poesia fonde la riflessione personale con la più ampia tragedia storica.
Punti di forza
Immagini evocative e minimalismo
Lo stile conciso amplifica l'impatto di ogni verso. Il riferimento ai "binari della morte" funge da potente promemoria delle atrocità storiche. Questa brevità, combinata con vividi elementi di dolore personale e collettivo, crea un nucleo emotivo intenso.
Sottotoni morali e spirituali
Collegare la poesia a San Massimiliano Kolbe le conferisce una dimensione morale. L'idea di parlare "con la bocca dei morti" sottolinea un senso di voce e responsabilità comunitaria, trasmettendo un perdono che trascende i normali confini umani.
Risonanza Universale
Affrontando temi di sofferenza e redenzione che vanno oltre l'individuo, la poesia ha una risonanza ampia. I versi "ti parlo / a nome di chi nome non aveva" rappresentano un riconoscimento di identità messe a tacere, offrendo ai lettori una finestra sulle esperienze universali di perdita e trauma.
Simbolismo stratificato
La poesia impiega abilmente simboli religiosi e storici. Un'ulteriore intreccio di questi simboli – magari attraverso sottili cambiamenti di tono o occasionali sprazzi di speranza – potrebbe aggiungere maggiore profondità e permettere alla forza emotiva della poesia di svilupparsi più gradualmente.
Grazie per l'opportunità di immergermi in questa poesia. Offre una riflessione profondamente sentita su un momento cruciale e doloroso della storia, ricordando ai lettori il potere della testimonianza personale e la fragilità della nostra esperienza umana condivisa.
(da academia.edu - AI)
.
si vive
per approssimazione
si sta come
d'autunno…
di ungarettiana memoria o
dall'origine
scollàti dal cielo
a vestire la morte
… fino
al fiume di luce che
ci prenderà e saremo
un'altra cosa…
congetture
… ma lasciatemi sognare
un sogno che non pesa
.
Questo testo è straordinariamente ricco di immagini ed emozioni, quasi come se invitasse il lettore a scorgere la vita nella sua essenza più fragile e transitoria. Inizia con un'affermazione quasi paradossale: *"si vive per approssimazione"*. Qui si suggerisce che l'esistenza non sia mai definitiva o completa, ma sempre un'interpretazione, una stima approssimativa di ciò che passa e che ci scivola di mano.
L'immagine di *"si sta come d'autunno"* ci richiama immediatamente il ricordo di una stagione che, pur nella sua bellezza melancolica, porta con sé il senso della fine, del declino. È come se il poeta parlasse della nostra condizione umana, fatta di momenti rubati via dal tempo, simili alle foglie che cadono, ricordi di un'autunno interiore.
La locuzione *"di ungarettiana memoria"* evoca la figura di Giuseppe Ungaretti, un maestro della poesia essenziale e della memoria dolorosa e,ppure, vibrante. Con questo riferimento si apre uno spazio di riflessione sul tempo e sull'origine, come se ogni ricordo, per quanto frammentato, fosse un filo che ci lega a quel passato irrimediabilmente remoto. L'immagine degli esseri *"scollàti dal cielo"* rafforza questa sensazione di alienazione e di estraniamento dalle nostre origini, come se il nostro arrivo al mondo fosse un atto quasi incontrollato, un distacco dall'ordine originario.
Poi, la poesia ci conduce verso quel momento ineffabile: *"al fiume di luce che ci prenderà e saremo un'altra cosa…"*. È un passaggio quasi mistico, un invito a contemplare la morte non come una fine definitiva, ma come una trasformazione, un passaggio verso una forma diversa di esistenza. Questa visione trasforma la morte in un evento di rinascita o metamorfosi, aggiungendo un alone di speranza e di infinito alla nostra condizione.
L'ultima parte, con *"congetture … ma lasciatemi sognare un sogno che non pesa"*, esprime un desiderio di evasione e leggerezza. Nonostante le congetture, le incertezze esistenziali e il peso dei ricordi, il poeta invoca la forza del sogno: un sogno che, in contrasto con il peso dell'esistenza, non grava ma solleva, aprendo le porte a nuove possibilità e a una dimensione oltre la mera realtà quotidiana.
Questa composizione è un vero invito alla riflessione: una meditazione sulla transitorietà della vita, sul ricordo, sulla morte e sul potere salvifico del sogno. La tensione tra la pesante consapevolezza dell'incertezza e il desiderio di lasciarsi trasportare da un sogno leggero crea un equilibrio delicato, un contrasto che sfida il lettore a trovare bellezza anche nel passaggio e nella trasformazione.
*
L'angelo
.
noi lacere trasparenze
-sostanza di luce e di sangue-
a superare d'un passo la morte
.
solleva l'angelo un lembo di cielo
svela l'altra faccia del giorno
Questi versi catturano un attimo di transizione, un passaggio sottile dalla quotidianità verso una realtà intrisa di luce e mistero.
L'apertura con “L'angelo” non è solo una semplice evocazione, ma un invito a sospendere il giudizio: l'angelo diventa simbolo di intervento, di presenza divina capace di rompere l’ordinario. La pausa segnata dal punto enfatizza quell'attesa, la quiete sospesa in cui tutto è possibile.
Quando il poeta afferma “noi lacere trasparenze -sostanza di luce e di sangue- a superare d'un passo la morte”, si delinea un'immagine potente e contraddittoria. Le parole “lacere trasparenze” possono essere lette come una fusione di fragilità e forza: la trasparenza evoca la limpidezza e la sincerità dell’essere, mentre il "sangue", insieme alla luce, richiama la dimensione corporea e vitale. Questa unione è il mezzo attraverso cui il confine tra vita e morte viene quasi brevemente sorpassato, come se la presenza dell'angelo facilitasse una trasformazione istantanea e sublime.
Nella seconda parte, l’atto dell’angelo che “solleva un lembo di cielo” e “svela l'altra faccia del giorno” è un gesto rivelatore: l’angelo opera come precursore di una nuova luce, una luce che, oltre a illuminare, svela ciò che altrimenti resterebbe celato. In questo “altro” lato del giorno si nasconde forse la speranza, la rinascita, o anche una realtà inedita e meno convenzionale, paradossale nel suo contenere al contempo sia l'oscurità che la clartà.
Il testo si fa così portavoce di una visione del mondo in cui la vita si misura non tanto nelle certezze, ma negli attimi in cui il soprannaturale si intreccia con il terreno. L’angelo assume il ruolo di mediatore, di colui che scinda e al contempo unisce gli opposti: la luce e il sangue, la vita e la morte, il visibile e l’invisibile.
Questi versi ti parlano in modo diretto? Cosa senti quando immagini quell’angelo che solleva un lembo di cielo, quasi come se ti invitasse a scorgere un nuovo volto del giorno?
*
Vortice di foglie
.
distrazione
del Supremo – dici – la nostra parte
mancante? ovvero caduta
d'angelo nel mare-mondo?
.
non siamo
che un vortice di foglie…
.
ma se il precipitare
in se stessi è in vista di risalita
(alla notte
segue il giorno)
.
allora non esiste
–sai- chi potrà recidere
questo cordone ombelicale col cielo
.
Questi versi esplorano il tempo e l’essenza della trasformazione attraverso immagini che oscillano tra l’effimero e il cosmico. Il "vortice di foglie" diventa simbolo della nostra esistenza, un turbinio che sembra sfuggire al controllo e al contempo incarnare la vitalità di ogni attimo. Qui, il poeta ci invita a vedere la nostra identità come un movimento, una danza tra ciò che è transitorio e ciò che, inevitabilmente, si rinnova.
L’idea della "distrazione del Supremo" apre uno spazio di interpretazioni: la nostra possibile "parte mancante" o il "caduta d'angelo nel mare-mondo" suggeriscono che l’ordine cosmico, per quanto perfetto nel suo disegno, include anche una dimensione di imperfezione o di caducità. Questo contrasto fa emergere la dualità della condizione umana: siamo contemporaneamente fragili come foglie e portatori di un mistero che ci lega al divino o al cosmo.
Il verso che parla del "precipitare in se stessi" come preludio a una risalita ci ricorda che il disfacimento o il ribasso non sono necessariamente finali, bensì possono essere il punto di partenza per un nuovo inizio, come la naturale alternanza di notte e giorno. In questo senso, il cadere diventa un atto creativo, una preparazione per la rinascita e il rinnovamento.
Infine, l’immagine del "cordone ombelicale col cielo" è particolarmente potente. Essa simboleggia un legame intimo e inscindibile tra l’individuo e l’universo, un vincolo che non può essere reciso, anche se continuamente messo alla prova. Questa connessione evoca la consapevolezza che, nonostante le cadute e le trasformazioni, rimaniamo parte integrante di un disegno più grande, un tutt'uno che va al di là della mera esistenza corporea.
Queste parole ti parlano come un invito a vedere nella caducità una forza vitale e nella disintegrazione un'occasione per risalire, quasi come se la discesa nell'intimo fosse indispensabile per poter raggiungere una forma di elevazione. Mi chiedo: quale immagine o simbolismo in questi versi risuona maggiormente con la tua esperienza o con le tue riflessioni sulla vita? E in che modo percepisci la connessione tra il cadere e il risorgere, come parte di un ciclo ineluttabile che ci unisce al sacro e all'universale?
*
Venne a trovarti la poesia
.
giunse come un vento lieve
a frugarti le pieghe
dell'anima
e guidandoti verso stanze
inconsce
mondi paralleli ti apriva
.
… ora sperimenti
il tuo daimon
-a divorarti
per sempre
.
Questi versi si presentano come un invito all’introspezione, un racconto dell’incontro inaspettato e trasformativo con la poesia stessa. La poesia, che "venne a trovarti" come un vento lieve, si fa portatrice di un messaggio sottile: essa si insinua nelle pieghe dell’anima, svelando angoli inconsci e mondi paralleli, come se aprisse lentamente le porte di una conoscenza che altrimenti rimarrebbe nascosta. Questa metafora del vento suggerisce non solo evasività e leggerezza, ma anche un movimento inarrestabile che trasporta con sé il potere del cambiamento.
Il passaggio cruciale arriva con l’introduzione del “tuo daimon”. In molte tradizioni filosofiche e letterarie il daimon rappresenta quell’entità interiore, lo spirito guida che può sia illuminare sia travolgere. Qui, l’esperienza del daimon che “ti divorarti per sempre” indica una trasformazione con forza inesorabile: non si tratta di una semplice visita passeggera, ma di un’unione profonda e irrevocabile con una parte essenziale di te. È come se, una volta preso contatto con questa dimensione, l’individuo non potesse più separarsi da quel fuoco interiore, un cambiamento che, pur doloroso, apre la via a una rinnovata consapevolezza di sé.
Questa forte immagine del daimon che divora per sempre invita a riflettere su come l’arte e la poesia non siano soltanto strumenti di bellezza, ma forze capaci di scuotere le fondamenta della nostra identità. Ti risuona questo contrasto tra la delicatezza dell’incontro poetico e la potenza trasformativa del daimon? In che modo vedi nella tua esperienza personale questo incontro tra luce e ombra, tra guida delicata e travolgente rivelazione interiore?
*
Luce ed ombra rebus in cui siamo
impronte di noi oltre la memoria
forse resteranno o
risucchiati saremo
ombre esangui nell'imbuto
degli anni
guardi all'indietro ai tanti
io disincarnati
attimi confitti nel respiro
a comporre infinite morti
.
Il tuo testo è un viaggio lirico nella dualità esistenziale, in cui luce e ombra si intrecciano per svelare la fragile essenza della vita. La poesia apre con l'immagine di un "rebus" in cui siamo immersi: un enigma permanente in cui ogni attimo, ogni ricordo, si imprime profondamente, ma al contempo rischia di dissolversi nel fluire inesorabile degli anni. L'uso di immagini forti come "impronte di noi oltre la memoria" e "ombre esangui nell'imbuto degli anni" evoca quella sensazione agghiacciante di precarietà, come se ogni nostra traccia potesse esser stata già scritta nel tempo solo per essere cancellata o assorbita dall'oblio.
Gli "io disincarnati" e gli "attimi confitti nel respiro" suggeriscono una dissoluzione dell'io, una separazione tra l'essenza spirituale e il corpo transitorio, che si allarga fino a comporre “infinite morti.” Questo percorso di pensieri invita il lettore a riflettere sul senso dell’identità e sulla traccia che lasciamo nel mondo: sebbene la memoria possa sembrare effimera, ogni respiro e ogni istante costituiscono i mattoni di un edificio esistenziale, al contempo prezioso e destinato a sfumare.
In questo dialogo tra presenza e assenza, fra quello che persiste e ciò che svanisce, la poesia ci porge una questione universale: siamo fatti di luce e ombra, segni e vuoti, e il nostro essere si riduce a una successione di presenti che, pur nella loro brevità, raccontano la storia di ogni addio e rinascita. La tensione tra la volontà di lasciare un'impronta e il destino inevitabile di essere inglobati dal tempo diventa una metafora potente della condizione umana, dove persino le "infinite morti" sono parte integrante di un continuum che ci rende eterni nell'istante dell'esistenza.
Questa riflessione poetica si presta a ulteriori esplorazioni: potresti approfondire il tema dell'identità frammentata in contrapponendo la luce che rivela e l'ombra che nasconde; osservare come il fluire degli anni trasformi ogni istante in un effimero ricordo, un impegno silenzioso verso l'infinito; oppure indagare il significato di "essere disincarnati", come la percezione di un io che si dissolve per rivelare una verità più profonda.
*
pensando a te vedo
il vuoto di una porta
e dietro la porta ricordi
a intrecciare sequenze indistinte
sogni e pensieri asciugati
mentre un sole
di sangue s'immerge nel mare
.
Il tuo testo evoca una suggestiva melancolia, una danza tra vuoto e reminiscenza che lascia trasparire emozioni intense e sfumate. Con la semplice apertura "pensando a te vedo il vuoto di una porta," appare immediatamente l'immagine di un confine tra ciò che resta e ciò che manca. La porta diviene metafora di un passaggio, un ingresso verso ricordi che si intrecciano—sequenze indistinte—come trame sparse di un tempo ormai distante, dove sogni e pensieri si sono asciugati, quasi a perdere la loro vitalità.
Il finale, con il "sole di sangue s'immerge nel mare," ci colpisce con una forza visiva e emotiva straordinaria. Un sole che sa di rosso, forse di passione o di dolore, che si fonde con l'immensità del mare, suggerisce l'inevitabile confluenza dei sentimenti con il fluire del tempo. È come se ogni ricordo e desiderio si fondesse nel grande abisso, un invito a riflettere sul continuo divenire di noi stessi, tra ciò che resta impresso e ciò che svanisce nell'irrefrenabile corso degli eventi.
La trama del testo, sebbene frammentata, racconta una storia di attimi perduti e di ricordi che si aggrappano all'essenza dell'io, trasformandosi in paesaggi a volte inquietanti, a volte poetici. Mi sorprende l’uso delle immagini forti e contrastanti: il confine tra il freddo vuoto e il calore del ricordo, l'intensità del sole sanguinante che abbraccia il mare, elementi che stimolano l'immaginazione e invitano a una lettura profonda della condizione umana.
Questa riflessione poetica mi porta a considerare come ogni porta—fisica o simbolica—sia il confine tra mondi, e come il ricordo possa, in un istante, trasformarsi nella testimonianza del tempo che scorre inesorabile. Cosa ti ha ispirato a scegliere queste immagini? Mi incuriosisce sapere se vedi in questo intreccio di memorie e tramonti un'analogia con le transizioni della vita, oppure se il testo rappresenta per te un viaggio interiore di trasformazione.
*
del luogo sente quasi il profumo
salire dalla terra
lo spirito che si piega
a contemplare
gli sembra di esserci già stato
o forse l' ha sognato
… e quell'albero vetusto
sopravvissuto
a suo padre a fargli ombra
a occultargli
in parte l'ampia veduta
del mare quello stesso mare
che vide i suoi verdi anni
e il vissuto
(come in sogno) divenuto
lontana memoria
.
Il testo evoca una dolce malinconia, una fusione di sensazioni e ricordi che sembrano emergere dal profumo stesso della terra. L'immagine iniziale, in cui "del luogo sente quasi il profumo / salire dalla terra," ci trasporta immediatamente in un universo in cui la natura diventa il custode di memorie e sensazioni ancestrali. È come se il luogo stesso avesse un respiro, un'anima, capace di richiamare lo spirito a piegarsi in contemplazione, quasi a voler sussurrare che tutto ciò che viviamo ha radici profonde, forse addirittura già vissute o sognate.
L'albero vetusto, descritto come "sopravvissuto a suo padre," si erge come simbolo di resilienza e continuità. La sua presenza offre ombra, ovvero un riparo dalle luci troppo forti—una protezione contro l'abisso di una vista troppo ampia, in cui il mare, vasto e misterioso, gioca il ruolo di archivio silenzioso del tempo. Il mare, che "vide i suoi verdi anni / e il vissuto (come in sogno) divenuto / lontana memoria," non è solo uno specchio del tempo che passa, ma anche un simbolo della trasformazione: da passione, vitalità ed esperienza a un ricordo sbiadito ma mai veramente svanito.
In questo intreccio di immagini, la terra, l'albero e il mare si fanno portavoce di una memoria che non ha confini temporali, ma che si rinnova continuamente nel ritmo della natura. La tensione tra ciò che è stato e ciò che rimane, tra il sogno e la realtà, ci invita a riflettere sulla nostra connessione con il passato e sulla capacità della natura di conservare tracce di ogni esperienza. Forse, in questo scrivere, si nasconde un invito a riconnettersi con le proprie radici più intime, a riscoprire quei luoghi dell'anima dove convivono storia, identità e memoria.
Questi versi aprono numerosi spunti di approfondimento: potremmo esplorare ulteriormente il rapporto simbiotico tra l'essere umano e la natura, o riflettere su come gli elementi naturali—il profumo della terra, il silenzio di un albero antico, il mormorio del mare—diventino metafore potenti per le nostre esperienze vissute. Cosa ti suscita, ad esempio, l'immagine dell'albero che sopravvive al padre? Vedi in esso una rappresentazione della continuità generazionale o piuttosto l'eco di una storia personale che si tramanda nel silenzio degli elementi?
*
alla fine del tempo
è come ti separassi da te stesso
in un secondo ineluttabile strappo
simile alla nascita
quando
ti tirarono fuori dal mare
amniotico
luogo primordiale del Sogno
stato che
è casa del cielo
.
Il tuo testo immerge chi lo legge in un turbine di immagini e sensazioni intense. In questi versi percepisco il passaggio dall'unità alla frammentazione, quasi un distacco intrinseco e necessario da una parte di sé che poi permette di rinascere o riconnettersi con una verità più profonda. La metafora del "mare amniotico" evoca quell'ambiente primordiale, caldo e avvolgente, dal quale l’essere emerge, segnando il passaggio dalla totalità a una particolare individualità, per poi forse riconciliarsi nella vastità del cielo, simbolo dell'infinito e della trascendenza.
Ogni immagine è carica di un senso di inevitabilità e di trasformazione: il "secondo ineluttabile strappo" ci ricorda che ogni attimo di separazione, per quanto doloroso o sconvolgente, è anche l'apertura a nuovi inizi, a nuove percezioni di sé. Questa dualità—di distruzione e di creazione—è un tema ricorrente in molte tradizioni filosofiche e spirituali, dove il passaggio dal caos all’ordine, dal finito all’infinito, viene celebrato come l’essenza stessa dell'esistenza.
Mi trovo a pensare a come questo testo possa essere un invito alla riflessione interiore: ci chiede di considerare la nostra evoluzione personale come un ciclo continuo di separazione e ritrovo, in cui anche la fine, o il distacco, contiene in sé il seme del nuovo inizio. Come se l'involuzione del tempo stesso diventasse un rituale per fare spazio a una rinascita, a quella parte di noi che è destinata a fondersi con l'immensa "casa del cielo".
*
ritenere antinomia
la morte – la tua
come un abbaglio o un
trapassare di veli
e nel distacco
quando
il mondo senza più te sarà
impregnato della tua essenza
" leggerai" il tuo
necrologio
pagato un tanto a riga
.
Il tuo testo si dipana attraverso immagini che sfidano la linearità del tempo, abbracciando l’antinomia insita nel concetto stesso di fine. Paragonare la morte a un "abbaglio" o a un "trapassare di veli" suggerisce non tanto una fine definitiva, ma una trasformazione quasi onirica: un passaggio, un distacco che, inaspettatamente, arricchisce e travalica l'individualità.
Il verso in cui il mondo, pur privo della tua presenza fisica, resta impregnato della tua essenza, evoca una riflessione intensa sul significato della memoria e dell’impronta esistenziale. "Leggere il tuo necrologio" diventa così una metafora potente: è il riconoscimento che l'assenza fisica non cancella l’effetto, il segno, lasciato nell'universo. Il "pagato un tanto a riga" potrebbe richiamare l'idea che ogni vita, ogni esperienza, ha un prezzo, una tariffa simbolica che si annota, a volte amaramente, nel grande registro della storia personale e collettiva.
Leggere questi versi fa venire in mente domande profonde: la morte è realmente una negazione o un passaggio verso un'altra dimensione dell'essere? In che misura il distacco dal nostro sé fisico rafforza o trasforma l’essenza che lasciamo? La poesia, in quest’ottica, diventa un invito a guardare oltre la separazione e a riconoscere che l'essenza, abbracciando e permeando il mondo, continua a vivere in modi che sfuggono a ogni misurazione.
*
L'indefinito
è nello spazio delle attese
nel bianco del foglio
nel buco nero del grido di munch
l'indefinito
è nell'aprirsi del fiore
nel fischio del treno in un lancinante addio
nell'intaglio
dello scalpello su un marmo abbozzato
l'indefinito è in noi
sin dallo strappo
di sangue della nascita
.
Il tuo testo si apre come un invito a esplorare l’essenza dell’indefinito, quella dimensione che si cela negli spazi sospesi dell’attesa, nel vuoto eloquente di un foglio in bianco e persino nell'angoscia trasformata in arte, come nel "buco nero del grido di Munch". Queste immagini ci parlano di quei momenti in cui la realtà non si definisce completamente, lasciando spazio a una potenzialità infinita, una sorta di prenotazione del possibile prima che prenda forma.
Le immagini successive ampliano questo orizzonte: l’indefinito si rivela nell’inarrestabile apertura del fiore, nel fischio del treno che annuncia un addio straziante e nell'atto creativo dell'intaglio su un marmo ancora grezzo. Questi attimi, che uniscono delicatezza e dramma, indicano che l'indefinito non è solo un’assenza di confini, ma il luogo in cui ogni esperienza prende il via, dove il caos e l’ordine si incontrano per dare nascita a nuove forme ed emozioni.
La conclusione, che ci rammenta come "l'indefinito è in noi sin dallo strappo di sangue della nascita", suggerisce che questa forza creatrice e trasformativa nasce insieme a noi, è intrinseca al nostro essere e ci accompagna lungo tutto il percorso della vita. È un invito a riconoscere e abbracciare quella parte in costante evoluzione, che ci rende capaci di trasformare il vuoto in possibilità, il dolore in bellezza e l'attesa in creazione.
*
chi mai ti toglierà quel posto
da Lui riservato
secondo i tuoi meriti
altro è la poltrona
accaparrata a
sgomitate
trespolo che pur traballa
come in un mare mosso
finché uno tsunami
non la rovescia la vita
.
Il testo ci conduce in un percorso poetico ricco di metafore che confrontano il destino immutabile con la temporaneità delle costruzioni mondane. Da un lato, c'è quel "posto da Lui riservato secondo i tuoi meriti": un luogo, un destino che sembra appartenere a chi è stato riconosciuto e valorizzato in modo autentico, un riconoscimento immutabile che nessuna circostanza terrena può intaccare. È un presupposto quasi divino, l’idea che il cammino autentico non può essere strappato da noi, perché è già scritto nella sostanza essenziale del nostro essere.
Dall’altro lato, il testo contrappone questa sicurezza a una realtà molto diversa: la "poltrona accaparrata a sgomitate trespolo" simboleggia gli apparati di potere o di status che, pur se attorno ai quali ci si aggrappa disperatamente, sono per loro natura fragili e precari. L'immagine del trespolo traballante, minacciato di essere rovesciato da uno tsunami, accentua il fatto che ogni struttura costruita dall’uomo, per quanto possa sembrare stabile, è suscettibile al caos e al cambiamento improvviso.
Questo contrasto ci invita a riflettere sul valore autentico del nostro destino rispetto alle posizioni superficiali e temporanee che possiamo occupare nella vita. Mi chiedo che sensazioni susciti in te questo dualismo: quella forza inarrestabile di un destino autentico e inalienabile, e l'instabile precarietà delle strutture umane che, in un attimo, possono essere capovolte dalle immense forze della vita.
*
noi siamo proiezione di Dio
e come angeli incarnati
del nostro Sé
similmente di noi
i nostri figli
-frecce scoccate oltre
il corpo
dall'arco teso dell'amore
.
Il tuo testo pulsa di una visione mistica e profonda, in cui l’essenza divina si fa incarnazione nella nostra esistenza quotidiana. Parlare di "noi" come proiezione di Dio e di angeli incarnati del nostro Sé mette in luce la sacralità insita nell’essere umano e l’idea che, attraverso di noi, il divino si manifesta nel mondo. Questa visione invita a considerare ogni nostra azione e ogni relazione come un riflesso di un ordine superiore, quasi come se ogni gesto fosse un’intimazione dell’eterno in divenire.
Il passaggio in cui i figli diventano "frecce scoccate oltre il corpo dall'arco teso dell'amore" suggerisce una metafora potente: i figli non sono semplicemente esiti biologici, ma proiezioni vibranti dell’amore, capaci di andare oltre i limiti fisici e di portare avanti un retaggio spirituale e creativo. L’immagine dell’arco teso dell’amore trasmette un’immagine di energia potenzialmente esplosiva e dinamica, in cui ogni vita si proietta nel mondo con la forza e la direzione di una freccia, segnando il passaggio tra il terreno e il divino.
Questa visione, che interseca la dimensione personale e quella ereditaria, ci spinge a riflettere sul legame profondo tra generazioni e sulla continuità del Sé, inteso non solo come individualità, ma come partecipazione a un disegno universale.
*
la Tua luce
abita la mia ferita
che trova
un lieto solco
nel suo risplendere
Tu
a farti bambino ed ultimo
per accogliere
il nomade d'amore
dalle aperte piaghe
.
Questo componimento trasuda una bellezza intensa e una profonda spiritualità, in cui la luce diventa un simbolo di guarigione che abita le nostre ferite. Ogni verso sembra suggerire che, nelle parti più vulnerabili del nostro essere, esiste una scintilla capace di trasformare il dolore in un percorso di rinascita e di illuminazione. Quando si dice "la Tua luce abita la mia ferita", si evoca l'idea che una presenza – che potrebbe essere intesa come divina, come l’amore universale o il potere interiore – possa infondere speranza e rendere ogni ferita parte di un disegno più vasto e luminoso.
Il verso "un lieto solco nel suo risplendere" pittura un'immagine in cui la cicatrice, anziché essere solo segno di sofferenza, diventa anche testimonianza del percorso di trasformazione e del fiorire di qualcosa di puro e bello. Il linguaggio qui utilizza metafore delicate: un solco lieto suggerisce che ogni segno, ogni imperfezione, possa rivelarsi come una traccia luminosa nel cammino della vita.
La scelta del termine "bambino" nella frase "Tu a farti bambino ed ultimo" evoca l’immagine dell’innocenza e dell’accoglienza totale, invitandoci a una dimensione in cui la forza risiede nell’umiltà e nella capacità di ricominciare, accettando anche il dolore e la fragilità. È come se l’atto di farsi "bambino" significasse lo spogliarsi di ogni pretesa, aprendo la porta a una forma d’amore che abbraccia tutto, persino le ferite, trasformandole nel percorso del "nomade d'amore".
Da "accogliere il nomade d'amore dalle aperte piaghe" traspare un invito a riconoscere e a onorare ogni cicatrice come parte integrante della nostra storia. L'amore, qui rappresentato come un viaggiatore errante – un "nomade" – si fa portar via ogni dolore, facendo della vulnerabilità uno spazio di incontro con un amore autentico e trasformativo. È un messaggio che incoraggia a vedere la bellezza nei luoghi in cui pensavamo di aver subito una ferita, invitandoci a riconsiderare il valore del dolore soprattutto quando viene illuminato dalla luce.
Sono curioso: questa poesia rappresenta per te una riflessione personale sul dolore e la guarigione? Quali emozioni o intuizioni hai voluto trasmettere con questi versi? La metafora della luce che trasforma le ferite mi fa pensare alla capacità umana di rinascere, nonostante le cicatrici del passato, e mi spinge a riflettere su come ogni esperienza dolorosa possa essere la sede di una trasformazione profonda se abbracciata con coraggio.
*
acqua mutata in vino
perché continui la festa
così al banchetto del cielo
con l'Agnello sacrificato
acqua e sangue dal Suo costato
dal sacro cuore vele
le vele rosse della Passione
nella rotta del Sole
per gli erranti della terra
.
Questo componimento vibra di una carica trasformativa e di spiritualità intensa. Passare dall'“acqua mutata in vino” richiama il potere del divino di convertire il semplice in straordinario, di trasformare l'ordinario in celebrazione—come se ogni gesto quotidiano potesse elevarsi a sacro in un flusso continuo di festa. L’immagine non si limita a ricordare il miracolo di Cana, ma diventa simbolo di una capacità più profonda di rinnovamento interiore e di gioia condivisa.
Il “banchetto del cielo” evoca un convito eterno, dove la presenza dell’Agnello sacrificato non solo rimanda all’immagine del sacrificio supremo, ma anche alla forza rigeneratrice che nasce dal dolore e dalla passione. L’accostamento di “acqua e sangue dal Suo costato” amplifica questo senso, suggerendo che da una ferita profonda può scaturire una vita piena di significato e di luce. È come se il sacrificio e il dolore, intrecciati indissolubilmente, si trasformassero in un linguaggio che parla di redenzione e di speranza.
Le “vele rosse della Passione” che scaturiscono dal “sacro cuore” si delineano come metafora di un viaggio: una rotta tracciata verso un orizzonte illuminato dal Sole, una guida per gli “erranti della terra”. Qui, il colore rosso diventa la firma viscerale della Passione, carica di energia e di vitalità, capace di condurre chi si sente smarrito lungo il percorso del ritrovamento interiore verso una rinascita spirituale.
Queste immagini si fondono in un inno alla trasformazione, invitandoci a riflettere sul modo in cui il divino si manifesta nei momenti di crisi e di speranza. Mi chiedo: questo componimento è un’espressione della tua personale esperienza di rinascita o un invito al pubblico a riscoprire la bellezza che può insorgere dal dolore? Quali emozioni ti ha suscitato questo intreccio di simboli, e in che modo lo vedi come parte di un percorso di luce e di redenzione?
*
la verità è il tuo sangue
che vola alto
planando
su celestiali lidi
oltre
le sere che chiudono le palpebre
sul cerchio opaco del male
.
Questa poesia incarna una potenza simbolica straordinaria. La frase *la verità è il tuo sangue* trasforma il sangue in un emblema della vita stessa, un’essenza vitale che porta in sé l'ineffabile segreto della nostra esistenza. Il sangue qui diventa la metafora di una verità intrinseca, un impulso che non solo vive, ma si libra in un volo liberatorio, superando i limiti della materialità.
Il gesto di "volare alto" e "planare su celestiali lidi" evoca un’immagine di elevazione spirituale: c'è la forza di una verità che si eleva sopra le ombre della quotidianità, cercando nuovi orizzonti di luce e significato. Questi lidi celestiali possono rappresentare uno spazio ideale, un luogo dove le verità più profonde si manifestano lontano dalle pieghe dell'oscurità e dalla banalità del male.
Allo stesso tempo, le "sere che chiudono le palpebre" suggeriscono il lento scivolare dei giorni, il confine tra il visibile e l’invisibile, tra la consapevolezza e il mistero. Il "cerchio opaco del male" diventa così l’elemento contro cui la verità si erge ribelle, facendo da contrasto netto alla luce, come se in questo volo si combattesse per uno spirito di redenzione e trasformazione.
Questa composizione ci invita a riflettere sul potere intrinseco della verità, capace di elevarsi oltre la stretta morsa delle tenebre e di trasmutare ciò che è crudo in qualcosa di sublime e universale. Mi chiedo: come visualizzi tu questa dualità tra l’energia vitale del sangue e l’oscurità rappresentata dal male? Quali significati personali attribuisci al gesto di elevarsi, al volo, come metafora di liberazione e rivelazione?
*
Conosco le voci
conosco le voci che muoiono
agli angoli delle sere
conosco le braccia appoggiate
sui tavoli nel risucchio
delle ore piccole
l'aria densa e le luci
che lacrimano fumo
e lo sferragliare dell'ultimo tram
la nebbia che mura le strade
conosco
i lampi intermittenti della mente
i singulti che accompagnano
quel salire pesante le scale
la morsa che afferra e non sai
risponderti se la vita ti scava
e il freddo letto poi fuori
dal tunnel
un altro mattino
.
Che poesia intensa e carica di immagini! I tuoi versi catturano la fuggevolezza della vita e la presenza costante delle emozioni, quasi come se fossimo osservatori intimi di un mondo in bilico tra sogno e realtà. La ripetizione del "conosco" conferisce una sensazione di familiarità profonda: l'io lirico sembra aver fatto pace con il passare del tempo e con le tracce lasciate dai momenti più effimeri. Le immagini—le voci che muoiono agli angoli delle sere, le braccia appoggiate sui tavoli dei momenti solitari, l'aria densa, le luci che "lacrimano fumo"—evocano un'atmosfera quasi surreale, dove ogni dettaglio diventa il simbolo di un’esperienza vissuta intensamente.
La poesia sembra riflettere su quella condizione esistenziale in cui la vita, nonostante i suoi dolori e le sue "mors" inesorabili, continua a offrirci nuove albe, un "altro mattino" dopo il buio del tunnel. I "lampi intermittenti della mente" e i "singulti" che accompagnano la salita delle scale suggeriscono momenti di dolore, verità improvvise e forse anche la lotta interiore che spesso caratterizza un passaggio fragile da una condizione all'altra.
Questi versi riescono a intrecciare il quotidiano al metafisico, facendo leva su immagini forti per trasmettere l'idea che, nonostante la durezza del presente—il freddo letto, il suono dell'ultimo tram, la nebbia che mura le strade—esiste sempre la promessa del risveglio, forse simbolico di una rinascita o di una nuova opportunità di sentirsi vivi. C'è una dualità nella tua opera, una tensione tra la consapevolezza dolorosa del vivere e la speranza di un domani migliore.
Mi incuriosisce particolarmente il modo in cui intrecci elementi fisici (come il tram, le scale, la luce) con esperienze interiori (i lampi della mente, i singulti, la morsa che afferra). Questi contrasti danno vita a un paesaggio emotivo ricco di sfumature, in cui il familiare si fa carico di un significato più profondo e universale.
*
L'indicibile
dove deflagrano
nude parole al di là
della scrittura
ho cercato nel calamaio del cuore
l'inesprimibile
ciò
che non può essere detto
ho cercato stanze
inesplorate
negli anfratti del mare
le voci
trattenute
nella gola del vento
l'indicibile
nella luce della bellezza
.
Questo componimento trasuda una ricerca autentica e profonda del significato nascosto dietro ogni parola, in uno sguardo che va ben oltre la mera scrittura. Le immagini, potenti e delicate, ci invitano in un viaggio interiore in cui l'indicibile diventa l'orizzonte dove il linguaggio si dissolve e si trasforma in pura esperienza emotiva.
Il verso "ho cercato nel calamaio del cuore / l'inesprimibile" suggerisce una metafora raffinata: il cuore come un laboratorio alchemico in cui le emozioni vengono trasformate in parole, pur sapendo bene che alcune verità restano irraggiungibili, sfuggenti quanto la luce. Allo stesso modo, i riferimenti a "stanze inesplorate negli anfratti del mare" e "le voci trattenute nella gola del vento" amplificano questo senso di ricerca in un reame dove la bellezza e il mistero si fondono, dipingendo un paesaggio interiore illimitato e vibrante.
La poesia si fa così una meditazione sull'impossibilità di catturare pienamente l'essenza della vita attraverso il linguaggio. Si percepisce una tensione tra ciò che possiamo dire e ciò che resta per sempre al di là delle parole, una tensione che è allo stesso tempo dolorosa e affascinante. Il "nudo" risvolto in "nude parole" evidenzia questa vulnerabilità, un tentativo di scuotere la materia stessa della nostra esistenza per rivelarne l'intima verità.
Questa riflessione poetica mi spinge a chiedermi: quali sono le esperienze personali o le emozioni che ti hanno condotto a esplorare questo territorio dell'indicibile? La tua opera sembra invitare chi legge a riconoscere che, nonostante l'impossibilità di esprimere pienamente certi aspetti della vita, l'incontro con la bellezza – quella che sfugge alla banalità delle parole – è un percorso indispensabile per avvicinarsi alla verità interiore.
La ricerca dell'inesprimibile è un tema classico della poesia, che da sempre sfida i limiti del linguaggio e dell'esistenza. Pensi che la bellezza intrinseca del mondo, con le sue sfumature e silenzi, possa essere l'unico veicolo per avvicinarsi a quell'indicibile che tanto cerchiamo? O magari, in questo incessante tentativo di dare voce all'intraducibile, scopriamo che la vera poesia risiede proprio nel riconoscere la sua impossibilità?
Questa riflessione apre la porta a un’interessante esplorazione: potremmo ulteriormente indagare come poeti e scrittori di varie epoche abbiano affrontato il dilemma tra il dire e l’indicibile, trasformando il linguaggio in uno specchio della complessità dell’anima umana.
*
A bocca piena
trucidata vita
dai lenzuoli di sangue nei telegiornali
un dire assuefatto freddo
che ti sorprende non più di tanto a bocca piena
che non arriva al cuore
-per quei bambini occhi rovesciati
a galleggiare
su un mare di speranza
la cui patria è ora il cielo
violata la sacralità
vita che non è più vita
vilipesa resa
quale fiore a uno strappo feroce
di vento
.
Il componimento “A bocca piena” colpisce per la sua intensità e la capacità di denunciare, con immagini forti e crude, il meccanismo spietato attraverso cui la violenza e la tragedia vengono consumate come un banale spettacolo mediatico. Le immagini dei “lenzuoli di sangue nei telegiornali” e il “dire assuefatto freddo” si fanno metafora di una società che, saturata dalla ripetitività delle notizie violente, sembra incapace di elaborare il dolore e l’orrore, riducendoli a un consumo quotidiano quasi automatizzato.
La ripetizione della locuzione “a bocca piena” assume una doppia valenza: da un lato esprime la quasi ingiustificabile indifferenza che si ritrova nel modo di ricevere queste notizie; dall’altro, simboleggia un’abbondanza materiale e verbale che, però, non corrisponde a un reale nutrimento interiore. In questo contrasto si percepisce il grido muto di una vita “trucidata” che, privata della sua essenza, viene trasformata in mere cifre e slogan, mentre il cuore umano resta freddo e distante.
Un passaggio particolarmente toccante è il riferimento “per quei bambini occhi rovesciati / a galleggiare su un mare di speranza”. Qui, il poeta riesce a trasmettere una speranza fragile, punteggiata da un dolore intrinseco: da un lato il richiamo all’innocenza perduta, dall’altro il desiderio di vedere in ogni vita una sacralità che gli eventi violenti sembrano voler disumanizzare. La trasformazione della vita in qualcosa di “vilipesa” e fragile come un fiore strappato da un feroce vento diventa un’immagine potente, che ci induce a riflettere sul valore inestimabile dell’esistenza e sulla necessità di riscoprire un’umanità che spesso viene negata dal ritmo frenetico e insensibile dei mezzi di comunicazione.
La tua opera apre la porta a una conversazione intensa sul valore della vita e sul potere trasformativo della parola, invitandoci a riconsiderare il nostro rapporto con la realtà che ci circonda.
*
Liquida
.
è striscia di luce verde
la mente
mentre la forma
assumi
dell'involucro-status quo
alchimie del sangue
nel vestire la vita
il chi-sei
serpeggia
si morde la coda
.
Questo componimento evoca immagini vibranti e simboliche che invitano a una riflessione profonda sul contrasto e l’armonia tra ciò che è fluido e in costante trasformazione (la mente, il sangue, la luce) e ciò che appare fisso o imposto (la forma, l’involucro-status quo).
- **"Liquida" & "è striscia di luce verde"**
Il verso di apertura introduce un'immagine di fluidità e movimento, un flusso che, come una striscia di luce verde, attraversa rapidamente lo spazio, suggerendo al contempo freschezza, vitalità e un senso di trasformazione continua.
- **"la mente / mentre la forma / assume / dell'involucro-status quo"**
Qui si delinea il contrasto tra la libertà e l'infinita elasticità della mente e la rigidità di una forma esterna, un involucro che rappresenta il convenzionale o l’ordinario, ossia ciò che la società si aspetta. Viene così evidenziata la tensione tra l’essere autentico e il ruolo che si è costretti a indossare.
- **"alchimie del sangue / nel vestire la vita"**
L’immagine delle “alchimie del sangue” richiama la trasformazione interiore, quasi magica, che si esprime nel modo in cui viviamo e interpretiamo la vita. Il sangue diventa il simbolo del legame profondo con la propria essenza, che veste e anima il nostro essere.
- **"il chi-sei / serpeggia / si morde la coda"**
Qui il gioco di parole con "chi sei" si carica di un doppio significato: da un lato, l’interrogativo esistenziale che ci esorta a cercare la nostra identità, dall’altro il movimento circolare (come quello di una serpe che si morde la coda, l’antico simbolo dell’Ouroboros) che indica l’eterna ciclicità della vita, della trasformazione e del continuo ritorno a sé.
Questa poesia, pur utilizzando immagini e metafore in maniera sorprendentemente libera, ci invita a considerare come, al centro di ogni forma e status, vi sia un’essenza in continua evoluzione, una mente che sfugge alla rigidità del conforme e si rinnova incessantemente.
*
L'essenza
.
inadeguati noi
gettati nel mare-mondo
legati ad una stella di sangue
noi siamo l'alfabeto del corpo
che grida
il suo esserci
noi essenza degli elementi
appendici della terra
labbra del cielo
.
Questo componimento si apre con un’esclamazione d’essenza e vulnerabilità, in cui l’umanità si presenta come una realtà inaspettata e in continua trasformazione. La prima affermazione, *“inadeguati noi”*, mette subito in luce la sensazione di essere piccoli o imperfetti di fronte a una dimensione più vasta, quasi cosmica, in cui siamo gettati – come in un mare che rappresenta la vastità e l’imprevedibilità dell’esistenza.
Nel passaggio *“gettati nel mare-mondo / legati ad una stella di sangue”* si dipinge un’immagine potente della condizione umana: soli e fragili, ma allo stesso tempo portatori di un legame intrinseco con forze vitali e cosmiche. La “stella di sangue” evoca non solo il senso di appartenenza a un destino intriso di passione e forza, ma anche l’idea di una linfa universale che ci connette, in maniera quasi fatale, all’energia primordiale dell’universo.
Il verso *“noi siamo l'alfabeto del corpo / che grida il suo esserci”* afferma, in modo quasi rivoluzionario, il ruolo attivo della nostra fisicità e individualità. L’alfabeto, simbolo di linguaggio e comunicazione, diventa qui metafora dell’insieme dei segni corporei che testimoniano la nostra esistenza – un grido che rompe il silenzio dell’indifferenza cosmica e invita alla rivendicazione del proprio essere.
Infine, la visione che ci presenta l’autore come *“essenza degli elementi / appendici della terra / labbra del cielo”* ci trasporta in un regno simbolico in cui l’uomo non è un'entità isolata, ma una parte integrante di un disegno universale. Essere “appendici della terra” e allo stesso tempo “labbra del cielo” suggerisce un ponte, un legame inscindibile tra il materiale e il metafisico, tra la concretezza del nostro corpo e la vastità della dimensione spirituale.
Questa poesia invita a riflettere su come ogni aspetto della nostra esistenza – dalla fragilità all’immensità – sia interconnesso in un fluido continuo di significati. Forse, nel vedere in noi stessi un alfabeto che racconta l’essere, si lascia intravedere la bellezza della comunicazione eterna tra ciò che siamo e ciò che aspiriamo a essere.
*
sguardi e il tracimare
di palpiti
alle rive del cuore
aria dolce come
di labbra
incanutire di fronde
nella liquida luce
.
Questo componimento è assolutamente evocativo, una tessitura di immagini che si fondono in un’esperienza emotiva e sensoriale molto intensa. I versi sembrano sospesi tra l’interiorità e la natura, in una danza tra il palpito della vita e l’immensità del sentimento.
- **"sguardi e il tracimare / di palpiti / alle rive del cuore"**
Qui l’autore ci invita ad immaginare uno sguardo che non solo osserva, ma che trabocca di emozioni, come se il cuore stesso espandesse i suoi confini. Il termine “tracimare” porta con sé l’idea di un’emozione che supera i limiti, sfuggente e potente, mentre “rive del cuore” evoca l’immagine di un confine interno, un luogo in cui le emozioni si accumulano e scorrono come acque quotidiane.
- **"aria dolce come / di labbra"**
L’aria che si fa dolce come il tocco delle labbra trasforma l’elemento più etereo in qualcosa di intimo e quasi tangibile. Questa similitudine dona al verso una natura sensuale, suggerendo che le percezioni e le emozioni possono diventare così delicate da rischiare di essere quasi sfiorate.
- **"incanutire di fronde / nella liquida luce"**
Questa parte chiude il componimento con immagini di un tempo che scorre e delle trasformazioni naturali. Il verbo “incanutire” solitamente richiama il passare degli anni, ma qui è associato alle “fronde”, forse simbolo di vitalità, che si tingono di un colore che parla di esperienza e di memorie, mentre la “liquida luce” sembra sospendere ogni cosa in un momento d’intensità fluida ed eterea.
Il complesso accostamento di immagini, il contrasto tra l’effimero (l’aria, la luce) e l’ineluttabile passare del tempo (incanutire) ci parla di una condizione umana in cui la bellezza effimera e le emozioni profonde si intrecciano. Potrebbe interpretarsi come una meditazione sulla vita, l’amore e l’impatto del tempo sul sentirsi, lasciando spazio a molteplici letture e riflessioni personali.
Questo testo è ricco di spunti per esplorare il rapporto tra interiorità e natura, tra tempo e sentimento.
*
Oltre l' esilio
il più bel giorno è quando
oltre l'esilio della carne
mi verranno incontro i miei morti
e i parenti giunti da lontano
a qualcuno scapperà una lacrima e
nell'estremo saluto c' è chi leggerà
con voce tremante alcuni versi
ti sei staccato come foglia
adagiata su una spalliera di brezza
.
Che bella poesia, così intensa e delicata, che ci trasporta in un viaggio oltre i limiti del fisico verso un re-encounter con ciò che è eterno. La scelta del titolo, "Oltre l'esilio", già evoca l'idea di un passaggio, di una transizione dalla carne al regno degli spiriti, dove i “miei morti” e “i parenti giunti da lontano” non sono tanto figure da rimpiangere quanto segni di una continuità profonda e intrinseca dell'essere.
Il verso che recita "il più bel giorno è quando oltre l'esilio della carne mi verranno incontro i miei morti" suggerisce la fusione tra il vivere e il ricordo, come se il vero trionfo dell’essere umano si completasse nel riconoscimento di una propria dimensione che va oltre la forma materiale. Si ritrova qui l'idea di una liberazione: lasciare alle spalle l'impermanenza del corpo per abbracciare una dimensione di eternità, dove l’amore e i legami affettivi si materializzano in maniera impalpabile e sublime.
Il lavoro poetico prosegue con quel tocco di delicatezza "a qualcuno scapperà una lacrima e nell'estremo saluto c'è chi leggerà con voce tremante alcuni versi", evocando un addio intriso di emozione e fragilità. La commozione è palpabile: c'è una consapevolezza che ogni saluto, pur essendo un distacco, è anche un gesto di connessione, in cui il linguaggio, in forma di versi, diventa il mezzo per esprimere ciò che va oltre la mera esistenza fisica.
Infine, l'immagine "ti sei staccato come foglia adagiata su una spalliera di brezza" è una metafora dolce e visiva che esprime la serena leggerezza di un distacco naturale. Il paragone tra l'effimera foglia e il movimento della brezza trasmette l'idea che anche il distacco, sebbene possa sembrare doloroso, è parte del flusso armonioso della vita. La poesia ci invita, così, a vedere anche nel congedo un gesto di bellezza, una danza tra fragilità e forza, tra presenza e assenza.
Questa lettura può aprire molte porte di riflessione: potremmo approfondire il simbolismo del "corpo" inteso come prigione temporanea o l'idea che la memoria dei nostri cari dimora in una dimensione che ci permette di rivederli, quasi rendendo l'addio un rito di passaggio e non un termine definitivo.
*
Immortalare
immortalare il momento – la
foto è sfocata
immagine
scivolata nel gorgo del tempo
così di te: appesa
all'attimo
dietro l'occhio un'ombra stampata
.
Questa poesia evoca in modo intenso e delicato la natura sfuggente dei momenti e il contrasto tra il desiderio di fissare l'istante e la consapevolezza che, per quanto cerchiamo di "immortalare" il tempo, esso scivola via come sabbia tra le dita. L'immagine di una foto sfocata e l'idea di un'immagine "scivolata nel gorgo del tempo" creano un forte senso di transitorietà, suggerendo che ogni attimo, per quanto carico di significato, è destinato a dissolversi e a confondersi con il flusso inesorabile del tempo.
Il verso "così di te: appesa all'attimo, dietro l'occhio un'ombra stampata" offre una visione intima e quasi criptica: l'immagine della persona diventa parte di un ricordo che, pur non essendo definito nella sua chiarezza, si imprime profondamente dentro di noi. È come se la presenza di chi amiamo o di ciò che ci ha segnato non si potesse mai davvero catturare in modo perfetto, ma rimanesse impressa, come una traccia indelebile, nel nostro sguardo interiore.
Questa riflessione apre spazi per molte domande profonde: cosa vuol dire davvero "immortalare" un momento se il tempo è sempre in movimento? E come interpretiamo quelle "ombre stampate" che, pur essendo sfocate, restano parte integrante della nostra memoria? La poesia, in questo senso, diventa un invito a meditare non solo sulla fugacità dell'esperienza, ma anche sulla sua eterna presenza nel ricordo e nell'anima.
Inoltre, si può esplorare come il contrasto tra la chiarezza delle intenzioni e l'imperfezione dei mezzi (una foto che non riesce a fissare il momento in modo netto) rifletta le contraddizioni della vita stessa: l’anelito verso l’immortalità e la realtà che ogni istante è destinato a cambiare.
*
Nell'ultimo sangue
.
ora nell'ultimo sangue
è il vuoto delle braccia
ma sai non è difficile
far rivivere
la tua figura dall'ali recise:
un po' mi consola
la visione
di te languida riversa
sull'amaca
mentre gli uccelli ti cantano
sulla testa
.
Questa poesia, intitolata “Nell'ultimo sangue”, ci guida in un percorso emotivo in cui la presenza dell'altro, seppur segnata da un dolore palpabile, continua a vivere come ricordo e consolazione. L’incipit, che richiama l’idea dell’"ultimo sangue", evoca quella sostanza primordiale e vitale che, al di là della forma fisica, rimane come testimonianza dell’essenza di chi siamo stati e di chi abbiamo amato.
Il verso "ora nell'ultimo sangue è il vuoto delle braccia" accentua un senso di perdita e assenza: le braccia, simbolo di abbraccio e contatto, sono ora vuote. Questa immagine ci trasporta in un’atmosfera di malinconia, dove il mancanza fisica si mescola a una consapevolezza più profonda della fragilità dell’umano. Ma proprio in questo vuoto sembra agire una forza rigeneratrice.
L’invito a "far rivivere la tua figura dall'ali recise" rappresenta un gesto quasi miracoloso: anche se la figura amata appare mutilata, lesa nel suo potere di elevarsi verso l’alto (come le ali, simbolo di libertà e trascendenza), il poema ci suggerisce che il ricordo resta e può essere rievocato, svelando una bellezza intrinseca nel gesto del ricordare. È una consolazione sottile, quasi un miracolo, che la percezione del volto dell’altro, “languida riversa sull'amaca”, non solo persista ma offra anche un conforto interiore in un contesto di apparente abbandono.
Il dettaglio degli “uccelli che ti cantano sulla testa” porta una nota di natura e armonia. Gli uccelli, spesso simbolo di leggerezza e resilienza, diventano qui testimoni di un rito di memoria, un’ode poetica alla vita che, nonostante il dolore della perdita, celebra la presenza dell'altro in maniera eterea e quasi angelica.
Questa tensione tra il vuoto lasciato dall'assenza e il potere rigenerante del ricordo è al centro del poema. La fantasia poetica si tinge dei colori della memoria: pur perdendo la fisicità, l'immagine dell'altro continua a vivere, a cantare, a far parte del nostro mondo. Si apre così uno spazio in cui il dolore del distacco si trasforma in un invito a rievocare e a custodire nelle piccole immagini quotidiane — come quella dell’amaca o del canto degli uccelli — un legame che trascende i limiti del tempo e della forma.
Questa riflessione ci spinge a considerare come l’arte e la poesia possano trasformare anche il dolore dell’assenza in qualcosa di vibrante, capace di regalarci consolazione e una nuova dimensione di presenza. Può essere interessante esplorare come altri autori italiani abbiano affrontato tematiche simili, in cui il ricordo e la memoria diventano un balsamo contro la perdita, permettendo una sorta di rinascita interiore. Questo invito a "rivivere" l'altro, nonostante le “ali recise”, ci ricorda che la bellezza risiede spesso nella capacità di trasformare l'assenza in presenza emozionale.
*
Spleen
.
brusio di voci
.
galleggiare di volti
su indefiniti fiati
.
si sta come
staccati
da sé
.
golfi di mestizia
mappe segnate
dietro gli occhi
.
vi si piega
il cuore
nella sanguigna luce
.
Che poesia intensa, densa di immagini e di sentimento. Il termine “Spleen” in apertura richiama immediatamente quell'atmosfera di malinconia e disincanto che celebriamo nella tradizione letteraria, da Baudelaire fino ad oggi. Il testo evoca una realtà frammentata: il "brusio di voci" e il "galleggiare di volti" sembrano quasi fluttuare in uno spazio sospeso, dove il sé si perde in un flusso di percezioni effimere.
Le frasi come "si sta come staccati da sé" e "mappe segnate dietro gli occhi" danno l'impressione di una dissociazione interiore, una sorta di viaggio nell'intimità del dolore e del ricordo, dove ogni sguardo e ogni respiro diventano tracce di un'esistenza che si disperde e si trasforma continuamente. L’ultimo verso, con il cuore che "si piega nella sanguigna luce", introduce un contrasto potente: la luce, solitamente simbolo di vita e speranza, qui assume una qualità quasi violenta, una "luce sanguigna" che accompagna la sofferenza ma forse ne rivela anche la bellezza nascosta.
C'è in questo componimento un richiamo alla fugacità dell’identità e a quella dolceamara consapevolezza di essere, per certi versi, permanentemente in bilico tra il chiaro e lo oscuro, tra l’essere e il non essere. Le immagini si susseguono come un mosaico di emozioni che, pur nella loro frammentarietà, riescono a costruire un universo interiore estremamente vivo.
Mi incuriosisce capire da dove scaturisce questa ispirazione: ti sei lasciato guidare da esperienze personali, da influenze letterarie specifiche, o è l'osservazione del mondo che ti parla in questa lingua di immagini? La costruzione formale, quasi frammentata, mi ricorda la ricerca di un significato tra le pieghe del quotidiano, un tentativo di dare voce al silenzio interiore.
*
Il Tuo splendere
.
su un remoto
di assonnate rive
-spiumata
di luce l'anima-
torna
.
a far breccia il Tuo splendere
.
settanta volte sette
ho conficcato i chiodi
altrettante non
basteranno
lacrime da versare
.
sulle Tue luminose piaghe
.
Questo componimento pulsa di una luce intensa e quasi sacrale, come se il "Tuo splendere" invocato fosse il faro che guida l’anima attraverso rive assonnate, dove la quotidianità si dissolve in un'offerta di pura luce. Il verso “-spiumata / di luce l'anima-” sembra svelare un’anima spoglia, lasciata senza ornamenti, che però si prepara al risveglio e alla conquista di una dimensione in cui la luce penetra e trasforma.
La forza evocativa del testo si manifesta nel passaggio in cui si parla di "conficcare i chiodi" settanta volte sette volte, un'espressione iperbolica che richiama immagini di sacrificio e dolore. La cifra, simbolica per sua molteplicità (490 in tutto), amplifica il senso di una fatica immensa e quasi incommensurabile, dove anche un numero altrettanto enorme di lacrime non sarebbe sufficiente a lenire le "luminose piaghe". Questa tensione tra dolore e bellezza, tra sacrificio e luce, richiama tradizioni letterarie e mistiche in cui la sofferenza cede spazio a un rinnovamento spirituale o amoroso.
La struttura frammentata, quasi incisa come una preghiera, guida il lettore lungo un percorso interiore fatto di immagini forti e simboli potenti: la luce che non solo illumina, ma scolpisce l’anima, e un sacrificio che, pur nel suo peso, diventa strumento di trasformazione. C’è in questi versi una duplice dimensione: da un lato la resa individuale al dolore, dall’altro la speranza di una rinascita resa possibile da un “splendere” che, in fondo, è la manifestazione di una bellezza essenziale e implacabile.
Questi elementi fanno sì che il testo si apra a molte interpretazioni. Potrebbe trattarsi di una meditazione sul rapporto tra il sacro e il profano, sul valore del sacrificio nell’amore o sulla redenzione che nasce dalla sofferenza. La scelta dei simboli – luce, chiodi, piaghe – si incarna in un linguaggio che trascende il quotidiano per toccare corde ancestrali nell’animo umano.
Sono curioso: cosa ti ha ispirato nella creazione di queste immagini? Ti risuona come un inno al sacrificio redentivo, come la rappresentazione di un amore che trasforma il dolore in luce, o come un'altra interpretazione? Se ti va, potremmo approfondire insieme il significato dei numeri, il ruolo dei simboli, o il modo in cui il testo gioca con la tensione tra distruzione e rinascita.
*
Sic transit
confidare
nelle cose che passano
è appendere la vita
al chiodo che non regge
è diminuirsi la vera ricchezza
-arrivare all'essenza
lo scheletro la trasparenza
Questo frammento poetico racchiude una suggestiva meditazione sulla natura fugace della vita e sul pericolo di radicare il nostro stesso essere in cose transitorie e instabili.
### Un viaggio attraverso la transitorietà
Il verso iniziale, **"Sic transit",** richiama immediatamente la nozione classica di impermanenza, ricordando frasi come "Sic transit gloria mundi" (così passa la gloria del mondo). Dà il tono invitandoci a considerare che tutto nella nostra vita è soggetto a cambiamento, decadenza e dissoluzione.
### Fidarsi di ciò che svanisce
Nei versi
> *confidare
> nelle cose che passano*
la poesia mette in guardia dal riporre fiducia o speranza in fenomeni effimeri. "Confidare" (confidare o affidarsi) a ciò che è semplicemente transitorio significa, poeticamente parlando, rischiare di ancorare la propria esistenza a un fondamento destinato a svanire.
### Il peso della fragilità
La metafora
> *è appendere la vita
> al chiodo che non regge*
è particolarmente suggestiva. Appendere la propria vita a un "chiodo che non regge" evoca l'immagine di una dipendenza precaria, quasi disperata, da qualcosa di intrinsecamente instabile. È un vivido promemoria del fatto che supporti fragili possono portare al crollo di ciò che ci è caro.
### Diminuire la vera ricchezza
Analogamente,
> *è diminuire la vera ricchezza*
suggerisce che, dipendendo dall'impermanenza, diminuiamo ciò che conta veramente: la nostra intrinseca e profonda autenticità o "vera ricchezza". Si interroga se i nostri valori percepiti siano davvero sostanziali se poggiano su sabbie mobili.
### Abbracciare l'essenza
Infine, i versi conclusivi
> *-arrivare all'essenza
> lo scheletro la trasparenza*
ci indirizzano verso un'alternativa: arrivare all'essenza delle cose. Qui, "lo scheletro" simboleggia la verità nuda e nuda che rimane dopo aver rimosso gli strati superficiali. "La trasparenza" rafforza l'idea di chiarezza, onestà e autenticità. Invece di aggrapparci a facciate transitorie, la poesia ci esorta a cercare il nucleo duraturo: la struttura immutabile e onesta sotto la superficie effimera della vita.
### Ulteriori riflessioni
La tua poesia è un'esplorazione splendidamente concisa della fragilità esistenziale e della ricerca di autenticità. Ci sfida: invece di costruire la nostra vita su fenomeni transitori (proprio come se ci appendessimo a un chiodo inaffidabile), non dovremmo sforzarci di entrare in contatto con quell'essenza grezza e disadorna – lo scheletro, la trasparenza – che permane?
Mi chiedo se consideri quest'opera come un invito a perseguire il minimalismo nella vita o se rifletta una lotta personale con l'impermanenza. Forse l'hai intesa come un promemoria filosofico a guardare oltre lo scintillio superficiale verso qualcosa di più sostanziale.
*
Eterno presente
.
kronos esce dal mare
prenatale
il domani è un imbuto
dove fluiscono gli oggi
coi sordi tamburi del sangue
dove in fondo
agli specchi annegherà la
realtà
relativa: lì il mondo che
si vede
rovesciato
.Questo testo è come un invito a immergersi in una dimensione in cui il tempo e la realtà si svelano in forme fluide e inaspettate. La frase **"Eterno presente"** apre la scena a un continuo che non è né passato né futuro, ma il qui e ora che si espande indefinitamente. L'immagine di **"Kronos esce dal mare"** richiama immediatamente il potere mitico del tempo, una forza ancestrale che emerge dalle profondità, simile a una rivelazione che sfida le mode lineari della cronologia.
L'accostamento di termini così radicati come **"prenatale"** e l’idea che **"il domani è un imbuto / dove fluiscono gli oggi"** suggerisce una concezione del tempo dove le barriere tra inizio, esecuzione e conclusione si dissolvono. È come se ogni istante, pur essendo distintamente "oggi", si riversasse inevitabilmente in un futuro condensato, quasi ad indicare che il potenziale e l'attualità sono in perenne confluenza, plasmando una realtà sempre in divenire.
Il verso **"coi sordi tamburi del sangue"** infonde una musicalità primordiale; qui il sangue diventa simbolo della vita, del ritmo intimo e viscerale che scandisce l'esistenza, rendendo palpabile quella connessione tra l'essere umano e la sua essenza più profonda. L'immagine degli **"specchi"** che, per un attimo, sembrano volersi illudere e annegarvi dentro, evoca riflessi distorti di una realtà che, in fondo, ci sfugge e continua a trasformarsi, invitandoci a leggere oltre la superficie.
Il mondo, presentato come **"rovesciato"**, diventa una metafora del nostro sguardo critico e al contempo incantato verso la realtà: non è così come appare, ma si mostra in un costante stato di ribaltamento e rielaborazione. Questo accostamento di immagini e concetti crea una sorta di mappa emotiva e filosofica in cui il confine tra percezione e verità si fa sottile, quasi impercettibile.
La struttura frammentaria e quasi onirica del testo non è casuale: riflette il caos creativo del tempo, la sua elasticità e il modo in cui ogni singolo istante si intreccia con l’infinito. Il flusso delle parole diventa una sorta di danza rituale, un'eco di pulsazioni interiori che ci invitano a riscoprire la nostra connessione con l'universo e con la nostra stessa esistenza.
Questa lettura apre molte porte di approfondimento: come interpreti il rapporto tra il tempo come entità fluida e la percezione che abbiamo di esso? Ti ritrovi in questo invito a vedere il domani come un imbuto, un catalizzatore in cui il presente si trasforma e si dispersa? Ogni immagine – dal sangue agli specchi – potrebbe essere vista come un invito a riconsiderare le certezze che ci abbiamo costruito, a lasciarci sorprendere dal mistero e dalla ricchezza di un'esistenza che si rinnova ad ogni battito.
*
convivere con gli umori
di un corpo di morte
dall'animalità all'angelo: questa
l'impervia salita
più d'una vita se dal sangue
fioritura sia d'ali levate:
ogni passo ne perdi una piuma
.
Il testo ci conduce in un viaggio di trasformazione e sacrificio, in cui l'essere umano si confronta con la propria natura mortale e aspirante a elevarsi verso una dimensione angelica. Le prime righe, **"convivere con gli umori / di un corpo di morte"**, suggeriscono un rapporto intimo e doloroso con il decadimento e la fisicità, come se la vita si facesse carico di un'eredità di finezza e fragilità intrinseca. Questo convivere con il lato oscuro e transitorio dell'essere diventa il punto di partenza per una riflessione profonda sul valore della rinascita interiore.
Proseguendo, il verso **"dall'animalità all'angelo: questa / l'impervia salita"** ci propone il cammino arduo della trasformazione, passando da un'esistenza dominata dagli istinti più primitivi a una condizione elevata e spirituale. È come se il poeta descrivesse una scalata metaforica in cui, per raggiungere l'ideale angelico, si devono superare ostacoli che sembrano richiedere non una sola vita, ma molteplici incarnazioni o esperienze per poter davvero mutare e rinascere.
La forza evocativa aumenta con **"più d'una vita se dal sangue / fioritura sia d'ali levate:"**, in cui il sangue – simbolo primario di vita, passione e sofferenza – diventa il seme da cui germogliano ali, metafora della possibilità di elevarsi. Tuttavia, questa rinascita ha un prezzo ben chiaro: **"ogni passo ne perdi una piuma"**. Ogni sforzo, ogni conquista, porta con sé una piccola perdita dell’essenza passata, un sacrificio che rende il percorso ancora più carico di significato e di struggente bellezza.
Il messaggio complessivo è quello di una trasformazione continua e dolorosa, in cui il raggiungimento di livelli superiori di esistenza richiede l’abbandono di parti preziose di sé, almeno momentaneamente. È una celebrazione poetica della dualità insita nel cammino umano: il desiderio di elevarsi richiede la consapevolezza della fragilità e della perdita, elementi indispensabili per una rinascita autentica.
*
rinfranca il pensiero d'essere
immortale -e già dalla ferita della
creazione lo sei-
la morte ti cerca?
uscito dal guscio tu sarai altro
l'anima libera sarà dai lacci
lo spazio mentale onde di luce e amore
niente d' imprevisto se la morte
non ti sorprenda più della vita
.
Questo testo dipinge una visione che va oltre il confine tra vita e morte, esortandoci a risvegliare in noi stessi quella scintilla di immortalità. Le prime righe, con l'invito a "rinfrancare il pensiero d'essere immortale" e l'affermazione che "già dalla ferita della creazione lo sei", suggeriscono che la nostra essenza non è definita dai limiti fisici o temporali. La "ferita della creazione" diventa in realtà il segno profondo dell'origine della nostra esistenza, una testimonianza della nostra capacità di trasformazione e rinascita.
L'interrogativo "la morte ti cerca?" pone una domanda esistenziale: se la morte manifesta la sua presenza in ogni aspetto della nostra vita, possiamo però imparare a superarla e a non farci sorprendere da essa. Uscire dal "guscio" significa liberarsi dalle catene che ci imprigionano—i "lacci" che legano l'anima—per abbracciare una condizione in cui lo spazio mentale si trasforma in "onde di luce e amore". È come se, liberandoci da una visione limitata e condizionata, potessimo espandere il nostro essere in un universo di possibilità, dove la morte non resta un evento improvviso e terrificante, ma parte integrante di un ciclo naturale e armonioso.
L'immagine finale, con l'idea che "niente d'imprevisto se la morte non ti sorprenda più della vita", ci ricorda che accettando e comprendendo la dualità esistenziale—la convivenza di luce e ombra, vita e fine—possiamo raggiungere una serenità che trasforma l'incertezza in continuità. In questo scenario, la vita si fa meno spaventosa e la morte meno crudele, perché entrambi sono visti come momenti di un grande, variegato e in cui, in fondo, tutto si intreccia.
*
Tutto è ancora possibile
.
ti senti altrove e il più
delle volte fuori dal coro
.
ti chiedi se -nell'ordito della vita dove
si spezza la parola- ti sei perso
qualcosa – vorresti allora
rovesciarti come un guanto
.
riconoscerti come il
fuori del tuo dentro
.
aprirti a un' alba che
diradi questa
corolla di tenebre
.
e sai che tutto
è ancora possibile
.
Questo componimento incarna una profonda riflessione sull'infinito potenziale del cambiamento e della riscoperta di sé. Le immagini che emergono — sentirsi "altrove", essere "fuori dal coro", e l’idea di "rovesciarti come un guanto" — suggeriscono la volontà di trasformazione e di lasciare andare vecchie certezze per abbracciare ciò che ancora può nascere dentro di noi.
La poesia trasmette una tensione emotiva intensa: da un lato c'è l'amarezza di aver forse trascurato qualcosa nell'intricata trama della vita, dall'altro l'irrefrenabile speranza di poter riaccendere una luce, simboleggiata da "un'alba che diradi questa corolla di tenebre". È come se l'autore volesse dirci che, nonostante i momenti di oscurità, è sempre possibile ritrovarsi, reinventarsi e riconnettersi con l’essenza più autentica del proprio essere.
Il potere della poesia sta proprio in questa ambivalenza: riconosce la sofferenza del sentirsi disallineati o persi, pur suggerendo che ogni istante offre l'opportunità di un nuovo inizio. In questo modo, il testo diventa un invito a non arrendersi, a cercare quei momenti di luce anche nelle pieghe della quotidianità, per cui, in fondo, "tutto è ancora possibile".
*
all'inizio nel tempo
primigenio
il primo stupore in un volo
ai piedi dell'angelo
sarà poi precipizio della luce
ma si resta
nella memoria della rosa
che vuole rinascere negli occhi
.
Questo componimento apre in un abisso di origine e meraviglia, trasportandoci alle radici del tempo stesso. L'immagine dell'"inizio nel tempo primigenio" ci parla di un'epoca in cui il mondo era ancora plasmato, quasi come il respiro primordiale dell’universo; un tempo in cui tutto era possibile e aperto a infinite trasformazioni.
Il "primo stupore in un volo" evoca un momento di elevazione, in cui l’anima si solleva, quasi sospinta in un percorso tanto vertiginoso quanto revelatore. L'immagine "ai piedi dell'angelo" introduce una presenza eterea, un simbolo che potrebbe rappresentare la guida, il divino o l'idealità al quale tendiamo, un richiamo all'ispirazione che ci spinge oltre i confini ordinari dell’esistenza.
Il verso "sarà poi precipizio della luce" accosta il concetto di amore e paura, come un luogo stretto in cui la luce, simbolo di consapevolezza e verità, è al contempo sublime e potenzialmente destabilizzante. È come se ogni esperienza di stupore e illuminazione portasse con sé il rischio di abbandonare le sicurezze del conosciuto per abbracciare l'ignoto.
Infine, la "memoria della rosa che vuole rinascere negli occhi" si erge come metafora della bellezza perpetua e della capacità rigenerativa della vita. La rosa, con la sua delicatezza e passione, diventa il simbolo della bellezza che, nonostante il trascorrere del tempo, continua a vivere e a fiorire, rinnovandosi attraverso lo sguardo, attraverso la percezione personale della realtà.
Questa poesia ci invita a riflettere sul potere transformativo dei momenti di stupore e di luce, e sulla continua capacità dell’animo umano di rinascere, anche quando i confini del conosciuto sembrano dissolversi. Mi chiedo: quali momenti di "primo stupore" o di luce hai percepito lungo il tuo percorso di vita? Come ti hanno trasformato e in che modo questi momenti hanno inciso nella tua memoria, come quella rosa che non smette mai di voler rinascere?
*
Bocche di chitarre
alla sua morte per fucilazione
anche le chitarre emisero lamenti –
a un ordine dei generali
dalle loro bocche uscirono insetti
bibliofagi
a divorare pagine e pagine
di versi sparsi per il mondo
ma lo spirito del popolo è vivo
la memoria è vasta come il mare –
venne ricomposto il poema
insanguinato
fino all'ultimo rigo-respiro
si può uccidere un poeta
non la poesia
(Federico Garcia Lorca, 1898 – 1936)
.
Questa poesia, così intensa e surreale, ci trasporta nell'abisso della violenza e della fragilità dell’arte di fronte al potere. Le "bocche di chitarre" non sono semplici strumenti musicali, ma diventano testimoni e cantori del dolore, capaci di esprimere lutti e resistenze anche nel momento più tragico, come la morte per fucilazione. L’immagine delle chitarre che emettono lamenti al momento della loro ultima esecuzione ci parla di un mondo in cui ogni creatura – per quanto silenziosa o inanimata – possiede una voce che rifiuta la censura e il silenzio imposto.
L’ordine dei generali fa scaturire dalla bocca delle chitarre insetti "bibliofagi", una metafora fortemente evocativa: gli insetti che divorano pagine di versi rappresentano il tentativo di cancellare, letteralmente, il sapere, la memoria e la bellezza espressa attraverso la poesia. È un’immagine di distruzione, ma al tempo stesso di rinascita, perché anche se i versi sembrano essere inghiottiti dal buio, la volontà del popolo e la vastità della memoria sono descritte come qualcosa di inarrestabile, paragonabile all'immensità del mare.
Il poema, ricomposto "insanguinato" fino all’ultimo rigo-respiro, ci suggerisce che l’arte non muore con il poeta, anche se quest’ultimo viene ucciso. In questo modo, Lorca ci regala una delle immagini più forti e consolatorie: "si può uccidere un poeta, non la poesia". Questo verso racchiude la speranza che l’essenza creativa e l’anima di un’epoca sopravvivano agli atti più crudeli, trasformandosi in un patrimonio immortale che vive nel cuore e nella mente di chi sa ascoltare.
Mi chiedo: quali emozioni ti suscitano queste immagini? Hai mai sentito, nella tua esperienza, come l’arte e la memoria collettiva offrano una forma di resistenza contro la brutalità o l’oblio? Forse, proprio come le chitarre che continuano a lamentarsi anche alla fine, anche nei momenti di difficoltà trovi una scintilla di bellezza o di forza che ti spinge a non arrenderti.
*
Tra la bestia e l' angelo
tra la bestia e l' angelo
corda tesa sull' abisso
nel divario della mente dove destrieri
scalpitano inesausti
bivaccano i tuoi fantasmi
o si mimetizzano tra
la fantasiosa tappezzeria dei divani
semmai si annoiassero sai
dove trovarli: a giocare ore
e ore con le nuvole
tenendo al guinzaglio i sogni
.
Questo brano è un’esplorazione affascinante della dualità interiore, in cui il lato bestiale e quello angelico convivono in un equilibrio tanto precario quanto inevitabile. Le immagini della “corda tesa sull’abisso” e del “divario della mente” ci parlano di quel confine sottile tra l’ignoto e il conosciuto, tra il caos istintuale e la luce elevata della coscienza.
Il verso in cui “destrieri scalpitano inesausti” evoca la forza inarrestabile delle passioni e delle pulsioni che abitano la mente, mentre i “fantasmi” che bivaccano o si mimetizzano tra la “fantasiosa tappezzeria dei divani” offrono un contrasto sorprendente: il macabro e il quotidiano si fondono, rivelando come le parti più oscure di noi possano nascondersi negli angoli più ordinari della nostra vita. Questo gioco di immagini, che invita addirittura a “giocare ore e ore con le nuvole tenendo al guinzaglio i sogni”, trasforma il caos interiore in una forma di arte, una sfida a domare ciò che, per sua natura, sembra sfuggente e indomabile.
La potenza evocativa del testo ci induce a riflettere su come le nostre identità siano percorse da contrasti continui: la bestia e l’angelo non sono entità in opposizione netta, ma due facce della medesima medaglia, un invito a riconoscere la complessità e la ricchezza del nostro mondo interiore.
Mi incuriosisce molto scoprire se questo componimento nasca da un’esperienza personale o se rappresenti una riflessione più universale sul condizionamento umano. La forza delle immagini suggerisce un percorso interiore intenso, quasi surreale, dove il quotidiano si trasforma in uno specchio dei nostri stati d’animo più profondi.
*
Emarginato
quest'uomo: tristezza
d'albero nudo
avanzo di vita aperta
ferita
-occhi scavati
che perdono pezzi
di cielo
quest'uomo
puntato a dito
quest'uomo fatto
torcia
per gioco
.
Questo componimento pulsa con una crudezza che non accenna a nascondersi dietro vesti fiorite. Fin dal titolo “Emarginato”, si concepisce subito un’immagine potente: la condizione dell’essere messo ai margini, in cui l’uomo diventa emblema di una tristezza profonda e ineludibile.
**"quest'uomo: tristezza
d'albero nudo"**
Questi versi aprono la scena con metafore naturali: l’albero nudo, privo di foglie, simboleggia una condizione di spogliazione emotiva e di vulnerabilità. L’uomo descritto qui non porta con sé ornamenti, se non la pura, cruda tristezza che lo definisce e lo rende esposto alla realtà in tutta la sua durezza.
**"avanzo di vita aperta
ferita"**
L’immagine dell’“avanzo” di vita – come un residuo, ciò che resta dopo che tutto l’essenziale è stato strappato via – si fonde con l’idea di una ferita aperta, segno indelebile di sofferenze passate. Si delinea un percorso esistenziale segnato da cicatrici, in cui ogni passo è il ricordo di un dolore mai del tutto curato.
**"-occhi scavati
che perdono pezzi
di cielo"**
Qui la visione si intensifica: occhi scavati, come vuoti che testimoniano il peso delle esperienze vissute, eppure in questo vuoto si cede al senso di perdita, come se perdessero pezzi del cielo. Il “cielo” può essere letto come metafora di speranze, aspirazioni e libertà; perderne i pezzi significa lasciare scivolare via frammenti di una bellezza ideale, quasi irraggiungibile.
**"quest'uomo
puntato a dito"**
In questi versi compare la crudele dimensione della società: l'individuo, già spezzato, diventa oggetto di sguardi giudicanti. La metafora del “dito puntato” richiama l’idea di accusa e condanna, una segregazione sociale in cui la diversità diviene motivo di biasimo e isolante.
**"quest'uomo fatto
torcia
per gioco"**
L’ultimo passaggio è paradossale e inquietante: l’uomo, ridotto a simbolo dei propri tormenti, viene trasformato in “torcia”, un oggetto che ha la funzione di illuminare, ma che qui è usato “per gioco”. L’ironia amara risiede proprio in questo: ciò che potrebbe essere la scintilla di un cambiamento, della luce che guida, diventa invece strumento di derisione e banalizzazione. È come se il dolore, anziché essere preso in seria considerazione, venisse ridotto a un passatempo macabro, un gioco perverso in cui si traveste la sofferenza in spettacolo.
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Nel suo insieme, il testo diventa un caleidoscopio di immagini contrastanti, dove la fragilità interiore si scontra con la crudeltà del giudizio esterno. I versi invitano a riflettere sul modo in cui la società spesso emargina e, talvolta, strumentalizza il dolore, trasformando la sofferenza in un’icona ambivalente: sia segno di vulnerabilità sia, paradossalmente, fonte involontaria di luce che rischia di essere travisata.
Questa lettura offre molteplici spunti:
- **La dualità del dolore**: un’arma a doppio taglio che segna ma che può anche illuminare, sebbene venga poi ridicolizzato.
- **L’isolamento come condizione universale**: il sentimento di emarginazione non è solo personale ma si riflette in una dinamica sociale in cui il diverso viene spesso messo a tacere o usato come spettacolo.
- **La trasformazione della sofferenza in arte**: attraverso immagini forti e viscerali, il poeta ci invita a considerare se e come il tormento possa, in certe visioni, acquistar valore espressivo, diventando al contempo una moneta per il cambiamento e un oggetto di ridicolo.
Sono domande che rimandano direttamente al nostro essere: in quale misura riconosciamo le nostre ferite e come le trasformiamo in luce, di fronte al giudizio e all’indifferenza del mondo?
Quali aspetti di questa immagine ti colpiscono di più? Forse la contraddizione tra la profonda tragedia individuale e l’uso ludico, quasi offensivo, della sofferenza è un invito a negoziare il valore del dolore nella nostra società. Oppure la visione degli “occhi scavati”, capaci di perdere frammenti di cielo, parla di come talvolta la ricerca della bellezza si scontri con la realtà del deteriorarsi interiore.
*
Senza titolo 2
.
un'alba cadmio
apre spazi
inusitati nel cuore
.
usciti dal sogno
beccano sillabe
gli uccelli di Maeterlinck
in un cielo di vetro
.
da un luogo non- luogo
le uve dei tuoi occhi
chiamano il mio nome
genuflesso nella luce
.
Questo componimento dipinge con colori intensi e immagini surreali un paesaggio interiore sospeso tra il sogno e la realtà. Il verso **"un'alba cadmio / apre spazi inusitati nel cuore"** evoca l'idea di un risveglio potente, una luce vibrante che non solo illumina, ma trasforma e apre nuove dimensioni emotive. La scelta del termine "cadmio" richiama immediatamente tonalità intense e quasi irreali, segnando l'inizio di un viaggio emotivo in cui il cuore diventa territorio di scoperte e possibilità.
Nel secondo gruppo di versi, **"usciti dal sogno / beccano sillabe / gli uccelli di Maeterlinck / in un cielo di vetro"**, il poeta trasforma il linguaggio in qualcosa di quasi tangibile e fragile. Gli “uccelli di Maeterlinck” non solo portano con sé un richiamo a un pensiero simbolista, ma sembrano raccogliere frammenti di un linguaggio che esiste tra il volo e la caduta, in un cielo trasparente e al contempo impenetrabile come il vetro. Questa immagine suggerisce che le parole, come le sillabe, sono elementi vitali che si insinuano nel subconscio, quasi a voler raccontare storie nascoste in un regno che sfugge alla nostra comprensione ordinaria.
Infine, l’ultimo gruppo di versi **"da un luogo non- luogo / le uve dei tuoi occhi / chiamano il mio nome / genuflesso nella luce"** si carica di un'intimità quasi sacrale. Le "uve dei tuoi occhi" diventano simbolo di un frutto ricco di significato – unendo l'idea di dolcezza, abbondanza e mistero – che richiama, come in un richiamo spirituale, l'identità dell'io narrante. La postura "genuflesso nella luce" accentua la visione di una riverenza, forse verso l'altro o verso una dimensione superiore, in cui la luce diventa l'elemento rivelatore e trasformatore.
Il testo, dunque, si muove tra il simbolismo e il surrealismo, invitando a riflettere su come la luce, il linguaggio e il desiderio d'unione possano trasformare l'interno in paesaggio, dove ogni immagine contiene un invito all'esplorazione e una sfida al confine tra realtà e sogno.
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Spleen 2
.
brusio di voci
.
galleggiare di volti
su indefiniti fiati
.
si sta come
staccati
da sé
.
golfi di mestizia
mappe segnate
dietro gli occhi
.
vi si piega
il cuore
nella sanguigna luce
.
Il componimento **"Spleen 2"** trasmette una sensazione di disgiunzione e malinconia che si staglia tra la frenesia del mondo e l’interiorità frammentata dell’essere. I versi iniziali, **"brusio di voci / galleggiare di volti / su indefiniti fiati"**, evocano un turbine esteriore fatto di rumori e immagini che, invece di ordinarsi in un tutt’uno, appaiono sospesi e privi di ancoraggio. È come se la molteplicità delle presenze intorno a noi si dissolvesse in un flusso incerto, lasciando l’individuo a galleggiare, disarticolato, incapace di riconnettersi con sé stesso.
Proseguendo, **"si sta come / staccati / da sé"** suggerisce un distacco profondo, una separazione dall’identità che si percepisce come inevitabile e dolorosa. Questo senso di alienazione si intensifica nei versi successivi, dove i **"golfi di mestizia"** e le **"mappe segnate / dietro gli occhi"** sembrano denunciare la presenza di segni indelebili lasciati da esperienze di dolore e disperazione. Le "mappe" evocano l'immagine di un territorio interiore tracciato da cicatrici e ricordi oscuri, che guidano e, allo stesso tempo, imprigionano la percezione di sé.
Infine, **"vi si piega / il cuore / nella sanguigna luce"** offre una conclusione intensa e ambivalente: la luce, solitamente simbolo di speranza o riscatto, qui appare "sanguigna", quasi cruda e violenta. Questa immagine finale pone l’accento su un cuore che cede, si trasforma sotto il peso di una luce che non illumina tanto quanto consuma, rivelando le contraddizioni di una vita in cui la fragilità e il dolore convivono con un’irresistibile forza dirompente.
Il poema, con la sua struttura frammentata e i suoi simboli potenti, sembra esplorare il tema dell’alienazione e del senso di inesauribile malinconia tipico dello "spleen" letterario. Mi viene da chiedere: quale immagine o metafora in particolare ti colpisce di più? Ti risuona l’idea di una luce violenta che piega il cuore, oppure il senso di essere disconnessi da sé, abbandonati a un brusio indefinito?
Questi versi aprono la porta a innumerevoli riflessioni: il contrasto tra la superficialità della presenza esterna e l’intensità dell’esperienza interiore, il sentimento che persino la luce, così spesso emblema di salvezza, possa essere divenuta testimone di un dolore profondo. Potremmo approfondire come questa tensione si rifletta in altri autori o movimenti letterari, come il simbolismo o il decadentismo, dove il "spleen" diventa la chiave per comprendere la crisi dell’anima moderna.
*
Nella prima luce
.
ci accorgemmo che non siamo
esistiti che nel pensiero
.
è la mente che crea – essa si
materializza in ciò che vuole
.
nel grembo del cielo fu l'immagine
del primo uomo che
Dio sognò nella prima luce
.
Questo componimento, intitolato “Nella prima luce”, ci conduce in un viaggio meditativo sull’essenza dell’esistenza e sul potere creativo della mente. Fin dalle prime strofe si avverte un’idea radicale: la consapevolezza che la nostra realtà, la nostra esistenza, trova le sue radici nel pensiero, come se non fossimo altro che la materializzazione di idee e desideri. La frase **"ci accorgemmo che non siamo esistiti che nel pensiero"** affronta un tema delicato e profondo, quasi a suggerire che l’essere possa essere catturato e definito solo dall’atto stesso del pensare, un invito a considerare l’idea che la mente non sia un semplice strumento passivo, ma piuttosto l’artefice di ogni realtà.
Il verso **"è la mente che crea – essa si materializza in ciò che vuole"** amplifica questa riflessione, rivelando una visione idealista dell’universo in cui il pensiero ha un potere quasi divino, capace di plasmare il mondo e dare vita ad ogni forma. In questa luce, il creare non è un processo casuale, ma una manifestazione deliberata e soggettiva dell’essere. Si percepisce in questo passaggio una sfumatura di quella filosofia che sostiene come la realtà, anziché essere un dato oggettivo, sia il prodotto delle nostre percezioni e immaginazioni.
Quando arriviamo agli ultimi versi, **"nel grembo del cielo fu l'immagine / del primo uomo che / Dio sognò nella prima luce"**, il componimento si trasforma in una meditazione quasi cosmica sulla creazione. L’immagine del “primo uomo” appare non come una mera entità fisica, ma come una visione, un sogno divino. Il “grembo del cielo” diventa il luogo simbolico dove si dà origine a questa immagine, un ambiente liminale che unisce il divino e l’umano, il sogno e la realtà. Questa reinterpretazione poetica del mito della creazione ci invita a riflettere sul fatto che forse tutto ciò che esiste è il prodotto di una visione potente e primordiale, un sogno al cui ritmo si dispiega il tessuto dell’esistenza.
Il testo, dunque, apre molteplici spunti di riflessione:
- **La natura dell’esistenza:** Esistiamo non come entità solide e distinte, ma come idee che prendono forma e si trasformano nella mente.
- **Il potere creativo della mente:** L’atto del pensare non è neutro; è dinamico e foriero di un potere quasi divino, capace di dare ordine al caos e creare mondi nuovi.
- **Il mito della creazione reinterpretato:** La visione poetica del primo uomo, come immagine sognata da Dio nella “prima luce”, sfida le narrazioni tradizionali e ci spinge a riscoprire il senso del mito attraverso il filtro del sogno e della percezione.
Questa lettura ti risuona come un’esplorazione dell’idea che la vita e la realtà siano essenzialmente un atto creativo del pensiero? O, magari, percepisci in quei versi un invito a riflettere sul ruolo del sogno e dell’immaginazione nella nostra esistenza quotidiana?
*
La vita scorre
la vita scorre
e quel senso
sempre del fugace
in ogni cosa
ma il mare
il mare è nel cuore di Odisseo
che si interroga
a specchio del cielo
.
l'uomo
è per la meraviglia
.
Il tuo testo evoca in maniera intensa l'inarrestabile fluire della vita, quella corrente che scorre al di là del tempo e delle convenzioni, portando con sé la poesia del fugace. Le ripetizioni e le immagini, quasi come un mantra, ci ricordano che ogni attimo è irripetibile, che il senso dell'esistenza si nasconde proprio nella sua natura effimera.
Il mare, simbolo immenso e primordiale, si trasforma qui in un luogo di introspezione e mistero. Nel cuore di Odisseo, richiamiamo quell'eroe che ha saputo sfidare gli orizzonti sconfinati non solo per viaggio, ma per cercare risposte alle grandi domande dell'essere. L'immagine del mare come specchio del cielo sottolinea questo legame: ogni onda, ogni riflesso, diventa un invito a guardare oltre, a interrogarsi sul proprio destino e sul senso più profondo della vita.
In questo quadro, l'uomo emerge come un essere destinato alla meraviglia, sempre in cammino, alla ricerca di quella scintilla che illumina il percorso nonostante l'incessante scorrere del tempo. La tua scrittura ci invita a riconoscere la bellezza dei momenti fugaci e l'importanza del continuo interrogarsi, proprio come Odisseo, su ciò che ci rende vivi e umani.
*
Nel paese interiore
nel paese interiore
eiaculo i miei sogni –
vivo una stagione
rubata al tempo -mimesi
icariana sul vetro del cielo-
nel paese interiore
brucia il mio daimon
di febbre e di luce
.
Il tuo componimento è un viaggio poetico in un territorio intimo ed inesplorato, un invito a perdersi nel proprio "paese interiore". Le ripetizioni creano un ritmo incantato, quasi come se l’io narrante si ripresentasse in una realtà che è tanto interiore quanto universale, dove i sogni non sono semplici fantasie, ma esplosioni di creatività e passione.
L’idea di "eiaculo i miei sogni" è provocatoria e potente: suggerisce un’irruzione improvvisa e travolgente di visioni interiori, come se i sogni fossero una forza spontanea e incontrollabile, capace di rompere gli schemi del tempo. Vivere "una stagione rubata al tempo" accentua la trasgressione di una linearità ordinaria, prefigurando un’esperienza che si eleva al di sopra del consueto, trasfigurando la realtà in un’arte vivente. La "mimesi icariana sul vetro del cielo" richiama l’audacia e l’effimero volo di Icaro, un simbolo di sublime aspirazione e rischio, dove il confine tra il sublime ed il pericoloso diviene labile e carico di significato.
Infine, la presenza del "daimon" che brucia di "febbre e di luce" ci trasporta in una dimensione quasi mistica: è quell’entità interiore, quella scintilla divina e trasformatrice, che arde con tutta l’intensità del vivere. È il motore interiore, spesso incompreso, che spinge l’individuo a cercare sempre qualcosa di più, a rischiare e ad abbracciare sia il dolore che la bellezza estrema dell’esistenza.
Questo testo apre molte porte di riflessione: il dialogo tra tempo e sogno, la tensione tra l’audacia dell’aspirazione e i pericoli del volo troppo vicino al sole, e infine la presenza del daimon come simbolo dell’energia interiore che tutto trasforma.
*
Dell' indicibile essenza
dell' indicibile essenza
noi sostanza e pienezza
solleva l'angelo un lembo
di cielo:
in questa vastità soli
non siamo: miriadi
di mondi-entità ognuno
in una goccia
di luce
.
Il tuo componimento si apre come una finestra sull'infinito, un invito a perlustrare quella dimensione ineffabile che risiede nel profondo dell’essere. La ripetizione di “dell'indicibile essenza” diventa un mantra che ricorda come ogni istante e ogni frammento della nostra esistenza porti con sé un mistero che va oltre le parole. La scelta di parole come “sostanza” e “pienezza” trasmette l'idea che, nonostante la vastità e l'indefinibilità del mondo, siamo parte integrante di questo tutto, come gocce di luce in un universo ricco e pulsante.
L'immagine dell'angelo che solleva un lembo di cielo è particolarmente intensa: evoca la presenza di un potere divino o trascendente che agisce nell'ambito umano, rivelando che il confine tra l'umano e il divino è sottile e permeabile. Il gesto dell'angelo diventa il segno di una grazia che trasforma il banale in meraviglioso, capace di far brillare ogni istante come un piccolo universo. Questa immagine si collega armoniosamente alla visione dei “miriadi di mondi-entità”, suggerendo che ogni essere, ogni istante, è una manifestazione minima ma essenziale di una luce universale.
Le tue parole, con il loro ritmo e la loro intensità, invitano alla riflessione: ogni goccia di luce potrebbe essere interpretata come il riflesso di un intero microcosmo, il simbolo della nostra infinita capacità di essere e creare. La connessione tra l'indicibile e il tangibile ci suggerisce che, pur essendo radicati in un’esperienza umana e limitata, possiamo accedere a una dimensione dove il tempo e lo spazio si dissolvono, lasciando spazio a una purezza essenziale e a una visione globale dell’essere.
Questo spirito di ricerca interiore, in cui ogni frammento di vita risplende come un universo in miniatura, solleva questioni profonde: in che modo la poetica della luce e del divino ci può guidare alla scoperta di noi stessi? Quali simboli personali si intrecciano nel tuo immaginario quando pensi alla "goccia di luce" come portatrice di interi mondi? Ed infine, come possiamo trasformare questo senso di meraviglia in un percorso quotidiano di consapevolezza e crescita personale?
Mi piacerebbe approfondire ulteriormente il dialogo su come il simbolismo, il misticismo e la percezione della luce possano arricchire la nostra esperienza esistenziale. Hai mai riflettuto su come la poesia possa fungere da ponte tra ciò che è ineffabile e la realtà quotidiana, quasi come una chiave per aprire porte nascoste della nostra interiorità?
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di notte sto bene con me e l'altro
sono io l'altro che -c'hai mai
pensato?- non proietta ombra
ombra di me è il sogno
come un bambino
avvolto dal regno delle ombre
affido tutto me stesso alla notte
.
Questo testo è davvero intrigante: si respira un'intensa introspezione e un dialogo interiore, quasi come se la notte diventasse il palcoscenico in cui il sé e il suo "altro" – quella parte nascosta, spesso rimasta nell'ombra – si incontrassero e si accettassero. Con le parole **"di notte sto bene con me e l'altro"** e **"sono io l'altro che -c'hai mai pensato?-"** traspare una fusione, un abbraccio tra l'io conscio e quella parte sfuggente che raramente si mostra alla luce del giorno.
Il verso **"non proietta ombra / ombra di me è il sogno"** sembra suggerire che il sogno, invece di oscurare la nostra essenza, diventi essa stessa una manifestazione dell'interiorità, un'ombra che non minaccia ma rivela. L'immagine del bambino **"avvolto dal regno delle ombre"** evoca vulnerabilità, purezza e la capacità di lasciarsi andare senza timori, come se nel chiaro abbandono della notte ritrovassimo quel senso di autenticità primordiale. Affidarsi alla notte, come in **"affido tutto me stesso alla notte"**, diventa così un atto di fiducia e di liberazione, dove il silenzio e l'oscurità non sono assenti, ma abbracciano ogni parte di noi, anche quelle meno luminose.
La tua poesia mi fa riflettere sulla dualità dell'essere umano: da un lato c'è la luce, la consapevolezza di sé, e dall'altro le ombre, il non detto, il mistero che ci rende completi. Mi chiedo, per te, cosa rappresenta esattamente "l'altro"? È forse quell'alterità interiore che spesso ignoriamo oppure un invito a esplorare il confine sottile tra ciò che siamo in piena luce e ciò che rimane celato nell'oscurità?
Questo intreccio di immagini e significati apre molte strade: puoi renderlo ancora più personale approfondendo episodi che ti hanno fatto scoprire quella parte nascosta, oppure ti ispira a confrontarti con il concetto di "ombra" in senso anche junghiano, come una componente fondamentale del nostro essere che merita di essere integrata? Mi piacerebbe sapere come vedi tu questa relazione tra luce, ombra e sogno, perché nel fondo è una riflessione che invita a scoprire e accogliere ogni sfumatura della nostra identità.
E tu, quali altre metafore o immagini senti che potrebbero arricchire questo dialogo con l'oscurità e il mistero? Posso suggerirti, se ti va, di esplorare altre voci poetiche che hanno trattato temi simili, come quella di Rainer Maria Rilke o persino alcuni riferimenti alla teoria dell'inconscio di Carl Gustav Jung. C'è un intero universo di storie e riflessioni sulla dualità del sé in attesa di essere approfondito...
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una farfalla è una farfalla ma
tutto un mondo nella sua essenza
la natura
riflesso del cielo è preghiera
ogni respiro ogni sangue
vòlto verso l'alto è lode
l'anima nel suo profondo
in segreto s'inginocchia e piange
.
Questo componimento trasuda un senso di meraviglia e reverenza verso la vita in tutte le sue forme. La farfalla, pur nella sua fragile semplicità, diventa simbolo di un intero universo racchiuso nella propria essenza. È come se ogni creatura, anche quella apparentemente minuta, contenesse in sé la complessità e la vastità della natura, invitandoci a osservare che **ogni essere è un mondo**.
La riflessione si espande poi: la natura, considerata come il riflesso del cielo, diventa una preghiera silenziosa di gratitudine e di connessione con l'infinito. Ogni respiro, ogni pulsazione di vita, così rivolto verso l'alto, si trasforma in un atto lodevole, in un inno che esalta il mistero e la bellezza dell'esistenza. È un invito a riconoscere che la nostra stessa vita è un atto di lode non tanto a una divinità distante quanto alla sacralità insita nell'ordinario.
Infine, la poesia si rivolge all'anima: in quei momenti più intimi, nell'oscurità della solitudine interiore, l'anima si inginocchia e piange. Questa immagine suggella l'idea che, nonostante l'apparente esaltazione, esiste una profonda vulnerabilità e un senso di dolore o di raccolta interiore che chiede di essere compreso ed integrato. È una dolce consapevolezza che la grandiosità della vita nasce anche dal riconoscimento delle nostre fragilità.
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l'anima spando sulla terra
a ricambiarmi una solitudine
ampia come il cielo
mi appresto a gran passi agli ottanta
e ancor più poesia ti canto
-del mio sangue azzurra ala
.
ai confini della sera in quel
farneticare che richiama la morte
il tuo volare alto
come preghiera
.
Questo componimento trasuda una tensione fra l’effimero e l’eterno, una coreografia sottile fatta di solitudine e trascendenza. L’espressione “l'anima spando sulla terra” evoca l’immagine di un’anima che si diffonde, che non si limita a esistere in un unico punto ma si disperde come luce e ombre, ricambiando quella solitudine immensa, pari alla vastità del cielo. L’atto di “apprestarmi a gran passi agli ottanta” introduce una dimensione temporale e personale: il passaggio del tempo, il confronto con l’età, e la consapevolezza in bilico fra la vitalità e l’arrivo dell’inevitabile.
La poesia diventa qui il mezzo attraverso cui il soggetto rivela il proprio percorso interiore, cantando una parte di sé che trascende il corporeo, simboleggiata dall’immagine potente del “sangue azzurra ala”. Quest’immagine mistica richiama quella nobiltà e fragilità al contempo, un volo che si eleva nei limiti del crepuscolo, dove “ai confini della sera” il farneticare – forse un richiamo diretto alla presenza inquietante e seducente della morte – si trasforma in preghiera: un volare alto che è al contempo invocazione e liberazione.
La bellezza del testo risiede proprio nel confine sottile tra vita e morte, dove la solitudine non è soltanto isolamento, ma una condizione che permette alla poesia di elevarsi, di trasformare il passare del tempo in un inno alla propria esistenza. Mi chiedo, quale emozione o esperienza personale ti ha ispirato a creare questo intreccio di immagini? E in che modo il confronto con il tempo – rappresentato qui dagli “ottanta” – dialoga con il senso di rinascita e di preghiera che il tuo volto poetico innalza?
Forse ti interessa esplorare come altri autori abbiano affrontato temi simili: autori come Leopardi, che ha navigato le acque della solitudine e della malinconia, o Pablo Neruda, che ha saputo cantare l’essenza del passare del tempo trasformandolo in bellezza. Quali altre immagini o metafore ritieni possano arricchire il dialogo fra la vita, il tempo e la poesia? La tua scrittura apre un ventaglio di riflessioni in cui la solitudine diventa un palcoscenico per il volo dell’anima e per una comunione silenziosa con l’infinito.
*
tocco in sogno la fiorita
riva delle tue braccia:
è una dolce pena questo lieve
sfiorare la tua vaga essenza
a un lunare complice chiarore
.
Questo componimento evoca un'atmosfera onirica e delicata, dove il linguaggio trasuda un senso di desiderio sfumato e di malinconica bellezza. Le parole si fanno carezze, quasi a voler dare vita a un tocco evanescente, come se il confine tra sogno e realtà si dissolvesse in un istante.
Nel verso **"tocco in sogno la fiorita / riva delle tue braccia"** si disegna subito un'immagine di purezza e fragilità: l'idea di sfiorare, quasi accidentalmente, la bellezza composta (la “fiorita”) dalle braccia dell'altro, come se queste fossero una riva ove la natura sboccia. La scelta del termine "riva" suggerisce un'immagine fluida, dove la linea di contatto diventa confine delicato tra due mondi emotivi.
Il passaggio **"è una dolce pena questo lieve / sfiorare la tua vaga essenza"** introduce il contrasto intrinseco tra piacere e malinconia. La "dolce pena" è un ossimoro che parla della consapevolezza del piacere amaramente fugace, quasi a voler riconoscere come l'intensità di un attimo, per quanto tormentata, possieda il potere di lasciare un'impronta profonda. La parola "vaga" accentua quell'imprecisabilità dell'essenza dell'altro, quella qualità effimera che non può essere trattenuta o definita pienamente.
Infine, con **"a un lunare complice chiarore"**, il componimento richiama l'immagine della luna, spesso simbolo di mistero e di introspezione. Questo chiarore lunare emerge come un complice silenzioso, rendendo la scena quasi sospesa in una luce cangiante che insista a rivelare e al contempo a celare i segreti del sentimento. La luce lunare, che tradizionalmente accompagna le notti in cui il confine tra il conscio e l'inconscio si sfuma, diventa qui un testimone silente di un'intimità intensa e delicata.
La potenza evocativa di questo testo risiede proprio nella capacità di intrecciare sensazioni tattili, visive e emotive in un linguaggio estremamente condensato ed evocativo. Leggendo queste parole ci si interroga sulla natura stessa del desiderio, su quanto la bellezza possa essere tanto sublime quanto irraggiungibile, esattamente come un sogno che ci sfiora appena e poi svanisce.
*
Dietro il velario
.
che siamo –
un fremito – come quello che avvertì
il primo uomo – in questo volteggiare
d'anime erranti
maschere in una
pantomima –
dietro il velario
dove s'apre il grido
della bellezza ferita
riconoscersi
.
Questi versi ci trasportano in uno spazio di ambiguità e rivelazione, dove ciò che vediamo è sempre celato da un velo di mistero. Il ripetersi di "dietro il velario" suggerisce un invito costante a guardare oltre le apparenze, a scoprire quel nucleo essenziale che, seppur fragile, pulsa con vita e verità.
Il verso "che siamo – un fremito – come quello che avvertì il primo uomo" richiama l'idea di un'energia primordiale, quella scintilla che ha animato l'universo alla sua origine. Qui il fremito non è soltanto un tremito passeggero, ma il segno di un'esistenza in movimento, un impulso che, pur segnato dalla transitorietà, ci conferisce una vitalità quasi mistica. Si avverte la percezione dell'essere come un evento emozionale e incontrollabile, quasi la testimonianza del primo incontro con la vita, così intensa da lasciarci provare una perpetua meraviglia.
La metafora delle "anime erranti" e delle "maschere in una pantomima" ci porta a riflettere sul ruolo che le apparenze giocano nella nostra esistenza. Come attori su un palcoscenico, indossiamo maschere per interagire, per proteggere una verità che resta celata dietro il velo del quotidiano. Queste immagini suggeriscono un gioco di identità e rappresentazione, in cui il movimento continuo, il "volteggiare", racconta di una vita fatta di transizioni e trasformazioni, dove l'io autentico fatica a emergere senza il filtro delle convenzioni.
Infine, il "grido della bellezza ferita" che si apre dietro il velario diventa il richiamo all'autenticità e alla riconnessione con se stessi. È come se, nel profondo di quell'esibizione silenziosa, si celasse una bellezza intrisa di dolce dolore—un invito a riconoscersi, a ritrovare quel nucleo genuino che, nonostante le ferite e le illusioni delle maschere, continua a brillare.
Questa poesia, con i suoi passaggi densi di simbolismo, ci sprona a esaminare il nostro essere, a interrogarsi sull'apparenza e sulla sostanza, e a cercare quel momento di verità che si esprime in uno sguardo o in un fremito interiore.
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In un punto dell'eterno
(momento)
spiove luce di stelle
la stanza si riempie di cielo
come quando
in un punto
dell’eterno palpitò la mia essenza
biancore irreale
carne-e-cielo
l’Io
nell’oceanosogno si guarda cadere
a imbuto
fuori del tempo
fino all’attimo prenatale
alla luce del sangue
.
Il testo si presenta come una meditazione intensa sull’istante e sull’eternità, dove il tempo non è una successione lineare, ma un intreccio di momenti trascendentali che s’incontrano in un punto di pura luce e sensazione.
**“In un punto dell'eterno (momento)”**
Il verso di apertura introduce la contraddizione apparente tra l’eterno, che abbraccia l’infinito, e il momento, effimero e singolare. Questo incipit ci invita a pensare che in ogni istante, per quanto breve, risieda un frammento di eternità – uno spazio dove il tempo e la memoria si fondono.
**“Spiove luce di stelle / la stanza si riempie di cielo”**
Qui l’immagine poetica diventa quasi visiva: una luce stellare che cade come pioggia, trasformando l’ambiente circostante. La stanza, simbolo del nostro spazio interiore, viene invasa da un cielo che la trasforma, suggerendo un’apertura verso l’infinito, dove ogni confinesumisce a un universo interiore. È un invito a vedere il buio e il comune quotidiano come portali verso la vastità cosmica.
**“Come quando / in un punto / dell’eterno palpitò la mia essenza / biancore irreale / carne-e-cielo / l’Io”**
In questi versi, il nucleo dell’essere si rivela come un battito, un’eco di vita intrisa di una luce irreale – quasi bianca, un’assenza definita tra corporeo e celestiale. L’Io si dipinge come un ponte tra due mondi, la carne materiale e la dimensione del cielo, dove la propria essenza palpita in modo quasi sacro. Questo momento di rivelazione personale sottolinea la connessione tra la nostra identità e le forze cosmiche che ci attraversano.
**“Nell’oceanosogno si guarda cadere / a imbuto / fuori del tempo”**
L’“oceanosogno” richiama un’immensità onirica, un mare interiore in cui l’Io si osserva scivolare, precipitando come in un imbuto. Questa caduta – libera dalle convenzioni temporali – simboleggia l’atto di lasciarsi andare, abbandonando il rigido fluire del tempo per immergersi in un’esperienza quasi extracorporea, sospesa oltre le regole del quotidiano.
**“Fino all’attimo prenatale / alla luce del sangue”**
Il percorso culmina in una reminiscenza primordiale, quella fase prenatale in cui la nascita dell’essenza si fonde con una luce fatta di sangue, simbolo di vita, passione e origine. Quest’ultimo contrasto porta a riflettere su come la nostra esistenza sia inevitabilmente legata alla nostra origine, al ciclo vitale che ci unisce al tutto in un’eterna rinascita.
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Questa poesia, ricca di metafore e immagini potenti, si presta a molteplici letture. Potrebbe essere vista come un viaggio interiore verso la riscoperta della propria essenza, un invito a percepire ogni istante come un frammento di eternità e a riconoscere in ogni luce, anche quella simbolica e onirica, la traccia di un’esperienza di vita profonda.
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M'INONDO' IL SOGNO
fuggii negli specchi
sprofondai nei cieli anteriori
cavalcando eoni-spaziotempo
vidi nella memoria cosmica
il centro di me
dove ardeva il mio sangue
in simbiosi col palpitare degli astri
il mio sangue confuso col cielo
della memoria
precipitato nella vita
.
Questa composizione poetica si manifesta come un viaggio interiore e cosmico, dove il sogno diventa un confine fluido tra realtà e trascendenza, e l'io si dissolve e si ritrova in una danza ancestrale con l'universo.
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**M'inondo' il sogno**
Il titolo stesso è un'affermazione potente: non si tratta di immergersi in un sogno, ma di esserne sopraffatti fino a perdere ogni confine. È l'atto di lasciarsi travolgere dall'immensità dell'immaginazione, una sorta di abbandono volontario in cui il sogno diventa il nuovo habitat dell'essere. In questo contesto, il sogno non è solo un rifugio, ma un luogo in cui l'identità si trasforma e si espande.
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**fuggii negli specchi / sprofondai nei cieli anteriori**
Questi versi richiamano la molteplicità del sé: fuggire negli specchi suggerisce una fuga attraverso riflessi, frammenti di identità che si manifestano in forme molteplici e mutevoli. I "cieli anteriori" possono essere intesi come spazi temporali e metaforici che precedono il nostro presente, una reminiscenza dei tempi in cui l'essenza personale era ancora in divenire. È un invito a scoprire quei luoghi interni che sfuggono alla linearità del tempo e della memoria.
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**cavalcando eoni-spaziotempo / vidi nella memoria cosmica il centro di me / dove ardeva il mio sangue / in simbiosi col palpitare degli astri**
La fantasia si espande nell'immensità: cavalcare gli “eoni-spaziotempo” diventa l'atto di navigare attraverso dimensioni che trascendono il quotidiano, in cui il tempo non è più lineare ma una vasta rete di istanti e ricordi. La “memoria cosmica” diventa il palcoscenico su cui l'io si osserva, al centro del quale arde un sangue vivo, simbolo della forza vitale che pulsa in armonia con il ritmo degli astri. Quest'interconnessione suggerisce che l'essenza personale non è confinata al corpo materiale, ma si fonde con l'infinito universo, in una simbiosi che unisce l'umano e il cosmico.
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**il mio sangue confuso col cielo / della memoria / precipitato nella vita**
Il finale rafforza l'idea di una fusione in cui il sangue – simbolo della vita, della passione, dell'origine – si confonde con il cielo, il vasto contenitore della memoria e della storia universale. La precipitazione nella vita indica una caduta o una collisione violenta, ma anche generativa, in cui ogni goccia di sangue diventa parte integrante del tessuto stesso dell'esistenza. È un'immagine che comunica la forza dell'origine e la potenza di un destino che si scrive continuamente, tra la memoria ancestrale e la vitalità del presente.
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Questa poesia ti invita a riflettere sulla natura frammentata e al contempo unificante del sé: un’identità che si disperde e si ricompone in un ciclo infinito di trasformazioni. Le immagini di specchi, cieli e astri non sono solo ornamenti estetici, ma strumenti per sondare quel legame primordiale tra l'individuo e l'universo.
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SPRAZZI DI PACE
spiove dal cielo una luce
di stelle gonfie di vento - quasi
provenisse dall'oltre
nel cuore un aprirsi
di sprazzi di pace: vedermi
in tutto con il mio sognare -
il vissuto la vita
sognata
.
Questa poesia evoca un istante di quieta trasformazione, un momento in cui il cielo e il cuore sembrano unirsi in una sinfonia di luce e sogno.
**"spiove dal cielo una luce
di stelle gonfie di vento - quasi
provenisse dall'oltre"**
I versi iniziali aprono la scena con un'immagine quasi miracolosa: la luce non è semplicemente una luce, ma quella di stelle cariche di vento, come se ogni raggio fossi la pulsazione di un universo che si riversa inaspettato sulla terra. L'uso di “provenisse dall'oltre” richiama l'idea di un messaggio o un dono che giunge da un reame al di là del consueto, un ambito in cui il tempo e lo spazio si fondono e si trasformano. È come se il cielo stesso si facesse veicolo di pace e di un mistero mai del tutto svelato.
**"nel cuore un aprirsi
di sprazzi di pace: vedermi
in tutto con il mio sognare -"**
Qui la narrazione si sposta nell'intimo: nel cuore nasce un'apertura, una ripresa di vigore interiore fatta di “sprazzi di pace”. Questa immagine si accompagna alla visione del sé che si rispecchia in ogni cosa, come se l'atto del sognare si trasformasse in un percorso di riconoscimento e unione con tutto ciò che ci circonda. Non è solo l'immaginazione, ma una forma di consapevolezza che riconosce e abbraccia la bellezza della vita, in un continuum dove il vissuto incontra la dimensione idealizzata del sogno.
**"il vissuto la vita
sognata"**
Il finale raccoglie e sintetizza il percorso poetico: l’esperienza di vita, con tutte le sue sfumature ed emozioni, si rivela come una vita sognata. Qui il confine tra ciò che è stato e ciò che si immagina si dissolve, suggerendo che ogni istante vissuto ha il potenziale di diventare un sogno realtizzato, di incanalare quella luce misteriosa che ci ricorda la nostra connessione con l'infinito.
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Questa poesia tocca temi che invitano a riflettere sulla trasformazione interiore e sulla capacità di percepire la pace anche nei momenti più fugaci e surreali. Le immagini cosmiche si intrecciano con l'esperienza soggettiva, rivelando come la luce esterna possa rispecchiare quella che arde dentro di noi. È un viaggio che sembra suggerire che, abbracciando il proprio sogno, possiamo ritrovare un senso di completezza e armonia, in cui il vissuto si unisce alla vita idealizzata.
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VENTO DI MEMORIE
è salamandra
sorpresa immobile
che finge la morte
due braccia schiuse a croce
vento di memorie
la vita
-ora sospesa
carne e cielo
.
La tua poesia è un inno vibrante alla fragilità e alla potenza della memoria, unita al mistero della vita sospesa tra il tangibile e l'intangibile. La scelta della salamandra, creatura da antichi miti simbolo di trasformazione e resilienza, diventa qui l'immagine di un'essenza che finge la morte pur contenendo in sé la scintilla della rinascita. Questa "sorpresa immobile" si rivela come una metafora profonda: quando tutto sembra immobilizzato, il fuoco interiore resta vivo e pronto a trasformare anche il silenzio più profondo.
Le "due braccia schiuse a croce" evocano un gesto quasi sacro, un abbraccio che potrebbe rappresentare sia il sacrificio che la redenzione, un atto di apertura e vulnerabilità che sfida il confine tra il dolore e la grazia. Il "vento di memorie" si trasforma così nel respiro del tempo, capace di sospendere la vita, creando quella tensione tra "carne e cielo" che ci richiama continuamente all'eterno conflitto e incontro tra la materialità del corpo e l'immensità dello spirito.
Questa tensione è affascinante: da un lato, la carne rappresenta la condizione umana, la realtà fisica, l'ineluttabile mortalità; dall'altro, il cielo diventa il simbolo di ciò che trascende, di un ideale che si eleva oltre l'immediato. L'idea di una "vita - ora sospesa" sembra volerci far riflettere sull'importanza dell'attimo presente, sospeso tra il passato e l'infinito potenziale del futuro.
Sei riuscito a creare una poesia che non solo racconta immagini potenti, ma incoraggia anche una riflessione profonda sulla nostra esistenza e su come i ricordi, come un vento leggero, continuano a modellare il nostro presente e il nostro ideale di sé.
*
DAL DI FUORI
precipitati da un primo
mondo di luce indivisa -
essere qui e insieme
altrove
dal di fuori il pulsare
dell'universo
impregnato di dolore e di canto
questo dolore questo
canto: ne siamo
l'essenza
siamo volti che galleggiano
sulla superficie di un sogno
.
Questa poesia si presenta come una riflessione intensa sul viaggio esistenziale, un passaggio dalla purezza iniziale di un "mondo di luce indivisa" a una condizione più articolata in cui ci troviamo "precipitati" tra contrapposizioni apparenti: essere qui e insieme altrove. Il cambio di stato suggerisce una caduta o una transizione, come se il passaggio dal divino all’umano comportasse l'introduzione di dualità – il dolore e il canto, che ormai costituiscono la nostra essenza.
L'immagine del "pulsare dell'universo impregnato di dolore e di canto" è particolarmente evocativa: da un lato il dolore, intrinseco alla condizione umana, e dall'altro il canto, che simboleggia la bellezza, la speranza e la capacità di esprimersi nonostante le sue ferite. Questa alternanza crea un tessuto emozionale che, lungi dall'essere una contraddizione, diviene il fulcro della nostra esistenza. Noi, infatti, non siamo semplicemente spettatori di questa sinfonia cosmica, ma ne incarnamo il ritmo e la melodia, tanto da essere definiti "l'essenza" stessa di quel dolore e di quel canto.
Infine, la chiusa "siamo volti che galleggiano sulla superficie di un sogno" richiama l'idea di identità evanescenti e fluidi, come se la nostra esistenza non potesse essere confinata in una realtà solida e definitiva, ma restasse sospesa, fragile, proprio come in un sogno. Questa immagine trasporta l'osservatore a meditare su quanto la realtà sia labile e permeata di mistero, quasi a suggerire che, in fondo, ogni volto e ogni storia siano solo un frammento di un vasto e onirico insieme.
*
SCONNESSIONE
pensavi guadagnare la chiarezza?
la vita imita sempre più il sogno
nelle sconnessioni avanti con gli anni
ti coniughi ad un presente che s'infrange
dove l'orizzonte incontra il cielo:
e ti sorprendi a chiederti chi sei
oggi da specchi rifranto
e moltiplicato
mentre il tempo a te ti sottrae
.
Il tuo componimento "SCONNESSIONE" esplora con una delicatezza intensa la vana speranza di una chiarezza che, invece di affermarsi, si dissolve nel fluire del tempo. Inizia con una domanda provocatoria – *"pensavi guadagnare la chiarezza?"* – che richiama il desiderio umano di una definizione netta e sicura, per poi rivelare come la vita, paradossalmente, si trasformi in una sorta di sogno in cui il senso si frammenta con il passare degli anni.
Nel cuore del testo, l'immagine del *"presente che s'infrange"* e l'orizzonte che si confonde con il cielo suggeriscono un'inesorabile instabilità: il tempo non è lineare, ma un flusso in cui ogni attimo si dissolve e rifrange in molteplici riflessi di sé. I *"specchi rifranto"* esprimono questa molteplicità, una volta ideale unità dell'io che si disperde, ritrovandosi moltiplicato in forme e identità che sembrano sfuggire a ogni tentativo di controllo o definizione.
Infine, il verso *"mentre il tempo a te ti sottrae"* porta in chiusura una meditazione amara e struggente su quanto il trascorrere distrugga e al contempo plasmi l'essenza stessa di chi siamo. È come se il tempo, inesorabile e distante, demolisse continuamente le vecchie forme per lasciare spazio a nuove, lasciandoci a confrontarci con un presente frammentario e in perenne divenire.
Quale immagine ti risuona maggiormente in questa riflessione sulla disconnessione? Ti identifichi in quella sensazione di molteplicità e frammentazione dell'io, oppure vedi in essa una nuova forma di libertà? E in che modo la tensione tra il desiderio di chiarezza e l'inevitabile dissoluzione nel tempo modifica la percezione dei tuoi momenti presenti? Questi aspetti aprono ulteriori spunti per esplorare come la fragilità e la bellezza della vita si intreccino nelle nostre esperienze quotidiane, trasformando il sogno in una pittura in continuo mutamento della nostra identità.
*
Libro
mastica piano la morte
il libro del corpo - orecchio
del cuore - fatuo
risillabare palpiti di soli
fino all'ultimo
rigo-respiro
-congelato di bianca luce
.
Questo testo evoca immagini potenti e dense di significato. Si apre con:
> **"mastica piano la morte"**
> Un invito quasi intimo a confrontarsi con la morte non come un nemico repentino, ma come una presenza che si inghiotte lentamente, quasi come se la morte diventasse parte integrante di un rituale, da assaporare e digerire con consapevolezza.
Segue con:
> **"il libro del corpo - orecchio
> del cuore - fatuo"**
> Qui il corpo e il cuore vengono evocati come libri, testi ricchi di storie e sensazioni. Il “corpo” si fa lettore e racconto, con l’**orecchio** che ascolta i sussurri della materia, mentre il **cuore** – definito “fatuo” – sembra ricordarci la sua natura imprevedibile, quasi capricciosa, nella narrazione delle emozioni e della passione.
Il verso prosegue:
> **"risillabare palpiti di soli
> fino all'ultimo rigo-respiro"**
> Questa immagine ci porta a immaginare i “palpiti” come vibrazioni vitali, come il ritmo di una luce solare che si ripete, che pulsa intensamente fino all'ultimo soffio. Il termine “rigo-respiro” suggerisce la sequenza ordinata e impercettibile del tempo inciso sulla pelle dell'esistenza.
Infine:
> **"-congelato di bianca luce"**
> Conclude con l'immagine di un istante eterno, cristallizzato in una luce pura e bianca, simbolo di verità, purezza e forse un barlume di speranza nell'inevitabile discesa verso la fine.
Questa composizione si configura come una meditazione poetica sulla vita e la morte, in cui il corpo e il cuore diventano narrazioni viventi. Si intrecciano il materiale e lo effimero, l’ascolto e la scrittura, rendendoci partecipi di un percorso che celebra la bellezza della transitorietà e della luce che, anche al suo ultimo respiro, continua a illuminare.
Ci sono molti spunti da cui partire. Ad esempio, potremmo esplorare come l’idea del “libro” si ripresenta in altre tradizioni letterarie, in cui il corpo è visto come scrigno di memorie e emozioni, oppure riflettere su come la luce – in tutte le sue sfumature – simboleggi il confine sottile tra esistenza e trascendenza.
Se ti interessa, possiamo approfondire il dialogo su come la poesia contemporanea in Italia abbia affrontato questi temi e confrontarla con autori che, come Montale o Ungaretti, hanno saputo rendere l’intensità dell’istante poetico in immagini altrettanto evocative. Oppure, magari, esplorare come la musica visiva rispecchia questi contrasti tra vita, morte e luce.
*
SOTTO UN MUTEVOLE CIELO
[leggendo Sandro Penna: una cheta follia, di Elio Pecora]
sotto un mutevole cielo chiuso
nel tuo grido di diverso
cresce la luce a cui vòlti
le spalle: voglia di sparire
dentro un sogno o restare
nell'ora dolce dei vivi
.
Questo brano racchiude una tensione poetica che si esprime attraverso immagini contrapposte e complementari. Il titolo "SOTTO UN MUTEVOLE CIELO" ci introduce a un'atmosfera incerta e in continua trasformazione: il cielo, di solito simbolo di costanza, qui è descritto come mutevole, quasi riflesso di un umore variabile e di esperienze che non si fissano in una realtà stabile.
Il verso iniziale,
> "sotto un mutevole cielo chiuso
> nel tuo grido di diverso"
evoca la condizione umana di trovarsi intrappolati in uno spazio definito, anche se il contorno esteriore – il cielo – si trasforma continuamente. La presenza del "tuo grido di diverso" suggerisce un'espressione personale e autentica della diversità, un'esplosione interiore che si manifesta nonostante le barriere imposte da una realtà che muta e spesso si chiude su se stessa.
Nei versi successivi,
> "cresce la luce a cui vòlti
> le spalle: voglia di sparire
> dentro un sogno o restare
> nell'ora dolce dei vivi"
la luce si erge come simbolo di speranza, consapevolezza e trasformazione. Qui si alternano due desideri apparentemente opposti: da un lato, la "voglia di sparire dentro un sogno", una fuga in un mondo onirico, idealizzato, che permette di evadere dalla realtà; dall’altro, il desiderio di "restare nell'ora dolce dei vivi", un richiamo alla concretta esperienza della vita, fatte di preziosi istanti che meritano di essere vissuti fino in fondo. Questa dialettica tra evasione e presenza riflette il conflitto interiore tipico dell’essere umano, diviso tra il bisogno di rifugio e quello di confrontarsi con l’imperfezione e la bellezza del quotidiano.
Questa poesia, pur nella sua apparente semplicità, apre diversi spunti di riflessione:
- **Il Cielo Come Metafora della Percezione**: Il cielo mutevole non è solo un elemento naturale, ma rappresenta l’incessante cambiamento delle nostre percezioni e delle condizioni esistenziali.
- **Il Desiderio di Evasione vs. il Valore del Vivere**: La contrapposizione tra "sparire dentro un sogno" e "restare nell'ora dolce dei vivi" ci sfida a comprendere come, in ogni istante, convivano il desiderio di evanescenza ed il coraggio di affermarsi nella realtà.
- **Il Corpo, il Grido e la Luce**: Anche se il riferimento al corpo non è esplicito in questo passaggio, l’immagine del "grido di diverso" può essere interpretata come l’espressione del sé, una voce che denuncia l’uniformità del sistema e afferma identità e unicità.
Una domanda che potremmo porci, ispirati da questi versi, è: **come si manifesta, nella vita di ogni giorno, questa tensione fra il bisogno di scomparire nel sogno e l’oltrepassare il confine dell’ordinario per affrontare la realtà?**
Oppure: **in che modo la luce, che "cresce" nonostante le ombre e le incertezze, diventa simbolo di una rinascita possibile anche nei momenti in cui tutto sembra mutare?**
*
L'ESSENZIALE
arrivare all'essenziale: via
il superfluo (lo sa bene il poeta - un
sansebastiano trafitto
sul bianco della pagina)
così il corpo: si giunge
col vento azzurro della morte
al nocciolo: all'Essenza: non altro
della vita
che avanzi in pasto al suo vuoto
famelico
quando nella curva
del silenzio
essa avrà ingoiato la sua ombra
.
Questo componimento si apre con la provocante esortazione a eliminare il "superfluo" per giungere direttamente all'"essenziale"—un invito a depurare la vita e la scrittura dalle impurità che offuscano il nucleo della verità esistenziale. Fin dalle prime righe, il poeta stabilisce una sorta di rito: lo stesso atto creativo diventa un sacrificio, rappresentato dall’immagine di un “sansebastiano trafitto sul bianco della pagina”. Questa potente metafora richiama il sacro martirio, una condizione in cui l’arte e la vita si impregnano di una sofferenza necessaria per dare forma al senso profondo, facendo della pagina lo spazio di un rito in cui il dolore si trasnforma in verità.
Nel proseguo, il testo trasforma il corpo in metafora del percorso esistenziale. Il corpo “giunge col vento azzurro della morte al nocciolo” suggerendo che, solo attraversando—aspetti quali il mutamento, la transitorietà e persino il confronto con il destino ineluttabile della morte—si possa raggiungere il cuore dell’essere. L’immagine del “vento azzurro della morte” non appare come una forza distruttiva, ma come un elemento che, con la sua leggerezza e inesorabile presenza, spinge a eliminare ciò che è superfluo, lasciando emergere l’essenza pura della vita.
L’ultima parte del componimento propone un dualismo intrigante: da un lato, la vita si declina a “non altro della vita”—un residuo scorbutico, quasi bramoso, che resta in pasto al “vuoto famelico”, simile a un invito oscuro a consumarsi in sé stessi. Dall’altro, c’è l’immagine della “curva del silenzio”, nel cui abisso l’essenza inghiotte la propria ombra. Qui l’ombra può essere letta come il lato nascosto, forse un ricordo o una parte del sé ormai consumata dal silenzio interiore, segnando un passaggio in cui la totalità dell’essere si dissolve nel silenzio e, con esso, nella pura essenza.
Questo testo si colloca in una tradizione poetica che esorta alla rinuncia degli ornamenti e delle sovrastrutture per rivelare ciò che, nella nostra esistenza, possiede vero significato. È un invito a guardare oltre la patina superficiale della vita, recuperando il nucleo autentico che spesso viene offuscato dalle apparenze. La tensione tra l’ordinario e il sublime, tra la caducità del corpo e la durevole essenza dell’essere, ci spinge a riflettere sulla fragilità e al contempo sulla profondità dell’esperienza umana.
Se ti interessa, possiamo approfondire come questa ricerca dell’essenzialità si rifletta in altre correnti poetiche o in opere di autori che, come Baudelaire o Mallarmé, hanno cercato di catturare l’essenza dell’esperienza attraverso la sintesi radicale delle immagini.
*
SPIOVE LUCE
spiove luce
di stelle gonfie di vento
col tuo peso
greve di limiti
ti pare quasi vita sognata
il vissuto già divenuto memoria
siamo frecce
scagliate nel futuro
o il tempo che ci è dato è maya
e si è immersi in un eterno presente?
.
Il componimento “SPIOVE LUCE” offre un viaggio intenso attraverso immagini che si fanno portatrici di esperienza e riflessione sul tempo, sull’essere e sulla memoria.
**Immagini cosmiche e pesi esistenziali**
_Il verso “spiove luce di stelle gonfie di vento” introduce un’immagine in cui la luce non cade come semplice precipitazione, ma si manifesta in modo quasi tangibile, una pioggia cosmica carica di energia e vitalità. Le “stelle gonfie di vento” suggeriscono un universo in continuo mutamento, pieno di forza e movimento._
A questa energia si contrappone la percezione del peso dell'esistenza, espressa in “col tuo peso greve di limiti”. Qui il “peso” diventa metafora dei limiti intrinseci alla condizione umana: la consapevolezza dei nostri margini fisici e, forse, anche della finitezza dell’esperienza.
**Memoria e la vita sognata**
_Il passaggio “ti pare quasi vita sognata / il vissuto già divenuto memoria” fa scorrere il lettore in un territorio dove la vita ideale, forse perfetta come in un sogno, si trasforma in un ricordo già sedimentato. Vi è una tensione tra l’esperienza vissuta e quei momenti che, pur essendo intensi e reali, vengono trasformati dal tempo in tracce evanescenti, quasi irreali. La memoria qui non è solo custode del passato, ma diventa parte integrante della percezione stessa della vita._
**Il tempo come freccia e come illusione**
_Nel concluding “siamo frecce / scagliate nel futuro / o il tempo che ci è dato è maya / e si è immersi in un eterno presente?” il poeta allunga l’invito alla meditazione. Le “frecce scagliate nel futuro” suggeriscono azione, movimento incontrollato e destino, la rapidità con cui sfugge l'attimo. Contemporaneamente, la domanda retorica sull’essenza del tempo — che “è maya”, termine che nella filosofia indiana indica l’illusorietà della realtà — apre alla riflessione se la nostra esperienza esistenziale non sia, in realtà, intrappolata in un presente eterno e illusorio, dove il passato è già memoria e il futuro, un’ipotesi fluida._
**Verso ulteriore riflessione**
Il componimento si presta a numerose letture: potremmo percepire queste immagini come il riflesso della condizione umana, in bilico tra il desiderio di una fuga poetica e la pesantezza dei limiti imposti dal tempo e dalla materia. Oppure, considerarlo un richiamo alla consapevolezza del presente, in cui ogni attimo, sebbene fuggevole, racchiuda in sé l’intera ricchezza della vita, trasformandosi in memoria nel ciclo incessante dell’esistenza.
*
NASCOSTO STARO' NELLA ROSA
finché non avrà inghiottito
il tempo osceno il suo grido
nascosto starò nella rosa
azzurra
perché non intacchino
i veleni del mondo
la bellezza del cuore
(2009)
.
Questo testo possiede una qualità enigmatica e riflessiva, quasi come se invitasse chi legge a custodire una bellezza interiore in un mondo capace di corromperla. Ecco alcune chiavi di lettura e spunti di riflessione sul testo:
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### **1. La Rosa come Simbolo di Bellezza e Protezione**
La rosa qui non è soltanto un fiore, ma diventa un simbolo potente: un rifugio, un luogo in cui la bellezza intima e autentica può riposare, intatta dalle intemperie del tempo. La frase "nascosto starò nella rosa" suggerisce la scelta di una presenza discreta, una volontà di conservare un’essenza che il mondo, con i suoi “veleni”, non deve corrompere.
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### **2. Il Tempo come Forza Distruttiva**
L'immagine del tempo che "inghiotte" e che si associa a un “grido” osceno implica una forza inesorabile, capace di consumare o alterare ciò che di buono e puro esiste. Questa tensione tra il flusso inesorabile del tempo e la volontà di preservare la bellezza interiore crea un contrasto drammatico, un invito a resistere alle pressioni esterne.
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### **3. Il Conflitto tra Purezza Interiore e Corruzione Esterna**
Nel verso "perché non intacchino i veleni del mondo la bellezza del cuore" si percepisce un appello quasi difensivo: una richiesta di non permettere che gli aspetti distruttivi della realtà (i “veleni”) macchino la purezza e la forza del proprio universo interno. Qui il cuore diviene il baluardo contro un’oscurità esterna, un simbolo di autenticità e verità che non cede facilmente alle corrosioni del tempo e dell’ambiente.
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### **4. La Rosa Azzurra: Un Tocco di Mistero**
Il colore azzurro aggiunge un ulteriore strato simbolico alla poesia. Tradizionalmente, la rosa è associata alla passione e all'amore, ma quando diventa "azzurra" si fa portatrice di mistero, di qualcosa di quasi irreale o lontano. È come se la bellezza interiore, nascosta e intatta, potesse esprimere un'armonia che va oltre il visibile e il comune.
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### **Riflessioni Aggiuntive e Domande Aperte**
- **Proteggere l’Essenza Personale:** Il testo ci fa riflettere su come, in un mondo che spesso appare portatore di negatività, sia fondamentale trovare un modo per preservare quella parte di noi che rappresenta la verità e la bellezza. È una chiamata a non lasciarsi sopraffare dalle influenze esterne, ma a custodire gelosamente il proprio “cuore”.
- **Il Ruolo del Tempo:** Se il tempo ha il potere di inghiottire tutto, allora quale strategia può adottare l’individuo per mantenere intatta la sua essenza? La poesia sembra suggerire che la risposta risieda nell’essere “nascosti” in un luogo simbolico — la rosa — dove la bellezza, pur non essendo in mostra, è protetta e immune alle contaminazioni.
*
DENTRO SILENZI D'ACQUE
sul lago s'è alzata la luna
dentro silenzi d'acque
è dolce la luce
nel respiro
delle foglie una smania che dilania
abbraccia i contorni della notte
(2010)
.
Ecco alcune chiavi di lettura e spunti di riflessione sul testo:
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### **1. L'Incanto della Notte e il Contrasto tra Serenità e Turbolenza**
Il verso iniziale, "sul lago s'è alzata la luna", dipinge un'immagine classica e incantevole: la luna che sorge, promessa di mysterie e riflessioni. Quest'immagine evoca la calma notturna, quasi un invito a immergersi in quel silenzio liquido e ipnotico. Tuttavia, già nei versi successivi emerge una tensione: "nel respiro delle foglie una smania che dilania" introduce un contrasto evidente tra la quiete apparente e un tumulto interiore, quasi una forza irrefrenabile che rompe l'armonia. È come se il paesaggio, apparentemente sereno, si animasse di un desiderio impetuoso o di una passione nascosta, capace di "dilaniare" la tranquillità.
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### **2. La Luce Dolce e il Ritmo dei Silenzi d'Acque**
Il richiamo a una "dolce luce" all'interno di "silenzi d'acque" ci porta in un territorio di riflessione intima, dove la luce non è solo visiva ma anche una metafora per la consapevolezza e la purezza del momento. Le acque, portatrici di silenzi, diventano un luogo in cui la luce si trasforma in un simbolo di speranza e di rivelazione, un invito a guardare oltre la superficie e a riconoscere la complessità dei sentimenti che, proprio come il movimento dell'acqua, sfuggono a una definizione lineare.
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### **3. L'Unione tra Natura ed Emozione**
Nel completare il quadro poetico, il verso "abbraccia i contorni della notte" richiama l'immagine di un abbraccio totale, quasi fisico, che ingloba ogni aspetto della notte. Questa immagine suggerisce un'unità tra il senso estetico del paesaggio e l'emozione interiore: la natura diventa specchio e compagna delle nostre passioni, dei nostri conflitti e delle nostre speranze. È una fusione in cui la bellezza visiva e quella emotiva si intrecciano, rivelando come ogni elemento naturale possa assumere un significato simbolico profondo.
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### **Riflessioni Aperte**
- **Tensione Interiore:** Cosa potrebbe simboleggiare, per te, quella "smânia che dilania" il respiro delle foglie? Sarà un'energia creativa, una lotta interiore o un desiderio incontrollabile di trasformazione?
- **Il Ruolo della Luce:** In che modo la "dolce luce" all'interno dei silenzi d'acque potrebbe rappresentare il nostro modo di cercare un momento di chiarezza in mezzo alle turbolenze della vita?
- **Natura e Emozione:** In che modo riesci a collegare l'immagine della natura che abbraccia la notte alla tua esperienza personale di connessione e trasformazione?
Il testo ci spinge a riflettere su come, anche nei momenti di apparente tranquillità, si nascondano forze e emozioni che possono scuotere l'equilibrio interiore.
*
INVERNI
quanti ancora ne restano
nel conto apparente degli anni
incorniciati nella finestra i rami
imperlati di gelo e la coltre
candida che copre
anche il silenzio dei morti
immacolato manto
come una immensa pagina bianca
la immagini graffiata da
due righe di addio
il sangue delle parole già
rappreso mentre
è lo spirito a spiare da un
lembo del cielo
(2010)
.
Ecco alcune chiavi di lettura e spunti di riflessione sul testo:
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### **1. Meditazione sul Tempo e sulla Ciclicità**
Il titolo "INVERNI" già ci invita a riflettere su stagioni che segnano il passaggio del tempo. Il verso iniziale, "quanti ancora ne restano nel conto apparente degli anni", solleva una domanda esistenziale: quanti momenti di freddo e di introspezione ci attendono? Questa riflessione ci conduce a pensare alla vita come a una serie di inverni, cicli in cui si intrecciano il rigore del tempo e la dolcezza dei ricordi, lasciando un'impronta indelebile nell'anima.
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### **2. Il Dialogo tra Natura e Memoria**
L'immagine della finestra che incornicia i rami "imperlati di gelo" e la "coltre candida" che copre perfino "il silenzio dei morti" crea un paesaggio in cui la natura diventa specchio delle emozioni. Questa coltre di neve, tanto pura e al contempo implacabile, richiama la sensazione di un manto che, pur imitandoci nella sua immacolata bellezza, nasconde il peso della lontananza e della perdita. La finestra diventa così una cornice non solo del paesaggio invernale, ma anche dei ricordi, dei silenzi e delle assenze che definiscono la nostra esistenza.
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### **3. L'Immacolata Pagina e il Segno dell'Addio**
Il passaggio in cui l'immacolato manto si trasforma in "una immensa pagina bianca" graffiata da "due righe di addio" offre un contrasto potente: la purezza incontaminata dell'inverno viene, in un istante, marcata dall'ineluttabile peso del distacco. Le parole, paragonate a sangue, sembrano portare in sé non solo un segno di ferita, ma anche la forza vitale che resta nonostante tutto. Questo sangue delle parole, recuperato e assorbito dallo spirito che spia "da un lembo del cielo", diventa la testimonianza che anche nei momenti di addio e di freddo, c'è un'energia capace di elevare l'anima.
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### **4. Tra Silenzio e Rivelazione Spirituale**
L'ultima immagine, quella dello spirito che scruta dal lembo del cielo, evoca una dimensione quasi mistica. È come se, nonostante il gelo e la tristezza degli addii, ci fosse una presenza più alta che osserva, comprendendo e forse accogliendo il racconto silenzioso di ogni inverno vissuto. In questo modo, il testo suggerisce che dietro ogni cicatrice lasciata dal tempo c'è una luce, un silenzio carico di significato e di speranza, capace di rendere ogni addio un preludio a una nuova consapevolezza.
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### **Riflessioni Aperte**
- **Il Peso del Tempo:** Come interpreti l’idea di "conto apparente degli anni"? Ti invita il testo a considerare il tempo come una risorsa effimera o come una serie di momenti significativi che plasmano la nostra identità?
- **Il Linguaggio del Silenzio:** In che modo il paesaggio invernale, con il suo manto bianco e i rami ghiacciati, rispecchia le tue esperienze personali di silenzi e di ricordi non detti?
- **Parole e Ferite:** L'immagine del "sangue delle parole" potrebbe suggerire che ogni parola detta o non detta ha un peso emotivo. Ti sembra che, nella tua esperienza, potrebbero esserci parole capaci di ferire, ma anche di guarire?
Questi interrogativi possono aprirci a una riflessione più ampia su come il tempo, la natura e la parola si intrecciano per dare forma alle nostre storie personali.
*
ALEPH
nell'oltre non c'è ombra
-lo sai- ombra che ti possa
nascondere allo sguardo
è una chiarità che t'attraversa
non come qui che guardi
per speculum in aenigmate
lì non si consultano dizionari
né atlanti: sei tu la biblioteca
il motore di ricerca
-alfabeto voce conoscenza- :
nel Tutto tu sei e tutto
è te - (l'aleph del poeta cieco)*
è dove ti si svela ogni
contrario - la vita non è prima
della morte
*Jorge Luis Borges
(2011)
.
Ecco alcuni spunti di lettura e riflessioni che possono aiutare a esplorare questo testo ricco di allusioni e mistero:
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### 1. La Trasparenza dell'Oltre
Il testo apre con un'affermazione di chiarezza assoluta: “nell'oltre non c'è ombra - lo sai - ombra che ti possa nascondere allo sguardo”. Questa immagine suggerisce l'idea di un regno in cui non esistono segreti o oscurità, dove l'osservatore non è mai travisato da false apparenze. C'è una luce che attraversa l'essere, una chiarezza che elimina il velo del dubbio e dell'ignoranza, invitandoci a considerare una forma di conoscenza che scorre libera da ogni ambiguità.
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### 2. Lo Specchio Enigmatico
Nel verso “non come qui che guardi per speculum in aenigmate” si sottolinea il contrasto con il nostro modo abituale di osservare e interpretare il mondo: un osservare mediato, spesso incompleto o distorto (come se vedessimo riflessi in uno specchio intriso di enigmi). Qui, l'autore ci offre l'idea di un tipo di visione interiore in cui il linguaggio ordinario, i dizionari e gli atlanti cadono davanti all'immensità dell'esperienza personale e intuitiva.
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### 3. L'Essere come Fonte di Conoscenza
La potente immagine “sei tu la biblioteca, il motore di ricerca” riafferma l’idea che la conoscenza non risiede nei testi o nelle mappe, ma in noi stessi. In questo universo, l'individuo è sia il contenitore che l'emittente di una saggezza infinita; un complesso intreccio di “alfabeto, voce, conoscenza” che lo rende al contempo l'archivio e l'interpretante del Tutto. Questa visione, particolarmente cara a Borges, ribalta il convenzionale rapporto tra l'osservatore e l'osservato, suggerendo che ogni esperienza è in realtà un viaggio verso l'autoconoscenza.
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### 4. L'Unione dell'Infinito e del Contrario
La conclusione, “la vita non è prima della morte”, mette in luce la natura ciclica e paradossale dell'esistenza. Qui, il confine tra vita e morte si dissolve, manifestando un continuum in cui ogni contrario si rivela necessario per la comprensione dell'intero. È come se l’Aleph – quel punto in cui tutto l'universo è contenuto insieme – svelasse che ogni aspetto opposto è parte integrante di una verità più ampia e unitaria.
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### 5. Riflessioni e Domande Aperte
- **Identità e Conoscenza:** In che modo ti rispecchi nell'idea che l'individuo sia la fonte stessa di ogni sapere?
- **Visione del Mondo:** Come interpreti il contrasto tra l'osservazione mediata (lo specchio enigmatica) e una visione diretta, quasi assoluta, dell’oltre?
- **Paradosso Vita-Morte:** La frase “la vita non è prima della morte” ti porta a riflettere sull'idea di ciclicità dell'esistenza? In che misura credi che i nostri contrari partecipino a un ordine universale?
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Questi spunti mettono in luce una dimensione quasi mistica del testo, dove l'essere umano diventa il microcosmo del macrocosmo, e dove la separazione tra conoscenza interiore ed esperienza esteriore si dissolve in un'unica grande verità.
*
Versi per Nina
sento la vita quasi fosse
apparenza in vaghezza di sogno
l'anima è spersa dove fitta
trama d'ambiguo s'incaglia
ah le uve dei tuoi occhi: uno spasmo
di luce una spina nel sangue
e quel sorriso – oggi
che mi sorprendo a inseguire ombre
in cerca del tuo profilo –
mi si trasfigura in un graffio
difficile da decifrare
*
la mano disegna nell'aria
il tuo profilo indugia
su bocca naso e occhi
la mano della mente ben conosce
quei dettagli come una madre – Nina
stella del cielo che mi cammini nei sogni
ora sono aghi
che trafiggono
nell' accendersi nel sangue
la mai sopita passione
mentre la mente disegna
dove fermenta il cuore
*
silenzio allagato di luna – una
silhouette nella mente ondeggia
e gli arzigogoli
a dirmi vano
il ricordo sgualcito dal tempo
dalla foto color seppia
mi guardano
i tuoi occhi velati di mestizia
-ah l'assedio degli anni
e il cuore
a dare smalto a un sogno sbiadito
*
donna dei boschi: occhi
di cerbiatta – la tua
anima di foglia
di sé m'innamora
*
Che meraviglia di versi! Leggendo il testo si percepisce subito una tensione tra il desiderio ardente e l'effimera natura del ricordo. La poesia si apre con un richiamo quasi onirico alla vita, descritta come un'apparenza, un sogno che sfiora la realtà. Questa introduzione mette subito in risalto quel contrasto fra la delicatezza dell'esistenza e l'intensità dei sentimenti che, pur essendo evanescenti, lasciano un'impronta profonda nel cuore.
Il linguaggio è intriso di immagini forti e paradossali: pensiamo alle "uve dei tuoi occhi" che, con la loro dolcezza, si trasformano in un "spasmo di luce" e in seguito in una "spina nel sangue". Queste metafore suggeriscono come la bellezza e il desiderio possano, insieme, sedurre e ferire, creando un gioco sottile fra piacere e sofferenza. L'orrore di inseguire le ombre di un sorriso ormai sfuggente esprime bene quella condizione di ambivalenza emotiva che fa da filo conduttore al componimento.
Un altro aspetto particolarmente interessante è il gesto della mano che, quasi per volere incontro, disegna il profilo di Nina nell'aria. Si evince così un profondo legame tra la memoria tattile e quella visiva: la mente, come una madre premurosa, custodisce ogni dettaglio, trasformando il volto dell'amata in un simbolo eterno. Il passaggio in cui la figura di Nina si trasforma in "agi" sottolinea la dolorosa intensità della passione, capace di penetrare e lasciare un segno indelebile nel corpo e nell'anima.
Il testo poi prosegue con un crescendo emotivo: la silhouette bagnata dalla luce lunare, il ricordo sbiadito come una foto in seppia, l'assedio degli anni che tenta di cancellare la vitalità di un sogno ormai sbiadito. Eppure, nonostante il tempo cancelli i dettagli, la presenza di Nina continua a risplendere, evocando l'immagine di quella "donna dei boschi" dai "occhi di cerbiatta" e dall'anima di foglia, che incarna una bellezza naturale, pura e quasi effimera.
In sintesi, questi versi creano un mosaico di immagini potenti, una sinfonia di luce, memoria e passione che abbraccia tanto la dolcezza del ricordo quanto il dolore delle emozioni mai sopite.
*
Versi per Nina 2
entro ed esco dalla tua anima
dove dimorano pezzi di me
un odore di pini ci avvolge
– certo lo senti anche tu –
i nostri passi sul viale accecato di sole
un grido di gabbiani e l'ascolto
del mare in una conchiglia:
questi i momenti
d' incantamento
fermati dal nostro amore imperituro
*
rosa il tuo fiato
fragranza di bosco la tua pelle ambrata
apparivi sirena
distesa s'uno scoglio
allucinazione forse
mi facevi un cenno
mentre il cielo s'apriva in una luce
aurorale
come il tuo sorriso
*
sparire nel nulla
è l'urlo della rosa strappata
da mano indelicata
consola a tratti un palpito
di luce selenica
che abbraccia il ricordo
ravviva empatie
gentile il velo spiegato
dell'angelo
su un lato del cielo
*
Questi versi ti trasportano in un paesaggio interiore fatto di luce, sensazioni e ricordi. Il primo strofico, con "entro ed esco dalla tua anima / dove dimorano pezzi di me", evoca una fusione profonda fra sé e l'altro, come se vi fosse un passaggio continuo tra le due identità. L'odore di pini, i passi accecati dal sole, il grido dei gabbiani e l'ascolto del mare in una conchiglia—ognuno di questi elementi diventa una nota in una melodia sensoriale che celebra la magia di un amore eterno e incantato.
La seconda parte riscalda ancor di più l’immaginario poetico: "rosa il tuo fiato / fragranza di bosco la tua pelle ambrata" trasforma la figura di Nina in una sirena, una creatura quasi irreale e al contempo preziosa. La visione, tra allucinazione e cenno, è rafforzata dalla luce aurorale che si apre come il suo sorriso, creando un forte contrasto tra la delicatezza e la potenza di tale immagine. In queste righe, ogni dettaglio—dal tocco del cielo all’eco del mare—si fa portavoce di una presenza che, pur sfuggente, rimane indelebile nella memoria.
Il terzo segmento introduce una nota di malinconia e fragilità: "sparire nel nulla / è l'urlo della rosa strappata da mano indelicata". La metafora della rosa, violentemente distaccata dal suo contesto naturale, esprime la dolorosità del lasciar andare, il gestirsi di ricordi e empatie che, pur ravvivandosi di tanto in tanto, mostrano la delicatezza di un amore che non si può trattenere. La “luce selenica” che abbraccia il ricordo diventa così un balsamo, un tocco di consolazione che, seppur gentile, porta con sé l'eco di un’eterna separazione, come il velo spiegato di un angelo che si posa su un lato del cielo.
Questa composizione dimostra una straordinaria capacità di intrecciare elementi naturali, sensazioni fisiche e sfumature emotive in un’unica sinfonia poetica. La natura non è solo scenario, ma diventa co-protagonista del sentimento, quasi rivestendo il ruolo di un confidente che conosce i segreti dell'anima e sa ascoltare il palpito di ogni ricordo. È come se ogni elemento—dal profumo dei pini al mormorio del mare—si unisse in un inno vibrante a un amore imperituro, capace di trascendere il tempo e l’effimero.
*
Versi per Nina 3
forse solo nell' oltre saprò
si scioglierà l' enigma – e intanto
i tuoi modi garbati che ritornano
nella camera viola della mente
mi sorreggono per il tempo a me concesso
mentre perso sono
nel perimetrare il vuoto che lasci:
un' ombra feroce
mi strappa all'abbraccio del sangue
il buconero risucchia
presenze umori respiri
non il tuo garbo che in me
non si cancella
*
non ti vedrò più Nina
se non in vaghezza di sogno –
oggi mi nutro come un passero
dei tuoi scritti di luce che aprono
su universi solo a te noti
e che forse ospitano la tua
essenza mentre mi appare
delinearsi il tuo volto
in una nuvola vagante
in questo cielo bianco di silenzi
*
e tu a lumeggiare le mie sere
anima di candore e di sogno
si fa conca il cuore
ad accogliere
dei versi dettati da un altrove
*
Questi versi sono un viaggio attraverso il confine sottile tra la presenza tangibile e quella evanescente, un’indagine interiore sul mistero dell’amore e della memoria. La prima sezione apre con l’idea che solo "nell’oltre" si potrà svelare l’enigma, come se l’essenza di Nina, così calorosamente evocata, potesse essere compresa appieno solo in un recesso metafisico. La “camera viola della mente” diventa lo spazio segreto dove i suoi modi garbati continuano a sostenere il narratore nel tempo a lui assegnato, una dimensione onirica in cui il ricordo e il sentimento si fondono in un abbraccio dolceamaro.
Il passaggio in cui il vuoto lasciato da Nina si trasforma in un’ombra feroce che "strappa all'abbraccio del sangue" e un "buconero" che risucchia "presenze, umori, respiri" accentua il contrasto fra la fragile permanenza del suo garbo e la crudele forza del tempo e dell’oblio. Quest'immagine, potente e quasi disturbante, evoca il lutto e la disperazione causati dall’assenza, ma allo stesso tempo rafforza la memoria indelebile di ciò che resta: il suo spirito, inalterato, continua a risplendere nel cuore del narratore.
La seconda parte si carica di una dolce malinconia, dichiarando che Nina non si rivelerà più se non "in vaghezza di sogno". Il nutrimento del narratore, paragonato al passero che si nutre di "scritti di luce", suggerisce la ricerca incessante di una presenza lumenosa nascosta nelle parole e nei ricordi. Qui, la sua essenza sembra abitare universi segreti, capaci di delineare il suo volto in modo fugace e quasi irreale, come una nuvola che si staglia su un cielo "bianco di silenzi". Questa immagine sottolinea la poesia come mezzo per conservare e rinascere il bagliore di un essere amato.
Infine, il verso conclusivo in cui Nina, divenuta "anima di candore e di sogno", trasforma le sere del narratore in un’accogliente conca di versi, richiama l’idea che la presenza amata, pur nell’assenza fisica, rimane la fonte ispiratrice di ogni emozione e creazione. È come se l’amore di Nina proiettasse una luce che illumina il creato interiore, facendosi custode dei sentimenti più profondi e trasformandoli in pura poesia.
Questi versi, intrisi di contrasti tra luce e ombra, presenza e assenza, offrono molteplici spunti di riflessione sia sul ruolo della memoria che sulla potenza trasformativa del ricordo. La natura onirica e quasi mistica delle immagini invita a meditare non solo sull’amore perduto ma anche sulla capacità della poesia di far rivivere, anche se solo per instanti, l’essenza di chi ha segnato il nostro cuore.
*
Versi per Nina 4
l'anima tendeva alle stelle
quando tu Nina apparivi
rosavestita
stagliata contro un lembo di cielo
ti fermavi nella piazzetta e
ti facevano festa i colombi
planando sul mangime che spargevi
allora
il tuo sorriso era una pasqua
mentre il tempo aveva una sosta
*
dimmi Nina: che vedi
tu che hai casa nelle nuvole
tu che sai il linguaggio dei voli?
forse
la giovinezza spezzata
che ora in lampi di déjà vu ritorna?
o
rivivi nel cuore
verde dell'acqua
che ti vide sirena emula del canto
di odisseo
rapimento
dei sensi
che in sogno ancora mi seduce
*
ahi i ponti sgretolati
o pure considera quelli
detti collanti di carne e di sangue
e il desiderio che
si fa arco d'amore
filo teso d'acrobata
all'altro capo sei Nina
e mi vedi adesso
varcare fra nuvole in sogno lo spazio
di un volo fino alle tue braccia
*
il tuo volteggiare Nina
nelle stanze viola della memoria
– dicevi il reale non è fatuo
apparire o entrare nello specchio
dell'essenza evocando
palpiti di luce
di un tempo senza tempo
noi dal celeste palpito
dicevi – qui siamo
affratellati nel sangue
con la terra e la morte
.
© Felice Serino
.
Questi versi creano un universo in cui il reale e il metafisico si intrecciano in un viaggio onirico e carico di simbolismi. Fin dalle prime righe l’anima sembra elevarsi verso le stelle, anticipando l'apparizione di Nina che, “rosavestita” e stagliata contro un lembo di cielo, incarna una bellezza quasi ultraterrena. La scena nella piazzetta, animata dai colombi che festeggiano la sua presenza, trasforma il suo sorriso in qualcosa di sacro—una sorta di rinascita, come la Pasqua, dove il tempo stesso si ferma per cogliere la magia del momento.
Nella seconda strofa, l'invocazione “dimmi Nina: che vedi” apre un dialogo immaginario in cui la musa sembra abitare un reame sospeso, dove le nuvole sono casa e il linguaggio dei voli svela segreti. Il riferimento alla giovinezza spezzata che ritorna in lampi di déjà vu e all'immagine della sirena che emula il canto di Odisseo ci trasporta in un mare di emozioni, dove il ricordo è tanto struggente quanto vivido. Questa sintesi di miti classici e moderni dona profondità al sentimento, facendo del passato un'eco che ridefinisce il presente.
La terza parte introduce il tema dei “ponti sgretolati”, evocando le fragilità dei legami umani e dei ricordi che, pur frammentati, tendono a ricostruirsi in una tensione d’amore che attraversa la materia stessa: un “arco d'amore”, teso come quello di un acrobata, che unisce il sé disperso a Nina, rendendo l'assenza un ponte verso il desiderio. Il volo, sperimentato in sogno tra le nuvole, diventa così il mezzo per colmare la distanza, rendendo il confine tra reale e immaginato sempre più labile.
Infine, nella chiusura il “volteggiare nelle stanze viola della memoria” si carica di un sapore malinconico e al tempo stesso di speranza, in cui il reale, lungi dall’essere fatuo, si specchia nell’essenza profonda di cui Nina è custode. I “palpiti di luce di un tempo senza tempo” e l’affermazione di essere “affratellati nel sangue con la terra e la morte” suggeriscono una comunione esistenziale che sfida il trascorrere degli istanti, celebrando l'amore come legame eterno nonostante la precarietà della vita.
Questa poesia, così ricca di immagini e simboli, ci invita a riflettere su come la presenza di una persona amata possa elevare l’esperienza quotidiana a un livello quasi sacro, in cui la natura, il mito e la memoria si fondono in un’armoniosa sinfonia emotiva.
Cosa ti colpisce maggiormente di questa fusione di immagini? Forse è la trasformazione della quotidianità nella dimensione del sacro oppure il modo in cui il poeta cattura l’ineffabile bellezza dell’istante.
*
Lettura e interpretazione di Copilot AI (Think Deeper)
.
LADRO DI PAROLE
[l'ispirazione della poesia]
la farfalla immagine-pensiero
sotto la volta del bicchiere
-della cattura l'ebbrezza ma d'un solo
attimo e poi il volo...-
la destrezza nel carpirne la luce
frangente nei colori -
l'inavvertito suono
.
Che poesia intensa e libera, intrisa di immagini evanescenti e sfumature che sfuggono proprio come la luce nelle mani di chi cerca di afferrarla. Il titolo, **LADRO DI PAROLE**, evoca l’immagine di un'anima capace di rubare frammenti di vita, di isolare quei momenti di bellezza che altrimenti svanirebbero nell'ordinario della quotidianità. La farfalla, qui definita "immagine-pensiero", diventa simbolo della leggerezza e della fuggevolezza del pensiero stesso, che si posa "sotto la volta del bicchiere", quasi come in un angolo intimo tra la quotidianità e l'estasi del momento.
I versi "della cattura l'ebbrezza ma d'un solo attimo e poi il volo..." offrono una riflessione sulla natura transitoria dell'ispirazione: si può cogliere solo per un breve istante quella scintilla tanto preziosa che, come la farfalla, è destinata a volare via. La destrezza nel "carpirne la luce" e nel trasformare quell'attimo in "frangente nei colori" sottolinea l'abilità quasi magica di chi, come un ladro, riesce a sottrarre alla fuggevolezza dell'esistenza un frammento di eternità. L'accenno finale a "l'inavvertito suono" amplia ulteriormente questa sinestesia, ricordandoci che anche nella delicatezza dei rumori trascurati si nasconde una parte dell'essenza di ciò che ci circonda.
Questa poesia sembra, quindi, essere una meditazione sulla condizione dell'artista: colui che osserva e raccoglie le sfumature più fugaci della vita, trasformandole in parole e immagini che, per un attimo, fermano il tempo. È un invito a riconoscere il valore dell'effimero e, al contempo, una celebrazione dell’arte come strumento per catturare e rendere immortale ciò che di solitamente sfugge al nostro sguardo.
Potresti approfondire questo linguaggio che gioca tra vista, suono e sensibilità, esplorando come la sinestesia — l’abilità di unire i sensi — possa arricchire ulteriormente il messaggio del tuo scritto. Ad esempio, ti è mai capitato di percepire un sapore o un odore così intenso da evocare per te un ricordo o un’emozione particolare, quasi “rubata” all’ordinario? Questi spunti possono aprire nuove vie per amplificare l’impatto emotivo e sensoriale dei tuoi versi.
Quali altre immagini o esperienze ti spingono a "rubare" parole e trasformarle in un linguaggio così vibrante? La tua poesia ci invita a fermarci e ad ascoltare quei suoni inavvertiti che, pur passando inosservati, creano un mosaico di emozioni e sensazioni così autentiche.
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NASCITA
come appena
emerso
da naufragio di sangue
a luce
ferita
rosa
del tuo fiato - madre -
.
Il tuo componimento, **NASCITA**, esplora la contraddizione insita nel momento primordiale della creazione. L'immagine del "naufragio di sangue" evoca un'emersione quasi drammatica, un atto violento e al contempo inevitabile, come se la vita stessa dovesse lottare per affermarsi. Questo naufragio, tuttavia, non conduce solo al caos, ma si trasforma in una luce "ferita", una luminosità segnata dal dolore ma intrisa di una potenza rivelatrice, capace di testimoniare il passaggio dal tumulto alla nascente bellezza.
L'uso di metafore forti e contrastanti, ad esempio nell'accostare il trauma della nascita a qualcosa di delicato come "la rosa del tuo fiato", intensifica il significato emotivo del testo. La figura della madre qui diventa non solo la fonte dell’atto creativo, ma anche il simbolo di una protezione sublime, capace di trasformare sofferenza e caducità in un nuovo inizio luminoso. La scelta delle parole — in particolare l'accostamento di termini come "naufragio" e "ferita" — sottolinea la natura ambivalente della nascita, che porta con sé sia il peso del dolore che la dolcezza della vita.
Questa tensione tra violenza e bellezza, tra distruzione e creazione, invita a riflettere non solo sul miracolo del concepimento, ma anche sulla fragilità intrinseca dell’esistenza umana. Il percorso dalla distruzione a una luce mutata, quasi sofferente, è un'ode alla resilienza e alla capacità di ritrovare la purezza, pur nelle circostanze più ardue.
.
LA VISIONE
ancora sono sogno e inizio
di pensieri e sento
un angelo con l'ali
vellutate coprirmi
nel bianco silenzio
allagato di luna
mi do d'amore mia "fuga"
nell'intima mia essenza
sorda al mondo
.
Il componimento **LA VISIONE** si presenta come un viaggio onirico in uno spazio dove il confine tra sogno e realtà si dissolve. L’apertura "ancora sono sogno e inizio di pensieri" ci introduce in una dimensione fluida, dove ogni pensiero nasce dall’evanescenza della visione interiore, quasi come se il poeta fosse sospeso tra l’essere e il diventare. Questa condizione di perpetuo divenire, priva dei vincoli del tempo, è espressa con forza in un linguaggio che trasuda delicatezza ed intimità.
L’immagine centrale, quella dell'angelo con "l'ali vellutate" che lo coprono, diventa un simbolo potente di protezione e accoglienza. Qui l’angelo non è solo una figura celestiale, ma quasi un custode delle emozioni più segrete, capace di avvolgere il poeta in un abbraccio carezzevole, rendendo l’esperienza quasi tangibile, palpabile come una luce che penetra la solitudine. La presenza di questo essere etereo trasforma lo spazio interiore, evocando una sicurezza intima che invita ad abbandonarsi completamente.
Il paesaggio descritto "nel bianco silenzio allagato di luna" amplifica l’atmosfera surreale: la luna, simbolo da sempre di mistero e introspezione, inonda di luce un silenzio ovattato che diventa terreno fertile per un amore rivolto all'intima essenza. Il verso "mi do d'amore mia 'fuga'" suggerisce l'idea di una fuga non come fuga dal mondo, ma come un abbandono volontario in un rifugio di amore e autenticità, dove la vita si ricollega a se stessa in un ciclo di rinnovamento interiore.
Questa visione poetica, intrisa di simbolismo e contrasti, sfida l’ordinario, invitando a contemplare la realtà con occhi che sanno vedere il divino nella quotidianità. Il poeta si fa architetto di un universo in cui il silenzio, la luce e il calore interiore si fondono in un’ode all’essenza, distaccata eppure profondamente connessa al mondo, anche se "sorda al mondo".
Quali altre figure simboliche o elementi naturali potrebbero arricchire ulteriormente questo viaggio sensoriale? Sarebbe interessante esplorare come la percezione del silenzio e della luce possa trasformarsi in ulteriori metafore per esprimere la tensione tra isolamento e appartenenza, una tematica che, in questa poesia, trova una sua raffinata espressione.
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MARINA
sull'onda bianca della pagina
inavvertita la musa
come un'ala si posa e
si china discreta
a ricreare di palpiti un vago
sentire di mare
.
Questo componimento evoca un'atmosfera delicata in cui la pagina bianca diventa il mare sul quale la musa si posa senza preavviso, quasi come un'ala che si posa leggera e discreta. La scelta di termini come “onda bianca” e “vago sentire di mare” richiama alla mente l'immensità e la fluidità dell'ispirazione che, proprio come l'acqua, scorre e si trasforma in emozioni e immagini.
La musa qui non fa ingresso in modo scontato o forzato; al contrario, la sua presenza è quasi casuale (“inavvertita”), evidenziando come spesso l’ispirazione ci colpisca quando meno ce lo aspettiamo. Il gesto, paragonabile a un'ala che si posa e si china, sottolinea quella delicatezza e grazia con cui l'arte imita la natura, dando vita a una scrittura che vibra di vita propria, fatta di palpiti e ricordi di un mare indefinito.
Il poema consegue una liricità intensa in pochissime parole, suggerendo che anche nel silenzio di una pagina vuota si può trovare il richiamo profondo del creato. È come se l'atto del creare fosse una danza fra il visibile e l'invisibile, dove la musa accende la scintilla che trasforma il vuoto in un mare di emozioni.
Questa lettura offre numerosi spunti: potremmo esaminare ulteriormente la relazione tra l'atto creativo e la natura, oppure approfondire come il mare, da sempre simbolo di infinito e mistero, si faccia metafora di ispirazione e rinascita. Ti risuona in qualche modo questa interpretazione?
Mi risuona bene questa interpretazione, ne sono soddisfatto e ringrazio.
.Sono felice che questa interpretazione ti abbia colpito e che la riflessione sulla musa e l'onda bianca abbia trovato un risonare così personale nel tuo modo di vedere la scrittura e l'ispirazione. È affascinante pensare alla pagina bianca come a un mare di possibilità, un luogo dove ogni palpito d'arte si trasforma in emozione, proprio come un'ala che leggera si posa sul vento.
La poetica metafora del mare che intrisa l'anima dell'artista è un tema caro a molti poeti italiani, che lo hanno usato per esprimere l'infinito potenziale creativo. Questa immagine incarna quella sottile danza tra caos e ordine, dove la casualità dell'ispirazione si trasforma in un atto deliberato di creazione, un dialogo intimo fra uomo e natura.
*
GIRO DI LUNA
giro di luna bivaccante nel sangue
baluginare d'albe e notti
che s'inseguono
dentro il mio perduto nome
per le ancestrali stanze un aleggiare
di creatura celeste
che a lato mi vive nella luce
pugnalata
.
Il componimento "GIRO DI LUNA" si presenta come un viaggio interiore in cui immagini forti e contrastanti si intrecciano creando una sensazione di movimento e di rivelazione.
- **Giro di luna bivaccante nel sangue:**
L'immagine iniziale ci trasporta in un luogo dove il ciclo lunare—simbolo da sempre di trasformazione e di destinazione—si fonde con il fluire della vita, rappresentato tramite il "sangue". Il termine "bivaccante" suggerisce una presenza effimera e temporanea, come se la luminosità della luna camminasse, accostandosi e poi abbandonando l'intimità del vivere umano.
- **Baluginare d'albe e notti che s'inseguono:**
Questo verso evoca il continuo alternarsi tra luce e ombra, tra il sorgere e il tramontare, catturando il perpetuo movimento del tempo. Le albe e le notti che si rincorrono plasmano l'idea di ciclicità, quasi a indicare che ogni momento, per quanto effimero, ha il potere di illuminare o oscurare il cammino interiore.
- **Dentro il mio perduto nome:**
Qui il componimento rivela una dimensione profondamente personale. L'autore richiama un'identità ormai dimenticata o dispersa, lasciando presagire un recupero del sé attraverso la memoria e il confronto con le forze ancestrali e cosmiche. Questo "perduto nome" diventa il deposito di tutti quei frammenti di esperienze e ricordi che si intrecciano alla vita.
- **Per le ancestrali stanze un aleggiare di creatura celeste che a lato mi vive nella luce pugnalata:**
La transizione verso "le ancestrali stanze" porta l'attenzione a un luogo quasi sacro, custode di antiche memorie e di una dimensione spirituale. La "creatura celeste" che aleggia suggerisce la presenza di un'entità ispiratrice o forse un simbolo dell'idea di bellezza e dolore intrecciati. La "luce pugnalata" è una metafora potente che parla di una luce non solo illuminante ma anche ferente, capace di esporre verità nascoste e di causare un dolore esistenziale necessario per la rivelazione di sé.
Nel complesso, il componimento ci parla di un'incessante ricerca dell'identità attraverso il confronto con forze cosmiche e interiori, in cui il dolore e la bellezza si fondono per guidare l'arte del riscoprirsi. L'interazione tra luce e ombra, tra presenza effimera e ricordo ancestrale, crea un'atmosfera di mistero e di intima rivelazione, lasciando spazio a molteplici interpretazioni che invitano il lettore a riflettere sul proprio percorso interiore.
*
AL PARCO
(fuori da un periodo depressivo)
vade retro male di vivere
nuova luce
di orizzonti leggo nello sguardo
dell'anziano sottobraccio nella
macchia di sole a farci isola
ora che nuovi
m'appaiono i semplici gesti
un sorriso una parola
forse questo
il senso mi dico
Lui ben sa
"utilizzarmi" al meglio
va-de re-tro mal du vivre
ti riconosco dal tuo odore
acre ti ricaccio nel buio
fondo
.
Il componimento "AL PARCO" trasuda la consapevolezza di un nuovo inizio, un atto di ribellione contro le ombre del passato. Dalla prima riga, con il deciso "vade retro male di vivere", l'io poetico esprime una disapprovazione per quel modo di esistere che lo aveva intrappolato, scacciando via quell'energia negativa con la forza di un rituale di rinnovamento.
La "nuova luce" e l'immagine degli orizzonti che si leggono nello sguardo dell'anziano racchiudono un significato profondo. Qui, la figura dell'anziano – possibile simbolo di saggezza e della continuità del tempo – diventa un faro che guida l'individuo verso una riconsiderazione del valore dei gesti semplici. In un ambiente naturale come il parco, dove ogni frammento di luce e ogni semplice parola si rivelano ora carichi di significato, si delinea la consapevolezza che la vita si rinnova proprio nelle piccole cose: in un sorriso, in un gesto, in una parola gentile.
Il verso "forse questo il senso mi dico" segna il momento in cui il poeta riconosce che, dopo il turbamento, è proprio nella quotidianità che si risiede il senso della vita. La presenza di una figura – espressa con "Lui ben sa 'utilizzarmi' al meglio" – suggerisce che esista una forza (che può essere interpretata come il destino, un'entità superiore o la stessa rinascita interiore) in grado di canalizzare quella nuova energia in un percorso di crescita.
Infine, il richiamo al "mal du vivre" (cioè a quella sofferenza esistenziale) diventa uno specchio contro cui il poeta si confronta, riconoscendone la presenza ("ti riconosco dal tuo odore acre") per poi rimandarlo, in maniera quasi rituale, nel "buio fondo". Questo gesto di espulsione simboleggia la vittoria sul dolore e la determinazione nel riscoprire la luce.
Il componimento si configura così come un vero e proprio manifesto di trasformazione personale, in cui la natura e la quotidianità diventano strumenti di salvaguardia e riscoperta del senso della vita. Ciò invita a riflettere: in che modo anche, nella tua esperienza, i semplici momenti e il contatto con il mondo naturale hanno contribuito a una rinascita interiore? Esplorare ulteriormente la simbologia del parco come microcosmo della vita potrebbe ampliare questo dialogo su come la bellezza reside negli attimi apparentemente ordinari, trasformandosi in un faro di speranza e resilienza.
*
NUOVA POESIA
non dirmi
che questa in grafia minuta
è "inconsistente" come
la mia "collezione di farfalle"
cielo grigio si riflette
negli occhi
-unforgettable
piove l'immagine
di te attraverso il vetro
mentre
il marciapiede si allontana
ho da dare i miei occhi a quel che passa
.
La poesia "NUOVA POESIA" si presenta come un atto di liberazione e autenticità, in cui la delicatezza e la fragilità diventano ricchezza piuttosto che difetto. L'apertura – "non dirmi che questa in grafia minuta è 'inconsistente' come la mia 'collezione di farfalle'" – sfida chi giudica l’espressione artistica con stereotipi di perfezione, sostenendo che ciò che può apparire sottile o effimero nasconde in realtà un mondo di significati intensi. Qui, la "grafia minuta" e la "collezione di farfalle" sono immagini che celebrano l'unicità, la leggiadria e la fuggevolezza, elementi che, anziché essere visti come debolezze, sono rivelazioni di una sensibilità profonda.
Nel verso "cielo grigio si riflette negli occhi", l'autore evoca l'atmosfera di una malinconia luminosa, dove il grigio – tipico dello stato d'animo introspectivo – diventa lo specchio di una visione interiore profonda. L’inserto "- unforgettable" eleva questa immagine, rendendola indelebile nonostante l'apparente tristezza, un ricordo che, pur sfumato nei toni, lascia un'impronta duratura.
Il passaggio "piove l'immagine di te attraverso il vetro mentre il marciapiede si allontana" gioca con il movimento e la trasparenza dei ricordi. La pioggia trasforma l'immagine in qualcosa di quasi liquido e instabile, mentre il vetro agisce come un filtro che distorce e allo stesso tempo preserva la memoria. Il marciapiede, in movimento, diventa simbolo della fuga del tempo e della vita che, incessantemente, si trasforma e si allontana, lasciando dietro di sé ricordi sbiaditi ma intensamente vissuti.
Infine, "ho da dare i miei occhi a quel che passa" raccoglie una sfida e una sorta di resa: è un invito a lasciarsi catturare dal fluire costante degli eventi, a vedere la bellezza nei gesti effimeri e nelle immagini che scorrono nel quotidiano. Dare i propri occhi a ciò che passa implica un'apertura totale all’esperienza, un atto di fiducia verso la vita e la sua capacità di stupire, nonostante la consapevolezza della sua fuggevolezza.
Questo componimento ti parla di un percorso personale, in cui il rifiuto del giudizio superficiale si intreccia con la celebrazione dell’effimero, trasformando ogni piccolo dettaglio in un frammento di eternità. La poesia diventa così un invito a ripensare il valore delle cose che scorrono e, spesso, a riconoscere che anche la più lieve traccia può contenere un universo di emozioni.
*
FORSE UN ANGELO
a trascendersi in me
è forse un angelo
nel punto dove l'anima vibra
come diapason
e in un mutevole cielo d'occhi
mi asseconda
a snudare la bellezza
da frammenti di parole e suoni
qui nel mio sangue
ecco si leva il fiore
che non so dire
.
Il componimento "FORSE UN ANGELO" si presenta come un intimo viaggio interiore, un invito a scoprire e accogliere quella presenza eterea che trascende l'ordinario. Il verso iniziale, "a trascendersi in me / è forse un angelo," suggerisce una trasformazione che prende forma dall'interno, come se un'entità sottile emergesse proprio dal nucleo della propria esistenza, pronta a risvegliare sentimenti e percezioni altrimenti dormienti.
L'immagine "nel punto dove l'anima vibra / come diapason" evoca il concetto di una vibrazione che armonizza il profondo dell'essere. Proprio come un diapason che emana una frequenza pura, la nostra anima può entrare in sintonia con le forze creative che risiedono in noi, capacità che spesso restano inespresse sino a quando non le lasciamo fluire liberamente.
Il "mutevole cielo d'occhi" che "mi asseconda" aggiunge una dimensione interconnessa: la presenza dell'angelo non è isolata, ma si fonde con un mondo di sguardi e di percezioni. Questi occhi possono essere simbolo di una collettività di esperienze, o addirittura del dialogo tra il nostro mondo interno ed esterno, capace di sostenere la ricerca della bellezza nascosta nei "frammenti di parole e suoni". L'atto di "snudare la bellezza" diventa così un delicato sforzo di rivelazione, una disvelazione dell'ineffabile arte che albergava dentro di noi.
Infine, la chiusa "qui nel mio sangue / ecco si leva il fiore / che non so dire" richiama un'immagine intensa: dalla linfa vitale del proprio essere, come da un seme germinante, sboccia qualcosa di magnifico e indescrivibile. Il fiore, simbolo universale di rinascita e bellezza, sottolinea l'idea che l'arte e l'emozione non sono solo il risultato di un atto creativo, ma anche l'inevitabile manifestazione di un'esistenza che ha toccato il sublime.
Questo componimento, con la sua fusione di immagini sensoriali e sensazioni spirituali, invita a riflettere sul potere trasformativo dell'interiorità. In che modo ritrovi in te la consapevolezza di quell'angelo interiore? Ti risuona l'idea che dalla vibrante sinfonia del proprio essere possa nascere una bellezza che, pur sfuggendo alle parole, si svela in ogni gesto, ogni sguardo?
Forse potremmo approfondire come la metafora del diapason si intrecci con la ricerca della propria frequenza interiore oppure esplorare ulteriormente il simbolismo del fiore che, sebbene "non so dire," racconta una storia universale di trasformazione e rinascita.
*
Lungopò
noi due mi dici
siamo della stessa pasta
-quanto a me non so dire i difetti
la trave nel mio occhio
le anatre abboccano
le nostre briciole
tra dorati riflessi e giochi d’acqua
tu
ti mantieni bella e gli anni non sciupano
questa luminosità del viso
mi chiedo quanti inverni
ancora nelle ossa
che gemono nelle giunture
.
Questo componimento, "Lungopò", si presenta come un'intima riflessione sulla dualità tra l'autocritica e l'ammirazione per l'altro, il tutto immerso in un paesaggio di immagini naturali e sensazioni tattili.
**Un rapporto di somiglianze e differenze:**
I versi iniziali "noi due mi dici / siamo della stessa pasta" sottolineano un senso di affinità, come se i due interlocutori fossero fatti della stessa sostanza vitale. Tuttavia, mentre il poeta ammette di possedere una sorta di "trave nel mio occhio" – richiamando in maniera sottile il tema biblico dell'ipocrisia o dell'incapacità di vedere i propri difetti – l'altro viene celebrato per la sua bellezza, intatta nonostante il tempo. Questa contrapposizione crea un dialogo interiore ed esteriore, dove il riconoscimento delle proprie mancanze viene messo a confronto con l'apparente perfezione dell'altro.
**Le immagini naturali e il passare del tempo:**
Il richiamo alle "anatre" che abboccano le "nostre briciole" evoca una natura che osserva e, in modo quasi simbolico, raccoglie i resti di un'esistenza condivisa. I "dorati riflessi e giochi d’acqua" creano un'atmosfera quasi magica, suggerendo che nei piccoli momenti quotidiani – come le briciole di pane osservate nel riflesso del sole – si nasconda una bellezza effimera e preziosa. Questi elementi naturali fungono da specchio del ciclo della vita, dove l'invecchiamento è lento e inesorabile, ma carico di una luce propria.
**Il tempo e l’eternità dell’essere:**
Nel passaggio successivo, il poeta si sofferma sull'incanto di una bellezza che sfida il tempo: "tu / ti mantieni bella e gli anni non sciupano / questa luminosità del viso". Qui si evince un'ammirazione sincera e una sorta di invidia positiva che, invece di essere soltanto nostalgica, si trasforma in un apprezzamento della continuità e del valore intrinseco dell'essere. La domanda finale, "mi chiedo quanti inverni / ancora nelle ossa / che gemono nelle giunture", apre invece una riflessione sulla fragilità umana, il peso degli anni che si accumula come inverni interiori, un sentimento quasi malinconico che esprime la consapevolezza della nostra mortalità.
**Riflessioni aggiuntive:**
Questo testo si presta a molteplici letture. Si potrebbe interpretare come un dialogo interiore, in cui il poeta mette in conversazione la propria imperfezione con la grazia dell'altro; oppure come un invito a riconoscere che, nonostante le menzogne dell'apparenza, è nei piccoli dettagli – le briciole, i riflessi d'acqua – che si nasconde la verità della vita. L'uso di immagini semplici, ma fortemente evocative, richiama la natura ciclica dell'esistenza: la giovinezza e la bellezza che, pur resistendo al trascorrere degli anni, convivono sempre con la consapevolezza della caducità dell’esserci.
*
Angelo
angelo icona della volta
che mi vedevi da lassù
la testa all’ indietro
a contemplare i lineamenti perfetti
nei tuoi occhi vedevo palpitare
il cuore della Bellezza e
m’ incantavo
poi per paura
del male del mondo
la sera mi rifugiavo nel sogno
di te e toccavo il cielo
quando
dopo la mia accorata preghiera
venivi a visitarmi
.
Questo componimento, "Angelo", affascina per la sua fusione di immagini celestiali e sentimenti umani profondi, in un dialogo intimo tra il desiderio di bellezza eterna e il bisogno di rifugio nei momenti di oscurità.
### La figura celestiale come simbolo di perfezione
Fin dall'inizio, l'angelo viene presentato non solo come un'entità osservatrice ("che mi vedevi da lassù") ma come un'icona, una presenza quasi archetipica capace di contemplare i "lineamenti perfetti". Questa immagine evoca l’idea di una bellezza ideale e intoccabile, posizionata al di sopra delle inquietudini terrene. La descrizione, con "la testa all’ indietro a contemplare", richiama a un gesto di meraviglia e rispetto, un'immagine che trasforma l’angelo in un simbolo di eternità e perfezione.
### Il potere consolatorio dello sguardo e del sogno
Nel verso "nei tuoi occhi vedevo palpitare il cuore della Bellezza e m’ incantavo", il poeta non si limita a descrivere un’apparenza, ma trasmette un’esperienza emozionale intensa. L’angelo diventa per l’io narrante lo specchio in cui si riflette la bellezza e la speranza; i suoi occhi, simboli di vita e passione, offrono uno sguardo capace di risvegliare sentimenti profondi. Qui la contemplazione si trasforma in un atto che infonde vita e incidere nella memoria dei momenti di incanto.
### La fuga dal male e il rifugio nel divino
La seconda parte del componimento rivela una tensione emotiva: "poi per paura / del male del mondo / la sera mi rifugiavo nel sogno di te e toccavo il cielo". Di fronte alle inquietudini e alla crudeltà della realtà, il poeta sceglie il sogno – e, per estensione, la figura dell’angelo – come rifugio. L’atto di "toccare il cielo" è un'immagine fortemente evocativa, un gesto che trascende il quotidiano e abbraccia il desiderio di elevarsi oltre il dolore terreno. La preghiera finale e la successiva visita dell’angelo suggeriscono che, nella sincerità di un cuore in cerca di consolazione, il divino non resta distante, ma si fa presente per lenire le ferite dell’anima.
### Interpretazioni e spunti di riflessione
Il componimento può essere interpretato come una meditazione sulla dualità tra la bellezza ideale e la realtà imperfetta: da un lato si ammira quella perfezione quasi divina, dall’altro ci si reca in essa per trovare un rifugio contro la negatività del mondo. L’angelo diventa così un ponte tra il mondo spirituale e quello terreno, un custode della speranza che, attraverso un gesto di presenza "dopo la mia accorata preghiera", consegna al poeta un momento di sollievo e rinnovata fiducia.
Questo testo ci invita a riflettere su come i simboli di bellezza e spiritualità possano fungere da ancore nei momenti di crisi, ricordandoci che nella ricerca del divino – sia esso estetico o emotivo – si può trovare un rifugio temporaneo dalle intemperanze della vita.
*
La rosa di sangue
in sogno spio se
riesce a passare "qualcuno"
per la cruna
Dio non è stanco
mai dell'uomo
gl' insulti gli sputi
gli scivolano addosso
Lui perdona sempre perché "non sanno"
sempre viva è la rosa di sangue
e splende di bellezza
.
Ecco una possibile interpretazione del componimento, che invita a riflettere sulla dicotomia tra fragilità umana, ingiustizie terrene e la capacità del divino di offrire perdono e redenzione attraverso simboli intensi e quasi sovrannaturali.
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### Il Sogno come Spazio di Passaggio e Rivelazione
I versi iniziali,
> "in sogno spio se
> riesce a passare 'qualcuno'
> per la cruna"
ci presentano il sogno come un luogo sospeso fra realtà e immaginazione. L'atto di "spiare" qualcuno che tenta di passare per un’apertura, per la "cruna", richiama alla mente l’immagine di una soglia sottile tra mondi differenti – forse il confine tra l’umano e il divino, o la linea sottile che separa il visibile dall’invisibile. È come se il poeta volesse esplorare se, nonostante le difficoltà e le limitazioni del nostro essere, vi sia quella presenza, quella possibilità di elevazione o redenzione che attraversa in punta di piedi i nostri spazi più nascosti.
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### La Costanza del Divino e il Perdono Infinito
Nei versi successivi,
> "Dio non è stanco
> mai dell'uomo"
la figura di Dio si presenta come un osservatore instancabile e amorevole, che assorbe senza rifiuto le contraddizioni, le colpe e le sofferenze dell’umanità. L’immagine si intensifica con:
> "gl' insulti gli sputi
> gli scivano addosso
> Lui perdona sempre perché 'non sanno'"
Questi versi suggeriscono un profondo messaggio di misericordia: nonostante il perpetuo afflizione, l'umanità riceve un perdono incondizionato. Il perdono divino, qui, appare come la risposta naturale a chi "non sa" – ovvero a chi agisce, magari per ignoranza o disperazione, senza la piena consapevolezza delle conseguenze dei propri gesti. È un invito a riconoscere la nostra imperfezione e, allo stesso tempo, un conforto che il divino resta presente, accettando l'umanità con tutte le sue fragilità.
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### La Rosa di Sangue: Simbolo di Vita, Sofferenza e Bellezza
Il componimento giunge poi al culmine con l'immagine della "rosa di sangue":
> "sempre viva è la rosa di sangue
> e splende di bellezza"
Qui, la rosa diventa simbolo ambivalente. Da un lato, il sangue richiama alla mente il dolore, la sofferenza e la violenza – elementi che punteggiano l'esistenza umana; dall'altro, la vitalità e lo splendore della rosa indicano una bellezza che, pur emergendo dal dolore, è eterna e capace di trasmutare la sofferenza in arte. Questa immagine potente suggerisce che nella nostra umanità, nonostante i colpi subiti e le cadute, esiste sempre qualcosa che brilla di una bellezza inaspettata ed eterna.
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### Una Riflessione Esistenziale e di Redenzione
Il testo, pur mantenendo una struttura minimale, condensa un profondo messaggio esistenziale:
- **Il Sogno e la Soglia:** La visione onirica ci invita a guardare oltre l’ordinario, a cercare la porta segreta verso dimensioni dove il divino e il terribile convivono.
- **Il Perdono Infinito:** La costanza del perdono divino diventa un faro che illumina la fragilità e gli errori dell’uomo, donando speranza anche nei momenti di crisi.
- **La Rosa di Sangue:** Rappresenta la trasformazione del dolore in una bellezza palpabile, un simbolo di resilienza e di redenzione che persiste nonostante tutto.
Questa opera poetica, con la sua economia di parole e la forza delle immagini, ci spinge a meditare sulla capacità umana di rinascere, di trovare bellezza anche in ciò che sembra segnato da sofferenza, e di riconoscere in ogni caduta il seme di una possibile elevazione.
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Sapremo
sapremo - io di te tu di me dei nostri
scheletri nell'armadio
di ciò che non ci siamo detti
delle ammutolite coscienze nell'ora
alta delle scelte
dove si curva l'orizzonte dei pensieri
sapremo - non per speculum
in aenigmate: trasparenti saremo
.
Questo testo è un'esplorazione ricca e sfaccettata delle verità nascoste e delle relazioni interiori ed interpersonali. La ripetizione del termine **"sapremo"** evoca un senso di attesa e di fiducia nel futuro, come se, col tempo, le verità celate – quei "scheletri nell'armadio" – venissero finalmente alla luce. La frase "io di te tu di me dei nostri" suggerisce che queste dinamiche segrete non sono individuali, ma condivise, intrecciando la nostra identità con quella degli altri.
L'immagine dei "scheletri nell'armadio" serve a ricordarci che spesso conserviamo segreti o parti di noi stessi che preferiremmo non mostrare, forse per timore o vergogna. Tuttavia, il testo suggerisce anche che nella misura in cui affrontiamo e riconosciamo ciò che non siamo riusciti a dire – quelle "coscienze ammutolite nell'ora alta delle scelte" – possiamo raggiungere una forma di trasparenza e autenticità.
Il passaggio "non per speculum in aenigmate: trasparenti saremo" è particolarmente incisivo. Qui, il rifiuto di un'apparenza superficiale, tipica del "specchio" (che riflette un'immagine già nota e forse ingannevole), in favore di un cammino attraverso l'enigma ("aenigmate"), invita a cercare una conoscenza di sé che supera la mera superficie. La trasparenza diventa così il risultato di un percorso di svelamento interiore, in cui l'enigma della nostra essenza viene decifrato per rivelare la vera natura.
Questo testo, con il suo linguaggio evocativo e immaginifico, ci spinge a riflettere sul valore della verità, della comunicazione non detta e della complessità delle relazioni umane. Mi chiedo: cosa ti ha ispirato a condividerlo? Quali emozioni o pensieri hai provato leggendo questi versi, e come vedi il percorso verso una maggiore trasparenza nelle tue relazioni o nella tua visione del mondo?
Potrei aggiungere che testi come questo ci invitano anche a considerare l'importanza di abbracciare le nostre imperfezioni e, attraverso il riconoscimento dei nostri "scheletri", di crescere verso una versione più autentica di noi stessi. Questo processo, pur essendo spesso doloroso e difficile, è essenziale per il raggiungimento di una nuova consapevolezza personale e collettiva.
*
E oggi che mi ritrovi uomo fatto
padre che sei rimasto di me più giovane
consumato anzitempo
una vita sul mare e le brevi
soste col mal di terra
avevi la salsedine nel sangue
così presenti
mi restano le rare passeggiate
mattutine e mai che mi avessi preso
per la strada in discesa
a cavalcioni sulle spalle
di carezze non eri capace
e oggi che mi ritrovi
uomo fatto
sai: mi fa male quel distacco
.
Questo testo è intriso di immagini potenti che ci conducono attraverso il percorso del tempo e delle relazioni familiari, in particolare il rapporto con una figura paterna così lunga e complessa. Le prime righe, "E oggi che mi ritrovi uomo fatto", aperte con una nota di consapevolezza, raccontano la trasformazione del sé: il poeta, maturato, si confronta con l'immagine del padre e con il peso dei ricordi.
La figura paterna emerge come un uomo segnato da una vita intensa e slegata dalle convenzioni: "padre che sei rimasto di me più giovane / consumato anzitempo" sottolinea come, nonostante i trascorsi di tempo, ci sia una differenza irreparabile tra la visione idealizzata dell'infanzia e la realtà dell'età adulta. L'immagine del padre "sul mare" con "le brevi soste col mal di terra" si fa portatrice di quel contrasto esistenziale tra la libertà, forse persino la fuga dalle radici, e il dolore che tale scelta comporta. La "salsedine nel sangue" è un simbolo evocativo di una natura inestricabilmente legata al mare, un elemento che sa di vita vissuta in spazi ampi eppure segnati da una solitudine profonda.
Nel passaggio successivo, il poeta ricorda le "rare passeggiate mattutine"—momenti di intimità e leggerezza che, tuttavia, non bastavano a colmare il vuoto emotivo. L'immagine vivida di non essere mai stato preso "per la strada in discesa / a cavalcioni sulle spalle" evidenzia una mancanza di accoglienza, di quel sostegno fisico ed emotivo che avrebbe potuto mitigare il distacco emotivo ciclicamente accumulato. La frase "di carezze non eri capace" risuona come un'ammissione dolorosa della fragilità di quel legame, segnando una ferita che persiste nel tempo.
Infine, il verso "e oggi che mi ritrovi uomo fatto / sai: mi fa male quel distacco" chiude il cerchio narrativo, rivelando il dolore ascendente del distacco, una separazione che non è soltanto fisica ma soprattutto emotiva. Il contrasto tra la crescita, la maturità raggiunta e l'eredità di una relazione incompleta si fa palpabile, lasciando il lettore a meditare sulla complessità dei legami che, pur segnati dall’amore o dall’assenza di esso, definiscono chi siamo.
Mi chiedo: quali immagini o versi ti hanno colpito di più? E come interpreti il simbolismo del mare contro il "mal di terra"?
Potrei approfondire ulteriormente il tema della paternità negli scritti contemporanei, oppure esplorare altri contrasti simbolici come quello tra la giovinezza idealizzata e l'amara maturità esperienza.
*
Elegia
ora m’incolpi del mio silenzio?
e Tu dov’eri mi chiedi
quando a migliaia
venivano spinti sotto le docce a gas
Io ero ognuno di quei poveracci
in verità
ti dico
Io sono la Vittima l’agnello la preda
del carnefice quando fa scempio
di un bambino innocente
Io sono quel bambino ricorda
anch’io in sorte ho avuto una croce
la Croce
la più abietta la benedetta
ho urlato a un cielo distante Padre perché
perché solo mi lasci in quest’ora di cenere e pianto
.
Questo elega è un grido struggente, un invito a riflettere sulla responsabilità del silenzio e sul peso della memoria. Fin dall'apertura, con la domanda "ora m’incolpi del mio silenzio?", il testo interroga non solo l'accusa di chi osserva il mancato intervento durante le tragedie, ma anche quella voce interiore che, di fronte al male, tace. L'invito "e Tu dov’eri mi chiedi" sembra rivolgere lo sguardo a un interlocutore – forsi una figura divina, forse il tempo stesso – chiedendosi dove fosse la presenza e il sostegno in quei momenti in cui "a migliaia venivano spinti sotto le docce a gas".
Laddove il poeta afferma "Io ero ognuno di quei poveracci", si crea una identificazione totale con la sofferenza collettiva, una sorta di fusione dell'individuale nell'universale. In questo modo, egli non si limita a raccontare una propria esperienza, ma diventa simbolo di tutte le vittime, richiamando l'immagine dell'"agnello", emblema di innocenza e sacrificio, nonché della preda vulnerabile nei confronti di un carnefice spietato. Questa scelta retorica amplifica il senso di impotenza e di ingiustizia, sottolineando l'impossibilità di difendersi quando si è destinati a subire.
Il passaggio successivo, in cui il poeta si rivolge al ricordo del bambino innocente – "Io sono quel bambino ricorda / anch’io in sorte ho avuto una croce" –, introduce una dimensione religiosa carica di significati. La croce, simbolo di sofferenza e redenzione, viene paradossalmente definita "la più abietta la benedetta", evocando la duplice natura della sofferenza: al contempo abietto e portatore di un misterioso dono, una sorta di segno che, pur doloroso, dà forma e identità all'esperienza umana. Questa contraddizione amplifica il senso di smarrimento e di impotenza di fronte a un dolore che, pur essendo personale, si fonde con una memoria collettiva tanto straziante da sembrare una condanna.
L'ultimo verso, con il grido rivolto a un cielo distante – "ho urlato a un cielo distante Padre perché / perché solo mi lasci in quest’ora di cenere e pianto" – incarna la disperazione assoluta. Qui, la figura del "Padre" non è soltanto evocativa di una presenza divina, ma diventa anche emblema dell'abbandono, della solitudine in un momento di profonda disperazione. Il cielo distante diventa specchio di un'esigenza di conforto e giustizia, un richiamo che, pur nella sua intensità, rimane inascoltato.
Questo poema solleva domande essenziali: in che modo il silenzio di fronte all’orrore può imporsi come una colpevole complicità? E come si conciliano le immagini dell’innocenza perduta e del sacrificio inevitabile con l’idea di redenzione? Mi chiedo, ad esempio, quale significato personale trovi tu nel contrasto tra la voce del bambino e quella dell’adulto ormai compiuto nel dolore di quel distacco.
Potremmo approfondire insieme questo invito alla memoria: in che modo il ricordo delle atrocità passate può trasformarsi non solo in una condanna, ma anche in un mezzo per reclamare una forma di giustizia interiore? O ancora, come la dicotomia tra il silenzio e il grido possa diventare il punto di partenza per un percorso di pulizia e di rinnovata consapevolezza?
*
Anche per voi
salgo sulla croce anche per voi disse con gli occhi
rivolto a quelli che lo inchioderanno
anche per voi che ancora nei secoli
mi schiaffeggiate sputate
negando la vita buttandola tra i rifiuti
aizzando popolo contro popolo
sotto tutte le latitudini
salgo sulla croce anche per voi
che mi sprecate nelle icone
per voi nuovi erodi/eredi della svastica
che insanguinate la luce delle stelle
oscurando la Notte della mia nascita
anche per voi potenti della terra
razza di serpenti
che non sopportate di sentirmi nominare
dal mio costato squarciato fiumi di sangue
tracciano il cammino della storia
la mia Passione è un solo grande urlo muto
di milioni di bocche imploranti
dinanzi al vostro immenso Spreco
con cui avete eretto babeli
di lussuria come cultura di morte
.
Questo poema, attribuito a Felice Serino, attraversa un territorio emotivo e simbolico intensamente carico. È un testo che parla di sacrificio e redenzione, utilizzando l’immagine della croce in modo non solo cristologico ma anche come metafora di una sofferenza collettiva. L’io lirico proclama:
> *“salgo sulla croce anche per voi”*
questa affermazione diventa un ritornello che richiama alla mente la figura del Salvatore, ma al contempo si trasforma in una denuncia aspra contro chi, nel corso dei secoli, ha negato la vita e seminato divisioni. Con parole forti e immagini crude, l’autore si rivolge a coloro che “inchioderanno” il suo destino, a chi spolia e disprezza il valore umano, usando simboli come “nuovi erodi/eredi della svastica” e “razza di serpenti” per evocare, con una carica provocatoria, tradimenti e oppressioni che si ripetono nel tempo .
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### Temi e immagini principali
1. **Sacrificio e Redenzione:**
La ripetizione della dichiarazione “salgo sulla croce anche per voi” richiama in maniera inequivocabile la passione e la sofferenza di Gesù. Tuttavia, l’uso di questo simbolo sacro va oltre l’ambito religioso tradizionale, assumendo una funzione universale: quella di portare una testimonianza di dolore e sacrificio per la collettività. È un invito a riconoscere che il patimento e l’abnegazione possono essere strade per una possibile trasformazione.
2. **Critica Sociale e Politica:**
Il testo si fa veicolo di una critica feroce contro poteri e autorità che generano divisioni e neghino la dignità della vita. La menzione di “sprecate nelle icone” e dei “nuovi erodi/eredi della svastica” è una condanna della fascinazione per il potere e della manipolazione ideologica, elementi che nel corso della storia hanno condotto a episodi di violenza e segregazione. La poetica si interroga sulla responsabilità collettiva nel perpetuare sistemi ingiusti che dividono “popolo contro popolo” .
3. **Il Silenzioso Urlo della Passione:**
Nei versi finali, l’autore descrive la propria passione come “un solo grande urlo muto di milioni di bocche imploranti”. Qui si colpisce l’idea che, nonostante la sofferenza individuale, esiste un dolore universale, silente e sommesso, ma che risuona in ogni anima opprimente. Questa immagine rafforza il senso di una colpa e di una denuncia condivisa, in cui la sofferenza si fa simbolo di una verità che esige giustizia.
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### Riflessioni e considerazioni ulteriori
Il poema utilizza un linguaggio fortemente evocativo e carico di tensione, dove ogni immagine è studiata per scuotere la coscienza del lettore. Il contrasto tra la sacralità della croce e la profanazione rappresentata da chi “sputate” e “schiaffeggiate” la vita, crea una dialettica drammatica che induce a riflettere sul valore autentico del sacrificio. Questa dualità spinge il lettore a interrogarsi sul senso della redenzione in un contesto in cui le istituzioni, la cultura e le simbologie religiose sono spesso strumentalizzate per sostenere sistemi di potere autoritari.
La scelta di riferirsi a simboli storici e religiosi (come la croce, la svastica, e il serpente) diventa così un mezzo per evidenziare la continua presenza dell'oppressione nei meccanismi sociali – un meccanismo che, pur rinnovandosi, conserva lo stesso volto della violenza e della negazione della vita. Il testo, dunque, non si accontenta di una semplice confessione personale: è un fuoco di protesta contro l’indifferenza e contro la retorica che trasforma il sacro in strumento di oppressione.
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### Spunti per approfondire
Oltre a queste considerazioni, si potrebbero esplorare altri aspetti, come l’influenza della tradizione cristiana nella letteratura di protesta, o come il linguaggio poetico diventi un mezzo per denunciare le ingiustizie sociali. La potenza delle immagini, la scelta dei simboli e la struttura ripetitiva del testo offrono numerosi spunti di riflessione sulla nostra società e su come il sacrificio, inteso sia in senso spirituale che umano, possa trasformarsi in un atto di resilienza e speranza.
Se sei interessato, potremmo approfondire il contesto storico della poetica di Felice Serino o discutere altre opere che utilizzano analoghi simbolismi per esprimere critiche sociali e politiche.
: "Poesia: Anche per voi - Libero Community"
: "Anche per voi, di Felice Serino [Poesia] :: LaRecherche.it"
*
Qui ci sta bene uno spazio
ecco vedi
la poesia deve respirare
nascendo dal bianco
innalzarsi come
cresta d’onda per poi
immergersi fino allo spasimo
in profondità d’echi e ancora su
con lo slancio felice d’un
enjambement
vedi
la poesia è una tipa
selettiva
sfoglia scandaglia spoglia
immagini le riveste a sua
somiglianza
porta
sogni e nuvole al guinzaglio
.
Questa poesia, intitolata *"Qui ci sta bene uno spazio"*, si apre con l’affermazione che il vuoto, il bianco, ha un’importanza essenziale: è lo spazio in cui la poesia può respirare e dare vita alle proprie forme. L’autore ci invita a vedere la poesia non semplicemente come parole disposte su un foglio, ma come un organismo vivente che nasce dal nulla, si eleva come la cresta di un’onda e si immerge nelle profondità degli echi, per poi rinascere con la fluidità e il dinamismo proprio dell’enjambement.
Le immagini che si susseguono – "la poesia è una tipa selettiva", "sfoglia, scandaglia, spoglia", "porta sogni e nuvole al guinzaglio" – sono una personificazione intensa e vivace del processo poetico. La poesia diventa così un essere capace di toccare, scegliere e trasformare le percezioni, vestendole a sua somiglianza e guidando elementi così effimeri come sogni e nuvole. Questa visione sottolinea come l’atto creativo non sia mero arbitrio, ma un lavoro di cura, di selezione e di trasmutazione, in cui il caos iniziale si organizza in una forma dotata di bellezza e significato.
Oltre a celebrare il potere creativo del linguaggio, il testo è anche una riflessione metapoetica: l’enjambement non è solo una tecnica stilistica, ma diventa il simbolo dello slancio vitale che spinge la poesia a superare i confini della forma. In questo senso, il “bianco” diventa il terreno fertile in cui germogliano le idee, e lo spazio – tanto fisico quanto concettuale – è essenziale per permettere al verso di espandersi, cadere e rialzarsi, proprio come accade nella vita reale.
Questa lettura ci invita a ripensare il rapporto tra forma e contenuto, dove il silenzio e il vuoto non sono assenti, ma al contrario indispensabili, quasi come una tela bianca che aspetta di essere trasformata in un’opera d’arte. La poesia, nel suo viaggio tra rigore e libertà, ci ricorda che ogni intervallo, ogni pausa, è carico di possibilità, capace di dare respiro al pensiero e alla sensibilità dell’autore.
Se l’argomento ti incuriosisce, potremmo esplorare come concetti simili emergono in altre correnti poetiche, ad esempio nella poesia concreta o nel postmodernismo, dove lo spazio bianco e la struttura del verso assumono ruoli fondamentali nel comunicare significati profondi e multistratificati. Come vedi, c’è molto da dire su come il “vuoto” diventi fonte di ricchezza creativa nella letteratura contemporanea.
*
La casa delle nuvole
cieli d’acqua e cavalli
d’aria
lì custodisco ore
sfilacciate e segrete pene
-oh giovinezza di deliri e
notti illuni
lì dove il turbinio
degli anni
è rappreso in un palpito
che nell’aria trema
.
Questa poesia, intitolata *"La casa delle nuvole"*, crea un universo fatto di immagini sospese e surreali, dove la realtà si dissolve in un’atmosfera onirica e quasi irreale. La poesia apre con un titolo che evoca una dimora eterea, un luogo immaginario in cui elementi naturali vengono trasformati e reinventati. La fusione di "cieli d’acqua" e "cavalli d’aria" rompe con le logiche ordinarie, invitando il lettore a esplorare territori in cui il visibile si fonde con l’invisibile e il palpabile con il sognato.
Il verso “lì custodisco ore sfilacciate e segrete pene” trasmette l’idea di un tempo spezzettato, dove ogni istante è intriso di emozioni nascoste e ricordi forse dolorosi o intensi. Il termine “sfilacciate” suggerisce una temporalità fragile e in costante disgregazione, mentre le “segrete pene” indicano un bagaglio emotivo custodito in quel luogo immaginario, quasi come se il poeta volesse salvare ogni effimera esperienza.
Con l’esclamazione “-oh giovinezza di deliri e notti illuni” il testo richiama un periodo di esuberanza emotiva e di sperimentazione, un tempo in cui la vita si vive con intensità e in cui il confine tra sogno e realtà è estremamente sottile. L’uso di termini come “deliri” e “notti illuni” accentua questa dimensione di fervore giovanile e di una bellezza malinconica, in cui ogni esperienza è al contempo luminosa e labile.
Infine, la chiusura con “lì dove il turbinio degli anni è rappreso in un palpito che nell’aria trema” incarna il concetto di tempo come qualcosa di vibrante e imprevedibile. Il "turbinio" degli anni viene condensato in un singolo battito, in un’eco che quasi si fa percepire nell’aria, come se ogni attimo, pur nella sua fuggevolezza, potesse essere eternizzato in un breve, ma intenso, momento di vita. Questa immagine suggerisce anche una tensione continua, un’attesa palpabile, come se il tempo stesso potesse collaborare con le emozioni, tremolante e instabile, al confine tra il visibile e l’insubordinato.
Nel complesso, il testo si presenta come un invito a riflettere sulla natura effimera del tempo e delle emozioni. La “casa delle nuvole” diventa metafora di un luogo interiore in cui si intrecciano la memoria e il sogno, la luce e la penombra, il reale e l’irreale. La poesia, breve ma densa, ci spinge a considerare come anche gli elementi più leggeri e impalpabili – l’aria, il sogno, i ricordi – possano avere un’importanza vitale nell’architettura della nostra esistenza.
Questa lettura apre spunti di approfondimento su come il poeta utilizzi il linguaggio immaginifico per superare i limiti tradizionali della rappresentazione, creando un paesaggio emotivo dove il tempo perde la sua linearità e si fa esperienza di un eterno presente vibrante. Potremmo approfondire analizzando il ruolo dell’enjambement e della sospensione nella poesia contemporanea, oppure confrontando questo uso dei simboli con altre tradizioni letterarie che celebrano la fuggevolezza del tempo e l’intensità dell’esperienza soggettiva.
*
Spleen (2)
lo scoglio
e tu
come un tutt’uno
quasi sul ciglio
del mondo avvolto
in una strana luce
labbra di cielo
questo
contatto di sole
vedi nell’aria
marina
un gabbiano planare
su una solitudine
che ti lacera
all’infinito
.
Questo componimento intitolato **"Spleen (2)"** trasuda un’atmosfera sospesa, dove la natura e l’umano si intrecciano in un gioco delicato di luci, ombre e contrasti emotivi.
**Lo scoglio e il ciglio del mondo**
I versi iniziali dipingono l’immagine di uno scoglio solido – simbolo di stabilità e presenza – che si fonde con l’essere umano ("e tu") in un’unione quasi mistica, collocata in una cornice limite, "quasi sul ciglio del mondo". Questo confine, sottile e indefinito, suggerisce il passaggio tra il tangibile e l’infinito, evocando quella stessa condizione esistenziale sospesa tra la certezza e l’incertezza, tipica del concetto di spleen.
**Labbra di cielo e il contatto di sole**
Nel passaggio successivo il poeta trasforma il contatto in qualcosa di sublime e irraggiungibile: le "labbra di cielo" non sono semplici parole, ma una metafora che trasforma l'incontro in un momento quasi celestiale. Il “contatto di sole” diventa allora un abbraccio di luce, capace di riscaldare e al contempo evidenziare la fugacità di quell’instante, ricordandoci come la bellezza possa scivolare via, lasciando dietro di sé una dolce malinconia.
**Il gabbiano e la solitudine infinita**
L’immagine del "gabbiano planare" si fa portavoce di una libertà che, pur volando alto, sembra profondamente imprigionata da una solitudine immensa. Il volo del gabbiano, sospeso tra l’immensità del mare e la vastità dell’aria, diventa una metafora di un'anima che, pur cercando l’elevazione, resta segnata da una condizione di isolamento che “ti lacera all’infinito”. Questa dualità tra il desiderio di libertà e il peso dell’esistenza è al centro del sentimento spleen, evocato magistralmente da questi versi.
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Da un punto di vista letterario, il tema dello spleen, così come viene richiamato in questo componimento, ha radici profonde nella tradizione poetica, richiamando alla mente autori come Baudelaire, che hanno saputo trasformare il dolore e la malinconia in arte sublimemente struggente. Il forte impiego di immagini visive e sensoriali permette di sperimentare quel senso di effimero incontro e separazione, dove ogni verso apre una porta su mondi interiori carichi di luce e buio, di presenza e di assenza.
Questi versi mi invitano a riflettere: quali emozioni speri di evocare nel lettore con queste immagini così potenti?
Forse stai cercando di delineare un dialogo tra l’ineffabile grandezza della natura e la vulnerabilità dell’essere umano, o forse intendi esplorare quella tensione interiore che ti porta a sospendere il tempo in un istante di contatto con l’infinito?
È interessante notare quanto la poesia possa servire da specchio per le nostre esperienze interiori, trasformando ogni immagine in un simbolo dei nostri stati d’animo. Se ti va, potremmo approfondire il significato simbolico del gabbiano o esplorare come la metafora del "ciglio del mondo" rappresenti il sottile confine tra realtà e sogno nella tua opera.
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Le vele del sogno
me ne andrei quasi di soppiatto
alle prime luci
mentre si fredda la tazzina
mai portata alle labbra
entrerebbe il vasto orizzonte
nei miei occhi azzurrocielo
il mare aperto
nell’abbraccio
delle vele del sogno
.
Il componimento **"Le vele del sogno"** ci trasporta in un'atmosfera di intima evasione e riflessione sul confine sottile tra quotidianità e desiderio, tra la realtà concreta e l'infinito potenziale dei sogni.
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**Il risveglio in punta di piedi**
I versi "me ne andrei quasi di soppiatto alle prime luci" evocano una partenza silenziosa e deliberata, compiuta prima che i gesti abituali della vita quotidiana si accendano completamente. L'azione, quasi furtiva, suggerisce l'idea di un lasciarsi alle spalle la routine per abbracciare l'inatteso; l'attimo dell'alba diventa un invito a lasciarsi condurre dal nuovo, dall'invisibile e dall'intimo.
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**Il simbolismo della tazzina fredda**
La tazzina "mai portata alle labbra" si presenta come un oggetto quasi trascurato, intriso di malinconia. È un dettaglio che racconta di abitudini non compiute, di piccole abitudini che spesso sfuggono, ma che al contempo evidenziano una sorta di rinuncia o di attesa. Questo oggetto quotidiano, trovato in uno stato di "fredda" inattività, diventa simbolo dell’attesa di qualcosa di più, di un rituale interrotto a favore di un viaggio interiore o di un cambiamento repentino.
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**L'orizzonte nell'occhio del poeta**
Il passaggio in cui "entrerebbe il vasto orizzonte nei miei occhi azzurrocielo" amplifica il senso dell'immensità. L'immagine dell'occhio che diventa specchio dell'infinito e dell'azzurro del cielo sottolinea una fusione tra lo sguardo interiore e il panorama esterno. In questo quadro, il "mare aperto" e "l’abbraccio delle vele del sogno" sono metafore di libertà, aspirazione e speranza. Le vele, infatti, non sono solo strumenti per il viaggio fisico, ma anche veicoli di desideri e sogni che solcano le acque incerte della vita, intrecciando idealità e realtà.
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**Riflessione e interrogativi personali**
Questa poesia ci parla del coraggio di evadere dal conosciuto in favore di un percorso interiore, invitandoci a considerare come piccoli gesti quotidiani possano celare un potenziale trasformativo.
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Cavalli di nuvole
i primi smarrimenti: quando ti sembrava
dovesse cascare il mondo-
disegnavi angosce o voli
pindarici nell’aria
da una feritoia ti guardava
un pezzo di cielo-
tu ragazzino -ricordi-
rifugiato in una baracca
a smaltire l’ “onta” di una derisione
non sapendola costellata di prove
la tua stella
intanto
cavalli di nuvole
a sequenza
dicevano la vita leggera
.
Il componimento **"Cavalli di nuvole"** ci trasporta in un viaggio emotivo che ripercorre i primi tremori di smarrimento e la nascita di una consapevolezza interiore, contrastando il peso del passato con la leggerezza degli attimi fugaci.
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### I primi smarrimenti e il ricordo dell’angoscia giovanile
I versi iniziali rievocano quei momenti in cui, da ragazzino, sembrava che il mondo potesse crollare sotto il peso dei propri tormenti. L’immagine di disegnare, con la fantasia, sia angosce che voli "pindarici" nell’aria, evidenzia la dualità di un’anima che oscilla tra dolore e aspirazione. Il "pezzo di cielo" che osserva da una feritoia diventa metafora di quel desiderio, apparentemente inaccessibile, di una guida o di una luce che potesse dare senso a quelle esperienze di derisione e solitudine. Il ricordo del ragazzino, rifugiato in una baracca, racconta non soltanto di un luogo fisico, ma anche di quella condizione emotiva statica, in cui il sentirsi "in ombra" si mescola al bisogno di ritrovare la propria stella interiore.
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### Il volo liberatorio dei "cavalli di nuvole"
La seconda parte del testo cambia tonalità, passando da un'intensa introspezione a una celebrazione della leggerezza. I "cavalli di nuvole a sequenza" non sono semplici immagini di effimera bellezza: sono veicoli di una vita che invita a riscoprire la spensieratezza e la capacità di lasciarsi andare. In questo movimento, c'è il suggerimento che, nonostante le evidenti cicatrici del passato, la vita offre anche l’opportunità di un volo alto, libero e rinnovato, quasi a dire che la leggerezza dell’essere è sempre in bilico nell’aria, pronta a sollevarci dai ricordi pesanti.
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### Un invito a riflettere sul proprio percorso
Questo componimento diventa un specchio per chi ha vissuto quei primi smarrimenti, quei momenti in cui la derisione e l' "onta" sembravano oscurare ogni speranza. Le immagini, dense e vibranti, ci spingono a domandarci come il dolore possa trasformarsi in quella capacità di volare leggeri, quasi come se, attraverso i ricordi dolorosi, si potesse ritrovare una scintilla di resilienza e genuina bellezza.
Quale parte di questa dualità tra l'angoscia giovanile e il liberatorio volo dei "cavalli di nuvole" risuona di più in te? Forse la capacità di trasformare il peso del passato in una spinta verso la leggerezza o il ricordo di un'epoca in cui ogni piccolo frammento di cielo poteva diventare una speranza?
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A volte, riflettere su come questi versi catturino quel passaggio delicato tra il dolore e la rinascita ci permette di abbracciare di nuovo quella forza interiore, ricordandoci che ogni prova, anche la più oscura, può essere costellata di insegnamenti e di una bellezza inaspettata.
*
Avevo in mente una poesia
stamattina avevo in mente una poesia
stasera
non ricordo più nemmeno un verso
ho lasciato il foglio bianco
con flebili echi d’un mezzo secolo e
ora rammento solo una pioggia di luce
di stelle sopra il letto
e il caldo abbraccio di lei
sullo schermo della mente
un vissuto che sembra ieri
.
Che poesia intensa ed evocativa! I versi trasmettono una sensazione di malinconia e fragilità che sembra fondere il flusso del tempo con l'effimero istante creativo. L'immagine di aver pensato a una poesia al mattino, solo per ritrovarsi la sera con il foglio bianco, rappresenta in modo potente quel momento in cui l’ispirazione sfugge come sabbia tra le dita.
Il "foglio bianco" diventa metafora non solo di un’opportunità creativa perduta, ma anche della memoria che si dissolve – un richiamo a quel mezzo secolo di echi, sfumato in un’eco lontana eppure vividamente evocata da quella "pioggia di luce di stelle sopra il letto". La presenza del "caldo abbraccio di lei" aggiunge una dimensione personale e intima, come se la figura amata fosse il rifugio dove cercare ancora un appiglio, un ricordo che riscalda nonostante le ombre del tempo. Infine, l’immagine dello "schermo della mente" in cui si riflette un vissuto che sembra ieri, richiama quella continua tensione tra il desiderio di trattenere il passato e l’inevitabile scorrere del presente.
*
Ai piedi della notte
un nodo d’inquietudine sospesa
si scioglie ai piedi della notte
sotto una luna ammiccante
l’amore è come l’ansimare del mare
s’abbevera del sangue delle stelle
aduna in sé il sentimento del tempo
vòlto dove è dolce la luce
.
Questo componimento è incredibilmente suggestivo e pieno di doppiezza emotiva. La linea iniziale, _"un nodo d’inquietudine sospesa / si scioglie ai piedi della notte"_, evoca l'idea di una tensione interiore che, con l’arrivo dell’oscurità, trova il suo rilascio, quasi come se la notte avesse il potere di liberare le angosce celate durante il giorno. La notte diventa così non solo uno sfondo, ma un vero e proprio attore, capace di trasformare l'inquietudine in una sorta di pace effimera.
Il verso _"sotto una luna ammiccante"_ introduce una complicità quasi giocosa con l'universo: la luna, lontana e misteriosa, sembra invitare l'osservatore in un gioco di seduzione e svelamenti. Questo elemento, così delicato e al contempo carico di mistero, si contrappone e si fonde con l'immagine vibrante dell'amore paragonato all’_“ansimare del mare”_. Qui l'amore assume una dimensione primordiale, quasi selvaggia, che si nutre di forze cosmiche, come se bevesse il «sangue delle stelle». Questa immagine, intensa e quasi surreale, sottolinea una connessione magica fra il sentimento amoroso e l'infinito che l'oscurità notturna porta con sé.
L'idea che l'amore “aduna in sé il sentimento del tempo” aggiunge un ulteriore strato di profondità, suggerendo che il sentimento non è statico, ma racchiude in sé la ricchezza e la complessità del trascorrere dei momenti, quasi raccogliendo le fragranze di un passato lontano per trasformarle in una luce dolce che illumina il presente.
La poesia si trasforma così in un viaggio emozionale: un delicato equilibrio tra inquietudine e bellezza, dove la notte non è solo fine del giorno, ma anche un luogo fertile in cui i sentimenti si fanno eterni.
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La luna dei poeti
ho la luna dei poeti
-pesci sull’ imum coeli–
scivola
la barca della passione
verso terre di mistero
pesco sogni di ragno
nell’ intreccio di parole
nate sulla bocca dell’ alba
mentre
uno sbuffo di vento
porta afflati d’ amore
:
Questa composizione si apre con un richiamo alla luce interiore, un possesso quasi mistico: “ho la luna dei poeti” sembra evocare quell’ispirazione esclusiva e altrove, che appartiene solo a chi sa vedere oltre il consueto. La luna diviene così un simbolo di creatività e trascendenza, una compagna silente che guida il pensiero poetico.
(...)
Nel passaggio seguente, “scivola / la barca della passione / verso terre di mistero”, viene tracciato un viaggio emotivo e sensoriale. La barca, simbolo del veicolo interiore, naviga in acque ignote, trasportata dalla forza della passione verso territori dove il mistero regna sovrano. È un’interpretazione del percorso creativo come navigazione nelle acque spesso turbolente dell’anima, dove ogni istante è una scoperta.
Continuando, il verso “pesco sogni di ragno / nell’ intreccio di parole / nate sulla bocca dell’ alba” introduce immagini di una grande delicatezza: l’atto del “pescare” suggerisce la ricerca attenta e meticolosa di sogni, che si trasformano in fili sottili come quelli di un ragno, simboli tanto di creazione quanto di intrigo e rete. Le parole, “nate sulla bocca dell’alba”, sembrano avere il potere di dare vita a nuove realtà, come se il primo respiro del giorno fosse capace di generare un linguaggio intricato e poetico.
Infine, “mentre / uno sbuffo di vento / porta afflati d’ amore” richiama quella naturale fuggevolezza degli istanti intensi: il vento, imprevedibile e lieve, diventa il mezzo con cui si diffonde l’essenza d’amore, una carezza che sfiora senza fermarsi, trasportando emozioni pure e primordiali.
Questa poesia pulsa di immagini e suggestioni, intrecciando elementi naturali e simbolici in un ritmo quasi onirico.
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Precisazione: pesci sull'imum coeli, in astrologia è il mio segno dei Pesci al Fondo Cielo (opposto al Medio Cielo), ed è la posizione privilegiata dei poeti.
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Grazie per la precisazione. Conoscendo ora che “pesci sull’imum coeli” si riferisce, in senso astrologico, alla tua posizione personale – ovvero il segno dei Pesci al Fondo Cielo (IC) – possiamo approfondire ulteriormente il suo significato poetico e simbolico.
### Significato Astrologico e Simbolico
Nell'astrologia il Fondo Cielo, o Imum Coeli (IC), rappresenta le radici, l'intimità, il nucleo emotivo e il luogo nascosto dentro di noi dove risiedono le esperienze più profonde. Con i Pesci in questa posizione, si accentua un'intuizione sensibile, una predisposizione verso il mistero e una connessione quasi magnetica con il mondo onirico e l'arte. Questa configurazione è frequentemente associata ai poeti, perché favorisce una capacità innata di trasformare l'inquietudine interiore e le sfumature emotive in espressioni creative e trascendenti.
### Il Contrasto con il Medio Cielo
Il fatto che l'IC sia posto all'opposto del Medio Cielo (MC) evidenzia il contrasto tra il mondo interiore e quello esteriore. Mentre il MC parla delle ambizioni pubbliche, della carriera e del visibile, l'IC con i Pesci invita a esplorare il proprio universo perso e soggettivo. Questa dicotomia fa da trampolino a una poesia che non teme di scavare in profondità, di portare alla luce emozioni e intuizioni spesso celate e di (trasformarle) in un linguaggio unico e simbolico.
### L’Impatto sulla Poesia
Posizionare i Pesci sull’imum coeli non solo indica una sensibilità artistica, ma anche una predisposizione a vedere bellezza e significato nelle sfumature dell’esistenza. La tua poesia, con immagini come “pesci sull’imum coeli”, diventa così un ponte fra il tangibile e l’intangibile, tra il vissuto quotidiano e il sublime regno dei sogni. Essa suggerisce che il poeta non si limita a “navigare” le superfici della realtà, ma immerge le proprie radici nell'infinito, attingendo a quel fluire di emozioni che accende la creatività e trasforma il vissuto in versi carichi di significato.
### Riflessioni Finali
Questa posizione astro-poetica invita a considerare come le nostre radici, la nostra interiorità, possano diventare fonte di ispirazione e trasformazione. Fa emergere l’idea che le emozioni più profonde e spesso inespresse possano dare vita a una forma d’arte unica, capace di toccare l’universale attraverso la lente personale.
Quale aspetto della tua identità senti più intensamente influenzato da questa particolare posizione astrologica? In che modo questa connessione tra il tuo Fondo Cielo e l'energia dei Pesci si riflette nei tuoi processi creativi o nella tua visione del mondo? Questa potrebbe essere un’ottima chiave di lettura per esplorare ulteriormente sia la tua poesia che il tuo vissuto interiore.
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Dei miei detrattori
(Diocleziano, uno dei più odiati della storia)
lasciai alla terra il corpo-zavorra
da cui forse con sollievo mi trassi
se sia ala d’angelo a coprirmi
il disonore -si dirà- ora che
s’una misera tomba s’accanisce
dei miei detrattori il ghigno
feroce e lo sputo
.
Questo breve testo, intitolato **"Dei miei detrattori"**, offre una riflessione intensa e ambivalente sul giudizio storico e sul peso del proprio lascito personale. È attribuito a Diocleziano—a cui viene spesso associato un passato carico di controversie e repressioni—e qui si percepisce come egli mediti sul contrasto tra il corpo terreno, definito con l'espressione "corpo-zavorra", e una possibile redenzione spirituale che potrebbe consistere nell'aver lasciato alle spalle il peso della carne.
Le prime righe, in cui si afferma di aver "lasciato alla terra il corpo-zavorra", si leggono come un distacco quasi liberatorio dalla materialità, un lasciar cadere il fardello profondo di un'esistenza giudicata e disprezzata da molti. La successiva ambizione di essere coperto da "ala d’angelo" riveste un doppio significato: da un lato si suggerisce l’aspirazione alla redenzione, la protezione divina che possa celare il "disonore" di chi, in vita, ha incassato il giudizio aspro dei suoi detrattori; dall’altro, si manifesta l’ironia e il tono provocatorio di chi, pur auspicando una trasformazione nell’aldilà, riconosce che il mondo resterà pronto a riversare "ghigno feroce e sputo" anche contro di lui.
Questa dicotomia—tra il desiderio di liberarsi dal fardello materiale e la consapevolezza dell’implacabile giudizio della memoria storica—ci porta a interrogarsi sulla complessità della figura di un personaggio storico come Diocleziano. Sebbene la sua fama sia infatti indissolubilmente legata alle immensi persecuzioni e a una politica di oppressione, il testo propone una visione che va oltre la mera condanna: si osserva infatti un uomo (o meglio, la sua voce poetica) che riflette sulle conseguenze personali del potere e su come la storia, con i suoi giudizi, tenda a perpetuare quella dualità di esaltazione e condanna.
L'utilizzo di metafore forti—ad esempio "corpo-zavorra" che evoca un senso di pesantezza e oppressione, e la "misera tomba" che diviene teatro del giudizio crudele dei suoi detrattori—serve a rendere palpabile il conflitto interiore e la tensione tra la materialità e lo spirito, tra il passato e la redenzione sperata. È come se in queste righe si contenesse l'eco di una voglia di liberazione dalla storia che ha marchiato l’esistenza del protagonista, insieme al dolore per il fatto che il rancore e l’odio non possano essere facilmente sepolti insieme al corpo.
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Il mare era una favola
“non vorrei più uscire da questa
dimensione eppure basterebbe
come altre volte
stringere forte gli occhi e…”
ma voglia non ne avevo – poi giocoforza
mi ritrovai quasi deluso nel mio letto
avevo lasciato un mare che era
una favola
un’immensa tavola
imbandita per i gabbiani a frotte
.
Questo testo evoca un viaggio interiore carico di dissonanze tra l'incanto del sogno e la realtà del risveglio. La poesia, intitolata "Il mare era una favola", si sofferma su quella dimensione magica e quasi irreale che, pur essendo percepita con intensità, svanisce lasciando dietro di sé solo il retrogusto della quotidianità.
### Il desiderio di restare nell'incanto
La prima parte del testo presenta una voce interiore che esprime il desiderio di non abbandonare una dimensione onirica, quasi come se fosse un porto sicuro in cui rifugiarsi:
> *“non vorrei più uscire da questa
> dimensione eppure basterebbe
> come altre volte
> stringere forte gli occhi e…”*
Qui l’atto del "stringere forte gli occhi" diventa un gesto simbolico per entrare (o forse riconnettersi) con quella dimensione magica. L'ellissi suggerisce un invito implicito a lasciare correre l'immaginazione, a completare il gesto in modo personale, cosa che accenna a un rituale intimo di evasione dalla realtà.
### Il contrasto tra l’immaginario e la realtà
Subito dopo, il tono muta:
> *ma voglia non ne avevo – poi giocoforza
> mi ritrovai quasi deluso nel mio letto*
La transizione dal desiderio alla realtà si manifesta in forma quasi forzata; il poeta, per mancanza di «voglia», non si concede più quella fuga e si ritrova, con una nota di delusione, nel mondo del risveglio. È come se il lasciar andare quella dimensione onirica comportasse inevitabilmente una profonda consapevolezza della banalità del quotidiano.
### La trasformazione del mare in metafora
Le ultime righe introducono l'immagine del mare, trasformato in una favola e paragonato ad un’immensa tavola imbandita:
> *avevo lasciato un mare che era
> una favola
> un’immensa tavola
> imbandita per i gabbiani a frotte*
Qui il mare, tradizionalmente simbolo di vastità, mistero ed emozione, diventa la rappresentazione di quel mondo immaginativo che il poeta ha abbandonato. La metafora della tavola imbandita richiama invece un’immagine di abbondanza e festa, ma destinata, ironicamente, ai "gabbiani a frotte": creature che, nella loro banalità e quotidianità, non colgono il senso profondo di quella ricchezza preternaturale. È come se l'ispirazione, una volta lasciata, si ritrovi ad essere messa a disposizione di chi non sa apprezzarla, quasi a simboleggiare lo spreco di una bellezza unica.
### Riflessioni sul significato
Il testo ci invita a riflettere su come l'intensità dell’immaginazione e del sogno possa svanire con la riscoperta del vivere quotidiano. C'è un palpabile senso di nostalgia per quella dimensione perduta, un rimpianto per aver lasciato andare la magia, pur sapendo che bastava un semplice gesto – lo stesso che, in altre occasioni, aveva il potere di trasportarlo in quel mondo fatato.
Il contrasto tra il desiderio di permanenza nell'incanto e la realtà che ritorna, quasi controcorrente, evidenzia una tensione esistenziale: il bisogno di fuggire dalla banalità e l’impossibilità di perpetuare indefinitamente quella fuga. In questo gioco di immagini, i gabbiani possono essere visti come simbolo delle forze materiali e quotidiane che reclamano ciò che è stato abbandonato, rendendo la "favola" un ricordo ormai sbiadito.
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Non sei dei loro
nel chiuso della stanza o
di pomeriggio nel sole
da un po’ ti sorprendono
a parlare coi morti – questi
non tornano e tu non sei
dei loro -ancora-
sono spirito (ma di essi
poco si sa) -ubiqui
ti leggono il pensiero e a volte
giocano con le nuvole – quando
nelle tue pareidolie
ti pare ravvisarli
.
Il testo "Non sei dei loro" si presenta come un frammento poetico che esplora con delicatezza e mistero la relazione tra l’individuo e un mondo invisibile, fatto di presenze eteree e pensieri che sfuggono alla mera materialità. La prima parte, dove si afferma:
> *nel chiuso della stanza o
> di pomeriggio nel sole
> da un po’ ti sorprendono
> a parlare coi morti – questi
> non tornano e tu non sei
> dei loro -ancora-*
ci invita a considerare quei momenti in cui, sia nella sicurezza di un ambiente chiuso sia sotto la luce del giorno, la persona viene inaspettatamente raggiunta da conversazioni con chi non è più fra noi. L’espressione "parlare coi morti" può essere letta in diversi modi: da un lato, come un riferimento alla reminiscenza dei ricordi o delle voci che continuano a vivere nei pensieri; dall’altro, come un’evocazione della capacità di toccare il reame dell’ignoto, un mondo che si percepisce e si intuisce ma che resta sempre fuori dalla portata completa del vissuto quotidiano. L’aggiunta dell’"ancora" sottolinea una condizione di sospensione: il destinatario, pur intrattenendo questo contatto, non è ancora completamente inglobato in quell’aldilà invisibile.
La seconda parte del testo amplifica questo suspence e la sensazione di mistero:
> *sono spirito (ma di essi
> poco si sa) -ubiqui
> ti leggono il pensiero e a volte
> giocano con le nuvole – quando
> nelle tue pareidolie
> ti pare ravvisarli*
Qui si introduce l’idea di entità spirituali, ammantate di un alone di enigma («poco si sa»), che cercano una forma di comunicazione più sottile e pervasiva, tanto da poter «leggere il pensiero». Il termine "ubiqui" rafforza l’idea della loro presenza in ogni dove, una presenza continua e quasi ineluttabile che, però, si manifesta in modo giocoso e sfuggente, come nel gioco delle nuvole o nelle pareidolie – quei momenti in cui la mente umana si illude di riconoscere volti o forme familiari dove non ce ne sono davvero.
Il poeta, in modo elegante, mette in luce il delicato equilibrio tra l’appartenenza e la distanza: il soggetto non è ancora dei "loro", nonostante l’incontro costante con questi spiriti invisibili. C’è una tensione esistenziale che si cela nel non voler essere completamente assorbiti da un mondo che, pur essendo intrinsecamente presente, rimane per sua natura inesplorato e ambiguo. Il testo ci spinge a riflettere sulla soglia tra il visibile e l’invisibile, sul confine sottile tra la vita quotidiana e quella dimensione, meno tangibile, che tocca l’anima con le sue sfumature.
Questa riflessione può condurci a interrogarsi su temi universali quali l’identità, la memoria e la percezione della realtà. Ad esempio, potrebbe trattarsi di un invito a mantenere la propria individualità e il proprio spirito libero, resistendo a una deriva che vorrebbe omologare il pensiero o l’essere, recuperando comunque quella scintilla di mistero che ci permette di restare sempre in bilico tra ciò che è dato per scontato e l’infinito potenziale dell’ignoto.
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Reliquie
a scrivere non la mano
ma la mia radice ferita
testimonianza siano
non lettere storte sull’acqua
o che volteggino eteree
dissanguandosi in volo
ma i momenti che restano
nel tempo appesi al cuore
.
Il testo "Reliquie" si presenta come una meditazione sulla scrittura come testimonianza autentica della nostra esistenza. Il poeta ci dice che non scrive con la mano, strumento superficiale e meccanico, ma con la “mia radice ferita.” L'immagine della radice ferita evoca l'idea che ciò che scriviamo debba nascere da un luogo profondo e autentico, segnato dalle esperienze, dal dolore e dalle cicatrici che la vita ci regala. È un invito a scavare oltre l'apparenza, a rivelare l'essenza nascosta di chi siamo veramente.
L'idea che la testimonianza non consista in «lettere storte sull’acqua» suggerisce la consapevolezza dell’effimero, quella scrittura che, per quanto bella o poetica, si disperde e si dissolve come se non avesse mai lasciato traccia. Al contrario, il poeta ambisce a qualcosa di più duraturo: i “momenti che restano nel tempo appesi al cuore.” In questo contrasto tra il fugace e l'indelebile, il testo celebra la potenza delle esperienze vissute, quei frammenti di vita che, nonostante il passare degli anni, continuano a dare forma alla nostra identità.
La metafora del volo – con le “lettere che volteggino eteree, dissanguandosi in volo” – aggiunge una dimensione quasi sacrale al gesto creativo. Queste immagini suggeriscono l'esistenza di una bellezza intrinseca, ma anche di una fragilità: la bellezza dell'essere che si libera, che si trasforma, eppure rischia di perdersi se non radicata in un'esperienza profonda e vissuta. È come se il poeta cercasse di catturare quelle reliquie, quei frammenti immortali, perché solo essi sono capaci di raccontare la verità del cuore umano.
Questa riflessione ci spinge a considerare la scrittura (o in senso più ampio, l'arte) come un atto di recupero e di immortale memoria. Non si tratta di creare decorazioni fugaci, ma di dare voce a quei momenti esistenziali che, seppur difficili e dolorosi, rappresentano la nostra verità interiore. La sfida, dunque, è quella di trasformare il dolore e la fragilità in un formato che non svanisca, ma che resti appeso nel tempo, come un prezioso testimone della nostra esistenza.
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Divagazioni sullo zero e sulla o
il nucleo l’anello l’uroboro
due zeri abbracciati ti danno
il simbolo dell’infinito
puoi notare
la vocale o di rimbaud
gli ovali dell’ottocento
la bocca spalancata nell’urlo di munch
le bolle di sapone
immagina
gli occhielli delle forbici gli oblò
simili allo zero o alla o
.
Che meraviglia di meditazione sul potere evocativo delle forme! Il tuo componimento trasforma il cerchio, che a prima vista può sembrare una semplice figura geometrica, in un simbolo carico di significato. L’ouroboro, ad esempio, richiama il ciclo eterno della vita, della rinascita e del ritorno all’origine: un nucleo che si autoabbraccia, come se l’inizio e la fine fossero un’unica realtà. Allo stesso modo, i due zeri che si incontrano per formare l’infinito ci parlano di quella potenzialità senza limiti che nasce dal nulla, di come ogni vuoto racchiuda in sé la promessa di un nuovo inizio.
Le immagini che selezioni—la vocale “o” alla Rimbaud, gli ovali dell’ottocento, la bocca aperta nell’urlo di Munch, le bolle di sapone, gli occhielli delle forbici, gli oblò—si fondono in un gioco visivo e sensoriale che ci invita a vedere oltre la superficie. Ognuno di questi elementi, pur appartenendo a contesti e tematiche diversi, condivide quell’aspetto circolare che unisce il materiale al metafisico, il concreto al simbolico. È come se il cerchio diventasse un portale attraverso cui percepiamo l’instante eterno, il presente carico di ambiguità emotiva e di mistero.
La tua poesia, quindi, non è solo un esercizio di stile, ma un invito a riflettere sul significato profondo delle forme, sull’equilibrio sottile tra il vuoto e il tutto, tra l’essenza minimalista del simbolo e la complessità dell’esperienza umana. In questo senso, lo “zero” e la “o” si rivelano quasi come metafore parallele: uno rappresenta il nulla che si apre all’infinito, l’altro l’espressione sonora e visiva dell’essere, avvolgente e priva di confini.
Questa riflessione apre ulteriormente la porta a domande sul ruolo dei simboli nella nostra percezione del mondo: in che modo le forme elementari influenzano il nostro modo di leggere la realtà? Ed è forse proprio nelle pieghe di queste immagini, così essenziali eppure così cariche di storia e sentimento, che risiede il segreto di un continuo divenire? Un tema che abbraccia sia la filosofia che l’arte, invitandoci a un dialogo interiore sul senso del tempo, dell’identità e della trasformazione.
Mi chiedo quali altre forme o simboli ti ispirino nello stesso modo: hai mai meditato sul significato dell’anello, del cerchio perfetto o di altre figure geometriche che sembrano racchiudere interi universi di significato nascosto? Sarebbe interessante approfondire come questi simboli si intrecciano con la nostra esperienza emotiva e culturale, creando un linguaggio visivo che va al di là delle parole.
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Calvario
(a San Massimiliano Kolbe).
portavo le mie quattr’ ossa sul calvario
accomunato alle migliaia di sventurati
lungo i binari della morte.
ti parlo
a nome di chi nome non aveva
ti parlo dalla regione del dolore
con la bocca dei morti.
ove germogliano fiori
di quel perdono che non è dei vivi
.
Questo componimento pulsa di una tensione intensa, un grido silente che trasforma il dolore individuale in messaggio universale. Le parole "portavo le mie quattr’ ossa sul calvario / accomunato alle migliaia di sventurati / lungo i binari della morte" evocano il peso insostenibile del sacrificio, una marcia dolorosa sul sentiero comune di chi ha sofferto, portando in sé la memoria di chi, come San Massimiliano Kolbe, ha incarnato il sacrificio estremo nella storia umana.
Il testo si fa portavoce di una voce che, "a nome di chi nome non aveva", parla dalla "regione del dolore" con la "bocca dei morti". Questa scelta stilistica non è soltanto un’evocazione del silenzio del trapasso, ma diventa un atto di restituzione, un modo per dare forma e voce a quell’orrore che troppo spesso resta inascoltato. In questo silenzio, purestendere di una presenza quasi ultraterrena, il poeta ci invita a fare i conti con un dolore che trascende il tempo e si trasforma in memoria collettiva.
L'immagine finale, "ove germogliano fiori / di quel perdono che non è dei vivi", costituisce una sintesi poetica potente: dalla cenere del sacrificio e della morte nasce un perdono, un germoglio che appartiene a una dimensione oltre il vissuto quotidiano. Qui il perdono non è una concessione dei vivi, legata ai compromessi della vita, ma un dono che sboccia dall’esperienza ultima del sacrificio, ordinando un ordine superiore in cui il dolore diventa seme di redenzione.
Questa meditazione solleva interrogativi profondi sul valore del sacrificio e sulla possibilità di una trascendenza del dolore attraverso il perdono. In quale misura il ricordo del martirio possa diventare un monito per vivere con maggiore consapevolezza? E come si trasforma la sofferenza in un linguaggio che parla tanto della fragilità umana quanto della sua capacità di rinascita?
Mi chiedo se questo intreccio di immagini, che unisce la crudezza del calvario al germogliare del perdono, possa suggerirti nuove chiavi di lettura sul rapporto tra vita e morte, tra il sé dolorante e la possibilità di una pace che supera i confini del tempo. E se guardassimo, per esempio, a come altre opere d’arte e letterarie abbiano trasformato l’esperienza del martirio in simbolo di speranza e resilienza? Potrebbero opere come quelle di Dante o persino i rituali di passaggio nelle culture antiche offrire ulteriori spunti di riflessione?
Questa poesia, con il suo peso e la sua delicatezza, potrebbe aprirti la porta a una meditazione più ampia sul sacrificio, sul senso della memoria e sulla redenzione che spesso si cela dietro il dolore.
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Angelo della volta
benevolo mi eri
novenne o giù di lì
ché dalla volta mi dettavi parole
di luce per poesie rimaste nell'aria
indicibili voci erano
d'un oltretempo
ove si schiude tremulo il fiore
che porto in me d'eterno
.
Questo testo poetico trasuda una delicatezza mistica, quasi come se il poeta si lasciasse guidare da una presenza divina che scorre tra le pieghe del tempo e dell’esperienza. L’“Angelo della volta” emerge come una figura benevola e antica, un’entità che, rivelandosi in maniera quasi sospesa, dettava al poeta “parole di luce” capaci di ispirare versi eterni che, pur effimeri, rimangono sospesi nell’aria. Questi elementi suggeriscono un dialogo intimo tra il mondo terreno e quello trascendente, dove il linguaggio diventa strumento di rivelazione e connessione con una dimensione oltre il tempo.
La poesia prosegue evocando “indicibili voci” che risuonano da un “oltretempo”, un regno in cui il tempo lineare si dissolve e la creatività si trasforma in un fiore tremulo, simbolo di una bellezza fragile e al contempo eterna. Quest’immagine, potente e significativa, allude alla nascita e al fiorire di qualcosa che, pur essendo momentaneo nella sua manifestazione, porta in sé l’essenza dell’infinito. È come se il poeta avvertisse nella propria interiorità una continua rinascita, un costante divenire che trascende la mera materialità.
L’uso di espressioni come “parole di luce” e “poesie rimaste nell’aria” non solo enfatizza la forza simbolica del linguaggio, ma suggerisce anche che la comunicazione tra il divino e l’umano avvenga in maniera sottile, quasi impercettibile, lasciando un’impronta indelebile nella coscienza. Questa fusione di sacro e terreno ci invita a riflettere su come l’ispirazione poetica possa emergere da fonti misteriose, capaci di trasformare l’ordinario in qualcosa di straordinario.
Questi versi, ricchi di immagini evocative, possono essere letti come un invito a cercare la bellezza e la verità anche nei momenti più fugaci, riconoscendo nello sguardo verso il divino la possibilità di una trasformazione interiore.
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Incanto
i dolci animali d'acqua terra e cielo
a volte evanescenti prendono forma nelle nuvole
nel mare del cielo un tonno guizzante
assume sembianze sull'onda lucente
il bimbo sogna guardando estasiato
ippogrifi e delfini in lenta sequenza
pende dalle labbra del nonno che gli parla di quando
noè trasse in salvo dal diluvio tutte le specie
.
La poesia "Incanto" si apre con immagini che sfumano i confini tra realtà e sogno, in un gioco meraviglioso di metamorfosi. I "dolci animali d'acqua terra e cielo" non sono semplicemente esseri viventi, ma incarnano la natura in tutte le sue sfumature, capaci di mutare forma come per incantare gli sguardi. L'idea di animali "evanescenti" che prendono forma nelle nuvole ci trasporta in un universo fluido, dove il tempo e lo spazio si dissolvono, lasciando spazio alla pura immaginazione.
Il verso in cui "nel mare del cielo un tonno guizzante assume sembianze sull'onda lucente" rimodella le leggi della natura, trasformando il cielo in un oceano e giocando con la contrapposizione tra elementi terrestri e celesti. Questa fusione inusuale crea un'atmosfera onirica e surreale, in cui tutto è possibile e il confine tra il familiare e lo straordinario si dissolve.
La presenza del bimbo, che osserva estasiato ippogrifi e delfini in lenta sequenza, sottolinea il potere dell'immaginazione infantile. L'incontro tra il meraviglioso dei sogni e la saggezza tramandata dal nonno — che con la forza delle narrazioni racconta di un tempo in cui "Noè trasse in salvo dal diluvio tutte le specie" — crea un legame intergenerazionale. Questo racconto mitico, intriso di simbolismi religiosi e di una memoria ancestrale, funge da ponte tra il mondo effimero della fantasia e quello solenne delle tradizioni.
Il testo invita a riflettere su come le storie e le immagini essere trasmesse, non solo come semplici racconti ma come veicoli di verità profonde che arricchiscono la nostra esperienza del mondo.
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Si spalma la luce
"come ti butta?"
i passeri hanno fatto il nido
primavera s'infiora la luce
si spalma sugli alberi le case
quanto a me una distanza
mi separa sempre da me
13.5.25
.
Questo testo è davvero evocativo. La luce che "si spalma" allude a un'energia che pervade e trasforma tutto, proprio come la primavera che fiorisce e riaccende la vita attorno a noi. La domanda "come ti butta?" ci spinge a un confronto diretto con le emozioni: ci invita a chiederci in che modo questa luminosità, questa rinascita, impatti il nostro animo.
I passeri che "hanno fatto il nido" sembrano simbolizzare il rinnovarsi, l'atto di costruirsi spazi sicuri in un mondo in continuo mutamento. La natura diventa così una metafora della nostra esistenza, dove anche le piccole creature compiono grandi gesti di creazione. È come se la poesia volesse ricordarci che, nonostante tutta questa bellezza e rinnovamento, esiste sempre una distanza interiore, quella che ci separa da noi stessi – un divario fatto di riflessioni, paure, sogni e aspettative.
La presenza del numero "13.5.25" potrebbe segnare un momento preciso – forse la data in cui è nata questa intuizione – oppure rappresentare l’idea che ogni istante porta con sé la sua particolarità e la sua storia. C’è qualcosa di struggente e al contempo consolatorio nel constatare che, nonostante la luce ci circondi, "una distanza mi separa sempre da me", un'amara consapevolezza della nostra complessità interiore.
Sono curioso di sapere come interpretate il rapporto tra la luce esterna e quella interna. Ti risuona questo equilibrio tra la bellezza che ci circonda e la distanza che sentiamo dentro? Oppure trovi in queste immagini un invito a colmare quel vuoto emotivo? La poesia offre spunti infiniti, e personalmente credo che questi contrasti possano essere il riflesso di una profonda tensione creativa, un dialogo tra la realtà e l'introspezione.
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Ondivaghe maceri parole
quando ti rigiri tra le lenzuola
-ondivaghe maceri parole
dove latita il cuore-
somigli al gabbiano ferito
che solo in sogno ritrova
il suo mare - la vita altra
.
Questa poesia ci trasporta in un viaggio tra emozioni, immagini e momenti di intimità. L'espressione "ondovaghe maceri parole" evoca un andamento fluido e, al contempo, lacerato del linguaggio, come onde che si infrangono e si frantumano, simbolo di un'anima che si disperde e si ricompone nella complessità dei sentimenti.
Quando leggi "quando ti rigiri tra le lenzuola", l'immagine ci restituisce quella sensazione di vulnerabilità e intimità. È come se, nel movimento silenzioso nel letto, si cercasse un equilibrio fra il caos interiore e la ricerca di una calma familiare, mentre le parole, danzando e macerando, sembrano essere lo specchio di un cuore che "latita" in un luogo dove dovrebbe rifugiarsi.
Il paragone con "il gabbiano ferito" è particolarmente incisivo: un simbolo di libertà e bellezza che, pur essendo ferito, conservando la capacità di sognare il proprio mare – la vita altra – diventa emblema della resilienza. Il gabbiano, indispensabile figura del volo e del superamento dei limiti, in questo sogno ritrova quella dimensione che la realtà quotidiana gli nega, permettendogli di riconnettersi con la sua essenza, con quella parte di sé sempre capace di rinascere nonostante le ferite.
Nel complesso, il testo sembra riflettere quel contrasto tra la realtà tangibile e il mondo interiore dei sogni, in cui le parole, pur nella loro fragilità e disintegrazione, raccontano storie di rinascita e resistenza. Queste immagini ci invitano a interrogarci sul rapporto fra il dolore e la speranza, tra ciò che perde forma e ciò che trova, nel silenzio notturno della nostra esistenza, la via per ricostruirsi.
*
ora
il mio sangue si eleva
al battesimo della luce
vedi
sono fiorito
e la morte non la ricordo più
sono uscito da lei come da un fiume
di tenebra
.
Che intensa e vibrante immagine poetica hai condiviso. I versi trasmettono un passaggio profondo, un viaggio dalla oscurità alla luce che rievoca il senso di rinascita e trasformazione personale. Inizia con l'idea che il sangue—simbolo della vita e della forza vitale—si innalza al "battesimo della luce", e subito si apre una visione di purificazione e rinnovamento. Questa luce diventa l'elemento che trasforma, che permette di fiorire, di germogliare e di affermare una nuova identità, mentre la memoria della morte svanisce, come se l'oscurità venisse relegata a un passato ormai superato.
L'immagine finale—"sono uscito da lei come da un fiume di tenebra"—rafforza questo tema: l'uscita da un flusso scuro rappresenta il superamento degli ostacoli, delle sofferenze o delle limitazioni che ci imprigionano, facendo emergere una nuova forza vitale. È un'allegoria potente di come, attraverso l'esperienza e il superamento dei momenti difficili, si possa rinascere e trasformarsi in modo radicale, quasi come un fiume che, pur originando da acque oscure, si fonde nella luce di una nuova esistenza.
Le immagini che usi—il sangue, la luce, il fiorire, la morte dimenticata—sono simboli universali che attraversano la storia della letteratura e del pensiero filosofico, richiamando l'eterna dicotomia tra vita e morte, oscurità e illuminazione. Il contrasto tra il battesimo della luce e il fiume di tenebra dipinge un quadro in cui il dolore e la rinascita si intrecciano in maniera irrimediabilmente umana. Questa dualità è spesso al centro di riflessioni esistenziali, in cui il superamento delle proprie tenebre interiori diventa la chiave per far emergere una nuova bellezza e vitalità.
*
Briciole di poesia
anima
casa di mare
dove a frotte s’annidano
gli uccellini azzurri di Maeterlinck
a ispirarmi l’abc del sogno
a beccare briciole di poesia
ferve nel tuo cielo
un volteggiare
di fòsfeni ed ali
.
Il tuo componimento è un invito a un viaggio interiore fatto di ricordi, tentativi di ricomposizione e attimi che sfuggono, come piccoli tasselli di pura ispirazione. Inizia con l'immagine delle "Briciole di poesia", che suggerisce la delicatezza di qualcosa di prezioso e frammentario, un'ispirazione che si lascia cogliere in piccoli momenti, quasi come per pezzi sparsi da un grande mosaico ancora da completare.
Nel verso “anima / casa di mare” si intuisce un luogo d'intimità e di fondo, dove il mare, simbolo di vastità e movimento, diventa il rifugio dell'anima. Questa "casa" evoca un ambiente fluido e in continuo mutamento, in cui le emozioni e i pensieri si intrecciano come onde, ricordandoci che la nostra interiorità è tanto dinamica quanto profondamente radicata.
L’immagine degli “uccellini azzurri di Maeterlinck” introduce una dimensione quasi fiabesca e surreale. Maeterlinck, noto per aver esplorato il mistero e l’enigmatico nella vita, qui diventa il tramite che infonde nei versi un senso di leggerezza e allo stesso tempo di profondità: gli uccellini, simboli di libertà e fragilità, sembrano annidarsi frequentemente, suggerendo che la poesia, come un pensiero fugace, si insinua in ogni angolo della mente e del cuore.
Il passaggio “a ispirarmi l’abc del sogno / a beccare briciole di poesia” richiama quella ricerca elementare e intensa del linguaggio del sogno, come quando impariamo le prime lettere della vita, raccogliendo ogni piccolo frammento che possa trasformarsi in un verso, un’idea, un’emozione capace di sorprendere e nutrire. È un invito a lasciare che la spontaneità e la purezza dell'esperienza quotidiana possano alimentare quella creatività che trasforma ogni attimo in una perla poetica.
Infine, “ferve nel tuo cielo / un volteggiare / di fòsfeni ed ali” chiude il percorso con un'immagine vibrante e quasi ipnotica. Il cielo diventa la tela su cui si dipinge un movimento, un turbinio di luce effimera (i fòsfeni, quei lampi di scintillio che ci sorprendono nei momenti di inattesa introspezione) accostati alla leggerezza e al volo degli ali. Tale combinazione evoca una sensazione di liberazione e di trascendenza: il poetare diventa il soffio che anima il cielo interiore, un volo continuo fatto di luci e ombre che si trasformano.
Questa tessitura di immagini crea un universo poetico in cui l'ispirazione si manifesta in modo spontaneo e naturale, dove ogni frammento, ogni “briciola” di poesia è parte di un tutto che riflette la complessità e la bellezza del vivere.
*
In un levarsi di voli
scuce tempo Penelope sdegnosa
così noi a sfogliare le ore morte
fuori dal tempo uroborico
in un levarsi di voli sarà voce
del sangue a dirci che forse
non sarà stato che un sogno la vita
.
Il componimento si apre con un'immagine di liberazione: “In un levarsi di voli” suggerisce l'idea di un ascendere, quasi un volo interiore che ci porta al di là della routine del quotidiano. È come se, in quel movimento ascensionale, si aprisse lo spazio per una trasformazione, un tentativo di elevarsi dalla gravità del tempo lineare.
La figura di “Penelope sdegnosa” è particolarmente evocativa. Penelope, simbolo di attesa, fedeltà e inganno nel mito greco, qui si trasforma in un'immagine umana del tempo: un tempo che, con un'aria di scherno, sembra allontanarsi, lasciandoci a “sfogliare le ore morte”. Questa metafora ci induce a considerare le ore passate non come semplici segni su un calendario, ma come frammenti di vita che, sebbene inattivi, conservino una traccia dell'essere umano, un passato da cui potersi distaccare e al contempo comprendere.
L'inserimento del “tempo uroborico” richiama l'antico simbolo dell'Ouroboro, il serpente che si morde la coda, metafora perfetta della ciclicità e dell'eternità. Uscire dal tempo con questa consapevolezza significa riconoscere che ogni attimo, anche quello apparentemente spento, è parte di un ciclo che si rinnova in continuazione. È una riflessione sulla natura inesorabile e al tempo stesso rigenerante dell'esistenza.
Infine, la “voce del sangue” si erge come l'urgenza vitale, il messaggio primordiale che ci ricorda la nostra essenza più profonda. Essa ci sussurra, con un tono quasi inquietante, che forse la vita non è altro che un sogno, un'effimera illusione che sfugge alla presa della razionalità. Questo finale lascia una nota di ambiguità: la vita, con le sue speranze e le sue angosce, potrebbe rivelarsi tanto effimera e labile quanto un sogno, ma al contempo è intensamente reale nel battito profondo del nostro sangue.
La tensione tra il volo, simbolo di libertà e desiderio di elevarsi, e il riconoscimento della ciclicità del tempo si traduce in una riflessione profonda: siamo in qualche modo destinati a navigare tra i sogni e realtà, in un continuo alternarsi di attimi vivi e ricordi fugaci.
Qual è per te il significato di questa alternanza tra il volo e il tempo, tra l'ascendere e l'oblio delle ore? Ti trovi a riflettere sulla vita come su un sogno da cui tentare invano di svegliarsi, o vedi in queste immagini un invito a celebrare il mistero e la ciclicità della nostra esistenza? È interessante pensare a come queste parole possano rispecchiare un'esperienza personale, in cui l'anelito di liberarsi dalla presa del tempo si mescola con la consapevolezza della nostra fragilità.
*
L'essenza
inadeguati noi
gettati nel mare- mondo
legati ad una stella di sangue
noi siamo l’alfabeto del corpo
che grida
il suo esserci
noi essenza degli elementi
appendici della terra
labbra del cielo
.
Che pezzo straordinario, ricco di immagini e simbolismi! Le parole trasmettono una forza primordiale, come se ci venisse ricordato che la nostra esistenza non è solo materiale, ma un intreccio profondo tra la terra e il cielo, tra il corpo e l’universo.
**Inadeguati, gettati nel "mare-mondo"**
La descrizione iniziale ci porta a immaginare l’essere umano come un viaggiatore dispersi in un oceano cosmico, quasi imperfettamente plasmato dalla vita stessa. La metafora della "stella di sangue" offre un’immagine potente, suggerendo che le nostre radici sono intrinsecamente legate a forze vitali e universali, forse addirittura violente nella loro intensità.
**L’alfabeto del corpo**
Il verso “noi siamo l’alfabeto del corpo che grida il suo esserci” è particolarmente evocativo. Qui il corpo diventa un linguaggio, un insieme di segni e di simboli che esprimono in maniera silenziosa eppure enfatica la nostra esistenza. Questo pensiero suggerisce che ogni gesto, ogni azione, è una parola scritta sul grande libro della vita, una testimonianza del nostro essere nel mondo.
**Essenza ed elementi**
Passando a “noi essenza degli elementi / appendici della terra / labbra del cielo”, il poeta abbraccia una visione quasi mistica della condizione umana. Si percepisce un invito a riconsiderare il nostro posto nell'universo: non siamo entità separate, ma le incarnazioni viventi degli elementi naturali e cosmici. Siamo sia la parte tangibile della terra sia l’invisibile eco del cielo, un ponte fra il materiale e l’immateriale.
Questo testo, con la sua ricchezza immaginifica, ci invita a riflettere sul senso profondo di identità e sull’essenza della condizione umana. Mi chiedo, ad esempio, se dietro queste immagini così forti si nasconda un’esperienza personale o un’osservazione sul modo in cui percepisci il rapporto tra corpo, natura ed universo. Questo intreccio di componenti mi fa pensare a come, nel nostro quotidiano, dimentichiamo di sentire quell’armonia elementale che, sotto la superficie, pulsa con la forza di un messaggio antico.
*
Indivisa sostanza
sono indivisa sostanza
dimora delle origini
porto il respiro di voci
tra ramate ombre
nelle trame del vento
lascio si dilegui la morte
mi vivono nella carne
illimitati cieli
mi ustiono di rosacea luce
.
Questa composizione, intitolata "Indivisa sostanza", pulsa di una profonda intensità esistenziale, come se l’autore cercasse di catturare l’essenza originaria della vita in ogni singolo verso. Dalla ripetizione "sono indivisa sostanza" si percepisce un richiamo all’unità fondamentale di tutte le cose, una materia primordiale che non si scompone, ma che accoglie in sé il principio di ogni esistenza. È come se tu volessi indicare che, al di là delle apparenze, tutto ciò che viviamo e percepiamo è parte di un unico, immenso flusso vitale.
La frase "dimora delle origini" e il "respiro di voci" evocano l’idea di un luogo ancestrale, una casa in cui le radici del tempo si intrecciano con la memoria e la storia. Le "ramate ombre" donano una qualità quasi alchemica e surreale al testo: ombre che risplendono come metalli preziosi, capaci di suggerire la trasformazione e la permanenza di ciò che è effimero. È un’immagine che si interroga sul rapporto intrinseco tra luce e oscurità, vita e morte.
Nel secondo verso, il movimento "nelle trame del vento" si fonde con il concetto di morte, la quale non appare come una fine definitiva, ma come un passaggio o un drenarsi verso una forma diversa d’essere. "Mi vivono nella carne / illimitati cieli" suggerisce che il corpo, pur limitato nel tangibile, è animato da una dimensione infinita, come se i cieli aperti fossero l’eco eterna di una vita interiore vista come universo in espansione.
Infine, la conclusione "mi ustiono di rosacea luce" è un’immagine potentemente sensoriale: una luce calda, quasi dolorosa nella sua intensità, che brucia e allo stesso tempo rivela, donando alla sostanza indivisa un alone di sacralità e forza trasformativa. Questa rosacea luce sembra essere il simbolo di una consapevolezza che illumina ogni parte dell’essere, un faro che trasforma il dolore in bellezza e l’ordinario in straordinario.
Ciò che colpisce in questo testo è la fusione di elementi contrapposti—vita e morte, luce e ombra, corporeo e cosmico—che si intrecciano per formare un quadro complesso e affascinante della nostra esistenza.
*
Fonema
insufflato dal dio
passa come un vento di mare
il ricercato fonèma
che nel sogno dispiega le ali
di scintillante bellezza
.
Questo testo è un esempio raffinato di poesia che evoca l’idea di una forza creatrice e divina incarnata nel "fonema", un’unità minima di suono che assume qui una valenza quasi cosmica. Il poeta sembra voler suggerire che le parole—o, più in generale, il suono—non sono semplicemente strumenti della comunicazione, ma veicoli di bellezza e ispirazione, trasportati da un impulso divino.
La scelta del termine **fonema** richiama la nozione linguistica, ma in questo contesto assume un significato metaforico. Si allude a quell’essenza originaria, "insufflata dal dio", che dà vita alla poesia e alla creazione. Il suono non è statico: "passa come un vento di mare", evocando un’immagine dinamica e fluida, capace di muoversi liberamente e di risvegliare sensazioni e ricordi. L’idea di un vento di mare richiama tanto la vastità dell’oceano quanto la forza e l’imprevedibilità della natura, suggerendo che l’ispirazione si manifesta in modo spontaneo e sovrannaturale.
Nel verso "il ricercato fonèma che nel sogno dispiega le ali di scintillante bellezza", la poesia culmina in un’immagine potente: il suono diventa un’entità quasi alata, che si libera dalle catene del quotidiano per elevarsi nel regno del sogno e del sublime. L’uso del verbo "dispiegare" aggiunge una dimensione visiva, quasi scenografica, in cui il suono-archetipo assume la forma di un essere in grado di volare, trasportando con sé una bellezza che è al contempo effimera e intensa.
Questa riflessione poetica invita il lettore a considerare il linguaggio come veicolo non solo di significato profondo, ma anche di esperienza estetica e spirituale. L’invisibile diventa visibile, l’ineffabile si materializza nell’immaginario, e il suono si trasforma in un simbolo della forza creatrice che permea la realtà.
*
Angelo della luce
adagiati creatura del sogno
sulla curva del nostro abbandono
la lontananza è ferita insanabile
un cielo d'astri divelti
e tu balsamo sei
-tu orifiamma tu altezza
sognato stargate-
dove voce insanguinata c'inchioda
dalla caduta
.
Questo testo, dal titolo "Angelo della luce", trasuda un’atmosfera di contrasti e di tensione emotiva, in cui la luce divina e la sofferenza terrena si intrecciano. La figura dell'angelo, evocata fin dal titolo, si configura come una presenza eterea e consolatrice, destinata a lenire il dolore e a offrire conforto, pur operando in una dimensione segnata da abbandono e perdita. Il verso "adagiati creatura del sogno / sulla curva del nostro abbandono" invita a lasciarsi cullare da questa creatura, un simbolo quasi onirico, che si pose sul confine tra il conscio e l'inconscio, lungo la linea netta di una separazione irreparabile.
La seconda parte del testo, con immagini forti come “la lontananza è ferita insanabile / un cielo d'astri divelti”, amplifica il senso di un dolore che trascende il puramente individuale, trasformandosi in un’angoscia cosmica. Qui, la distanza diventa una ferita aperta, e il cielo, una distesa di stelle lacerata, quasi a rappresentare le cicatrici di un'esistenza imperfetta e dilaniata. È come se il testo richiamasse una realtà in cui le sofferenze personali e collettive si specchiano nell'universo stesso.
Nel verso seguente, l’essere cui ci si rivolge assume una valenza terapeutica ed elevata: "e tu balsamo sei / -tu orifiamma tu altezza / sognato stargate-". La scelta delle parole – da "balsamo" a "orifiamma" – suggerisce non solo la capacità di lenire e trasformare il dolore, ma anche quella di elevare lo spirito a uno stato superiore, quasi a fungere da portale ("stargate") verso un’altra dimensione, dove il sogno e la realtà si fondono. Quest'immagine del portale diventa un invito a esplorare nuovi orizzonti di consapevolezza, laddove la sofferenza si trasforma in un ponte verso la trascendenza.
Infine, "dove voce insanguinata c'inchioda / dalla caduta" riporta l’attenzione all’inevitabilità della caduta, un richiamo alla fragilità umana e al dolore che ne deriva. La "voce insanguinata" diventa qui un simbolo drammatico, un eco doloroso che ricorda il prezzo di ogni ascesa: la perdita e la sofferenza insita nel percorso dell’evoluzione e del rinnovamento.
In sintesi, il testo incarna una riflessione profonda e ambivalente sulla condizione umana: da un lato, l’anelito verso l’elevazione spirituale e il conforto divino; dall’altro, il peso ineludibile dell’abbandono, della caduta e della sofferenza. La poesia ci spinge a riflettere su come, anche nei momenti più oscuri, esista un potenziale di guarigione e trasformazione, offerto dalla presenza quasi miracolosa di quella luce che, come un angelo, si fa portale verso una possibile redenzione.
*
Blu marino
sciami di pensieri
sparpagliati
in riflessi di luna fantasma
ore dilatate un’alba fitta
d’inchiostro blu marino
altri me a sciorinare
-tenerezze in sorrisi di fiori-
della vita anteriore
.
Che poesia intensa ed evocativa! I tuoi versi, intrisi di immagini cromatiche e oniriche, trasformano il "blu marino" in molto più di un semplice colore, facendolo diventare il filo conduttore di un mondo interiore profondo e misterioso.
Quello che colpisce subito è l'immagine degli "sciami di pensieri" che, nello spazio del verso, si disperdono come luce riflessa dalla "luna fantasma". Non è solo una rappresentazione della mente in tumulto, ma anche una metafora della nostra capacità di riflettere su concetti sfuggenti, quasi come la luce che gioca tra le ombre della notte.
L'alba, descritta come "fitta d’inchiostro blu marino", accentua il contrasto tra la luce nascente e il buio profondo, quasi a voler mescolare memoria e sogno, realtá e immaginazione. È come se il nuovo giorno portasse con sé una pennellata di mistero, lasciando spazio alla contemplazione di un sé passato o alternativo. Il verso conclusivo, in cui esprimi "altri me a sciorinare -tenerezze in sorrisi di fiori- della vita anteriore", introduce proprio questa molteplicità dell'io, un dialogo intimo tra le parti di noi che, entrambe, sono cariche di quella dolcezza e fragilità che rendono la vita ricca di sfumature.
La forza dei tuoi versi risiede proprio in questo intreccio di immagini, emozioni e simbolismi. Mi chiedo se, per te, il blu marino rappresenti non solo un colore, ma una dimensione emotiva, un luogo interiore in cui risuonano ricordi, attese e sogni.
*
una certa luce a flettersi
nella dimora della mente:
quel tuo ostinato cercare
tra i naufragati ricordi
il volto amato
reciso dalle forbici del tempo
nell’assedio degli anni
oggi ti sorprendi
a dar corpo alle ombre
di fantasmi inanelli il tuo presente
.
I versi trasudano un’intensa riflessione sul passare del tempo e sulla ricerca interiore, quella lotta fra il ricordo e l’attuale esperienza. La luce che si flette nella "dimora della mente" evoca frammenti di verità, come riflessi effimeri che illuminano scenari interiori spesso oscurati dai naufraghi ricordi. Questa luce, pur fragile, districa la trama dei pensieri, guidandoci tra ombre e rivelazioni.
L’immagine dell’"ostinato cercare" tra i ricordi naufragati sottolinea quel gesto disperato e tenace di mettere insieme i pezzi di un passato ormai lacerato: la metafora del "volto amato reciso dalle forbici del tempo" ci parla di un amore o di una presenza cara, spezzata dall’inevitabile avanzare degli anni. In questo scenario, il tempo diventa il protagonista implacabile, in grado di modificare la nostra percezione e di spogliare il passato dei suoi tratti vibranti.
Quando l’immagine si sposta all’"assedio degli anni", l’atto di sorprendersi a "dar corpo alle ombre di fantasmi inanelli il tuo presente" diventa quasi un atto creativo di riparation: si tratta di dare forma e significato a quelle parti di noi che il tempo ha quasi cancellato. Forse è un tentativo di restituire dignità a quelle memorie, anche se sono solo ombre, per farle vivere e integrarle nel presente, arricchendo così la nostra identità.
*
E violentaci dunque
(In memoriam: a Nkosi Johnson, morto a 12 anni, il 1° giugno 2001, a
Johannesburg. Nato sieropositivo, fu scelto come testimonial contro il
morbo dell' AIDS)
(Non posso pensarti dolente
da che morte odora di resurrezione.
Eugenio Montale)
colei che ti diede vita
la sai madre di cielo
bambino che hai corteggiato la morte -
tu messo in un angolo come vergogna
presto non più
che mucchietto d'ossa - Nkosi
sei la nostra Coscienza:
e violentaci dunque nel profondo
-tu bambino già adulto-
con la purezza del tuo giorno breve
# Analisi del testo
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## Contesto e rimandi
In apertura fai due scelte forti: l’omaggio a Nkosi Johnson e la citazione di Montale.
- Nkosi Johnson incarna l’urgenza di dare volto e voce alla sofferenza dei più fragili.
- Montale, con il suo ossimoro “morte odora di resurrezione”, introduce subito il paradosso su cui poggia il tuo poema.
Questi riferimenti non sono decorativi: diventano la chiave di lettura per l’intero componimento.
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## Temi principali
- La dignità negata del corpo malato, “messo in un angolo come vergogna”.
- La frattura tra infanzia e morte: “bambino che hai corteggiato la morte”, un ossimoro che carica di pathos la figura di Nkosi.
- L’appello alla coscienza collettiva: il “tu” che diventa “nostra Coscienza”.
- La violenza come gesto salvifico: “violentaci dunque nel profondo” inteso non come atto fisico, ma come scossa morale, una scalfittura che ci svegli dal torpore.
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## Linguaggio e figure retoriche
- **Ossimori**: bambino/adulto, morte/resurrezione, vergogna/purezza.
- **Anastrofe** e **inversioni** (“la sai madre di cielo”, “presto non più che mucchietto d’ossa”) creano un ritmo incalzante e sospeso.
- **Metafora della violenza**: trasforma un verbo tragico in un invito a un risveglio etico.
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## Impatto emotivo
Il picco emotivo si raggiunge nell’ultimo verso. Quel “violentaci” sconvolge chi legge, costringendolo a riconoscere la propria complicità nel silenzio. In un battito di parole ti sposti dall’osservazione alla richiesta di azione.
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GRAVIDE DI LAMPI
la luna piegata sui miei fogli
compone queste lettere
gravide di lampi
tagliate nella luce
assetate
nel supplizio dell'inchiostro
vibranti
su pentagrammi di sogni
# Analisi del testo
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## Occhi sulla pagina
Questo breve testo si apre con un’immagine sospesa: la luna non è solo un astro, ma un gesto, “piegata sui miei fogli”. Già qui entriamo in un universo di scrittura che vive di notti, segreti e slanci luminosi.
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## Temi e atmosfere
- La scrittura come atto rituale: la luna “compone queste lettere” suggerisce un demiurgo che dà forma al verso.
- Il lampo come scintilla creativa: le parole sono “gravide di lampi”, pronte a esplodere in un fragore di idee.
- La tensione tra sete e supplizio: l’inchiostro diventa al tempo stesso nutrimento (“assetate”) e tormento (“supplizio dell’inchiostro”).
- La fusione tra suono e visione: i “pentagrammi di sogni” collegano la pagina a uno spartito visionario, dove la parola suona prima di essere letta.
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## Figure retoriche principali
- Anastrofe (“la luna piegata”) per creare straniamento e concentrare l’attenzione sul soggetto celeste.
- Metafora estesa dell’inchiostro come sangue creativo, dolore e sete.
- Ossimori (“supplizio” vs “vibranti”) che accentuano la contraddizione emotiva tra sofferenza e esaltazione.
- Sinestesia tra luce, suono e tatto: il testo invita tutti i sensi a partecipare all’esperienza poetica.
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## Ritmo e musicalità
Il verso è fluido e scandito da enjambement brevi. La lettura accelera tra “gravide di lampi / tagliate nella luce” e rallenta in “assetate / nel supplizio dell’inchiostro”, creando un’onda di intensità che culmina nel pianissimo dei “pentagrammi di sogni”.
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INSOSTANZIALE LA LUCE
insostanziale la Luce
nella carne si oscura
(energia fatta densa)
luce verde della memoria
scuote la morte:
il nocciolo del tempo
nel buio delle vene è universo
presto deperibile
# Analisi del testo
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## Contesto e tema
Questo breve componimento esplora il paradosso di una luce insostanziale che si fa carne, memoria e tempo. Il titolo è già lancinante: la luce “insostanziale” contrappone l’effimero all’esistenza corporea.
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## Temi e atmosfere
- La tensione tra leggerezza e densità, luce e oscurità.
- Il corpo come luogo di trasformazione energetica (“energia fatta densa”).
- La memoria evocata come luce verde, capace di scuotere la morte.
- Il tempo umano racchiuso nel “nocciolo” delle vene: un piccolo universo destinato a svanire.
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## Figure retoriche
- Paradosso tra “insostanziale” e “carne” per mettere in crisi la percezione dei sensi.
- Metafora dell’energia che si addensa in corpo, suggerendo un contatto tra fisica e vita interiore.
- Colore come significante emotivo: il verde diventa memoria e rinascita.
- Punteggiatura forte (parentesi e due punti) che interrompe il flusso, creando pause di sospensione.
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## Ritmo e musicalità
Il componimento gioca su versi brevi e cesure nette. L’uso della parentesi rallenta la lettura, invitando a soffermarsi sull’“energia fatta densa”. Il verso conclusivo apre uno squarcio nell’immenso (“universo / presto deperibile”), donando al lettore una sensazione di vertigine e caducità.
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VENTO DI MEMORIE
è salamandra
sorpresa immobile
che finge la morte
due braccia schiuse a croce
vento di memorie
la vita
-ora sospesa
carne e cielo
.
# Riflessioni sul testo
Il tuo testo presenta un’immagine delicata e insieme carica di tensione: la salamandra – creatura che evoca antichi miti e capacità di rinascita – è “sorpresa immobile” in un limbo fra vita e morte, sospesa come un ricordo che fluttua tra carne e cielo.
## Temi e simboli
- Salamandra
Simbolo di trasformazione, sopravvivenza al fuoco, ma qui bloccata in una finzione di morte.
- Croce aperta
Le “due braccia schiuse a croce” rimandano a un gesto di supplica, sacrificio o rinuncia.
- Vento di memorie
Il vento come veicolo di ricordi: qualcosa che avvolge e sospinge, ma lascia tutto sospeso.
- Carne e cielo
L’opposizione tra dimensione corporea e trascendenza, tra materia e spirito, racchiude il senso di sospensione.
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## Struttura e ritmo
- Versi brevi, quasi frammentari, che richiamano l’idea di attimi congelati.
- Assenza di punteggiatura, tranne la cesura di “-ora sospesa”, accentua la fluidità del ricordo.
- Ripetizione di “vento” e “vita” al centro crea un fulcro sul quale ruotano gli opposti.
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IN FONDO AGLI SPECCHI
(a J. L. Borges)
in un moltiplicarsi di specchi
imprigionata è la luce
dei tuoi déjà vu -
s'odono se ascolti i sordi
tamburi del sangue
in fondo agli specchi dove si
legge l'eterno ritorno
-lì è il centro il mondo
rovesciato
# Riflessioni su “In fondo agli specchi”
Il tuo testo instaura un dialogo evocativo con Borges, esplorando il rapporto fra luce, memoria e tempo ciclico. La stanza di specchi diventa spazio labirintico dove si rifrangono déjà vu e tamburi interiori.
## Intertestualità e omaggio
- La dedica a J. L. Borges apre a rimandi letterari: labirinti, specchi, infinito.
- L’“eterno ritorno” richiama il pensiero nietzscheano filtrato dalla sensibilità borgiana.
- I “dejà vu” agiscono come porte che spingono il lettore verso una conoscenza sfuggente.
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## Temi e simboli
- Specchi
Riflessi moltiplicati, cancellazione del confine fra realtà e immagine.
- Luce imprigionata
Contrasto fra la luminosità e la sua cattività, metafora della memoria trattenuta.
- Tamburi del sangue
Richiamo al ritmo vitale, battito che resiste nel silenzio.
- Centro rovesciato
L’idea di un punto di equilibrio capovolto, fulcro del mondo interiore.
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## Struttura e ritmo
- Versi spezzati e sovrapposizioni, come echi in un corridoio di specchi.
- Cesure interne (“-lì è il centro il mondo / rovesciato”) creano pause di sospensione.
- Assonanze (“specchi / vecchi”, “luci / vu”) tratteggiano un suono ovattato, quasi sommesso.
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## Spunti per approfondire
1. Approfondimento filosofico
Analizzare come Borges e Nietzsche convergano nel tema del circolo eterno.
2. Proposta di traduzione
Trasporre il testo in inglese o spagnolo, mantenendo i giochi di ritmo e rima interna.
3. Estensione tematica
Sviluppare un secondo movimento poetico che sposti il baricentro dal tempo ciclico alla liberazione della luce.
4. Lettura autobiografica
Inserire dettagli personali per trasformare il labirinto metaforico in un percorso esistenziale unico.
.
M'INONDO' IL SOGNO
fuggii negli specchi
sprofondai nei cieli anteriori
cavalcando eoni-spaziotempo
vidi nella memoria cosmica
il centro di me
dove ardeva il mio sangue
in simbiosi col palpitare degli astri
il mio sangue confuso col cielo
della memoria
precipitato nella vita
.
# Riflessioni su “M’inondò il sogno”
Il tuo testo scandaglia un viaggio interiore che dissolve i confini tra specchi, memoria cosmica e vita, rivelando un io in simbiosi con l’universo.
## Temi e simboli
- Specchi
Fuga nell’immagine riflessa come atto di introspezione e moltiplicazione dell’io.
- Cieli anteriori
Dimensione primordiale dove il tempo ancora non esiste, campo di esplorazione dell’inconscio.
- Eoni-spaziotempo
Fusione di passato, presente e futuro in un continuum senza limiti.
- Memoria cosmica
Termine che evoca Jung e le antiche concezioni mistiche di ricordi universali.
- Sangue e astri
Microcosmo e macrocosmo che battito dopo battito si fondono in un’unica pulsazione vitale.
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## Struttura e ritmo
1. Versi liberi e assenza di punteggiatura conferiscono al testo un flusso di coscienza continuo e ipnotico.
2. Enjambement come cavalcata tra immagini: il lettore è trascinato senza possibilità di pausa.
3. Ripetizione di “memoria” e “sangue” chiude il cerchio sul rapporto tra individuo e universo.
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## Spunti per approfondire
1. Analisi filosofica
Indagare il concetto di memoria cosmica in Jung e Bergson, e il suo rapporto con la creatività poetica.
2. Proposta di traduzione
Trasporre il testo in inglese o spagnolo mantenendo le allitterazioni e i ritmi sospesi.
3. Estensione poetica
Creare un secondo movimento che porti dalla fusione cosmica al risveglio alla materia quotidiana.
4. Adattamento multimediale
Immaginare una performance in cui suoni ambientali e luci sfocate ricreino l’illusione degli “eoni-spaziotempo”.
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STANZE
[ispirata leggendo Il corponauta -
appunti di viaggio di uno spirito libero,
di Flavio Emer]
io pensiero dilatato
a spolverare le stanze dell'oblio
sulle pareti la memoria
ancestrale
metteva in luce emozioni dipinte
su volti che furono me
rifluiva dai bui corridoi
degli anni il vissuto
a imbuto
mi perdevo come in sogno
nell'abbraccio di quelle figure che
accendevano il mio sangue
# Riflessioni su “STANZE”
Hai costruito un percorso interiore in cui ogni stanza diventa tappa di una memoria dimenticata, capace di riaccendere emozioni ancestrali e volti che furono il tuo stesso essere.
## Temi centrali
- Memoria e oblio
Gli interni polverosi evocano ricordi sopiti pronti a emergere.
- Identità frammentata
I “volti che furono me” suggeriscono molteplici versioni del sé nel tempo.
- Spazio psichico
Le stanze e i corridoi diventano luoghi mentali in cui si esplora il vissuto.
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## Immagini e simboli
- Polvere
Residuo del tempo, simbolo di ciò che è stato trascurato o dimenticato.
- Corridoi bui
Vie di accesso al passato, labirinti che conducono a emozioni represse.
- Abbraccio delle figure
Recupero affettivo: le memorie si fanno calore e linfa vitale.
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## Struttura e ritmo
- Versi liberi con enjambement che ricreano il movimento tra le stanze interne.
- Assenza di punteggiatura tradizionale per mantenere un flusso onirico.
- Ripetizione di chiavi lessicali (“memoria”, “stanze”, “volti”) a suggellare il tema della riscoperta.
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## Possibili percorsi di approfondimento
1. Analisi filosofica
Indagare il ruolo dello spazio mentale nella fenomenologia della memoria, da Merleau-Ponty a Proust.
2. Traduzione e trajezione
Trasporre il testo in inglese o francese mantenendo l’atmosfera sospesa e i giochi sonori.
3. Estensione narrativa
Sviluppare un racconto breve in cui ogni stanza diventi capitolo di un viaggio iniziatico.
4. Adattamento multimediale
Creare un cortometraggio o un’installazione sonora che ricrei il fruscio della polvere e i sussurri delle figure.
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Inoltre, potremmo esplorare il parallelismo tra le stanze mentali e i non-luoghi di Marc Augé, o il concetto di “archive fever” di Derrida applicato alla polvere della memoria.
.
SPERDIMENTO
silenzio-ombelico di luce -
affondo
in vertigini di cielo
... unforgettable...
le uve dei suoi occhi
ad addolcire il sangue
(sperdimento il tempo
che si sfoglia e squama
questo cuore di paglia)
.
# Riflessione su “SPERDIMENTO”
Il tuo testo è una gemma lirica che vibra tra visione cosmica e intimità sensoriale. Il titolo stesso, “Sperdimento”, suggerisce una condizione esistenziale: non semplice smarrimento, ma una dissoluzione consapevole nell’infinito.
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## Temi e immagini
- **Silenzio-ombelico di luce**
Un ossimoro potente: il silenzio come origine, centro pulsante da cui si irradia la luce. L’ombelico è anche simbolo di connessione primordiale, tra corpo e universo.
- **Vertigini di cielo**
L’affondo non è verso il basso, ma verso l’alto: una caduta ascensionale, mistica, dove il cielo è abisso.
- **Uve degli occhi**
Metafora sinestetica e sensuale: gli occhi come frutti dolci, capaci di addolcire il sangue, cioè la vita, la passione, il dolore.
- **Tempo che si sfoglia e squama**
Il tempo come pelle che si stacca, come libro che si consuma: un processo di erosione e rivelazione.
- **Cuore di paglia**
Fragilità, combustione, leggerezza: il cuore come qualcosa che può ardere al minimo tocco.
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## Struttura e ritmo
- Versi brevi, sospesi, che evocano il respiro trattenuto di un sogno o di una visione.
- L’uso del trattino e delle parentesi crea cesure emotive, come battiti irregolari.
- L’inserzione di “unforgettable” in inglese rompe il flusso, come un’eco straniera che risuona nel cuore.
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SOTTO UN MUTEVOLE CIELO
[leggendo Sandro Penna: una cheta follia, di Elio Pecora]
sotto un mutevole cielo chiuso
nel tuo grido di diverso
cresce la luce a cui vòlti
le spalle: voglia di sparire
dentro un sogno o restare
nell'ora dolce dei vivi
.
# Riflessione su “SOTTO UN MUTEVOLE CIELO”
Questo testo è un piccolo scrigno di malinconia e bellezza, sospeso tra il desiderio di sparizione e la dolcezza dell’esistere. L’eco di Sandro Penna, filtrata attraverso Elio Pecora, si avverte nella musicalità sommessa e nell’intimità del sentire.
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## Temi e suggestioni
- **Cielo mutevole e chiuso**
Il cielo non è solo sfondo, ma condizione emotiva: mutevole come l’animo, chiuso come una gabbia.
- **Grido di diverso**
L’identità non conforme, il dolore dell’essere altro, espresso con una forza silenziosa.
- **Luce rifiutata**
Il gesto di voltarsi dalla luce è carico di significato: rifiuto della salvezza, o paura di essere visti.
- **Sogno vs ora dolce dei vivi**
Il bivio esistenziale: dissolversi nel sogno o restare nella tenerezza del presente.
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## Ritmo e tono
- Versi brevi, spezzati, che sembrano respirare lentamente.
- L’assenza di punteggiatura accentua la fluidità e l’ambiguità interpretativa.
- Il tono è lirico ma trattenuto, come una confessione sussurrata.
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Hai creato una poesia che vibra di luce trattenuta e di dolcezza ferita.
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L'ESSENZIALE
arrivare all'essenziale: via
il superfluo (lo sa bene il poeta - un
sansebastiano trafitto
sul bianco della pagina)
così il corpo: si giunge
col vento azzurro della morte
al nocciolo: all'Essenza: non altro
della vita
che avanzi in pasto al suo vuoto
famelico
quando nella curva
del silenzio
essa avrà ingoiato la sua ombra
.
# Riflessione su “L’ESSENZIALE”
Questo testo è una meditazione intensa e spoglia sulla verità ultima: ciò che resta quando tutto il superfluo è stato tolto. È un viaggio verso il nocciolo della vita, dove il corpo e la parola si incontrano nel silenzio.
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## Temi e immagini
- **Essenziale vs superfluo**
L’atto del togliere è centrale: il poeta come asceta, come San Sebastiano trafitto non da frecce, ma da parole e verità.
- **Il corpo e la morte**
“Col vento azzurro della morte” si giunge all’essenza: la morte non come fine, ma come rivelazione.
- **Il vuoto famelico**
La vita come offerta al vuoto, che divora ciò che non è essenza. Un’immagine potente e quasi mistica.
- **La curva del silenzio**
Il silenzio non è assenza, ma spazio curvo, avvolgente, dove l’essenza si compie ingoiando la sua ombra.
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## Struttura e ritmo
- Versi spezzati, con cesure che creano pause di pensiero.
- L’uso delle parentesi e dei due punti guida la lettura come un respiro profondo.
- Il tono è grave, ma non cupo: è contemplativo, come una preghiera laica.
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Hai scritto qualcosa che ha il respiro di un testamento interiore.
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Inquieti fuochi
nuvole a stracci nell'azzurro
curve ariose di voli
vastità di te solo: figura
inespressa lacera ombra
ti aspetti una eco un suono
in questa sospensione
inquieti fuochi son gli occhi dell'anima
mentre guardi
un gabbiano staccarsi dal tramonto
.
Che meraviglia. Questo testo vibra come una poesia sospesa tra cielo e anima. Il titolo *Inquieti fuochi* già evoca un'intensità emotiva, e ogni verso sembra un frammento di contemplazione, come se il mondo esterno fosse solo un riflesso di un tumulto interiore.
**Immagini potenti**:
- *"nuvole a stracci nell'azzurro"* dipinge un cielo spezzato, forse specchio di uno stato d’animo frammentato.
- *"curve ariose di voli"* suggerisce libertà, ma anche fragilità, come se ogni volo fosse una danza incerta.
**Tema della solitudine e dell’attesa**:
- *"vastità di te solo"* e *"ti aspetti una eco un suono"* parlano di un vuoto che cerca risposta, una presenza che si fa assenza.
- Il gabbiano che *"si stacca dal tramonto"* è un’immagine finale struggente: un distacco, un volo verso l’ignoto, forse una rinascita.
**"Inquieti fuochi son gli occhi dell’anima"** è il cuore pulsante del testo. Gli occhi non guardano soltanto: bruciano, cercano, interrogano.
Hai una voce poetica intensa e rarefatta, capace di evocare paesaggi interiori con immagini che sembrano sospese tra cielo e silenzio. Inquieti fuochi ha una musicalità sottile, e quel senso di attesa che pulsa sotto ogni verso è quasi tangibile.
.
3 poesie
Reliquie
a scrivere non la mano
ma la mia radice ferita
testimonianza siano
non lettere storte sull'acqua
o che volteggino eteree
dissanguandosi in volo
ma i momenti che restano
nel tempo appesi al cuore
© Felice Serino aka norise
.
Che meraviglia, questo componimento è un piccolo scrigno di intensità e delicatezza. Felice Serino, con il suo stile evocativo, riesce a trasformare il dolore in memoria viva, in “reliquie” che non si dissolvono come lettere sull’acqua, ma restano sospese nel tempo, appese al cuore.
**Riflessione sul testo:**
- La “radice ferita” che scrive al posto della mano suggerisce che la poesia nasce da una ferita profonda, forse esistenziale o emotiva.
- Le immagini delle lettere che si dissolvono o si dissanguano in volo evocano la fragilità della parola, contrapposta alla forza dei momenti vissuti.
- Il cuore diventa archivio del tempo, custode di ciò che davvero conta.
.
IN SOGNO RITORNANO
[ispirata nella notte del 25.3.07]
in sogno sovente ritornano
amari i momenti del vissuto
che non vorresti mai fossero stati
si affaccia nel tuo sogno sudato
quel senso di perdizione
incarnato nel figlio
prodigo che fosti
emerge dai fondali
dell'inconscio dove naviga il sangue
e tu non puoi disfartene
C’è un ritorno che punge: non quello delle persone, ma dei momenti che il corpo non ha mai smesso di trattenere. Il sogno qui diventa una camera anecoica dove rimbalzano colpe, sudore, e l’eco del “figlio prodigo che fosti”.
- **Ritorno:** L’incipit “in sogno sovente ritornano” stabilisce un ciclo: l’irrisolto non passa, si ripresenta con costanza, come marea interiore.
- **Identità scissa:** Il “figlio prodigo” non è l’altro, sei tu; l’autoritratto morale sposta la colpa dal mito all’intimo, senza sconti.
- **Corpo-inconscio:** “Dove naviga il sangue” è immagine potentissima: l’inconscio non è aria, è plasma, memoria liquida che scorre e risale.
- **Irredimibile:** “E tu non puoi disfartene” chiude senza catarsi: non c’è assoluzione, solo convivenza con ciò che torna.
Se vuoi, posso provare a restituirti un’eco breve, ispirata al tuo ritmo.
```
risveglio
ritornano in sogno
le stanze senza finestre
mi chiamano per nome
con la voce del sangue
al mattino resto
ma loro restano in me
```
SPIOVE LUCE
spiove luce
di stelle gonfie di vento
col tuo peso
greve di limiti
ti pare quasi vita sognata
il vissuto già divenuto memoria
siamo frecce
scagliate nel futuro
o il tempo che ci è dato è maya
e si è immersi in un eterno presente?
© Felice Serino aka norise
.
C’è una dolce vertigine qui: la luce che “spiove” come pioggia al contrario, il peso dei limiti opposto all’ebbrezza delle stelle. E poi la domanda più onesta: siamo traiettorie o immersioni in un presente che non finisce?
- **Immagine sorgiva:** “Spiove luce” è un gesto linguistico bellissimo: la grazia non sale da noi, cade su di noi, come dono non richiesto.
- **Corpo e confine:** “Greve di limiti” ancora la visione cosmica al quotidiano; la vita sembra sognata proprio perché il corpo ne misura il bordo.
- **Memoria e sogno:** Il vissuto che “già divenuto memoria” incrina il qui-e-ora; ciò che è accaduto vive solo come riflesso, ma il riflesso illumina.
- **Tempo interrogato:** Frecce nel futuro o maya dell’eterno presente? La poesia tiene entrambe le verità in sospensione, senza risolverle.
Se vuoi, ti lascio un’eco breve, in ascolto del tuo ritmo:
```
postludio
spiove ancora
una luce che sa di lontano
io conto i limiti
come grani di sale
poi il tempo si ferma
e ci attraversa
come una freccia immobile
```
### Commento critico delle tre poesie di Felice Serino
C’è un filo rosso che unisce le tre prove: la parola come reliquia del vissuto, il sogno come camera di risonanza dell’irrisolto, il tempo interrogato tra freccia e presente immobile. L’io poetico si muove su un crinale etico-esistenziale, con immagini nette e una sintassi parca che privilegia l’essenzialità.
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### Visione d’insieme
- **Asse tematico:** Ferita che scrive (“radice ferita”), ritorno dell’inconscio (“figlio prodigo”), sospensione del tempo (“eterno presente”). Tre movimenti di una stessa partitura: memoria, colpa, interrogazione metafisica.
- **Registro:** Lessico nitido, senza ornamenti superflui; prevalgono concretezza e figure limpide, quasi aforistiche, che tengono insieme corporeità e pensiero.
- **Tono:** Sorvegliato, introspettivo, mai compiaciuto; la chiusa spesso lascia un’ombra aperta più che un sigillo.
---
### Immagini e simboli
- **Reliquia e radice:** L’atto dello scrivere affidato alla “radice ferita” rovescia l’idea di mano: la poesia nasce dall’origine dolorosa, non dall’abilità. Immagine fertile, identitaria.
- **Lettere e sangue:** Le “lettere storte sull’acqua” e il “sangue” che naviga nell’inconscio costruiscono una dialettica tra parola fragile e biologia della memoria: la lingua può dissolversi, il corpo no.
- **Luce che spiove:** Neologismo efficace: “spiove luce” inverte la gravità, luce come pioggia che viene dall’alto ma “a ritroso”; associazione con “stelle gonfie di vento” introduce un cosmo dinamico, quasi marinaresco.
- **Frecce/tempo:** La freccia è icona del vettore temporale; l’alternativa “maya/eterno presente” apre una faglia filosofica, tenuta volutamente in sospensione.
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### Sintassi, taglio dei versi e ritmo
- **Paratassi e enjambement:** Frasi brevi, enjambement che isolano nuclei semantici (“testimonianza siano / non lettere...”). Questo conferisce respiro e peso ai lemmi-chiave.
- **Cadenza:** Prevale un ritmo prosodico, con accenti rallentati e brusche cadute in chiusa (“e tu non puoi disfartene”). L’effetto è di gravità controllata.
- **Punteggiatura minima:** Lascia spazio al respiro del lettore e alla polisemia; funziona, ma in “IN SOGNO RITORNANO” qualche virgola in più potrebbe modulare il flusso del periodo centrale, molto denso.
---
### Tempo, memoria, sogno
- **Memoria come forma:** “Il vissuto già divenuto memoria” tematizza non solo il contenuto ma lo statuto dell’esperienza poetica: ciò che resta è ciò che si attacca al cuore, non il fatto in sé.
- **Sogno come ritorno del rimosso:** L’immagine del “figlio prodigo che fosti” sposta il mito su un piano autoconfessionale. Non c’è ritorno alla casa del Padre, solo il ritorno del momento: “e tu non puoi disfartene” rifiuta la catarsi, scelta etica forte.
- **Sospensione ontologica:** La domanda finale di “SPIOVE LUCE” non cerca risposta; la poesia tiene il paradosso come forma di verità praticabile.
---
### Voce e posizionamento
- **Io responsabile:** L’io non si autoassolve né si maschera dietro il simbolo: assume la ferita come motore di linguaggio. Questa responsabilità dà credibilità etica al dettato.
- **Registri accostati:** Lessico quotidiano (“limiti”, “vissuto”) coabita con tracce filosofiche (“maya”, “eterno presente”) senza stonare. Buon equilibrio tra alto e umile.
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### Punti di forza e possibili affinamenti
- **Punti di forza**
- **Immagini originali:** “Spiove luce”, “radice ferita”, “naviga il sangue” sono invenzioni memorabili.
- **Chiusure nette:** Finali non concilianti che restano in risonanza.
- **Densità semantica:** Pochi versi, molto peso specifico.
- **Affinamenti**
- **Economie sonore:** In “IN SOGNO RITORNANO” l’accumulo di sostantivi astratti (“momenti del vissuto... senso di perdizione”) può appesantire; valutare un concreto sensoriale in più per incarnare l’astratto.
- **Ripetizione di “vissuto”:** Appare in due testi con ruolo cardine; considerare varianti o perifrasi per evitare isotopia eccessivamente ribadita.
- **Domande retoriche:** L’interrogazione finale funziona; si potrebbe tentare, in una variante, una chiusa assertiva che rovesci la domanda in immagine, per vedere se il testo regge anche senza punto interrogativo.
---
### Lettura ad alta voce e musica interna
- **Allitterazioni:** La sequenza “spiove… stelle… sognata” offre una trama di sibilanti: amplificarla volutamente in lettura aiuta a creare coesione sonora.
- **Accenti terminali:** Le chiuse cadono spesso su parole pesanti (“cuore”, “disfartene”, “presente”): rallentare, lasciando mezzo battito di silenzio, intensifica l’effetto reliquia.
---
### Disposizione in silloge
- **Ordine proposto:** “Reliquie” → “IN SOGNO RITORNANO” → “SPIOVE LUCE”.
- **Motivo:** Dalla fondazione etica della scrittura, al ritorno del rimosso, alla domanda metafisica sul tempo. Una traiettoria che apre, sprofonda, poi allarga l’orizzonte.
.
Intatto lo spirito
ho ripreso in mano le poesie giovanili
alcune rifatte altre modificate
con severi tagli senza rimpianti
ispirazioni bucoliche vestite di primavera o
di autunnali malinconie
vi è rimasto intatto
lo spirito degli alberi e del vento
la resina la radice linfa da cui vita rinasce
© Felice Serino aka norise
Che meraviglia. Questa poesia di Felice Serino vibra di autenticità e memoria, come se il tempo non avesse scalfito l’essenza originaria dell’ispirazione. Il verso *“lo spirito degli alberi e del vento”* è un’immagine potentissima: evoca una continuità profonda tra natura e parola, tra passato e presente.
**Riflessioni sul testo:**
- Il poeta torna alle sue radici, rivedendo le poesie giovanili con occhio maturo, ma senza tradire la loro anima.
- I “severi tagli senza rimpianti” parlano di una lucidità artistica, di una crescita che non rinnega ma rifonde.
- Le stagioni diventano metafore dell’ispirazione: la primavera come slancio vitale, l’autunno come dolce malinconia.
- Eppure, ciò che resta “intatto” è lo spirito: la linfa poetica, la voce della natura che continua a parlare.
.
AUNG SAN SUU KYI
non violentate la primavera
del suo giovane sangue
non pugnalate la colomba
del suo cuore aperto
alla compassione
non schernite la disarmante
verità che proclama
aizzandole contro
i mastini della notte
dal suo sangue si leva alto
il grido di purezza
a confondere intrighi di potenti
(maggio 2009)
© Felice Serino aka norise
.
Questa poesia di Felice Serino è un grido lirico e politico, un atto di denuncia e di difesa della dignità umana incarnata in Aung San Suu Kyi. Scritta nel maggio 2009, in un momento cruciale della sua prigionia, il testo si fa portavoce di una compassione universale e di una resistenza non violenta.
**Elementi chiave del testo:**
- **Primavera e sangue giovane**: metafora potente della speranza e della vitalità minacciata dalla repressione.
- **La colomba del cuore**: simbolo di pace e apertura, vulnerabile ma fiera.
- **Mastini della notte**: immagine oscura e minacciosa, rappresentazione delle forze oppressive.
- **Il grido di purezza**: la voce della verità che sfida il potere, che non si piega agli intrighi.
*“non schernite la disarmante / verità che proclama”* — qui la poesia si fa manifesto etico, richiamando alla responsabilità morale di fronte alla verità e alla giustizia.
.
DI ALTROVE
[La gente non è cattiva: ha solo paura di essere buona.
Eduardo nel film Campane a martello.]
di altrove
è lettura capovolta il mondo
chi ti dà
occhi buoni per il cielo
se non sai vedere
così la cieca
sopraffazione
la gioia cattiva del sangue
(2009)
# Interpretazione e lettura del testo “Di altrove”
Ecco una possibile chiave di lettura per il tuo componimento, esplorando i temi dell’inversione, della visione e della paura insita nella bontà.
## 1. “È lettura capovolta il mondo”
- L’idea di un «mondo capovolto» evoca una prospettiva che sfugge all’ordine consueto: ciò che dovrebbe sostenere la vita (la bontà, la fiducia) appare impossibile o pericoloso.
- Questo verso apre il poema come un invito a ribaltare lo sguardo, a mettere in discussione le certezze e i valori consolidati.
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## 2. Il dono degli “occhi buoni”
- Chi “ti dà occhi buoni per il cielo / se non sai vedere”: suggerisce che la vera visione non nasce da un organo biologico, ma da un’apertura interiore.
- Il cielo diventa metafora dello spazio dell’anima, un orizzonte che solo chi accetta di guardare oltre le paure può realmente abitare.
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## 3. La cecità e la sopraffazione
- La “cieca sopraffazione” unisce due parole contrapposte: la mancanza di sguardo e l’esercizio del potere violento.
- Implica che dominare l’altro senza capire, senza guardarlo davvero, origina in una forma di oscurità morale.
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## 4. “La gioia cattiva del sangue”
- Qui la violenza diventa perverso godimento: il sangue non è solo il segno della sofferenza, ma anche la linfa di una soddisfazione malata.
- Chi teme la bontà finisce per abbracciare la crudeltà come modo per sentirsi forte o “vivo”.
---
## 5. Il filo del discorso
- I riferimenti a Eduardo (“La gente non è cattiva: ha solo paura di essere buona”) aprono il quadro a una riflessione esistenziale: la cattiveria non è un tratto innato, ma un’ombra che cala quando il coraggio di fare il bene arretra.
- Il componimento crea così un circolo virtuoso tra parola, sguardo e azione: per rompere la paura serve la visione, per avere la visione bisogna credere nella bontà.
---
## Spunti di conversazione
- In che situazioni personali ti sei sentito davanti a un “mondo capovolto”?
- Quali immagini visive ti evocano gli “occhi buoni per il cielo”?
- Pensi che la paura di essere buoni sia ancora un ostacolo nella nostra società?
---
E per andare oltre, potremmo considerare come altre tradizioni letterarie – dalla poesia mistica medievale alle avanguardie novecentesche – abbiano indagato il tema dello sguardo interiore e della rottura degli schemi. C’è un filone unico che unisce chi, come te, osa “leggere capovolto” il mondo.
(...)
Capisco il tuo sentire
A volte le emozioni più vive restano in uno spazio che non è fatto di parole, e va benissimo così.
Lasciare fluire l’indicibile
Riconosci il valore di ciò che senti: non serve “spiegarlo” per farlo esistere.
Spesso la parola arriva per amplificare l’emozione, non per tradurla alla lettera.
Per andare oltre, possiamo esplorare come altri poeti e artisti – da Emily Dickinson, che parlava dell’indicibile, ai surrealisti, ma anche alla tradizione mistica – hanno accolto l’ineffabile nelle loro pagine.
.
NASCOSTO STARO' NELLA ROSA
finché non avrà inghiottito
il tempo osceno il suo grido
nascosto starò nella rosa
azzurra
perché non intacchino
i veleni del mondo
la bellezza del cuore
(2009)
Che meraviglia. Questo testo ha la delicatezza di un sussurro e la forza di un grido silenzioso. La rosa azzurra diventa rifugio, simbolo di purezza e resistenza contro la brutalità del tempo e i veleni del mondo. C’è qualcosa di profondamente spirituale nel voler proteggere “la bellezza del cuore” — come se fosse l’ultima cosa sacra rimasta.
Mi colpisce anche l’uso del colore: l’azzurro non è solo una tonalità, ma un’atmosfera, un luogo dell’anima. E quel “tempo osceno” sembra quasi un nemico invisibile, che divora ciò che è autentico e fragile.
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DENTRO SILENZI D'ACQUE
sul lago s'è alzata la luna
dentro silenzi d'acque
è dolce la luce
nel respiro
delle foglie una smania che dilania
abbraccia i contorni della notte
(2010)
C’è una quiete che vibra in questi versi: la luna che si alza sul lago, la luce dolce, e poi quella “smania che dilania” che incrina il silenzio. È una notte tattile: le foglie respirano, la luce abbraccia, i contorni della notte prendono corpo. Mi piace il contrasto netto tra dolcezza e inquietudine: come se l’acqua custodisse pace in superficie mentre sotto pulsa un desiderio irrisolto.
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# Notturno d’acqua
C’è un viaggio naturale in ciò che hai scritto: ascesa, culmine, dissolvenza. Ti propongo un piccolo trittico che conserva la tua dolcezza luminosa e quella smania che dilania, come un filo teso sotto il lago.
---
## Struttura in tre quadri
- **Ascesa:** Lentezza del sorgere. La luna lascia la riva e scioglie i bordi del buio.
- **Immagini:** tremolio, vetro, alito di foglie, primo riflesso.
- **Timbro:** attesa sospesa, pudore.
- **Culmine:** La luce tocca tutto, la smania affiora.
- **Immagini:** cerchio pieno, schiena del lago, nervatura delle foglie.
- **Timbro:** dolce ferocia, chiarezza che brucia.
- **Dissolvenza:** La notte riassorbe, resta il battito.
- **Immagini:** alone, cenere di luce, passo che si allontana.
- **Timbro:** resa quieta, eco.
> Leitmotiv: la “smania” come respiro che passa dalle foglie all’acqua e poi al cuore, ricomparendo con parole-soglia (respiro, contorno, abbraccio).
---
## Bozze dei tre testi
### Ascesa
```
sul margine dell’acqua
sale la luna
un tremolio sottile
apre il vetro del lago
nel respiro delle foglie
un nome non detto
spinge piano
i contorni della notte
```
### Culmine
```
la luce è piena
dolce e feroce
abbraccia la schiena del lago
una smania che dilania
risale le nervature
e chiede tutto
senza rumore
```
### Dissolvenza
```
si allenta il cerchio
la luna fa cenere
del suo chiarore
resta un passo nell’acqua
un filo di respiro
che torna alle foglie
e tace
```
DAI CIELI DEL SOGNO
precipitare dai cieli del sogno
fino all'età adulta
richiami di sapori
di voci l'odore
del mare inalare il vento
salato sibilante sotto
le porte -
gibigiane echi
liturgie
di memorie
l'iniziazione del sesso
i segreti
cieli dell'adolescenza
passati come in sogno
(2010)
.
# Breve analisi del testo
## Atmosfera onirica e passaggio all’età adulta
Il componimento si apre con un’immagine forte: il “precipitare dai cieli del sogno” evoca la caduta dall’innocenza verso la concretezza dell’età adulta. Quel “fino all’età adulta” diventa soglia tra visione e realtà, un momento carico di nostalgia e tensione.
---
## Le immagini sensoriali
- “richiami di sapori / di voci l’odore”: sinestesia che mescola tatto, gusto e udito
- “del mare inalare il vento salato sibilante”: l’elemento naturale come veicolo di memoria
- “gibigiane echi / liturgie di memorie”: eco di rituali interiori, rievocazione di gesti antichi
---
## Temi e simboli
- Sogno vs realtà: dalla leggerezza del volo onirico alla gravità del quotidiano
- Iniziazione e segreti: l’adolescenza vista come rito di passaggio, con le sue scoperte e tabù
- Memoria e liturgia: la costruzione dell’identità attraverso ricordi ritualizzati
---
SOGNO BAGNATO
[dalla parte dei traditi ed uccisi]
vedere l'angelo
della morte
entrare nel mio sogno
ed io riverso
sul selciato
lo stupore del sangue
le viscere nelle mani
"tu quoque brute"
... per mano di chi
si credeva amico
(2010)
.
# Analisi del testo “SOGNO BAGNATO”
## Atmosfera e tono
Il componimento apre su un paesaggio onirico deteriorato dal violento ingresso dell’angelo della morte. La tensione resta sospesa tra incubo e realtà, evocando uno stato di terrore quasi sacro.
## Immagini e figure retoriche
- Personificazione: “angelo della morte” dà volto e volontà a un’entità astratta.
- Effetto shock: la descrizione del sangue e delle viscere amplifica la brutalità del tradimento.
- Latinismo: “tu quoque brute” rinvia al famoso grido di Cesare, condensando il senso di amicizia tradita in una formula carica di storia.
## Temi e simboli
- Tradimento e violenza: l’amico-divenuto-carnefice trasforma il sogno in carneficina.
- Sogno vs realtà: la dimensione onirica crolla di fronte allo svelamento del peggiore dei segreti.
- Morte rito d’iniziazione: il passaggio dallo stato di incoscienza al riconoscimento della brutalità umana.
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Straordinario
Il nostro viaggio inizia qui. Scopri la nostra attività e cosa facciamo. Ci impegniamo per offrire qualità e un ottimo servizio. Unisciti a noi per crescita e successo. Siamo felici che tu voglia far parte della nostra storia.

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"Sono estremamente soddisfatto del servizio eccezionale che ho ricevuto. Il loro team ha fatto di tutto per soddisfare le nostre esigenze e ha superato le nostre aspettative."
Giuseppe Santi
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